Sintesi degli interventi
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Sintesi degli interventi
DIES MEMORIAE 2010: JERUSALEM SUMMIT A ROMA 28/01/2010 Sintesi degli interventi Itamar Marcus, direttore esecutivo di “Palestinian Media Watch” Avendo registrato che l’84% dei palestinesi è favorevole agli attacchi terroristici suicidi – dato ufficiale palestinese – nonostante i discorsi e le affermazioni ufficiali della leadership palestinese con gli interlocutori istituzionali europei e internazionali, si è pensato - memori anche di Yasser Arafat che diceva certe cose in inglese e tutt’altre cose in arabo - di verificare il contenuto della comunicazione della stessa leadership palestinese verso la propria popolazione in lingua araba, e di vedere se c’erano differenze con la comunicazione ufficiale verso l’esterno in lingua inglese. “Palestinian Media Watch” monitora quindi i contenuti reali della comunicazione palestinese verso la propria popolazione, in lingua araba, attraverso la Stampa, la televisione e i gli altri mezzi solitamente impiegati nella comunicazione istituzionale. Per chi volesse approfondire il materiale scritto e visivo raccolto - comprese le rappresaglie palestinesi conseguenti ai reports del “Palestinian Media Watch” – i dati del monitoraggio della comunicazione verso la popolazione palestinese sono disponibili sul sito http://www.palwatch.org. Il monitoraggio ha dimostrato che la comunicazione in arabo – soprattutto quella rivolta ai bambini e ai ragazzi - contiene tre elementi: il non riconoscimento dello Stato di Israele, l’incitamento all’odio, e il sostegno e la glorificazione della violenza e del terrore. La conclusione del “Palestinian media Watch” è che nessun processo politico potrà avere successo se non verrà accompagnato da un intervento nel processo educativo, perché l’origine della cultura dell’odio e del desiderio esplicito di sterminare gli ebrei inizia con una potente manipolazione fin dalla più tenera età. Trasmissioni televisive per bambini e ragazzi, pubblicazioni, giochi, quiz e cruciverba – tutti i prodotti di comunicazione di massa formano i futuri terroristi Nelle scuole, in Internet, nei media, - e in generale in qualsiasi luogo e occasione - nelle mappe geografiche della zona lo Stato di Israele non c’è. Lo stesso simbolo di al-Fatah contiene la sua cancellazione. Il che porta alla necessità di cancellare anche la storia di Israele trasformandola in storia palestinese – affermando, per esempio, che Gesù era un profeta palestinese. Inoltre, al popolo ebraico viene costantemente imputata l’intenzione di danneggiare in maniera organizzata la popolazione palestinese - per esempio con la voluta diffusione delle malattie veneriche e dell’AIDS -, di sabotare le moschee - con allegato cartone animato che fa vedere degli ebrei scavare e minare sotto le moschee -, e di avere l’abitudine di bruciare nei forni i bambini palestinesi – con istallazione di forni di cartone e bambini-comparse nelle piazze. Tutto questo odio inculcato fin dalla più tenera età, continuamente e dovunque, forma le giovani menti alla missione sacra di sterminare il popolo di Israel, peraltro indicata dalle autorità religiose come volere di Allah. Infine, al-Fatah e il presidente Abbas stessi – considerati in Europa e nel mondo come interlocutori del processo di pace – danno il loro benestare a delle iniziative che altro non fanno se non glorificare la violenza e il terrore. Scuole e campi sportivi – peraltro costruiti con fondi dell’Unicef -, gare per i ragazzi, strade e piazze vengono intitolate a ben conosciuti terroristi suicidi (come per esempio Dalal al-Mughrabi) che hanno provocato decine di morti tra israeliani. La stessa televisione ufficiale presenta le celebrazioni degli “eroi” son titoli, servizi e festeggiamenti. Quale modo più potente di trasformare degli individui in eroi e dunque in un modello da imitare? Ayoub Kara, membro del Knesset e rappresentante della comunità drusa in Israele L’appoggio a Israele è un sostegno ad un Paese - peraltro l’unico democratico nella zona - senza il quale anche le minoranze etniche e religiose storiche come i drusi e i cristiani d’Israele – si troverebbero a rischio di sterminio. L’odio e la violenza perpetrate costantemente nei fatti e nell’ideologia palestinese e argomentate come “volontà di Allah” hanno infatti come oggetto tutti quelli che non sono musulmani, donde la sacralità della missione di annientamento. La rinuncia territoriale fatta da Israele - che ha chiesto il sacrificio della propria gente in nome della speranza di pace - non ha prodotto risultati. Le bombe continuano a cadere. Non è quindi la pace quello che si vuole. E nemmeno “Due popoli, due Stati”. La contesa territoriale fa parte di un progetto che ha come scopo finale l’espansione e il consolidamento di una dominazione islamica in tutta la regione, al prezzo dello sterminio di tutti