il chimico - Consiglio Nazionale dei Chimici

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il chimico - Consiglio Nazionale dei Chimici
IL CHIMICO
Periodico di Informazione
dei Chimici Italiani
www.chimici.it
ITALIANO
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA 2 DCB – ROMA
Anno XIX n. 1-2008
UNITÀ ECONOMICA E MORALE
DELL’APPARTENENZA ALL’E.P.A.P.
I CHIMICI E LA CERTIFICAZIONE
ENERGETICA
IL PAESE DEGLI ESAMI NORMALI
I MERCOLEDÌ DELLA CHIMICA
2° EuCheMS CHEMISTRY
CONGRESS
COMITATO PROMOTORE PER LA PRESENTAZIONE DELLA
Proposta di Legge di Iniziativa Popolare
“RIFORMA DELL’ORDINAMENTO DELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI”
(G.U. n° 68 del 22 marzo 2007)
Ai Sigg. Presidenti dei Consigli Nazionali aderenti al CUP
Ai Sigg. Componenti Segreteria Conferenza CUP
Nazionale - Cup Territoriali
Forum delle Professioni Intellettuali
Coordinamento di CUP del Nord Italia- Padova
Ai Sigg. Presidenti dei CUP e delle Consulte degli Ordini
Territoriali
Ai Sigg. Referenti Regionali
Ai Sigg. Referenti Provinciali
Ai Sigg. Presidenti degli Ordini e Collegi Regionali e
Provinciali
LORO SEDI
Roma, 12 febbraio 2008
Rif. P/C1/637
OGGETTO: Iter parlamentare della proposta di legge di iniziativa popolare: “Riforma dell’ordinamento delle
professioni intellettuali” (AC 3277/2007).
Con riferimento ai numerosi quesiti prevenuti, riguardanti l’iter parlamentare della proposta di
legge di iniziativa popolare in oggetto si comunica quanto segue.
Si osserva preliminarmente che l’iter parlamentare di detta proposta di legge è stato interrotto
dall’anticipata conclusione della XV legislatura, quando la proposta di legge risultava già assegnata alle
Commissioni riunite della Camera dei Deputati II (Giustizia) e X (Attività produttive, commercio e turismo).
La fattispecie rientra, pertanto, nelle previsioni di cui al punto 4 dell’articolo 107 del Regolamento
della Camera dei Deputati, che, a proposito dei percorsi parlamentari delle proposte di legge di iniziativa
popolare non conclusi, recita testualmente:
“Per i progetti di legge di iniziativa popolare non è necessaria la presentazione prevista nel
comma 1 ... i progetti stessi sono nuovamente deferiti alle Commissioni competenti in materia, secondo la
procedura ordinaria”.
La norma citata è più chiaramente esplicitata al punto 11 degli “Adempimenti relativi all’esercizio
dell’iniziativa legislativa popolare” , editi dall’Ufficio Testi Normativi della Camera dei Deputati, che così
recita:
“Le proposte di iniziativa popolare, il cui iter parlamentare non si sia concluso nella legislatura in
cui sono state presentate, sono matenute all’ordine del giorno della Camera anche nella legislatura successiva, senza che ne sia necessaria la ripresentazione..”
Questo comitato promotore nazionale, considerato che l’iter parlamentare della proposta di legge
in oggetto dovrà essere ripreso nella prossima legislatura, assicura il sostegno di ogni utile iniziativa destinata a promuovere, di concerto con il CUP, la riforma delle professiioni, secondo i principi, ulteriormente
migliorabili, espressi nel progeto di legge di iniziativa popolare, come condivisi e sottoscritti da cittadini e
professionisti.
Già pensate, al momento, azioni di sensibilizzazione e di informazione nei confronti degli esponenti dei vari schieramenti politici impegnati nella prossima campagna elettorale.
Con i migliori auguri di buon lavoro, invio a tutti cordiali saluti.
IL COORDINATORE DEL COMITATO PROMOTORE NAZIONALE
geol. Pietro Antonio De Paola
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
Bimestrale di informazioni professionali, tecniche, giuridiche
ed economiche dei Chimici d’Italia
In copertina:
Scorcio del mosaico della cappella personale del
Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik
SOMMARIO n. 1
Spedizione in Abb. postale
Art. 2, comma 20/C - legge 662/96
Filiale di Roma
Editore
CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI
Direzione, redazione e amministrazione
P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma
Tel. 06.47883819 - Fax 06.47885904
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Direttore responsabile
ARMANDO ZINGALES
Direttore editoriale
ANTONIO RIBEZZO
Revisori delle bozze
ANTONIO DE PACE - CARLO BRESCIANI
DANIELA BIANCARDI - SERGIO CARNINI
Redazione
DANIELA BIANCARDI - CARLO BRESCIANI
ELIO CALABRESE - SERGIO CARNINI
ANTONIO DE PACE - SERGIO FACCHETTI
FERNANDO MAURIZI - DOMENICO MENCARELLI
TOMASO MUNARI - CARMELA OCCHIPINTI
ANTONIO RIBEZZO - GIUSEPPE RICCIO
LUCA SCANAVINI - FRANCO TAU
ARMANDO ZINGALES
In copertina: Scorcio del mosaico della cappella personale del Papa
in Vaticano di Padre M.I. Rupnik
“Gli articoli e le note firmate esprimono soltanto l’opinione
dell’Autore e non impegnano il Consiglio Nazionale dei Chimici né il
Comitato di Redazione (CdR).
L’accettazione per la stampa dei contributi originali di interesse
scientifico e professionale nel campo della chimica è subordinato
all’approvazione del CdR, previa revisione di tre Referee, scelti dal
CdR tra gli esperti del settore. Quanto pubblicato nel Bollettino raccoglie gli atti ufficiali del Consiglio Nazionale dei Chimici”.
• EDITORIALE
Unità economica e morale dell’appartenenza all’E.P.A.P.
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• DAL CNC
Pareri del Consiglio Nazionale dei Chimici
Attività 2007
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• DAGLI ORDINI
I Mercoledì della Chimica
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• DAGLI ISCRITTI
Il paese degli esami normali
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Attività pericolose, rischio consentito e norme cautelari,
criteri di valutazione della colpa
Alla scoperta dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Visibilità della Professione del Chimico
Sofisticazioni nel tempo dei cereali
Proprietà chimico fisiche e rischio
Accorato ricordo di un amico e collega
Il nuovo Regolamento Europeo sulla Chimica: REACH
Il problema energetico in Italia
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• DALL’EUROPA
EuCheMS Newsletter
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Coordinamento editoriale e stampa
Mailing Service s.r.l.
Autorizzazione del Tribunale di Roma
n. 0032 del 18 gennaio 1990
ASSOCIATO ALL’USPI
UNIONE STAMPA
PERIODICA ITALIANA
Ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 675/1996 e s.m.i., informiamo i lettori che i loro dati sono conservati nel nostro archivio informatico e saranno
utilizzati da questa redazione e da enti e società esterne collegate solo per l’invio della rivista “IL CHIMICO ITALIANO” e di materiale promozionale relativo alla professione di chimico. Informiamo inoltre che, ai sensi dell’art. 13 della succitata Legge, i destinatari di “IL CHIMICO ITALIANO”
hanno la facoltà di chiedere, oltre che l’aggiornamento dei propri dati, la cancellazione del proprio nominativo dall’elenco in nostro possesso,
mediante comunicazione scritta a “IL CHIMICO ITALIANO” c/o Consiglio Nazionale dei Chimici - P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma.
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Il Chimico • n. 1 gen/feb 2007
EDITORIALE
UNITA’ ECONOMICA e MORALE
dell’appartenenza all’E.P.A.P.
di Antonio Ribezzo
L’impegno dell’Ente di Previdenza cui
aderiscono i Chimici, oltre che orientato
all’incremento del patrimonio e, di riflesso, dei montanti dei propri iscritti, è
tutto teso alla sensibilizzazione del
mondo politico per la risoluzione di alcune problematiche che sono di ostacolo o
che, quantomeno, creano disparità fra le
categorie.
Il nostro è un sistema che è stato privatizzato e strutturato affinché funzioni in
modo autonomo.
