1 - Comitato Scientifico Veneto Friulano Giuliano

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1 - Comitato Scientifico Veneto Friulano Giuliano
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Gatto selvatico (Ph G.C.)
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Fanello (Ph M.D.)
Lince (A.D.L.)
Il mondo ha bisogno del sentimento degli orizzonti inesplorati, dei misteri degli
spazi selvaggi. Ha bisogno di un luogo dove i lupi compaiono al margine del bosco,
non appena cala la sera, perché un ambiente capace di produrre un lupo
è un ambiente sano, forte, perfetto.
George Weeden
Ramarro (Ph D.G.)
Volpe (Ph G.C.)
Cane procione (Ph U.S.)
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Ph Roberto Zanette
SETTEMBRE
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Implacabile, indomabile,
imprendibile predatore di
ratti e ricci. Signore delle
forre oscure e inviolabili
e vittima di elettrodotti.
(M.Z.)
Ph Giulio Compostella
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Un lupo è un lupo.
Ma da sempre ci è difficile
considerarlo un semplice
animale. Istintivamente
siamo portati ad attribuirgli
caratteristiche particolari:
aggressività, sete di
sangue, diffidenza. Ma si
tratta di caratteristiche
prettamente umane, che
tendiamo a proiettare
sull’animale.
Wolfgang Schröder
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O
rigini
È probabile che gli antenati degli attuali carnivori, di cui fa
parte il lupo, appartenessero al gruppo dei Creodonti, mammiferi carnivori vissuti durante il Cretaceo Superiore. Risale al Pleistocene (circa 2 milioni d’anni fa) una delle prime creature con
sembianze simili al lupo: era il Canis dirus, lungo 1,5 metri circa
e pesante 50 kg. La specie si è evoluta in Canis lupus, ossia il
lupo, probabilmente nell’Europa centro-settentrionale, diffondendosi successivamente in tutto l’emisfero settentrionale fino
a raggiungere il Nord America, con popolazioni più meridionali
localizzate in Messico, Arabia e India. Attualmente nel continente euroasiatico si trovano quattro sottospecie (razze):
Canis lupus lupus: il lupo di gran parte dell’Asia e dell’Europa,
inclusa l’Italia, Canis lupus signatus: il lupo della penisola Iberica, Canis lupus pallipes: il lupo del Medio-Oriente e Asia Meridionale, Canis lupus arabs: il lupo della penisola Arabica.
Dal Canis lupus si sono differenziati il Canis lupus familiaris,
progenitore del cane domestico (con più di 300 razze diverse)
ed altre specie quali il dingo, il coyote e lo sciacallo.
Storia
Il lupo non è solo un magnifico animale, intelligente, socialmente molto evoluto, ma anche un simbolo culturale fortissimo tuttora vivo: egli
rappresenta la wilderness, la capacità di
vivere in modo leale in perfetta armonia
con l’ambiente che lo circonda, di cui è un
profondo conoscitore. Il lupo è in grado di adattarsi molto meglio di noi alle trasformazioni ambientali, stabilisce rapporti sociali molto complessi e in gran parte
ancora sconosciuti che lo portano ad
una funzionale scala gerarchica delle
competenze è molto flessibile in
base alle capacità degli individui ed è
capace di grande altruismo e assistenza verso gli individui deboli e bisognosi del branco.
Da molti popoli cacciatori come gli
eschimesi e gli indiani d’America è
stato adorato come una divinità, un
cacciatore formidabile da emulare e
studiare in quanto mirabile conoscitore dell’ambiente in cui vive. Altri
popoli dedicati, invece, all’agricoltura
ma soprattutto all’allevamento, lo
hanno odiato e perseguitato e persino alcune religioni lo hanno trasformato a simbolo del male, simbolo di
tutto ciò che non è ordinato, controllabile e plasmabile dall’uomo.
IL LUPO
IL SAGGIO DEI BOSCHI
disegno di Luca Corradi
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Il lupo è stato sterminato in gran parte dell’Europa Centrale,
ove per caratteristiche ambientali era molto diffusa la pastorizia nomade (allora con scarsi pascoli e limitata conoscenza e
controllo dell’ambiente), mentre è sopravvissuto in piccoli numeri nei paesi del Mediterraneo (Italia, Penisola Iberica e Balcani) grazie a fattori ambientali quali la pastorizia stanziale
(maggiore abbondanza di pascoli) con tragitti tradizionali (transumanza) ma anche fattori culturali, quali l’uso di ricoveri notturni e l’addestramento di cani da pastore (maremmani)
provvisti di collari con punte che crearono una cultura di convivenza. La persecuzione, già elevata nei primi anni del XX secolo, divenne massiccia negli anni dopo la 2a Guerra Mondiale,
causando un minimo storico di esemplari negli anni ’70. Luigi
Boitani dell’Università dell’Aquila, eseguì la prima indagine italiana sulla situazione del lupo ridotto a circa un centinaio di
esemplari tra Abruzzo, Molise, Lazio, Marche, Calabria e venne
attuata una forte campagna di sensibilizzazione dell’opinione
pubblica e di conservazione assieme al WWF nelle regioni
abruzzesi. In seguito alle emanazioni di leggi protezionistiche
(DM 1071, DM 1976, direttive CEE 1992 e 1997), negli anni
‘80 e ‘90 la popolazione di lupi si è ripresa e si è naturalmente
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espansa verso il Nord, fino all’attuale presenza nei Pirenei, Francia, Svizzera, Valle d’Aosta, Lombardia e Friuli Venezia Giulia
con probabile ricongiungimento del lupo appenninico italiano e
del lupo sloveno.
Non sono mai state fatte reintroduzioni o ripopolamenti; ogni individuo giovane naturalmente si allontana dal nucleo familiare
per scegliere nuovi territori e compagni (non consanguinei), i
lupi sono anche capaci di percorrere centinaia di km di spostamenti. L’aumento della selvaggina attraverso azioni di reintroduzione a scopi venatori e la minore pressione antropica
ambientale delle zone montane italiane, hanno consentito al
lupo di ricolonizzare diversi ambienti e di tornare a predare selettivamente ungulati selvatici riacquisendo un importante ruolo
nell’equilibrio naturale. Attualmente è una specie molto protetta, dalla Convenzione di Washington CITES (1975), dalla Convenzione di BERNA (1981), dalla direttiva europea HABITAT
(1997). Attualmente in Italia la popolazione di lupi si aggira circa
sui 600, individui ma non appare ancora al di sopra di una soglia di sicurezza che ne garantisca la sopravvivenza sul lungo
periodo.
I fattori limitanti la sopravvivenza del lupo sono il bracconaggio
(bocconi avvelenati, lacci, armi da fuoco) che porta alla morte di
circa 60 esemplari ogni anno, (ma per omertà e negligenza non
vi è mai stato incriminato finora alcun bracconiere); conflitti con
la zootecnia (in termini complessivi i danni sono irrilevanti, ma
non da sottovalutare e quindi va aiutato ogni singolo allevatore
coinvolto); conflitto col mondo venatorio (il lupo viene considerato un competitore dei cacciatori per la predazione sugli ungulati, in realtà sovrastimata); randagismo canino, fenomeno
endemico in molte regioni italiane, e per il quale si fa troppo
poco (competizione di territori, per le prede, pericolo di trasmissione di patologie, rischio di incroci e di inquinamento genetico anche se raro).
Altri fattori secondari da considerare la sopravvivenza del lupo
a lungo termine sono: qualità degli habitat, l’esiguità delle popolazioni, la distribuzione e frammentazione degli areali, i quadri normativi attuali (leggi protezionistiche senza coordinamento
degli interventi regionali).
Si auspica un maggiore coordinamento di strategie di conservazione sia tra Paesi confinanti sia tra le Regioni italiane, una
maggior azione antibracconaggio, un’attenzione di attenuazione
dei conflitti con l’uomo sia per quanto riguarda la zootecnia (misure di prevenzione dei danni quali uso di cani da pastore, recinti elettrificati, stalle; risarcimento equo dei danni), sia per i
conflitti col mondo venatorio, si auspica anche l’applicazione
della legge sulla prevenzione del randagismo (microchip e canili), la tutela degli habitat e dei corridoi naturali e la strategia di
tutela della specie a livello nazionale.