i popoli non musulmani. Israele è dunque il primo fronte dell’Occidente. Ed è qui che l’avanzata dell’Islam va fermata. Arieh Eldad, membro del Knesset e del Jerusalem Summit (‘Christian Caucus’) Come per una malattia, se la diagnosi è sbagliata, le probabilità che venga individuata la cura giusta diventano molto basse. Negli ultimi 100 anni, abbiamo ragionato e agito partendo dall’assunto che si trattava di un conflitto territoriale. I fatti degli ultimi 100 anni ci dicono che dobbiamo rimettere in discussione questo assunto. Se fosse stato un conflitto territoriale, sarebbe bastato separare, dividere il territorio e le rispettive popolazioni. Ma i fatti successivi alla rinuncia di Israele alle terre dei coloni ci dicono che questa cura non funziona. Vorrei infine ricordare che uno Stato palestinese c’è già: si chiama Giordania, ed è uno Stato creato da Winston Churchill sul 90% del territorio della Palestina. Dobbiamo quindi ripensare la diagnosi. Dire al paziente la verità è spesso il primo giusto passo verso la guarigione. Dimitry Radyshevsky, direttore esecuttivo del Jerusalem Summit Questo conflitto non è territoriale. Questo conflitto si manifesta tra l’intera civiltà bibilica degli ebrei e dei cristiani e l’islamismo militante. Infatti, in alcune parti del mondo l’oggetto della violenza sono gli ebrei, in altre lo sono i cristiani. Mentre parliamo, decine di cristiani vengono uccisi, sgozzati o decapitati in diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia. Per un Paese islamico è difficile voler essere “moderato”. Perché la moderazione porterebbe alla reciprocità: reciprocità nel rispetto dei diritti, reciprocità nel rispetto della libertà religiosa. Questo significherebbe mettere da parte sia l’apartheid religioso, sia per esempio l’apartheid di genere. Secondo una ricerca sociologica, la poligamia produce un alto tasso di natalità soprattutto maschile, che si direziona naturalmente verso la guerra: una donna che lavora ha meno figli, più donne in politica significano più moderazione e forte influenza verso la pace. Permettere quindi alle donne di dedicarsi ad un lavoro, ad una professione o alla politica avrebbe anche degli effetti sulla demografia e sulla moderazione. Come ottenere tutto questo? Ci sono due esempi nel passato: Mosé rese il prezzo della non liberazione degli ebrei dall’Egitto troppo alto e non più conveniente, Reagan condizionò il free trade con l’Unione Sovietica con la free migration – che peraltro iniziò proprio dagli ebrei, finalmente in uscita dal regime comunista. Le due azioni provocarono due sgretolamenti economici seguiti da due sgretolamenti politici. Ma il primo passo verso tutto questo fu la parola. La parola che chiese, che espresse di fronte al Potere il commando “Lascia libero quel popolo”. Se per voi questo è importante, ditelo oggi a tutti gli uomini e le donne della politica, affinché loro si facciano messaggeri di questo commando. Sen. Mario Baldassarri Oggi ho imparato tre cose. La prima è che, se la diagnosi è sbagliata, anche la soluzione lo sarà. Ho visitato di recente sia l’Israele sia i territori palestinesi fino a Ramallah e ho parlato con la gente, con ebrei e palestinesi. Nessuno percepisce questo conflitto come territoriale. La seconda è che parliamo di un conflitto tra due visioni del mondo e dell’essere umano. Stiamo parlando della libertà dell’uomo. La terza è che bisogna combattere un’enorme ipocrisia, in nome della quale l’Europa e gli Stati Uniti usano sempre due pesi e due misure. Facciamo entrare la Cina nel WTO senza dire niente sul rispetto dei diritti umani e senza nemmeno pensare di porre qualche condizione come fece Reagan. Ci concentriamo sulle fonti rinnovabili ma, nel frattempo, lasciamo il nucleare all’Iran e al Pakistan. E tutto questo in nome di? Petrolio. Ricordiamoci che, mentre per noi si tratta solo di economia, per loro si tratta anche di economia. Sen. Lucio Malan, segretario alla presidenza del Senato E ora di agire. Non più da soli, non più come singolo Paese, ma come molti Paesi insieme. I membri dell’Unione Europea hanno rinunciato a molta della loro autonomia. Adesso, l’Unione Europea deve agire come i popoli europei vogliono che agisca. Noi non neghiamo la libertà religiosa, e abbiamo costruito moschee proprio per assicurare l’esercizio di questa libertà: che loro costruiscano chiese cristiane e aprino alla libertà delle altre fedi. Cominciamo a proporre all’Unione Europea di condizionare i fondi alla cooperazione verso alcuni Paesi al rispetto della libertà religiosa. Anche perché spesso questi fondi vengono utilizzati per spargere altro odio e altra violenza. Sono state due giornate meravigliose. Ed è solo l’inizio. L’inizio di un agire insieme in nome della stessa meta e della stessa civilità. Perché la nostra civiltà è una sola. La civiltà della libertà è una sola. Ed è una cosa per la quale vale la pena combattere.