Chi attacca tale autonomia cerca nel
contempo di indebolire, oltre che le
Casse, anche le professioni aderenti.
Riteniamo infatti che un eventuale
accorpamento di Ordini sarebbe deleterio per le Casse e viceversa.
Occorre allora mettere in atto una politica di difesa che normativamente metta
al riparo i trattamenti assistenziali e
pensionistici degli iscritti.
A tale scopo crediamo che prioritariamente si debbano eliminare le distorsioni esistenti nell’attuale sistema come la
doppia tassazione cercando anche di
liberalizzare il contributo del 2% sulle
parcelle.
Dobbiamo a tal proposito ricordare a
tutti gli iscritti che, ad esempio, un pensionato iscritto a forma previdenziale
obbligatoria pubblica come l’Inps, subisce una sola tassazione: quella relativa
alla prestazione pensionistica.
Egli paga il 26,6% di imposta senza alcun
onere per l’Inps.
Il libero professionista iscritto obbligatoriamente alla propria Cassa versa la
stessa imposta diretta ma in aggiunta ad
essa subisce un ulteriore prelievo di
circa il 12,50% sui redditi che l’Epap produce per l’aver investito, e quindi prodotto un utile, un rendimento a favore
dell’iscritto.
Viene così ad aversi un evidente disparità di trattamento fra lavoratori/professionisti se dipendenti oppure liberi professionisti.
Nel primo caso viene versata un’imposta
del 26,6%, nel secondo del 39,1%!!!
Ciò accade, purtroppo, legalmente in
forza della legge vigente in base alla
quale ogni anno lo Stato preleva centinaia di milioni di Euro dai risparmi previdenziali.
In tal modo si incide sulla buona gestione e sull’incremento patrimoniale ottenuto con un grande impegno di tutti
coloro, chimici compresi, eletti negli
organi dell’Epap.
Occorre che sia posta la parola fine a tale
prelievo che potrebbe andare invece ad
incrementare i montanti e quindi la
futura pensione.
Appare evidente, a tale proposito, che
chi amministra è di fatto ostacolato dal
perseguire l’obbiettivo della sostenibilità
finanziaria in un sistema che non solo
non ha aiuti Statali ma addirittura subisce un prelievo forzoso annuale dallo
stesso.
Anche la richiesta tendente a liberalizzare il contributo del 2% sulle parcelle,
come accade in altri Enti Previdenziali
pre-103, mira ad eliminare differenze,
questa volta, fra liberi professionisti di
laurea diversa.
Se le azioni intraprese porteranno, come
è sperabile, buoni frutti, ciascun Ente,
nella su autonomia, sarà legittimato a
dare corso alla eventuale variazione del
contributo percentuale anzidetto.
Per quanto riguarda l’attuale prelievo
del 12,50% dai redditi previdenziali
prima riportato, riteniamo debba essere
ridotto all’11% al fine di uniformarlo a
quello dei fondi pensione.
A tale scopo occorre sensibilizzare il
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Il Chimico • n. 1 gen/feb 2007
EDITORIALE
Legislatore affinchè, nell’intervento sulla
riforma delle Professioni in itinere, tenga
nel giusto conto il profilo previdenziale
interloquendo sia con il nostro Ente
Previdenziale che con altrui Enti al fine
di non destabilizzare gli equilibri finanziari del sistema.
Riteniamo importante ribadire che l’autonomia di gestione è necessaria sia nella
Previdenza Obbligatoria di base, sia a quella Complementare alla quale ognuno può
liberamente aderire per integrare il trattamento pensionistico ed a quella
Integrativa sanitaria e di aiuto all’apertura
dello studio professionale per i giovani laureati.
In tutto ciò, nell’aumentare i montanti
degli iscritti, l’Ente Previdenziale perse-
gue anche l’obiettivo di fondo di avvicinare il Collega affinché, iscrivendosi
immediatamente alla Cassa, possa fruire
di un giusto aiuto proprio in una fase
cruciale: l’inizio dell’attività professionale.
Venendo incontro al giovane Collega
mediante un insieme di prestazioni di cui
tutti possono beneficiare, si protegge
indirettamente la professione medesima,
si incrementa la solidarietà fra gli iscritti, si contribuisce alla costituzione di
quella unità di idee e di appartenenza
che favoriscono l’unità della categoria
che per questo beneficerà oltre che dell’unità economica, anche di quella morale ed etica.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAL
CNC
Pareri del Consiglio Nazionale dei Chimici
In merito al rilascio dell’attestato di certificazione energetica
Prot.: 18/08/cnc/fta
Roma, 14 gennaio 2008
Oggetto: Parere Consiglio Nazionale dei Chimici.
Il Consiglio Nazionale dei Chimici
VISTO il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 ottobre 2007: “Disposizioni in
materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai
sensi dell’articolo 1, comma 349, della legge 27 Dicembre 2006, n.269;
VISTO l’Ordinamento della professione di Chimico;
CONSIDERATO che le prestazioni professionali richieste per il rilascio di un “attestato di certificazione energetica” (poi certificato) relativo all’edificio o unità mobiliare rientrano pienamente
nelle competenze professionali del chimico, e formano oggetto di accertamento nell’esame di abilitazione professionale;
ESPRIME PARERE CHE i professionisti chimici regolarmente iscritti all’Albo siano leggittimati a
rilasciare l’attestato di certificazione energetica degli edifici ai sensi del D. M. 19 febbraio 2007.
I Consigli degli Ordini territoriali nell’ambito delle proprie competenze vigileranno sulla corretta
applicazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche della suddetta normativa.
Prot.: 66/08/cnc/fta
Roma, 2 febbraio 2008
Oggetto: Parere Consiglio Nazionale dei Chimici – precisazione.
Con riferimento al parere rilasciato il 14 gennaio 2008, Prot. 18/08/cnc/fta avente come oggetto il
Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 ottobre 2007: “Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’articolo 1,
comma 349, della legge 27 dicembre 2006, n. 296” questo Consiglio Nazionale precisa che:
Come puntualmente rilevato dal Presidente dell’Ordine dei Chimici della Lombardia, il professionista
laureato in Chimica o Chimica Industriale ed iscritto all’Ordine è tecnico abilitato alla firma delle certificazioni e delle asseverazioni previste dal DM 19 febbraio 2007, articolo 4 comma 1, lett. a), recante procedure per l’accesso agli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio.
Quanto sopra, per rilevare che il chimico può “certificare” ed altresì “asseverare” in termini energetici.
I Consigli degli Ordini territoriali nell’ambito delle proprie competenze vigileranno sulla corretta applicazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche della suddetta normativa.
Certificazione Energetica
D.G.R. Lombardia n.8/5018 del 26.06.07
Decidendo circa i soggetti certificatori che possono professionalmente intervenire sulle
determinazioni inerenti la certificazione energetica degli edifici1, la Regione Lombardia
ha individuato, fra gli alti, i CHIMICI Specialisti iscritti all’Albo Professionale idonei per la
certificazione medesima.
Si tratta di una scelta che permette alle sole persone fisiche di essere accreditati al calcolo e classificazione della classe energetica a cui l’edificio appartiene.
In attuazione del D.L. n.192/2005 e 24/2006
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAL
CNC
Attività 2007
Riportiamo di seguito una breve sintesi sugli argomenti che il CNC ha seguito in modo particolare intervenendo anche direttamente nelle sedi delle decisioni, nelle sedi propositive e di confronto.
RIFORMA DELLE PROFESSIONI
L’iter parlamentare della proposta di legge di iniziativa poolare: “Riforma dell’ordinamento delle
professioni intellettuali” (AC 3277/2007) è stato
interrotto dall’anticipata conclusione della XV
legislatura, quando la proposta di legge risultava
già assegnata alle Commissioni riunite della
Camera dei Deputati II (Giustizia) e X (Attività
Produttive, Commercio e turismo).
La fattispecie rientra, pertanto, nelle previsioni di
cui al punto 4 dell’art. 107 del Regolamento della
Camera dei Deputati che, a proposito dei percorsi parlamentari delle proposte dil egge di iniziativa popolare, recita testualmente: “Per i progetti di legge di iniziativa popolare non è necessaria la presentazione prevista nel comma 1 ..… i
progetti stessi sono nuovamente deferiti alle
Commissioni competenti in materia, secondo la
procedura ordinaria”.