MILENA MERLO PICH (ON, AE - CAI BOLOGNA)
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Nome scientifico
106. LUPO
SOTTOSPECIE
Canis lupus lupus
(Linnaeus, 1758)
Classe Mammiferi
Ordine Carnivori
Famiglia Canidi
La specie lupo è suddivisa in diverse sottospecie nel mondo, tra Eurasia e Nord America, differenti a seconda di caratteristiche fenotipiche,
genetiche e comportamentali: infatti variano, a seconda dei criteri considerati, dalle 4 alle 40 sottospecie. In Italia molti considerano geneticamente accreditata l’esistenza della sottospecie di Canis lupus
italicus, differente dalle altre europee per dimensioni (più piccolo) e caratteristiche e per il lungo isolamento genetico ambientale italiano. Di
seguito le caratteristiche del lupo appenninico italiano.
CARATTERISTICHE:
Dimensioni
Lunghezza totale: 110-140 cm.
Coda
30-40 cm.
Altezza al garrese
Circa 70-80 cm.
Peso
Maschio: 30-35 Kg;
femmina: 20-25 Kg.
Testa
La forma della testa del lupo rispecchia l’ossatura più massiccia e robusta in confronto a
quella di un cane. La fronte è
ampia, le mandibole particolarmente robuste, gli occhi sono
marrone-chiaro, frontali, distanziati e dal taglio leggermente obliquo. La mascherina facciale di un lupo adulto si estende
intorno alle labbra inferiori e superiori ed è di colore bianco-crema. Le
orecchie hanno generalmente un’attaccatura più laterale e sono più
lunghe, larghe rispetto al cane, sempre tenute erette.
Verso
La comunicazione tra lupi è composta da espressioni facciali, sguardi,
posizioni del corpo, ululati, guaiti, ringhi ed odori (utilizzati per una ampia
varietà di segnali, es. di pericolo con l’urina sulle tagliole). L’ululato comprende tre tipologie di suoni base, ovvero i suoni armonici, “rumorosi”
e misti, per un totale di 11 sottotipi diversi. Ogni tipologia di suono è
associata ad una determinata classe d’età ed a uno specifico significato sociale. In particolare i suoni armonici sono associati a contesti
amichevoli o di sottomissione, i suoni “rumorosi” a contesti aggressivi
o di dominanza, ed i suoni misti sono invece tipici del periodo neonatale. Gli ululati vengono emessi sia per affermare il dominio sul territorio, sia per comunicare tra individui dello stesso branco, per rinsaldare
i loro legami sociali, per comunicare durante le fasi della caccia e per
stabilire un contatto con i cuccioli.
Mantello
Il colore del mantello, generalmente mimetico, è variabile, dal marroneantracite al marrone-chiaro; ma anche nero, beige, bianco o fulvo. Sul
dorso la colorazione è beige con punte nere, sulla parte superiore delle
zampe anteriori vi è spesso una vistosa striscia nera e infine il torace
è quasi sempre marrone-chiaro. Il pelo del mantello è costituito da due
tipi diversi di pelo: uno lanoso e folto detto “borra” e uno più lungo e
scuro detto “giarra”.
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Zampe
Il lupo ha arti lunghi, zampe larghe e un’ottima capacità di resistenza.
In condizioni di freddo intenso il lupo è in grado di regolare la temperatura corporea delle zampe in modo molto efficace riducendo il flusso
sanguigno in prossimità della pelle per conservare una maggiore quantità di calore: la temperatura dei cuscinetti plantari è mantenuta appena al di sopra del punto di congelamento dei tessuti, dove vengono
a contatto col ghiaccio. Le impronte sono quelle di un grosso cane;
misurano tipicamente 10 centimetri di lunghezza per 9 di larghezza.
Le due dita centrali sono più avanti della linea congiungente le due dita
laterali. Nelle piste le orme giacciono su una linea dritta tali che le
zampe anteriori e posteriori si sovrappongono perfettamente.
HABITAT
Il lupo è uno dei mammiferi selvatici con la distribuzione geografica
più estesa (gran parte dell’emisfero settentrionale) e dalla notevole
plasticità biologica. Il lupo può vivere in una grande varietà di habitat,
dalla tundra artica alle foreste, praterie e zone aride ad eccezione delle
foreste tropicali e dei deserti. La condizione importante per la presenza
del lupo è che ci sia disponibilità di prede e habitat naturali integri con
sufficiente copertura vegetale per permettere di nascondersi di giorno
e sfuggire alla persecuzione umana.
ALIMENTAZIONE
Il lupo è un carnivoro generalista ed opportunista (cioè si adatta alla disponibilità locale), essenzialmente specializzato nella predazione di
grossi erbivori selvatici (per lo più cinghiali, feriti nelle battute di caccia o individui anziani o malati, caprioli e daini) ma che può includere
nella propria dieta all’occorrenza anche mammiferi per piccole dimensioni (roditori), frutti, bacche (rosa canina), invertebrati, carcasse, animali domestici (laddove sia poco disponibile la selvaggina) e rifiuti di
origine umana. Il fabbisogno giornaliero medio di carne di un lupo di dimensioni medie è quantificato in circa 3-5 kg, ma sono stati registrati
casi di lupi che sono rimasti fino a 17 giorni senza ingerire cibo. Attacchi all’uomo sono rarissimi, avvenuti solo nel passato (in Italia l’ultimo registrato nel 1825) ed in situazioni limite (carestie, rabbia).
ORGANIZZAZIONE
SOCIALE
RIPRODUZIONE
Il lupo ha una struttura sociale molto complessa e fortemente gerarchica in cui l’ordine viene mantenuto da una serie di posizioni ed incontri rituali, e dalla continua verifica dei ranghi. Il branco in Italia è
solitamente composto dalla coppia di adulti, dai subadulti dell’anno
precedente e dai piccoli dell’anno (2-8), mentre in areali vasti non antropizzati (Alaska, Russia) i branchi sono di 7-20 lupi. È la coppia dominante “alfa” che decide il da farsi ed è la sola a riprodursi, mentre
eventuali lupi gregari collaborano al loro allevamento. I giovani, l’anno
successivo, possono ”disperdersi” scegliendo altri territori anche
molto lontani. I lupi giocano spesso tra loro, sia coi piccoli che tra adulti.
I territori di ogni branco dipendono dal numero di prede necessarie alla
sopravvivenza e in Italia oscillano tra i 120-200 Km2.
Il lupo è un animale essenzialmente monogamo e le coppie possono
restare unite per molti anni o per tutta la vita, utilizzando le stesse tane
e gli stessi territori di caccia. La coppia dominante si riproduce una
sola volta all’anno verso la fine dell’inverno (attorno a marzo) e la copula dura fino a 30 minuti. La gestazione dura circa due mesi. La femmina alla fine della gestazione dà alla luce 2-8 cuccioli dal peso di circa
300-400 grammi ciascuno. I cuccioli, che in Italia nascono tra aprile e
giugno, sono completamente inetti e con capacità sensoriali scarse
(ciechi e sordi). Vengono alimentati inizialmente con il latte materno,
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poi con latte integrato da rigurgiti a base di carne (offerto anche dai
lupi gregari). I cuccioli lasciano la tana dopo circa 2 mesi di vita e vengono trasferiti, in attesa di essere capaci di seguire gli adulti nell’attività venatoria, in particolari aree, chiamate “rendez-vous”, all’interno
delle quali aspettano gli adulti di ritorno dalla caccia. Successivamente
imparano le tecniche di caccia, la conoscenza e l’utilizzazione ottimale
del territorio, le strategie per evitare gli ambienti e le situazioni più pericolose. Il tasso di mortalità entro il primo anno di vita è elevatissimo:
si stima attorno al 60%. Le dimensioni corporee definitive vengono
raggiunte a circa un anno di età, mentre la maturità sessuale verso i
due anni. In seguito i giovani subadulti possono disperdersi in cerca di
nuovi branchi cui unirsi, o di territori non occupati da colonizzare.
LONGEVITÀ E MALATTIE
La vita media del lupo in ambiente naturale è di 8-10 anni, mentre in
cattività può raggiungere i 12-14 anni. Le cause di morte naturali sono
il deterioramento fisico CON conseguente incapacità di procurarsi il
cibo, le numerose patologie quali la rogna sarcoptica (miete i cuccioli)
e diverse parassitosi. Ma la causa di morte più frequente è senza dubbio la persecuzione dell’uomo.