La norma citata è più chiaramente esplicitata al
punto 11 degli “Adempimenti relativi all’esercizio
dell’iniziativa popolare”, editi dall’Ufficio Testi
Normativi della Camera dei Deputati, che così
recita: “Le proposte di iniziativa popolare il cui
iter parlamentare non sia concluso nella legislatura in cui sono state presentate, sono mantenute all’ordine del giorno della Camera anche
nella legislatura successiva, senza che ne sia
necessaria la ripresentazione”.
L’iter parlamentare della proposta di legge in
questione dovrà essere pertanto ripreso nella
prossima legislatura.
DIRETTIVA QUALIFICHE PROFESSIONALI
Sul Suppl. Ord. n. 228 alla G.U. n. 261 del
9.11.2007 è stato pubblicato il Decreto Leg.vo
9.11.2007, n. 206, recante “Attuazione della
direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento
delle qualifiche professionali”.
Il provvedimento disciplina il riconoscimento
delle qualifiche professionali per l’accesso alle
professioni regolamentate ed il loro esercizio
nell’ambito dell’UE.
Il decreto in questione si applica ai cittadini degli
Stati membri dell’Unione Europea che vogliano
esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati, autonomi o liberi professionisti,
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una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione.
La Direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali disciplina in maniera specifica il regime di
“prestazione temporanea” e dello “stabilimento”.
Nel primo caso l’esercizio della prestazione è
disciplinato dalle norme professionali del Paese
in cui viene resa la prestazione. In conformità
con la Direttiva Comunitaria il D.Lgs. 206/2007
prevede che si abbia una prestazione temporanea solo nel caso in cui il professionista comunitario si sposti nel nostro Paese per esercitare “in
modo temporaneo ed occasionale” la professione per la quale è abilitato nel Paese d’origine.
Nel caso di “stabilimento” il regime implica lo
spostamento del professionista da un Paese
all’altro con il conseguente interesse dello stesso
a iscriversi nell’Albo locale ed esercitare con il
titolo del Paese ospitante.
Il riconoscimento delle qualifiche professionali presuppone il confronto fra i livelli di formazione
richiesti per accedere alla professione regolamentata nel Paese di origine e nel Paese di destinazione e
può essere subordinato al compimento di un tirocinio di adattamento o di una prova attitudinale.
Il testo è stato oggetto di forti critiche da parte
degli Ordini, in particolare si teme che con il
recepimento della Direttiva 36/2005CE che riconosce le qualifiche professionali in realtà si miri
all’obiettivo sostanziale di “riconoscere” in modo
surrettizio tutte le Associazioni attualmente non
riconosciute.
Il testo finale non prevede la possibilità per le
Associazioni di rilasciare “Attestati di Competenza”,
ma consente alle stesse di partecipare ai tavoli di
negoziazione UE. Le Associazioni dovranno comunque avere un’organizzazione ramificata a livello
nazionale e assicurare l’affidabilità degli iscritti, con
il rispetto di un codice deontologico e con l’obbligo
di formazione continua.
Il Decreto Legislativo demanda ai Ministeri competenti l’emanazione di regolamenti volti a disciplinare le procedure necessarie per assicurare lo
svolgimento, la conclusione, l’esecuzione e la
valutazione delle misure compensative.
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAL
CNC
Inoltre, gli stessi Ministeri dovranno emanare, entro
60 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs 206/2007,
regolamenti disciplinanti le modalità per porre a
carico dei soggetti che richiedono il riconoscimento delle qualifiche gli oneri aggiuntivi derivanti dall’applicazione di misure compensative.
INTERVENTI A DIFESA DELLA PROFESSIONE
Continua l’impegno profuso dal Consiglio
Nazionale dei Chimici a tutela della professione.
- Il Consiglio si è costituito con atto di intervento “ad adiuvandum” innanzi al TAR Lazio nel
giudizio promosso dall’Ordine Interprovinciale
dei Chimici della Sicilia per l’annullamento del
decreto assessoriale delle Regione Sicilia del
27 marzo 2007, recante requisiti minimi e criteri per il riconoscimento dei laboratori che
effettuano analisi per le industrie alimentari ai
fini dell’autocontrollo ed istituzione del relativo elenco regionale; nonché dell’accordo tra il
Ministero della salute, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano recante requisiti minimi e criteri per il riconoscimento dei
laboratori di analisi non annessi alle industrie
alimentari ai fini dell’autocontrollo.
- Il Consiglio Nazionale dei Chimici ha promosso
ricorso dinanzi al TAR del Lazio avverso il decreto 3 agosto 2007 “Riconoscimento dell’idoneità
di altre lauree ai fini dello svolgimento dell’attività di informatore scientifico” pubblicato nella
G.U. n. 198 del 27 agosto 2007.
Il Tribunale con Ordinanza del 13 febbraio
2007 ha accolto la domanda cautelare proposta dal Consiglio ed ha disposto il riesame da
parte della Pubblica Amministrazione del
decreto ministeriale stesso.
- Di notevole rilievo per la tutela della professione è stato l’intervento del Consiglio in materia
di certificazione energetica degli edifici, in
particolare con delibera del 4 e 5 maggio 2007
il Consiglio Nazionale dei Chimici ha espresso
parere che l’iscrizione nell’Albo dei Chimici
costituisce requisito tecnico-professionale
valido e sufficiente per il rilascio dell’attestato
di certificazione energetica delle raccomandazioni per il miglioramento della prestazione
energetica degli edifici.
Successivamente il Consiglio ha promosso
Ricorso Straordinario al Presidente della
Repubblica per l’annullamento, nella parte in
cui esclude i Chimici dal novero dei “tecnici
abilitati”, del comma 6 art. 1 del Decreto
Ministeriale 19 febbraio 2007, n. 47, del
Ministero dell’Economia e delle Finanze di
concerto con il Ministero dello Sviluppo
Economico, avente ad oggetto: “Disposizioni
in materia di detrazione per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio
esistente, ai sensi dell’art. 1, comma 349, della
L. 27 dicembre 2006, n. 296”.
Contestualmente la Regione Lombardia, ha
emanato una deliberazione (D.G.R. 26 giugno
2007, n. 8/5018) che prevede espressamente la
possibilità per i laureati in chimica iscritti
all’Ordine di essere accreditati come “soggetti
certificatori”.
Da ultimo la materia è stata oggetto di un nuovo
intervento normativo, in particolare il Decreto
del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26
ottobre 2007:“Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica
del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’art.
1, comma 349, della legge 27 dicembre 2006, n.
296” (pubblicato nella G.U. 31 gennaio 2007, n.
302), espressamente prevede che: “Nell’art. 1,
comma 6, del decreto del Ministro dell’economia
e delle finanze di concerto con il Ministro dello
sviluppo economico 19 febbraio 2007, (omissis)…le parole: iscritti “agli ordini professionali
degli ingegneri o degli architetti, ovvero, ai collegi professionali dei geometri o dei periti industriali» sono sostituite dalle seguenti: iscritti «agli
specifici ordini e collegi professionali.». In virtù di
tale modifica il Consiglio Nazionale dei Chimici
con delibera trasmessa a tutti gli Ordini ha rilevato che il professionista laureato in Chimica o
Chimica industriale ed iscritto all’Ordine è tecnico abilitato a “Certificare” ed “Asseverare” in termini energetici, ed ha invitato i Consigli degli
Ordini territoriali, nell’ambito delle proprie competenze, a vigilare sulla corretta applicazione da
parte delle Amministrazioni Pubbliche della suddetta normativa.
- Il Consiglio, infine, è intervenuto a tutela della
professione emanando un comunicato stampa
avente ad oggetto lo “Schema di decreto
Legislativo di attuazione della delega di cui
all’articolo 4 della legge 1° febbraio 2006, n.