PREDATORI
È un super predatore al vertice della catena alimentare, quindi non ha
predatori naturali. Occasionalmente l’aquila reale può ghermire cuccioli, giovani o esemplari debilitati. L’uomo è il maggior pericolo per
il lupo.
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CONSERVAZIONE
Estate
Inverno
4000
3000
2000
1000
300
DISTRIBUZIONE
IN ITALIA
disegno di Michele Zanetti
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Nonostante il numero di lupi in Italia abbia mostrato negli ultimi decenni un costante e progressivo aumento, la specie resta minacciata
per la limitata consistenza complessiva della popolazione presente nel
Paese, che è stimata in 500-600 individui. Il principale fattore di minaccia è rappresentato dalla persecuzione diretta operata dall’uomo.
Attualmente vengono ritrovati ogni anno 50-70 lupi uccisi illegalmente
(senza contare quelli spariti), con un impatto sulla popolazione superiore al 10-15%. Uccisioni dovute spesso a negligenza, conflitti di natura economica accentuati dai pregiudizi. La persecuzione esercitata
su questo carnivoro è principalmente legata alla predazione sulle specie domestiche, che in realtà sono predate per la maggior parte dei
casi da cani vaganti. Per questo motivo la protezione del lupo richiede
prioritariamente la messa a punto di efficaci misure di prevenzione e di
risarcimento dei danni. Da notare che i danni reali sono molto contenuti
rispetto a quelli provocati ai coltivatori dagli ungulati! L’identificazione
della causa di morte è sempre stata molto complessa (e di conseguenza è complesso anche attribuire i giusti risarcimenti richiesti dagli
allevatori) ma recentemente sono stati definiti metodi di accertamento
più standardizzati, attraverso perizie medico legali: infatti la più rilevante
differenza di predazione tra lupo e cane, oltre alla localizzazione delle lesioni, è l’analisi tissutale delle carcasse. Il lupo, che è un abile cacciatore, morde le prede con grande precisione alla giugulare inducendo la
paralisi dell’animale per shock vasomotorio e collasso cardiocircolatorio. Il cane invece ha una scarsa abilità predatoria, effettua lunghi inseguimenti con alta dispersione di energie e le prede si sfiniscono con
sindromi politraumatiche ed edemi polmonari. Senza contare che in
altri casi si trovano tracce di lupi che però hanno consumato prede già
morte (prive di reazioni tissutali da lesioni da aggressione). Per conservare al meglio il lupo si deve studiare e monitorare; negli ultimi dieci
anni lo studio sui lupi è cambiato drasticamente in quanto sono subentrate diverse strategie di indagine: in primis le analisi genetiche non
invasive (analisi di DNA prelevato dalle feci ritrovate in ambiente), il
monitoraggio tramite trappole fotografiche, lo snow-tracking (seguire le
impronte lasciate su neve e tracciare i percorsi con GPS per definire i
territori dei branchi), il wolf-howling (si stimolano i lupi a rispondere ad
ululati riprodotti artificialmente per determinare il numero, la localizzazione e la composizione dei branchi) e la marcatura con radiocollari (collari emittenti onde radio per tracciare gli spostamenti di un individuo
nel tempo).
In Italia la specie, ampiamente diffusa nell’intera penisola fino alla metà
del secolo XIX, ha fortemente ridotto il proprio areale nella prima metà
del XX secolo in seguito alla persecuzione
umana, che ne ha determinato l’estinzione
nelle Alpi e in Sicilia. Nei primi anni ‘70 dal
secolo scorso risultava presente solo in
pochi e frammentati comprensori montani
dell’Appennino centro-meridionale, ma nel
corso degli ultimi vent’anni ha fortemente
espanso l’areale. Attualmente è stabilmente
presente in tutta la catena appenninica, dall’Aspromonte fino alle Alpi Marittime francesi,
ed ha ricolonizzato anche le aree alpine del Piemonte fino a raggiungere i confini meridionali
della Val d’Aosta.
MILENA MERLO PICH (ON, AE - CAI BOLOGNA)
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DICONO
DI
ME
C
alava la notte. Il freddo si faceva
pungente. L’uomo del canile era in
ritardo e azionò la pompa dell’acqua per pulire l’ultimo box. Gli
occhi del lupo s’accesero indignati
e tutti i suoi avi lo chiamarono dal
profondo della foresta. Era vecchio, malato e stanco, ma la dignità era tutta integra. Guardò
l’uomo per la sua ultima sfida e se
ne andò definitivamente.
Daniela Castellani
(Gli occhi del lupo)
Q
…
uando un lupo ritorna al branco,
dopo essersi allontanato per qualche
tempo, gli altri componenti del gruppo gli
corrono incontro e fanno festa: gli saltano
intorno e lo leccano ai lati della bocca,
come fanno i cuccioli per indurre i genitori a rigurgitare la carne quando tornano
dalla caccia. I cani veramente affezionati
al loro capobranco umano fanno la stessa
cosa: si lasciano abbracciare e lo leccano
sulla faccia.
Quando rivedo un parente dopo molto
tempo di solito lo saluto con due baci sulla
guance: non posso che sentirmi un lupo se
considero che le guance sono i lati della
bocca.
Giancarlo Ferron (I segreti del bosco)
Una volta ho fatto un sogno: i miei
occhi erano più vicini al suolo e sentivo un’energia incredibile. Correvo
nell’erba splendente, con i sensi amplificati, le orecchie coglievano ogni
minimo rumore, gli odori erano inebrianti ed io correvo, ansante, libera:
ero un lupo!
Daniela Castellani (Gli occhi del lupo)
D
a molti giorni un lupo era in cerca di preda.
Giunto fino alle prime case di un villaggio, sentì gli
strilli di un bambino e la voce di una vecchia donna
che diceva: «Se non la smetti subito di piangere, ti
farò mangiare dal lupo». Il lupo si fermò ad aspettare pazientemente che gli desse il bambino. Era
scesa la notte: il lupo aspettava sempre. Ed ecco, udì
di nuovo la voce della vecchia: «Non piangere, piccino. Non ti farò mangiare dal lupo: se il lupo verrà
lo uccideremo». Allora il lupo si disse: «In questo
paese, evidentemente, non si mantiene la parola
data». E se ne andò infreddolito e disgustato.
Lev N. Tolstoj (da L’anima del lupo
di Marcus Parisini)
L
a base dell’amicizia è la comunione di interessi. I lupi stanno insieme per la vita. E
chiamano le nostre famiglie “branchi”, come dei mucchi d’oggetti qualsiasi! Membro di una
comunità che sa come vivere bene insieme agli altri, io rigetto lo stereotipo di animale
ingannatore. È vero che il suo solo modo per mangiare è in definitiva sbranare, ma non
si può certo mangiare con gli occhi, e oltretutto noi lupi abbiamo un gran cuore: siamo
teneri, allegri, e, per finire, gentili. Innanzitutto la sopravvivenza, certo, ma subito dopo
viene la convivialità! L’attacco del lupo a un cervo non è peggiore delle convenzioni delle
nazioni, o delle strategie politiche della maggior parte dei partiti.
R. Grossman (da L’anima del lupo di Marcus Parisini)
Il filosofo Jeffers afferma che: “L’uomo non è lupus: è peggiore dei lupi, è il peggiore di tutti
gli animali, perché è l’unico in grado di mettere in pericolo la stessa esistenza del pianeta”.
I lupi esistono da migliaia di anni, e in questo lunghissimo spazio di tempo si sono modificati poco o niente, semplicemente perché agiscono così perfettamente nel loro ambiente di
vita che non hanno bisogno di nessuna mutazione. L’uomo primitivo prendeva gli avanzi di
cibo lasciati da questo animale abile e intelligente. Viveva rispettando e temendo questo suo
rivale, ma nel tempo, con la mano, con l’arme e col pensiero personale, l’uomo è diventato
“creatore”. Così, munito dell’arma per uccidere, l’uomo strappa alla natura il privilegio di
creare. L’uomo “creatore” è uscito dalla associazione della natura, e con ogni invenzione si è
allontanato sempre più, e più ostilmente, da essa. In Europa da quando nacque l’agricoltura
il lupo divenne da “divinità” a “demonio”.