43 e successive modificazioni, per l’istituzione
degli Ordini e Albi delle professioni sanitarie
infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione”,
In particolare il Presidente del Consiglio
Nazionale dei Chimici, prof. Zingales ha sottoli-
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAL
CNC
neato come, con il provvedimento in questione,
il Ministro della Salute On. Livia Turco ha di fatto
“scippato” ai chimici le attività a Loro riservate,
ed ha affermato che: “Quello in esame è un
provvedimento atteso e necessario, ma è inaudito che l’estensore del Testo abbia pensato di
istituire delle attività riservate in esclusiva per
gli iscritti ai nuovi Albi dimenticando di verificare se fossero già oggetto (o riserva) di professioni esistenti. In particolare non è possibile sottrarre ai Chimici le loro competenze in materia
di analisi chimico-cliniche e di sicurezza ed igiene del lavoro”.
Il Presidente del Consiglio Nazionale dei Chimici
ha altresì affermato che nel caso in cui il Testo
non venisse emendato, salvaguardando le competenze delle professioni esistenti, dovrà essere
impugnato, con grave danno delle nuove professioni sanitarie che, certamente, hanno il diritto di
vedere finalmente concluso il faticoso iter per
l’istituzione dei loro Ordini.
EuCheMS
Il processo di trasformazione della Federazione
Europea delle Società Chimiche (FECS) in
Associazione Europea per le Scienze Chimiche e
Molecolari (EuCheMS) iniziato a Rimini nel 2000
ha visto positiva conclusione nel corso del 2006.
Il nuovo stato legale dell’EuCheMS, in qualità di
Associazione internazionale senza fini di lucro, è
stato pubblicato nel marzo 2006 sulla Gazzetta
Reale Belga ed i componenti del Comitato
Esecutivo sono divenuti così “EuCheMS Board”.
Ben 50 società scientifiche, tecniche e istituzioni professionali, Consiglio Nazionale dei Chimici
compreso, appartenenti a 36 Paesi europei sono
attualmente membri dell’EuCheMS che possono
avvalersi dell’esperienza di 150.000 chimici.
L’attività scientifica trova sostegno in quella
delle 13 Divisioni o Gruppi di lavoro che, oltre ad
approfondire i temi e problematiche specifiche,
intendono promuovere collaborazioni con altre
organizzazioni europee e internazionali.
Di rilevanza mondiale è stato il 1° Congresso
tenutosi a Budapest nell’agosto 2006 con la partecipazione di oltre 2300 chimici e 5 premi
Nobel. Il secondo congresso europeo di chimica
avrà luogo a Torino dal 16 al 22 settembre 2008,
il terzo Congresso in Germania nel 2010.
Venendo in via specifica al ruolo del Consiglio
Nazionale dei Chimici, l’azione costantemente svolta dal Consiglio si è tradotta nei seguenti riconosci-
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menti: attribuzione del titolo di Membro Fondatore
con diritto di partecipare alle Assemblee Generali
con potere decisionale; presenza di un rappresentante nel Comitato Esecutivo e nell’EuCheMS
Board; presidenza dello Standing Committee
ProChem; appartenenza al comitato organizzatore
del 2° Congresso Europeo di chimica a Torino nel
2008; partecipazione di suoi rappresentanti nelle
Divisioni di Chimica Analitica e di Chimica e
l’Ambiente e nei Gruppi di Lavoro sulla Chimica
Inorganica e sulla Chimica e Energia. Infine un rappresentante del Consiglio Nazionale dei Chimici è
membro dell’European Committee Registration
Board (ECRB) per il conferimento del titolo di
Chimico Europeo (EurChem).
Tra le diverse attività guidate dal Consiglio
Nazionale dei Chimici vale sottolineare per l’appunto il tentativo di rilancio del titolo di
EurChem istituito nel 1992 dalla ECCC ed ora
poco ambito in alcuni Stati europei. Il titolo è
analogo a quello conferito da altre istituzioni
professionali: gli ingegneri in primo luogo, i geologi, i fisici, i biologi.
Il titolo di chimico Europeo intende riconoscere
competenze professionali in chimica che corrispondano a requisiti tipo validi nei Paesi europei
che aderiscono all’iniziativa. Esso può essere conferito solo ai chimici appartenenti alle società chimiche membro dell’EurCheMS che, oltre a soddisfare
i criteri piuttosto rigorosi stabiliti dall’ECRB, abbiano conseguito un diploma universitario della durata di cinque anni e acquisito una esperienza lavorativa di almeno tre anni. Dalla crescente richiesta
di uniformità e confrontabilità della formazione in
una Europa in continuo allargamento discende la
necessità di disporre di un indicatore di confrontabilità anche nella competenza professionale. Il titolo in altri termini dovrebbe poter offrire al chimico
la possibilità di operare nei diversi Paesi europei.
L’attribuzione dello stesso, secondo criteri rigorosi,
concorda anche con lo spirito dell’art. 15 della
Direttiva 2005/36/CE (attuata dal D.Leg.vo 9
novembre 2007, n. 206) che introduce piattaforme
comuni che vanno intese come un “insieme di criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati
membri per una determinata professione”.
IL CHIMICO ITALIANO
Continua il restyling del nostro periodico. Sono
infatti stati inseriti riferimenti bibliografici nella
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAL
CNC
colonna di servizio, notizie più puntuali sulle attività del Consiglio e delle Associazioni e Sindacati dei
Chimici oltre che una nuova grafica.
Anche la rubrica relativa ad interventi scientifici
degli iscritti ha avuto un salto di qualità sia nei
contenuti che nelle richieste di pubblicazioni.
I contributi si sono nel tempo adeguati alle
norme per le pubblicazioni sul nostro periodico
mediante l’inserimento di un sommario ed attenendosi alle regole predisposte.
Il formato ha subito una lieve variazione così
come la grafica di copertina che ha continuato a
pubblicare pitture di moderni artisti.
Con il nuovo anno la rivista passerà ad evidenziare
foto di elevata rilevanza artistica che sicuramente
troveranno rispondenza nel gusto degli iscritti.
Con il cambio della tipografia si è poi ottenuto
un notevole risparmio economico a tutto vantaggio della cassa del nostro Consiglio che ha
così potuto dedicare le relative cifre alla copertura di altre voci di bilancio.
Anche la periodicità ha subito un aggiustamento avendo ottenuto un rispetto più attento delle
pubblicazioni.
Siamo convinti che agendo con sempre più
attenzione al mondo delle professioni e dei chimici in particolare, si potrà apportare un ulteriore miglioramento al periodico del Consiglio
Nazionale dei Chimici.
Numerosi i complimenti ricevuti dagli iscritti
che, anche con suggerimenti e contributi di vario
genere, hanno contribuito a rimodernare la pubblicazione.
A loro è rivolto un ringraziamento particolare
per l’impegno e le segnalazioni effettuate che
dimostrano sia l’affetto per IL CHIMICO ITALIANO
ma anche la considerazione per il lavoro di tutto
il Consiglio Nazionale.
Un ulteriore ringraziamento è rivolto al
Comitato di Redazione e ai Revisori delle bozze
sempre puntuali e precisi sia nell’impostazione
che nelle rilevazioni da apportare al periodico.
SITO INTERNET
Il sito internet del Consiglio www.chimici.it è
stato completamente rinnovato nella grafica e
nei contenuti. Nella ristrutturazione si sono
tenute presenti le necessità dei possibili fruitori,
distinguendo quelle del “generico navigatore” da
quelle del chimico professionista.
Il nuovo sito si presenta suddiviso in quattro aree
principali: “Struttura Istituzionale”, “Formazione
professionale”, Esercizio della Professione” e
“Servizi per gli iscritti” che contengono al proprio
interno delle sezioni che consentono all’utente di
accedere a diverse informazioni e di essere sempre
aggiornato, fra l’altro, sui corsi professionali, sugli
Eventi e sui Master in programma; vi è inoltre la
possibilità di consultare e scaricare tutti i numeri
pubblicati dal 2001 della rivista “Il Chimico
Italiano”. Nella sezione “Servizi per gli iscritti” sono
presenti le iniziative poste in essere dal Consiglio
Nazionale a favore degli iscritti come ad esempio il
servizio di caselle di posta elettronica, che consente agli iscritti di utilizzare le caselle nel dominio
“chimici.it” (VISP), l’Assicurazione sulla Responsabilità Civile per i Chimici e del Fondo di Assistenza
Integrativo del S.S.N.