Marcus Parisini (L’anima del lupo)
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MERCOLEDI
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DOMENICA
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107. LINCE
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Nome scientifico
Lynx lynx
(Kerr, 1792)
Classe Mammiferi
Ordine Carnivori
Famiglia Felidi
Caratteristiche. Più grande di un gatto selvatico, e dalle zampe molto più lunghe, ha una stazza estremamente variabile
tra maschi e femmine: la lunghezza va dagli 80 ai 130 cm, l’altezza alla spalla tra i 60 ed i 75 cm, mentre il peso oscilla dai
18 ai 38 kg. Il pelo è lungo e morbido, la coda corta (20-25 cm di lunghezza), le orecchie sono dritte con dei vistosi ciuffi di
peli sulle punte. Queste, assieme al manto maculato, che può avere varie gradazioni di colore, sono le caratteristiche più
evidenti della lince. Il mantello è infatti un notevole mezzo di mimetismo, e assume colori chiari al Nord (per confondersi
con la neve), mentre è più scuro negli individui che vivono nel Sud-Europa (per nascondersi meglio nel sottobosco). La
punteggiatura della pelliccia è variabile ed è minima al Nord, debole nei Carpazi e in Italia, e più marcata nei Balcani. Altra
differenza tra individui di latitudini diverse è la stazza: a Nord gli esemplari sono più grossi di quelli che vivono al Sud. Ha
vista e udito eccezionali, e percepisce anche il minimo fremito. L’olfatto è molto sviluppato e serve soprattutto per la comunicazione con i suoi simili. Riesce a saltare sui rami anche a 2,50 m d’altezza, e piomba sulla preda con una velocità impressionante. Il suo territorio in genere è molto esteso, e spesso può superare i 400 chilometri quadrati. Si presume che
possa vivere anche 15 anni, anche se la vita media si aggira sui 10-12 anni. Le sue impronte sono larghe circa il doppio di
quelle del gatto selvatico e non hanno segni di artigli.
Habitat e diffusione. Vive prevalentemente nei boschi di conifere e latifoglie in ambienti montani, frequentando soprattutto gli ambienti forestali non omogenei (con radure, canaloni, ecc.) e non troppo fitti, dove si trovano le prede di cui si nutre
(caprioli, camosci, cervi, marmotte, volpi, lepri, conigli o uccelli come galliformi). È tollerante nei confronti della presenza
umana, purché sia possibile trovare prede a sufficienza per sfamarsi. Presente in
Scandinavia, Europa orientale (al Sud nelle zone montane) e nelle regioni montuose di Francia (Vosgi, Pirenei, Vanoise), Germania e Svizzera (dove è stata reintrodotta), è diffusa anche in Siberia e nell’Asia settentrionale. In Italia la sua
presenza è ben documentata sulle Alpi Giulie (Provincia di Udine), in particolare
nelle Valli del Natisone e Torre, nella Val Resia e Val Canale dove è giunta dalla vicina Slovenia, e nelle limitrofe province di Belluno (Dolomiti Bellunesi) e Trento.
Esemplari sono presenti nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ed è
stata segnalata sia nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga che nel
Parco Nazionale della Majella. Dopo un progetto di ripopolamento che ha avuto
scarso successo, è diffusa in modo estremamente sporadico sia Parco Nazionale del Gran Paradiso (Piemonte e Valle d’Aosta), con individui provenienti anche
dalla Francia. Le cause principali del suo regresso sono state soprattutto la deforestazione e la conseguente scomparsa o forte diminuzione degli animali che
preda, il tutto unito ad una caccia spietata condotta sia per l‘accaparramento delle
splendide pellicce, sia per proteggere gli animali domestici. Attualmente, con
l’espansione delle superfici forestali, si registra una nuova diffusione della specie.
Riproduzione. La stagione degli amori va da dicembre a marzo; in questo periodo, durante gli spostamenti, gli esemplari maschi emettono una specie di lamento di richiamo per attirare le femmine. Gli accoppiamenti avvengono
solitamente dopo un corteggiamento di circa un paio di giorni, poi la coppia si divide. Intorno ad aprile-maggio (dopo due mesi e mezzo dall’accoppiamento) nascono, in una tana tra le rocce o nel cavo di un albero, da 1 a 4 cuccioli, già dotati
di pelliccia ma totalmente ciechi per le prime due settimane. I piccoli vengono lasciati soli ogni volta che la femmina si allontana per cacciare. Dopo sei settimane,
Ph Roberto Zanette
i cuccioli sono in grado di seguire la madre per brevi spostamenti e lo svezzamento termina dopo 3 o 4 mesi dalla nascita. I piccoli rimangono con la madre per il primo anno di vita, poi i maschi iniziano a cercare un proprio territorio, mentre le femmine di solito si stabiliscono in aree vicine alla madre.
L’età feconda per le femmine arriva già dopo il primo anno di vita, mentre i maschi sono pronti per l’accoppiamento dopo
il secondo anno.
Verso. Generalmente è silenzioso, eccetto per un richiamo lamentoso che emette il maschio in primavera.
Abitudini e alimentazione. Animale solitario, la cui vita sociale si limita soltanto al periodo nel quale le femmine allevano
i cuccioli. Il suo periodo d’azione, durante la giornata, si limita alle ore serali o all’albeggiare, ed è attivo anche durante tutto
l’inverno. Solitamente il territorio di un maschio (contrassegnato con spruzzi d’urina su rocce ed alberi) si sovrappone a quelli
di varie femmine. Mammifero carnivoro, la sua alimentazione è varia: principalmente lepri, ma anche roditori, giovani cervi
e caprioli, uccelli terricoli come tetraonidi e beccacce. Occasionalmente può attaccare animali domestici. Predatore solitario e notturno, caccia furtivamente sul terreno o all’agguato (che è la sua tecnica principale in quanto non riesce a correre
a lungo), percorrendo durante lo scatto per raggiungere la preda una distanza media di circa 5-20 m. Sebbene dotato di un
ottimo olfatto, nella caccia si affida soprattutto alla vista e generalmente aiuta a migliorare le condizioni del territorio eliminando gli individui deboli, malati e vecchi. La preda viene in parte consumata subito, in parte viene nascosta accuratamente
come riserva di cibo.
Curiosità. Sulle Alpi, un tempo, era presente la sottospecie Lynx lynx alpina, oggi estinta. In Italia è oggi diffusa solo la lince
europea nella sottospecie Lynx lynx carpathicus grazie a reintroduzioni sta colonizzando le Alpi Orientali a partire dai paesi
dell’Europa orientale, giungendo fino agli Appennini Centrali. Attualmente la popolazione sull’arco alpino è stimata in oltre
150 esemplari. La lince o lonza nei bestiari medievali simboleggiava la lussuria, e Dante riprese questa allegoria nel primo
canto dell’Inferno. Probabilmente aveva osservato uno di questi felini in una delle gabbie per le fiere che la Repubblica di
Firenze era solita allevare vicino a Palazzo Vecchio.
LUCA DE BORTOLI (ON - CAI BELLUNO)
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
8-09-2009
108. GATTO SELVATICO
9:28
Pagina 15
Nome scientifico
Felis silvestris
(Schreber, 1777)
Classe Mammiferi
Ordine Carnivori
Famiglia Felidi
Caratteristiche. Il gatto selvatico, di dimensioni paragonabili a quelle del gatto domestico con cui viene facilmente confuso,
è lungo 47-68 cm dalla testa al tronco e pesa tra i 3 e i 6 kg (il maschio è più grande della femmina). Il mantello si distingue
per la colorazione grigio-bruna talvolta tendente al sabbia, con striature nere; il pelo, lungo e folto, mantiene caldo ed asciutto
il corpo quando piove e durante gli inverni rigidi. Anche la coda, lunga 21-38 cm, è folta e striata e presenta 3-5 anelli più
scuri. Rispetto al gatto domestico, la pelliccia non presenta mai macchie chiare distinte e la coda è più corta e con punta arrotondata. Il gatto selvatico, come tutti i felidi, è un formidabile cacciatore: la testa è arrotondata, con muso breve ed orecchie mobili, che vengono ruotate per individuare la posizione della preda; l’udito è molto sviluppato ed in grado di percepire
suoni ad altissima frequenza; l’occhio, grazie alla dilatazione delle pupille in condizioni di scarsità di luce ed alla presenza di
una membrana riflettente, è particolarmente adatto alla visione notturna e crepuscolare; sia occhi che orecchie sono posizionati frontalmente, per individuare meglio le prede; le lunghe zampe, dotate di morbidi cuscinetti ed artigli retrattili, permettono al felide di superare e aggirare facilmente gli ostacoli senza far rumore. Gli artigli affilati, che lasciano impronte simili
a quelle della lince (ma più piccole), presentano anteriormente 5 dita e posteriormente 4. I denti sono specializzati per l’alimentazione carnivora, con canini aguzzi per addentare e trattenere la preda e molari taglienti per la masticazione, mentre
mancano denti atti alla frantumazione; la lingua, infine, è munita di papille che servono a ripulire le ossa dalla carne.