Un sito che si rispetti deve essere, quasi per definizione, continuamente aggiornato ed arricchito. Il nuovo sito del Consiglio Nazionale dei
Chimici dovrà pertanto diventare, ogni giorno di
più, fonte principale ed aggiornata di notizie. A
tale scopo la collaborazione dei colleghi è richiesta e gradita.
Avviso
Comitato Pari Opportunità
Ricordiamo alle iscritte di compilare il questionario sulle pari opportunità reperibile sul sito www.chimici.it da inviare alla segreteria del CNC via mail all’indiriz zo [email protected] o FAX al n. 06.47885904.
9
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ORDINI
Proseguendo nell’opera di aggiornamento degli iscritti, l’Ordine dei Chimici del
Piemonte e Valle d’Aosta continua nella programmazione degli incontri del
“mercoledì della chimica”.
Ordine dei Chimici del Piemonte e Valle d’Aosta
I MERCOLEDÌ DELLA CHIMICA
ARGOMENTI
10
DATA
ORARIO
ETICA/DEONTOLOGIA
06/02/2008
18-20
FORENSE
27/02/2008
18-20
ALIMENTI
12/03/2008
18-20
RIFIUTI
26/03/2008
18-20
SICUREZZA
09/04/2008
18-20
ISO 17025
23/04/2008
18-20
TRATTAMENTO ACQUA
14/05/2008
18-20
CERTIFICAZIONE ENERGETICA
28/05/2008
18-20
RUMORE AMBIENTALE
11/06/2008
18-20
ACQUA
25/06/2008
18-20
ENOLOGIA
09/07/2008
18-20
ARPA
10/09/2008
18-20
QUALITÀ
24/09/2008
18-20
BONIFICA SITI
08/10/2008
18-20
GESTIONE LABORATORIO
22/10/2008
18-20
FARMACIA
12/11/2008
18-20
AMIANTO
26/11/2008
18-20
EMISSIONI ATMOSFERA
10/12/2008
18-20
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Il paese degli esami normali
di Gianluca Montia
L’aggettivo “normale” è spesso utilizzato in rifermento al nostro Paese, quasi sempre (e purtroppo) in proposizioni interrogative. I giornali, i
blog, le discussioni nei bar sempre più spesso si
chiedono se l’Italia sia un “paese normale”. Pur in
assenza di una risposta definitiva, si invoca, a
scanso di equivoci, il ritorno alla “normalità”.
Concetto fumoso quello della normalità. E il
dizionario non aiuta. Con il suo laconico “riferibile alla consuetudine o alla generalità” non fissa
i confini entro i quali misurare la consuetudine,
generando così degli equivoci enormi.
Limitandosi ai contesti italiani, molte cose possono apparire normali. Come ad esempio i costi
delle linee ferroviarie ad alta velocità. La TorinoMilano costerà 62,7 milioni di € a Km, costo del
tutto simile a quello della Firenze-Bologna (76,3
milioni a Km) e non molto più di quanto sia
costata la Roma-Napoli (30,5 milioni a Km).
Oltrepassando i confini nazionali la presunta
normalità si dilegua: la Parigi-Lione è costata 9,7
milioni a Km (- 85%), la Tokio-Osaka 8,5 milioni
a Km (- 87%)1. E anzi, il dizionario ci confonde
perché dice che normale è ciò che è “conforme
alla norma”, mescolando alla anglosassone
maniera il concetto di consuetudine con quello
di legge. In Italia, con i tempi processuali che
corrono sul posto ed i codici più farraginosi
d’Europa, né la giurisprudenza né la legge hanno
il tempo di stabilire cosa sia la normalità. I matematici, forse più rigidi, si rifanno al latino: normale è, senza dubbio, la retta perpendicolare al
piano. Non è chiaro se questo debba avere implicazioni sulla trasversalità di certi atteggiamenti
politici, sempre pronti a trovare accordi su specifici argomenti di particolare interesse. I chimici
sono invece più comparativi: normale è la soluzione contenente una quantità di sostanza equivalente ad un’altra di riferimento. Normale può
essere, inoltre, il risultato di un esame di laboratorio, sulla base di valori di riferimento. Si ritorna così alla necessità di un modello di riferimento rispetto al quale definire la normalità.
Ora bisogna chiarire che nel nostro Paese non
tutto ha un prezzo più alto rispetto agli altri
Paesi europei. Prendiamo, ad esempio, le analisi
del sangue: le tariffe, similmente agli altri Paesi
europei, sono definite dai sistemi sanitari regionali, prendendo a riferimento un tariffario
nazionale. Il tempo di protrombina, un esame
che 350 mila italiani in terapia anticoagulante
eseguono con cadenza anche settimanale e dal
quale dipende il loro tasso di mortalità, ha una
tariffa nella Regione Lazio pari a 2,87 €. In
Francia la tariffa è pari a 5,40 €, in Germania
4,08 €, in Svizzera 7,68 €. Si dirà bene, benissimo, considerata la congiuntura difficile per la
sanità italiana2.
E non proprio. Perché in Italia la consuetudine (il
costo) non sempre coincide con la norma giuridica (la tariffa). Nessuno infatti è in grado di stabilire quanto costi, ad una struttura pubblica,
eseguire un tempo di protrombina3. E questo
perché i costi del personale, della struttura, dell’informatizzazione, dello smaltimento rifiuti
biologici, dell’energia, delle provette, sono tutti
divisi in reparti, competenze, capitoli di bilancio
differenti. E questi costi superano di 3 o 4 volte
il costo dei reagenti. E, allora, dato che il conto è
maledettamente difficile da fare, i bilanci pubblici non riportano mai i costi, ma le valorizzazioni.
E cioè il prodotto del numero di esami per la
tariffa prevista; così tutto torna. O quasi. Perché
ad un certo punto la confusione fra costo e tariffa si è fatta tanto grande che si è pensato di
abbassare la tariffa per generare risparmio nella
spesa sanitaria. E visto che si è in vena, si decide
di riportare in auge il tariffario “Bindi” del 19964,
già abolito dal Consiglio di Stato nel 2001 per la
sua illegittimità5. Insensato si dirà.
E non proprio. Perché solo la metà delle analisi si
esegue nelle strutture pubbliche. L’altra metà si
esegue in strutture private accreditate. E il costo,
in questo caso, coincide con la tariffa. Tant’è che
la tariffa, prima della ulteriore riduzione, era
ferma da molti, molti anni. E tanto per far capire dov’è la ratio, si impone alle strutture private
un ulteriore sconto del 20%. Sconto non da
applicare al cittadino, ma da applicare al sistema
sanitario regionale. Al lordo. Generando così il
paradosso del franchigiato: il fanchigiato è, in
gergo, il cittadino che paga interamente per i
suoi esami perché non raggiunge la soglia della
franchigia prevista. E il 20% dei suoi soldi fini-
a
[email protected]
1 Riccardo Bocca, “Alta Voracità”.
L’Espresso 30/12/2006.
2 Francia: Biologie medicale:
nomenclature des actes. 2007 (Il
tariffario è espresso in punti, del
valore attuale di 0,27 €); Germania: Gebührenordnung für
Ärzte (GOÄ) 2007 (Regolamento
per le tariffe delle prestazioni
mediche); Svizzera: Ufficio federale della sanità pubblica: ”Elenco
delle analisi“ (Il tariffario è
espresso in punti del valore di 0,9
franchi svizzeri pari a 0,55 €);
Lazio: Tariffe come da ex D.M.
1991.
3 La mancanza di dati economici
di spesa è stata sottolineata, fra
l’altro, nel “Rapporto sulla specialistica ambulatoriale” dell’Agenzia
Sanitaria Regionale Emilia
Romagna. Gli autori scrivono a p.
11: “I costi rilevati dalla contabilità analitica sono stati confrontati
con quelli di altre Regioni,con
risultati poco chiari. In effetti non
esistono ancora dati comparabili
<…>. Inoltre, i costi della specialistica prodotta dagli ospedali
sono talvolta inseriti nei costi per
le attività di degenza oppure
sono ricavati non con una rileva zione dei costi di produzione ma
dalle tariffe del nomenclatore”; si
veda inoltre Cislaghi C., Pisani E.,
Tediosi F. “L’allocazione delle
risorse alle Aziende sanitarie
locali: il caso della Regione
Toscana”. MECOSAN Management
ed economia sanitaria, 12 (45).