Habitat e diffusione. Il gatto selvatico è una specie forestale, legata ai boschi di latifoglie decidue di altitudine medio-bassa
(max 1000-1500 m slm); tende ad evitare le aree montane caratterizzate da costante ed abbondante innevamento, che ne
ostacolerebbe gli spostamenti e l’attività di caccia. Solo marginalmente occupa boschi di conifere, mentre in Sardegna frequenta la macchia mediterranea. Predilige
aree scarsamente antropizzate e necessita di una copertura vegetale ampia e continua, con “corridoi ecologici” per spostarsi da un bosco all’altro: per tale ragione
tende ad evitare i pascoli e le zone aperte. L’areale, pur essendo piuttosto ampio, è
frammentato, soprattutto laddove la presenza dell’uomo è più evidente. Esso comprende l’Eurasia, dall’Europa occidentale all’India, alla Cina occidentale, alla Mongolia, e gran parte del continente africano (esclusi Sahara e fascia equatoriale). In
Italia è presente in tutto il Centro-Sud fino alla Calabria e in Sicilia, con popolazioni
importanti in Umbria e nel Gargano. Manca invece nell’Appennino settentrionale e
nella maggior parte delle Alpi: piccoli gruppi sono presenti nelle Alpi Liguri al confine
con la Francia e nelle Alpi Carniche al confine con la Slovenia.
Riproduzione. Si riproduce una volta all’anno, accoppiandosi a fine inverno-primavera e dando alla luce 2-4 (raramente 6) cuccioli, generalmente tra aprile e maggio,
dopo 9-10 settimane di gestazione. I piccoli restano con la madre fino ai 3-4 mesi di
vita, quando divengono indipendenti e capaci di cercarsi un proprio territorio. I maschi raggiungono la maturità sessuale a 12 mesi, le femmine a 9-10.
Verso. Silenzioso per la maggior parte dell’anno, durante la stagione riproduttiva
emette grida acute e prolungate.
Abitudini e alimentazione. A differenza del gatto domestico, il gatto selvatico è un
animale elusivo, territoriale e solitario (eccetto durante il periodo riproduttivo). È attivo tutto l’anno; di abitudini decisamente notturne: di giorno si riposa nella tana, nascosto tra la vegetazione o in anfratti rocciosi; talvolta occupa tane abbandonate di
volpe, istrice o tasso. In inverno, quando le prede sono scarse, caccia anche al crePh Roberto Zanette
puscolo. Essendo la densità di popolazione molto bassa, il territorio è ampio (anche
2
oltre i 10 km ) e la riserva di caccia personale viene difesa da altri individui della
stessa specie tramite pattugliamento e segnalazione odorosa (urina ed escrementi) e visiva (marcatura dei tronchi con gli
artigli, ecc.), senza necessità di entrare in competizione diretta e di combattimenti, come avviene invece per i gatti randagi.
Tra individui di sesso opposto può esservi sovrapposizione territoriale.
L’alimentazione è carnivora, costituita da prede di piccole dimensioni, prevalentemente roditori e lagomorfi, ma anche uccelli, rettili e insetti. Saltuariamente, per facilitare la digestione ed integrare la dieta con vitamine utili, si ciba di erbe; essendo
un abile pescatore è anche in grado di catturare piccoli pesci con gli artigli. Solo in caso di estrema necessità, si nutre di cadaveri, altrimenti predilige prede vive che, quando raggiungono dimensioni più grosse, azzanna al collo spezzando la spina
dorsale.
Curiosità. Il gatto selvatico attuale, autoctono della Penisola italiana, sembra discendere dal Villafranchiano Felis lunensis
ed avrebbe raggiunto la Sicilia durante le glaciazioni pleistoceniche.
Felis silvestris presenta tre sottospecie: Felis silvestris lybica (africano), da cui molto probabilmente si è originato il gatto
domestico intorno a 10.000 anni fa; Felis silvestris silvestris (europeo), e Felis silvestris ornata (asiatico). Nell’Italia peninsulare e in Sicilia è presente la sottospecie Felis silvestris silvestris, mentre in Sardegna è diffuso il gatto selvatico sardo,
popolazione locale di Felis silvestris lybica.
Status e conservazione. Attualmente il gatto selvatico viene considerato specie rara, a causa di una serie di fattori di minaccia, tra cui: la persecuzione da parte dell’uomo, essendo considerato nocivo (predazione di pollame, giovani agnelli, animali selvatici) e per la pelliccia; la distruzione, soprattutto in epoche passate, dell’habitat naturale (difficoltà di ricolonizzazione
delle zone forestali in nuova espansione, a causa della mancanza di corridoi boscati; nascita di popolazioni piccole e frammentate in aree boschive relitte di antica formazione); le alterazioni trofiche, a cui i predatori specialisti sono particolarmente
sensibili; l’incrocio con gatti domestici rinselvatichiti che, oltre alla trasmissione di malattie ed alla competizione diretta, determina la formazione di ibridi fertili con caratteri intermedi, portando alla graduale estinzione genetica della specie.
CHIARA SIFFI (ON - CAI CAMPOSAMPIERO)
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
8-09-2009
9:28
Pagina 16
11
MERCOLEDÌ
S. Egidio
35 . 244 - 121
5,43
18,59
Ph Roberto Zanette
109. VOLPE
Caratteristiche. La volpe ha corporatura slanciata
con zampe piuttosto corte; il muso è lungo e sottile e le orecchie sono piccole e triangolari; la
lunga e folta coda, utilizzata come timone nei salti,
è inconfondibile. Lunga da 60 a 70 cm e con una
coda di oltre 40 cm, arriva a 35 cm di altezza alla
spalla e raggiunge i 5-8 kg. La pelliccia è brunofulva tendente al rosso sulla schiena e sul muso.
Il labbro superiore è bordato di bianco e le orecchie hanno la parte esterna nera. La gola, il ventre
e la punta della coda sono bianche o tendenti al
grigio.
Habitat e diffusione. Specie facilmente adattabile, la volpe frequenta diversi ambienti che vanno
dal bosco alle aree coltivate, dal livello del mare
fino a oltre 3000 m; è presente anche nelle zone
periurbane, dove si aggira alla ricerca di cibo.
Riproduzione. Alle nostre latitudini l’accoppiamento, che segue un lungo corteggiamento, avviene in inverno; dopo una gestazione di circa
Nome scientifico
Vulpes vulpes
(Linnaeus, 1758)
Classe Mammiferi
Ordine Carnivori
Famiglia Canidi
sette settimane, la femmina partorisce in primavera da 3 a 8 piccoli che vengono allattati per un
mese e successivamente nutriti con alimenti predigeriti dalla madre e poi rigurgitati; i piccoli stanno
con la madre fino all’autunno. La volpe vive in
gruppi familiari, costituiti da un maschio con più
femmine, in cui la gerarchia impone che sia solo
la femmina dominante a riprodursi mentre le altre
la aiutano ad allevare la prole; in caso di morte
della madre sono le altre componenti del gruppo
ad allevare i cuccioli fino alla loro indipendenza e
successivamente, la volpe che occupa il secondo
rango nella gerarchia femminile acquisisce il ruolo
di riproduttrice. La maturità sessuale è raggiunta
a circa dieci mesi. La volpe vive fino a 12 anni.
Verso. Il verso è costituito da brevi e piuttosto
acuti latrati emessi singolarmente; essi sono distinguibili dai latrati dei cani poiché questi ultimi
vengono emessi in sequenze di tre o più.
Abitudini e alimentazione. In Italia la volpe si
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
M G V S D L M M G V S D L M M
12
8-09-2009
GIOVEDÌ
S. Elpidio
35 . 245 - 120
5,44
18,56
nutre di una varietà di alimenti
che annovera mammiferi, soprattutto arvicole e topi, uccelli,
invertebrati, frutta e uova ma
anche carogne e rifiuti. In genere la volpe necessita di circa
500 g di cibo al giorno.