4 La Legge finanziaria 23 dicembre 2006 ha, di fatto, costretto
alcune Regioni ad applicare il
tariffario secondo il D.M.
22/07/1996.
5 Sentenza della sez. IV 29 marzo
2001 n. 1839.
6 Sentenza N. 200712623. In particolare si riporta: “Nel caso di
specie, la tariffa viene fissata con
legge e la relativa norma si limita
ad imporre uno sconto (oltretutto
anche del 20%) sulle tariffe
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 5 gennaio 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
11
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
vigenti, senza dare conto delle
ragioni della misura fissata: risultano quindi violati anche i principi di cui all’art. 41 Cost. Tra l’altro,
lo sconto viene applicato su tariffe molto risalenti (quelle statali
rimontano al 1996) e ciò appare
irragionevole, non potendosi
dubitare del fatto che, in dieci
anni, i costi dei fattori produttivi
(si pensi, per tutti, alla remunerazione del personale) siano cresciuti, a volte anche sensibilmente”. Un’analoga sentenza è stata
emessa dal T.A.R. Puglia.
7 Legge finanziaria 23 dicembre
2006 art. 1 comma 796 lettera O.
8 “Piano di fattibilità per la riorganizzazione della diagnostica di
laboratorio nella regione Lazio”,
Assessorato tutela della salute e
sanità, 2007.
9 Plebani M. Laboratory medicine:
value for patients is the goal. Clin
Chem. 2007 Oct;53(10):1873-4.
Lippi G et al. One hundred years
of laboratory testing and patient
safety. Clin Chem Lab Med. 2007;
45(6):797-8. Sciacovelli L. et al.
Risk management in laboratory
medicine: quality assurance programs and professional competence. Clin Chem Lab Med. 2007;
45(6):756-65. Signori C. et al.
Process and risk analysis to reduce errors in clinical laboratories.
Clin Chem Lab Med. 2007;
45(6):742-8.
scono nelle casse del sistema sanitario regionale.
Non sorprende che il T.A.R. del Lazio abbia annullato tutto e sollevato la questione di costituzionalità6.
Nel frattempo si prende un bel respiro e si decide di ristrutturare la rete dei laboratori d’analisi, promuovendo la formazione di megalaboratori pubblici7. Nella Regione Lazio, ad esempio, i
circa 550 laboratori d’analisi pubblici e privati
distribuiti sul territorio dovrebbero essere soppressi per decretato nanismo e sostituiti da 40
megalaboratori pubblici8. L’intento dichiarato è
il risparmio di scala, basandosi sull’automazione dei processi analitici. Peccato che, come la
maggior parte delle attività sanitarie, la porzione automatizzabile del processo generi solo
una piccola quota dei costi. Tutto il resto
riguarda l’interazione con il paziente e la sua
domanda di salute: accettazione, prelievo,
gestione, validazione, consulenza9. E niente di
tutto questo è automatizzabile oltre lo stato
attuale, salvo voler rinunciare alla qualità della
prestazione. Non a caso alcuni fra i più importanti patologi clinici italiani si sono pronunciati contro simili aberrazioni, evidenziandone i
pericoli socio-sanitari. Non è possibile inoltre
chiedere ai pazienti di spostarsi di centinaia di
Km per raggiungere il megalaboratorio. Bisogna
quindi predisporre una rete di punti prelievo
che organizzino trasporti dei campioni a temperatura controllata e consegna garantita entro
poche ore. Nella regione Lazio si dovrebbero
trasportare circa 5-10 milioni di provette l’anno
con consegne quotidiane, tutte contenenti
materiale altamente deperibile e a rischio biologico, fra circa 300 località diverse, con costi
stimabili in diversi milioni di €. L’impegno risultante è tanto grande che dovrebbe essere gratificato con la formazione di una nuova disciplina scientifica, la “logistica di laboratorio”. Ma
questo cosa c’entra con la normalità del Paese?
Certo, può apparire anormale chiudere 350
laboratori privati, liberamente scelti dai pazienti e remunerati a costo certo e inferiore alle
medie europee, per sostituirli con 40 megalaboratori pubblici a costo incerto e avversi alla
società scientifica. Bisogna però considerare
che i megalaboratori implicano mega-strutture,
mega-appalti, mega-direttori, mega-bilanci,
mega-assunzioni. Le rette parallele finalmente
convergono e tutto ritorna alla, italianissima,
normalità.
la redazione de
Il Chimico Italiano
Invita i propri lettori ad inviare
contributi scritti di argomenti
tecnico-scientifico o di attualità
per la professione.
Le norme per la pubblicazione si trovano sul sito
www.chimici.it nella ribrica “La rivista on-line”
12
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Attività pericolose, rischio consentito
e norme cautelari, criteri di
valutazione della colpa
di Alberto Girelli
Riteniamo interessante per numerosi colleghi
riportare l’introduzione definita “premesse in
diritto” di una sentenza emessa recentemente da
un Tribunale su un incidente in ambiente chimico.
Si omette ovviamente ogni riferimento al caso
specifico considerato dalla sentenza.
Il sinistro* è intervenuto nello svolgimento di
una attività pericolosa il cui esercizio aveva
richiesto l’acquisizione di autorizzazioni amministrative emesse sulla base della predisposizione
da parte della azienda di un documento di analisi del rischio. Attività del genere sono ammesse
nel nostro ordinamento in considerazione della
loro utilità economica e sociale (connessa al progresso tecnologico). Tuttavia la liceità di tali attività, a prescindere dall’esistenza delle autorizzazioni richieste, trova il suo limite nella necessità
di un adeguato bilanciamento tra il beneficio
(iniziativa economica, progresso tecnologico) e i
costi (eventi lesivi per l’uomo e l’ambiente).
In contesto l’apprezzabilità sociale dell’attività
d’impresa individua un’area di rischio consentito,
ma gli eventi che esulano per la loro gravità da
detta area non sono ammessi. Ne deriva che se
non è possibile, alla stregua della scienza e della
tecnica di un dato momento storico, predisporre
cautele volte ad impedire i prevedibili eventi lesivi che esulano dall’area di rischio consentito, l’attività è illecita; è invece lecita se è possibile
apprestare adeguate cautele volte ad evitare il
concretizzarsi anche degli eventi pregiudizievoli il
cui rischio è ammesso. Nel primo caso la norma
cautelare generale impone all’imprenditore l’obbligo di astenersi dallo svolgere l’attività; nel
secondo caso, impone a costui l’adozione di ogni
opportuna cautela addossandogli in mancanza la
responsabilità per il verificarsi dell’evento lesivo.
Come osservato dalla giurisprudenza “l’esercizio
di attività pericolose anche se risponde ad iniziative di pubblico interesse, è consentito nei
limiti in cui sia possibile predisporre le misure
occorrenti per evitare danni alla collettività ed ai
singoli. L’esigenza di tutelare la sicurezza e l’incolumità dei collaboratori e dei terzi ha carattere primario e non può essere sacrificata, condizionando la liceità dell’opera.
L’esercente di una attività pericolosa deve essere in possesso di cognizioni e di capacità tecniche tali da consentirgli di prevedere e prevenire i
pericoli che quell’attività comporta. A questa
capacità deve essere ragguagliata la prevedibilità dell’evento, quando questa ha rilevanza per la
configurazione della colpa” (Cass. 810/71).
Nel caso in esame l’attività svolta, quanto alle
misure precauzionali (indicate dal legislatore in
modo più o meno specifico) da adottare in sede
di progettazione e gestione, è regolamentata, tra
le altre, dal DPR 175/88, D.Lvo 334/99, D.Lvo
626/94 e DPR 547/55 e pertanto può dirsi lecita
nei limiti in cui siano state predisposte, come
imposto ai gestori e progettisti di impianti ad
alto rischio dalla normativa citata e dalle norme
di comune prudenza, diligenza a perizia, tutte le
cautele idonee ad eliminare i rischi non consentiti, tra cui rientra indubbiamente quello di
esplosioni di rilevante potenzialità lesiva per
individui e ambiente.