Curiosità. Le volpi sono animali
territoriali: il territorio si estende da dieci ad anche cinquanta
chilometri quadrati, a seconda
delle zone. All’interno del territorio vi sono diverse tane che
possono essere scavate direttamente dall’animale o “ereditate” da altri animali. Tra
queste, una tana principale è
utilizzata in inverno per il parto
e la cura dei piccoli; le altre,
sparse sul territorio, vengono
utilizzate come nascondiglio in
caso di pericolo o come dispensa per gli alimenti. Le tane
possono essere molto ampie e
9:28
13
Pagina 17
VENERDÌ
S. Gregorio Magno 5,46
18,55
35 . 246 - 119
Ph Alberto Liberati
SABATO
14
S. Rosalia
35 . 247 - 118
15
S. Giordano
35 . 248 - 117
5,47
18,53
DOMENICA
collegate da gallerie, risultando
molto simili a quelle del tasso;
a volte, in caso di tane molto
estese, si verificano casi di condivisione della tana da parte di
tassi e volpi.
SARA BALLABIO
(ON - CAI COMO)
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
G V S D L M M G V S D L M M G
5,49
18,50
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
16
8-09-2009
LUNEDÌ
S. Zaccaria
36 . 249 - 116
5,50
18,49
9:28
7
Pagina 18
MARTEDÌ
S. Regina
36 . 250 - 115
110. CANE PROCIONE o VIVERINO
Caratteristiche. Canide di piccole dimensioni (lunghezza testa e corpo: 55-80 cm; peso: 5-10 kg), con
zampe corte. Di aspetto più robusto rispetto alla
volpe, presenta una mascherina facciale nera che lo
rende simile ad un procione.
Habitat e diffusione. Vive in vari habitat, soprattutto in boschi e foreste. L’areale
di origine è situato in Asia orientale
(Giappone, Siberia Sud-orientale e
Manciuria). Nel secolo scorso è
stato introdotto in Russia e da qui
si è espanso verso Ovest. Di recente è stato segnalato anche in
Italia, in Carnia (Friuli).
Riproduzione. L’accoppiamento
avviene in febbraio-marzo. Fra
aprile e maggio, dopo una gestazione
di circa 60 giorni, la femmina partorisce in
media 5-8 cuccioli. I giovani sono in grado di condurre
vita autonoma a 4-5 mesi di età, ma possono restare
con i genitori durante l’inverno. La maturità sessuale
viene raggiunta attorno all’anno di età.
5,52
18,47
18
Nome scientifico
Nyctereutes procyonoides
(Gray, 1834)
MERCOLEDÌ
Natività di Maria V. 5,53
18,44
36 . 251 - 114
Classe Mammiferi
Ordine Carnivori
Famiglia Canidi
Verso. Vari versi, come ringhi, guaiti.
Abitudini e alimentazione. Di abitudini notturne, attraversa un periodo di latenza invernale; generalmente vive solitario o in gruppi familiari costituiti da
una coppia con i giovani. La dieta è varia; comprende invertebrati, piccoli vertebrati,
semi e bacche.
Curiosità. Il cane procione è conosciuto anche con il nome giapponese di Tanuki (che però, a seconda
delle epoche e delle regioni, poteva
indicare anche il tasso o altri animali). Il Tanuki ha una parte importante nella mitologia del Giappone,
infatti è storicamente considerato una
creatura soprannaturale, capace di travestimenti e di cambiare forma, spesso scherzosa
e al tempo stesso distratta. Al giorno d’oggi in Giappone si possono ancora osservare di frequente statue di Tanuki.
FRANCESCA TAMI (ON - CAI MANZANO)
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
M G V S D L M M G V S D L M M
19
8-09-2009
GIOVEDÌ
S. Severiano
36 . 252 - 113
5,55
18,43
9:28
110
Pagina 19
VENERDÌ
S. Nicola da Tol.
36 . 253 - 112
5,56
18,40
SABATO
111
SS. Proto e Giac. 5,58
18,38
36 . 254 - 111
112
S. Silvino
36 . 255 - 110
DOMENICA
Fonte: Oasis 1996
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
G V S D L M M G V S D L M M G
6,00
18,36
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
113
8-09-2009
LUNEDÌ
S. Giov. Crisostomo 6,01
18,34
37 . 256 - 109
9:29
14
Pagina 20
MARTEDÌ
Es. Santa Croce
37 . 257 - 108
6,03
18,32
115
MERCOLEDÌ
B.V. Addolorata
37 . 258 - 107
6,05
18,30
111. SCIACALLO DORATO
Nome scientifico
Caratteristiche. Canide di media taglia (lunghezza testa
e corpo: 90-105 cm; peso: 15-20 kg), dall’aspetto snello.
Il colore di fondo è bruno-rossiccio; la gola presenta
un’estesa macchia bianca; la coda è corta (non supera la
lunghezza delle zampe posteriori).
Habitat e diffusione. Frequenta una grande varietà di
habitat, sia in pianura che in montagna,
anche oltre i 2000 m di quota. Può trovarsi
anche in aree suburbane; nelle zone montuose occupa le forre e in generale le zone
con maggiori opportunità di riparo. Un ambiente tipico è dato dalle zone aperte con
boscaglie e corsi d’acqua. Occupa un
areale molto ampio, in Africa e gran parte
dell’Eurasia. È presente nell’Europa SudOrientale, dove negli ultimi 30 anni ha attraversato una fase di espansione:
durante gli anni ’80-90 ha colonizzato
Istria, Slovenia, parte dell’Austria e del Nord-Est Italia
(Friuli Venezia Giulia e Veneto). Attualmente nel nostro
paese questa specie presenta una distribuzione frammentata.
Riproduzione. Gli accoppiamenti avvengono in febbraio,
e dopo circa 60 giorni la femmina partorisce un numero
variabile di piccoli (mediamente 4-6). I giovani vengono
allattati fino a luglio-agosto e restano con i parenti fino
alla primavera successiva. I giovani possono restare con
gli adulti anche l’anno successivo e collaborare nella ricerca del cibo e nella cura dei piccoli.
Verso. Il repertorio vocale è molto ampio, comprende
ringhi, guaiti, latrati, ululati.
Abitudini e alimentazione. È una specie molto adattabile; occupa una nicchia
ecologica intermedia fra quella della
volpe e del lupo. Territoriale, vive in
gruppi familiari; i legami di coppia non
sono rigidi. L’alimentazione, molto varia,
comprende vegetali, carogne, animali
per lo più di piccole e medie dimensioni
(ma può cacciare animali più grandi,
come il capriolo). Si nutre anche di rifiuti
e di animali domestici.
Curiosità. L’incremento della popolazione, verificatosi nella Penisola balcanica (e quindi la
conseguente dispersione di individui che sono arrivati
fino in Italia) è stato messo in relazione con la contemporanea diminuzione della popolazione di lupo, che rappresenta un fattore limitante per lo sciacallo dorato.
Canis aureus
(Linnaeus, 1758)
Classe Mammiferi
Ordine Carnivori
Famiglia Canidi
FRANCESCA TAMI (ON - CAI MANZANO)
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
M G V S D L M M G V S D L M M
116
8-09-2009
GIOVEDÌ
SS. Cornelio e Cip. 6,06
18,28
37 . 259 - 106
9:29
117
Pagina 21
VENERDÌ
S. Roberto Bel.
37 . 260 - 105
6,08
18,26
SABATO
118
S. Sofia
37 . 261 - 104
119
S. Gennaro
37 . 262 - 103
6,10
18,24
DOMENICA
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
G V S D L M M G V S D L M M G
6,11
18,22
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
120
8-09-2009
LUNEDÌ
S. Andrea Kim e C. 6,13
18,20
38 . 263 - 102
9:29
21
Pagina 22
MARTEDÌ
S. Matteo Ap.
38 . 264 - 101
6,14
18,18
122
MERCOLEDÌ
S. Maurizio
38 . 265 - 100
6,16
18,16
112. RAMARRO OCCIDENTALE
Nome scientifico
Caratteristiche. Sauro con la forma del corpo tipica
delle lucertole, ma con dimensioni maggiori: la lunghezza può raggiungere i 45 cm (coda compresa);
generalmente, escludendo la coda, non supera i 12
cm. È caratterizzato da una splendida livrea verdebrillante. La sua forma, elegante e slanciata, gli permette movimenti veloci e repentini. Le femmine
hanno una colorazione più scura e presenta da due a
quattro striature longitudinali chiare. Le parti ventrali
tendono al giallo. Nel periodo degli amori, la gola dei
maschi diventa azzurra. I maschi si distinguono inoltre dalle femmine per le dimensioni della testa (più
grossa) e per una maggior larghezza della base della
coda. Quando è nervoso gli si gonfia la vena centrale
della fronte.
Habitat e diffusione. Animale che vive fra le rocce
e nel terreno non eccessivamente secco ai margini
dei boschi. Ama le rive dei fiumi e i prati in prossimità delle paludi e dei fossati. Si spinge fino a quote
intorno a 1800 m. Il ramarro è un ottimo arrampicatore, ma con facilità s’immerge in acqua per rifugiarsi. In Italia è presente nella maggior parte delle
regioni continentali, in Sicilia e nell’Isola d’Elba,
manca in Sardegna. Una specie affine è il ramarro
orientale (Lacerta viridis), presente fondamentalmente nella parte orientale del Friuli Venezia Giulia.
Riproduzione. La stagione degli amori cade tra aprile
e maggio. La gola del maschio di tinge di blu intenso,
così da intimorire gli altri contendenti e allo stesso
tempo conquistare il partner. A breve, la femmina depone, sul terreno tenero, dalla 5 alle 20 uova. La
schiusa avviene dopo circa 2-3 mesi (tra agosto e settembre) e, durante questo periodo, la femmina rimane in prossimità delle uova. I piccoli ramarri sono
giallastri e crescendo assumono la viva colorazione
degli adulti.
Verso. non presente.
Abitudini e alimentazione. È un rettile attivo di
giorno ma anche nelle ore crepuscolari, ideali per cacciare indisturbato. All’avvicinarsi della stagione invernale, il ramarro cerca riparo nei buchi degli alberi,
tra le foglie e i rami e passa un periodo inattivo in anfratti del terreno. In primavera, quando si risveglia,
compie movimenti piuttosto lenti e può essere facilmente predato. Il ramarro si nutre di insetti, ragni,
lombrichi, piccoli roditori e anche di altre lucertole.
Lacerta bilineata
(Daudin, 1802)
Classe Rettili
Ordine Squamati
Famiglia Lacertidi
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
M G V S D L M M G V S D L M M
123
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GIOVEDÌ
S. Lino
38 . 266 - 99
6,17
18,14
9:29
124
Pagina 23
VENERDÌ
S. Pacifico
38 . 267 - 98
6,19
18,11
Ph Michele Zanetti
Talvolta, grazie alla potente mascella, riesce a cibarsi anche di
uova. Occasionalmente si nutre
anche di frutta.
Curiosità. Il ramarro è predato da
molti uccelli e per questo utilizza
un particolare stratagemma per
disorientare il predatore; infatti,
pur di non perire sotto gli artigli,
SABATO
125
S. Aurelia
38 . 268 - 97
126
SS. Cosma e Dam. 6,22
38 . 269 - 96
18,07
6,21
18,10
DOMENICA
cede volentieri la sua coda. Così,
mentre il predatore viene distratto
dal movimento della coda, il ramarro può fuggire via e salvarsi.
In breve tempo la sua coda si rigenererà.
UGO SCORTEGAGNA
(ON, AE - CAI MIRANO)
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30
G V S D L M M G V S D L M M G
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
SETTEMBRE 2010
09 Settembre 2010 ok:Layout 1
127
8-09-2009
LUNEDÌ
S. Vincenzo de’ Paoli 6,24
18,05
39 . 270 - 95
9:29
28
Pagina 24
MARTEDÌ
S. Venceslao
39 . 271 - 94
6,26
18,04
129
MERCOLEDÌ
S. Michele Arc.
39 . 272 - 93
6,27
18,01
113. PASSERA SCOPAIOLA
Nome scientifico
Caratteristiche. Piccolo uccello dell’ordine dei
passeriformi, la passera scopaiola raggiunge la
lunghezza di 15 cm ed è caratterizzata da un
becco lungo, scuro e sottile. Il piumaggio misto
di bruno e grigio ha nella parte superiore delle
striature di nero. Le parti inferiori sono di un color
lavagna, la testa ed il collo sono grigi. Manca di
un netto dimorfismo sessuale.
Da marzo in poi vengono deposte di solito 4-6
uova di un bellissimo colore turchese intenso, alla
cui incubazione provvede la femmina per 12-13
giorni.
Habitat e diffusione. Preferisce le zone di montagna e passa la maggior parte del tempo all’interno di cespugli e siepi. Nidifica nei boschi,
preferibilmente di conifere. È presente in gran
parte dell’Europa, nell’Asia Minore, nel Caucaso,
in Iran. In autunno la passera scopaiola si spinge
nel Sud Europa per arrivare fino all’Africa settentrionale ed Asia occidentale.
Abitudini e alimentazione. In estate si nutre
principalmente di insetti, soprattutto di piccoli coleotteri e delle loro larve, in primavera durante la
migrazione mangia semi piccolissimi.
Riproduzione. Le coppie cominciano a costruire
il nido verso fine aprile, quasi sempre posizionandolo tra i rami più fitti dei cespugli o dei pini, a
circa un metro dal suolo.
Prunella modularis
(Linnaeus, 1758)
Classe Uccelli
Ordine Passeriformi
Famiglia Prunellidi
Canto e richiamo. Il canto nuziale è breve ma
melodioso e ricorda quello dello scricciolo e del
saltimpalo.
Curiosità. Il maschio della passera scopaiola varia
i propri rapporti coniugali a seconda del tipo di ambiente in cui nidifica. Se vi è abbondanza di cibo,
la femmina può provvedere da sola all’allevamento dei piccoli richiedendo solo un piccolo
aiuto; in questo modo un maschio può richiamare
due o tre femmine, ciascuna delle quali costruisce un nido nel suo territorio. Se invece il cibo
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scarseggia, per nutrire i piccoli
,la femmina necessita di un
aiuto maggiore di quello che
può offrirle un solo maschio. In
questo caso è proprio la femmina ad avere un secondo
compagno. Il primo, che ha
conquistato inizialmente il territorio, rimane il suo partner ufficiale e canta con vigore per
difendere i confini e accoppiarsi
ripetutamente con lei. L’altro
compagno, il partner ufficioso,
conduce invece vita ritirata ed
è tollerato dal primo nella misura in cui contribuisce al sostentamento dei piccoli. Ma la
femmina lo riconpensa: quando
riesce a sfuggire dall’attenzione
del maschio dominante, si accoppia con lui in un luogo appartato. Il maschio alfa fa di
tutto per evitare di essere ingannato: per limitare le possibilità, inizia il rituale di corteggiamento rincorrendo la femmina e posandosi al suo fianco.
Se questa è propensa a “spingersi oltre”, gonfia le piume e
agita le ali mentre il maschio le
gira attorno eccitato. A questo
punto la femmina espone la
cloaca e il maschio inizia a beccare con decisione proprio in
questo punto. La cloaca pulsa e
può espellere, se la femmina è
in torto, una gocciolina di
sperma che viene esaminata
dal maschio. Se si tratta dello
sperma non suo, ma del maschio che si era precedentemente accoppiato con lei, dopo
aver fatto fuoriuscire completamente, il maschio sale sul
dorso della femmina e le trasferisce il suo seme.
MAURO GIANNI
(ON - CAI BRONZOLO)
Ph Roberto Zanette
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114. FANELLO
Nome scientifico
Caratteristiche. Passeriforme di circa 13 cm di lunghezza;
i maschi hanno dorso e ali bruni, testa grigia che sfuma al
bianco della banda alare, penne remiganti nere, fronte e petto rossi, le
femmine hanno il piumaggio striato e
non hanno il petto rosso.
lana vegetale o animale. Depone 4-6 uova, bianco-bluastre
punteggiate di bruno. Le covate annuali sono due e il periodo di incubazione è di due settimane. I piccoli vengono accuditi da
(Ph E.S.)
entrambi i genitori: mentre la femmina cova, il maschio le vola intorno e
si posa sui rami vicini cantando con
zelo; gli stormi vivono in buona armonia anche nel periodo degli amori.
Dopo 15 giorni circa i piccoli sono
pronti per l’involo, ma per il completo
svezzamento si dovrà attendere ancora un paio di settimane, durante le
quali entrambi i genitori li circondano
di cure.