Se per quanto detto chi svolge (anche su delega)
una attività ad alto rischio in violazione delle
norme cautelari generali o speciali volte ad impedire gli infortuni “tipici” dell’attività può essere
chiamato a rispondere di essi, al fine di accertare
in concreto la responsabilità dell’agente è necessario verificare se questi, nell’ambito delle sue
funzioni, abbia violato norme a contenuto precauzionale dirette a evitare il realizzarsi di un
evento del tipo di quello verificatosi, se la violazione sia stata causa dell’evento e, infine, se possa
a lui muoversi un rimprovero per tale violazione.
La condotta sarà ritenuta rimproverabile, con
conseguente affermazione di responsabilità laddove l’evento si fosse manifestato come possibile, e fosse evitabile dall’agente.
L’esistenza della prevedibilità sotto il profilo che
attiene all’elemento soggettivo, come comunemente ammesso, va accertata con criteri ex ante
avendo come parametro di riferimento l’homo ejusdem professionis et condicionis, quindi, l’agente
sarà ritenuto in colpa solo qualora non abbia tenuto conto delle conseguenze della sua condotta che
conosceva o era tenuto a conoscere in base alla sua
professione e condizione (Cass. 4675/07).
* esplosione in uno stabilimento
chimico
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 10 novembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Alla scoperta dell’Aceto Balsamico
Tradizionale di Modena
di Barbieri Loretta
Viaggiare non vuol dire necessariamente allontanarsi dalla propria terra e percorrere migliaia di
chilometri; il viaggio intrapreso è vicino, nel raggio di pochi battiti d’ali di colombo, così presenti nel mio territorio. Mi propongo con questa
nota e desidero far partecipi e condividere con i
chimici il famoso “oro nero di Modena” e invito
a trascorrere alcune ore in questa natura e terra
così ospitale, o almeno provo a suscitare la
voglia di “degustarlo” con un tour virtuale.
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, letto
L’A
più comunemente con la sigla ABTM, si differenzia dall’ABM, aceto balsamico di Modena. La differenza fra i due aceti balsamici è sostanziale, sia
a livello merceologico, sia come materia prima,
zona di provenienza, tecnica produttiva, normativa di riferimento, livello di tutela, impieghi
gastronomici e nutrizionali, periodo di invecchiamento, prezzo. L’ABTM è un prodotto
DOC(denominazione di origine controllata) e
DOP(denominazione di origine protetta): lo si
trova in commercio in due età di invecchiamento, invecchiato almeno 12 anni (affinato) e
invecchiato almeno 25 anni (extra vecchio), in
bottigliette esclusive di Design Giugiaro (il cui
utilizzo è obbligatorio per legge) e solo in volume da 100 cc, il costo è importante e può superare i 100 Euro per aceti extravecchi.
Un prodotto unico, la cui nascita è molto antica
e testimoniata da lettere e libri contabili dell’amministrazione del ducato Estense: lettere e pergamene, del 1600, che ho potuto sfogliare con
molta delicatezza e meraviglia e rispetto presso
l’Archivio di Stato di Modena.
Questo aceto è un prodotto che con il passare
del tempo può solo migliorare, affinandosi e
maturando. Proprio per questa sua caratteristica
di vitalità eterna l’ABTM si ricorda e conserva
ogni attività che viene svolta generando una
matrice genetica che anno dopo anno tende ad
incrementarsi.
Aceto Balsamico Tradizionale di Modena: cos’è
allora ?
La sua definizione recita “Ottenuto da mosto
d’uva cotto, maturato per lenta acetificazione,
derivata da naturale fermentazione e progressiva concentrazione, mediante lunghissimo invecchiamento in serie di vaselli (botticelle) di legni
diversi senza alcuna addizione di sostanze aromatiche. Di colore bruno scuro carico e lucente,
manifesta la propria densità in una corretta,
scorrevole sciropposità. Di tradizionale ed inimitabile sapore, dolce e agro ben equilibrato, si
offre generosamente pieno, sapido con sfumature vellutate in accordo con i caratteri olfattivi
che gli sono propri.”
Di seguito la descrizione degli elementi chiave
che identificano questo prodotto.
Le uve e i mosti
La tradizione ed il disciplinare indicano come uve
utilizzabili per il mosto cotto il Trebbiano
(famoso il Trebbiano di Spagna) in tutte le sue
varietà e cloni, il Lambrusco in tutte le sue varietà e cloni, Ancellotta, oltre ad uve minori quali il
Sauvignon (vitigno internazionale, molto diffuso: in Italia dà il meglio di sé in Friuli), Sgavetta
(vitigno coltivato nella zona di Modena e Reggio
Emilia, le cui prime notizie risalgono alla fine del
1800), Berzemino (Vitigno classico di quella bella
parte della Penisola che resta fra il declivio delle
Alpi Giulie e il Reno Italian) e Occhio di Gatta. Il
mosto può essere ottenuto anche da uve di
vigneti iscritte alle DOC (denominazione d’origine controllata) in provincia di Modena.
La produzione massima di uva per ettaro di
vigneto in coltura specializzata per la produzione di mosto cotto per ABTM non può superare i
160 quintali. Le uve devono garantire al mosto
fresco un titolo di almeno 15 gradi Babo.
La cottura del mosto avviene a fuoco diretto per
almeno 30 minuti a temperatura non inferiore a
80 °C. La maturazione delle uve è fondamentale
per avere un mosto crudo con grado zuccherino
e caratteristiche aromatiche elevate e consentire
di limitare i tempi di bollitura.
La pigiatura avviene di norma la sera e nel modo
più soffice possibile, per limitare al massimo la
rottura dei vinaccioli che tendono a cedere tannini grezzi, indesiderati per l’ABTM.
Terminata la pigiatura il mosto riposa in un tino
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 15 dicembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
per tutta la notte, si separa il liquido dalla vinaccia per decantazione naturale con il cosiddetto
sollevamento del cappello.
La cottura avviene in caldaie di acciaio inox, un
tempo di rame, a fuoco diretto e in vaso aperto.
Un tempo la caldaia era scaldata con il calore
della legna; oggi questo avviene con un bruciatore a gas controllato manualmente o tramite un
termostato che garantisce temperatura costante,evitando gli sbalzi della legna. Si riempie la
caldaia con il mosto, si inizia a scaldare e si porta
alla temperatura di circa 90-95 °C in breve
tempo e con fuoco vivace, per evitare la fermentazione alcolica. Raggiunta la temperatura si
mantiene a fuoco costante, schiumando le
impurezze che affiorano per lungo tempo.
L’acqua presente nel mosto evapora e la parte
zuccherina si concentra. La cottura prosegue
fino a riduzione del mosto a circa metà del volume iniziale.
La cottura è in funzione dell’uso del mosto in
acetaia:
- Mosti poco cotti, 22-26 ° Babo sono mosti a
facile fermentazione usati per ottenere prodotti con alto grado acetico e per la produzione di aceto forte di mosto.
- Mosti con 28-34 ° Babo, sono mosti usati per
il rincalzo.
- Mosti molto cotti 38-42 ° Babo sono mosti
che servono per tagliare o da innestare.
Il mosto cotto, una volta raffreddato, va versato
in damigiane riempite al massimo e chiuse ermeticamente. Le damigiane vengono poi collocate
in un luogo freddo e asciutto: durante il periodo
invernale avviene la decantazione: precipitano i
tartrati e le impurezze. A primavera si è in presenza di un mosto cotto purificato pronto per iniziare la fase di fermentazione balsamica.
La fase di fermentazione del mosto cotto per
ABTM è una “fantasia della natura”: la fermentazione alcolica e quella acetica tendono a confondersi, differentemente dalla produzione di
aceto di vino dove esistono due fasi ben distinte.