Habitat e diffusione. Vive in Europa
fino al 64° parallelo (Nord) ed è presente fino in Asia Minore, migra raggiungendo l’Africa Nord-Occidentale
e raramente l’Egitto. Evita sistematicamente i monti elevati e le grandi foreste. È stazionario nelle regioni
italiane, più numeroso in inverno.
Vive in stormi numerosi, che in genere non si separano neppure nell’epoca della riproduzione; in estate
sono comuni stormi di circa 100
unità, ma in inverno se ne incontrano
gruppi ben più consistenti tra orti e
giardini. È diffuso nelle zone cespugliose, al limitare dei boschi; predilige le zone agricole, soprattutto i vigneti; nella
cattiva stagione si sposta nei macereti.
Carduelis cannabina
(Linnaeus, 1758)
Classe Uccelli
Ordine Passeriformi
Famiglia Fringillidi
Canto e richiamo. Emette un grido
breve dato da un “ghec” o “ghechec” ripetuto più volte.
Abitudini e alimentazione. Come
tutti gli uccelli granivori si nutre principalmente di semi di
piante nocive per l’uomo, di semi di ortaggi, crucifere selvatiche, canapa, colza e graminacee, ma anche di insetti.
Riproduzione. A primavera si formano le coppie, che nidificano le une vicine alle altre; il nido è posto su bassi cespugli o anche al suolo tra l’erba, è approntato con rametti,
radici, steli di graminacee, mentre l’interno è rivestito con
Curiosità. Molto utilizzato in allevamenti amatoriali, per
l’ibridazione con il canarino.
115. ORGANETTO
Nome scientifico
Caratteristiche. L’organetto, nelle tre sottospecie riconosciute, è un piccolo uccello di circa 13 cm di lunghezza; ha
un piumaggio bruno, variegato di nero e marrone, con macchie rosso-brillante su fronte, petto e fianchi,
oltre che un leggero accenno sul codione del
maschio, e con la gola di un nero poco accentuato nella femmina; il maschio ha il
becco arancione, più scuro nella femmina.
Habitat e diffusione. Il Carduelis flammea
flammea si trova in Scandinavia, Russia e
nelle repubbliche del Baltico, mentre l’organetto minore, Carduelis flammea cabaret,
vive dalle Isole Britanniche, Danimarca, Belgio, Francia del Nord, Germania, Svizzera fino
alle nostre Alpi; l’organetto maggiore, Carduelis rostrata, invece risiede in Groenlandia. In autunno scende fino sulle coste del
Mediterraneo, ma non è un migratore regolare. Fatta eccezione per l’organetto minore, questa specie
in Italia risulta essere di passo irregolare, più frequente nelle
regioni settentrionali e centrali che a Sud, ma è stato segnalato anche in Sardegna e a Malta. Vive nei boschi di olmi,
betulle e salici, ma risale fino alla tundra, superando il limite
settentrionale delle foreste. Quando migra in inverno, ritorna
in primavera e allora gli stormi, sempre numerosi, si smembrano e si preparano per la riproduzione.
Riproduzione. In genere costruisce il nido tra i rami degli al-
beri e dei cespugli, a pochi metri da terra, e lo riveste di lanugine vegetale. Vi depone dalle 3 alle 6 uova, di colore
verde-chiaro punteggiato di rosso-scuro e bruno-chiaro. La
deposizione termina a metà giugno. Le uova
si schiudono dopo 13 giorni.
Canto e richiamo. Ha un canto melodioso,
flautato, contraddistinto da diverse note metalliche. All’epoca degli amori canta con foga
in volo e canta anche quando aiuta la femmina ad allevare i piccoli. Il suo richiamo è un
ripetuto “cet-cek” al quale si aggiunge talvolta un dolce “main-main”.
Abitudini e alimentazione. È un uccello vivace e allegro, sempre in movimento, si sa
arrampicare bene sugli alberi. Appartiene a
una specie gregaria, affezionata ai simili e agli
affini: vive in stormi composti da circa una decina d’esemplari, se uno di loro se ne allontana viene subito richiamato dagli altri.
Risente dell’urbanizzazione eccessiva, dell’effetto serra e
della cattura. Si ciba preferibilmente di semi di cardo.
Curiosità. Tutti gli organetti vengono allevati in cattività e
riprodotti con successo dall’uomo come uccelli ornamentali, ma ultimamente anche per la reintroduzione in natura.
Ne sono state selezionate due varietà che mutano per il colore, chiamate Organetto padda ed Organetto agata.
LUCIA MICOLUCCI (ON - CAI GUARDIAGRELE)
LUCIA MICOLUCCI (ON - CAI GUARDIAGRELE)
Carduelis flammea
(Linnaeus, 1758)
Classe Uccelli
Ordine Passeriformi
Famiglia Fringillidi
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116. BALLERINA BIANCA
Nome scientifico
Motacilla alba
(Linnaeus, 1758)
Classe Uccelli
Ordine Passeriformi
Famiglia Motacillidi
Ph Giulio Compostella
Caratteristiche. Comune e diffuso motacillide di medie dimensioni, caratterizzato da corporatura snella ed allungata e
ad coda lunga e sottile. La lunghezza totale di questo passeriforme si aggira intorno ai 20 cm, la sua apertura alare
varia da 25 a 30 cm, mentre il peso non supera i 23 g. Per
quanto riguarda il piumaggio il dimorfismo sessuale non è
molto evidente, sebbene il maschio sia generalmente più
nero e presenti tinte maggiormente contrastate. Il corpo
slanciato è grigio-nero nella parte superiore e biancastro
in quella inferiore. Il piumaggio dei giovani tende invece
maggiormente al grigio-brunastro-giallastro. La gola è
scura, mentre il capo, più nero nel maschio, presenta la
fronte e le guance bianche. Le ali sono nere con parti bianche, così come nera è la coda, ma con bordi laterali bianchi. Il volo ondulato alterna rapide battute alla completa
chiusura delle ali.
Habitat e diffusione. Specie politipica a distribuzione paleartica-orientale, ha un areale riproduttivo molto esteso che
comprende l’estremo Nord-occidentale del continente africano e quello Sud-orientale della Groenlandia, quasi l’intera
Europa e l’Asia, penetrando marginalmente anche nella regione Neartica. Anche se legata tendenzialmente alla presenza di acqua, a spazi piuttosto aperti e pianeggianti e con
tratti di terreno a vegetazione erbacea molto bassa o del
tutto assente, durante tutto l’anno si dimostra molto adattabile nella scelta degli ambienti. Nidifica dal livello del mare
fino a circa 5000 m di quota.
Riproduzione. Il sistema di accoppiamento è generalmente
di tipo monogamo. Si riproduce da metà marzo a luglio. La
ballerina bianca costruisce con materiali vegetali o piume
un nido a coppa in nicchie situate in una grandissima varietà
di luoghi sia naturali che artificiali. La femmina depone generalmente da 4 a 7 uova biancastre macchiettate, che vengono incubate per quasi due settimane. I giovani, accuditi da
entrambi i genitori, si involano dopo 14-16 giorni. Normalmente si verificano due covate all’anno.
Canto e richiamo. Il verso è composto da un forte “chissick” ed un delicato “chrew-ee”. Il canto è invece un trillo
costituito da note melodiose e da varianti delle note del
verso. Il verso di contatto più frequente è un breve “cit”,
spesso emesso in rapide sequenze doppie o triple “ce-cecit”, lanciato da terra o in volo.
Abitudini e alimentazione. Generalmente confidente e
gregaria, diventa però solitaria e territoriale durante la riproduzione o in periodi di scarsità trofica. Eccetto durante il periodo riproduttivo, passa la notte in dormitori comuni, tra le
chiome di alberi e arbusti o su edifici, mescolandosi spesso
con altre specie. La sua alimentazione è per lo più insettivora, anche se non disdegna molluschi e crostacei ed occasionalmente vertebrati come avannotti e pesci. Nidificante sedentario, migratore regolare, svernante.
Curiosità. Questo passeriforme ha un particolare modo di
procedere che lo fa assomigliare ad una “ballerina” mentre
danza: cammina infatti con il capo sollevato, mosso ritmicamente avanti ed indietro, ed oscillando vistosamente la
coda.
PAOLO FRANCESCONI (ON - CAI BOLZANO)