Una fase in cui gli zuccheri sono trasformati in
alcool da parte dei lieviti, saccaromiceti e zigosaccaromiceti, che lavorano in assenza di ossigeno. I lieviti iniziano l’attività di trasformazione a
temperature maggiori di 18°C. La loro attività si
sviluppa con maggior vigore quanto minore è il
contenuto zuccherino del mosto cotto (ricordo
che lo zucchero è di per sé un conservante ed un
inibitore delle fermentazioni). Allo stesso tempo
concentrazioni acetiche superiori ai 3-4° tendono a ridurre l’attività dei lieviti. Questa fase
tende a svilupparsi nei barili più grossi, quelli
cioè nei quali viene immesso un mosto tendenzialmente più fresco, in particolare nelle botti
“badesse” di stoccaggio. L’altra fase è la fermentazione acetica. In questa fase intervengono gli
acetobatteri che trasformano l’alcool, generato
dai lieviti, in acido acetico attraverso il processo
ossidativo. Anche in questo caso concentrazioni
zuccherine o alcoliche elevate fungono da inibitori della fermentazione. Proprio per questo
motivo si rappresenta il processo fermentativo
dell’ABTM come una continua staffetta fra lieviti e acetobatteri. Questa fase tende ad iniziare
nelle botti più grosse per svilupparsi in quelle
medie e terminare in quelle più piccole.
Le botti
La parola” botte” indica da sempre recipienti
rotondeggianti a doghe di legno. Tecnicamente
si deve parlare di barili per le capacità più ridotte e di botti per contenitori da 10 ettolitri in su.
Le lavorazioni sono in effetti diverse: semplice
con una sola curvatura quella dei barili; diversa
quella delle botti che necessitano di 4 curve
rotonde fino a 5 o 6 nelle botti ovali.
La batteria per ABTM deve essere formata da
almeno 5 vaselli più la botte madre “badessa”. I
vaselli devono essere costruiti con perizia, avere
doghe spesse e cerchi spessi di ferro e verniciati
per resistere alla corrosione, oppure di ferro zincato o di acciaio inox.
La capacità dei barili deve variare in modo scalare. Una buona serie è costituita da barili con le
seguenti capacità (litri): (5)-10-15-20-(25)-3040-50-(60)-70- badessa-barrique ed a lato un
barile da 10-15 litri di ginepro.
Anche i legni usati per i barili possono essere
diversi: l’unico legno che si presta da solo alla
costruzione di un’intera serie è il Rovere.
L’essenza dei vari legni porta l’aroma balsamico
all’aceto. Il consiglio é di aprire e chiudere la
serie con barili di rovere, sia per la tenuta che per
l’aroma. A fianco vanno inseriti barili di castagno, che dona colore al balsamico e per i centrali inserire gelso, ciliegio e frassino. Per la badessa
é consigliato l’uso di barili siciliani, di castagno.
Nella badessa avvengono buona parte dei processi biochimici che trasformano il mosto cotto
in ABTM, fra cui la fermentazione e la biossidazione acetica. Una barrique da 225 litri serve di
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
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norma due badesse e proviene da barrique scartate dai produttori di vini nobili rossi al termine
dell’invecchiamento.
Avviamento di un’acetaia
Prima di avviare l’acetaia è fondamentale una
pianificazione tale da avere chiari gli obiettivi:
realizzare un’acetaia ad uso famiglia o a scopi
commerciali, quanti barili acquistare, budget a
disposizione, locale idoneo, copertura di tutte le
fasi della filiera produttiva, dal vigneto al prodotto finale o solo la maturazione, ecc.
Importante è il locale idoneo. L’ABTM deve essere posto in un sottotetto per risentire degli sbalzi termici climatici. L’ambiente ideale è quello più
caldo possibile in estate e con maggior sbalzo
termico in inverno. Normalmente è il sottotetto
posto a sud, non coibentato, con un paio di finestre. L’acetaia di cui si conoscono le prime notizie era l’acetaia del Duca (Corte Ducale Estense
trasferitasi da Ferrara a Modena nel 1598) ubicata nella torre a sinistra del Palazzo Ducale di
Modena.
La conduzione dell’acetaia
La sede tradizionale dell’aceto è l’acetaia, di
norma il solaio della casa, in dialetto modenese
“al tasel mort“: luogo ben areato, igienizzato con
calce, asciutto, dove l’escursione termica è forte.
Caldo d’estate e freddo l’inverno. L’aerazione
naturale fornisce l’ossigeno necessario agli acetobatteri per la fermentazione. Nell’ABTM si sono
selezionati per natura gli acetobacteraceti. Se le
fermentazioni avvengono lentamente, migliore
risulta il prodotto trasformato. In alcuni casi la
fermentazione alcolica si sviluppa in modo
molto vivace da vedere fisicamente bollire il prodotto fino a formare una schiuma superficiale. In
questi casi può essere opportuno frenare gli
effetti aumentando il tenore acetico con un
innesto di aceto forte di mosto ad alta gradazione (>7/8°) o alzando il grado zuccherino immettendo mosto più cotto. Infatti sia l’acido acetico
che lo zucchero sono due inibitori delle fermentazioni. Particolare attenzione bisogna porre in
questa fase al formarsi delle “madri“ che non
sono altro che pelli superficiali. Occorre ricordare che le madri sono tipiche della fermentazione
dell’aceto di vino e in alcuni casi sono considerate anche per questo prodotto patologiche. In
particolare la presenza dell’acetobattere “acetobacterxilinum” è dannoso per l’ABTM. Infatti la
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fermentazione prodotta tende a generare, anche
nel breve lasso di pochi giorni, una pelle molto
spessa, consistente e gelatinosa di color beige,
che assolutamente non deve comparire nel balsamico. Se si presenta, la soluzione più drastica
può consistere nell’eliminare il prodotto; nel
caso si volesse provare a recuperarlo occorre
pastorizzare a 70° e una volta raffreddato, innestarlo con aceto forte. Durante la fase di maturazione dell’ABTM l’attività fermentativa dei lieviti e degli aceto batteri tende a rallentare favorendo la comparsa di enzimi che sono i precursori dei profumi, degli aromi e dei sapori caratteristici dell’ABTM. La fase di maturazione si sviluppa nelle botticelle centrali della serie ed è una
fase che tendenzialmente non ha mai termine in
quanto tutti gli anni viene mantenuta viva con i
travasi a valle di prodotto più fresco rispetto a
quello contenuto nelle botti.
L’invecchiamento avviene nei barili più piccoli
della serie dove il prodotto consolida le proprie
caratteristiche organolettiche acquisendo corpo
e strutturando in modo armonico la componente zuccherina e quella acetica. Operativamente le
fasi di gestione di un’acetaia comprendono l’esame fisico dei barili, l’esame organolettico, esami
chimici quali analisi del grado acetico, del grado
zuccherino, determinazione del rapporto armonico e redazione di grafici, valutazione delle
eventuali correzioni da apportare all’ABTM, prelievo del prodotto, travaso tra i vari barili, rincalzo del barile più grosso.
La scheda di valutazione e la degustazione
Ha lo scopo di assicurare un comportamento
comune a tutti gli Assaggiatori; di fornire documentazione sul prodotto esaminato; di condurre
l’atto valutativo con finalità rivolte alla “ricerca”
sul prodotto. Occorrono un matraccio da 100cc,
di vetro trasparente da riempire a metà di ABTM,
un cucchiaino (meglio in ceramica, altrimenti in
acciaio o plastica). Prima dell’assaggio occorre
evitare di ingerire cibi dal sapore intenso o che
possano alterare le capacità sensoriali. Occorre
evitare l’uso di profumi o saponi particolarmente odorigeni sulle mani e sul corpo; tenere i campioni da esaminare a temperatura ambiente;
aprire il matraccio alcuni minuti prima dell’assaggio per consentire l’ossigenazione del prodotto; verificare la pulitura esterna del matraccio; eseguire l’assaggio seguendo l’ordine della
scheda valutativa.
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La scheda prende in considerazione i caratteri
visivi, gli olfattivi, i gustativi.
I caratteri visivi studiano la densità, il colore e la
limpidezza. Un totale di 17 caratteristiche per un
punteggio complessivo di 60 punti (il 15%).
I caratteri olfattivi analizzano la franchezza, la
finezza, l’intensità e persistenza, l’acidità. Un
totale di 22 caratteristiche per un punteggio
complessivo di 120 punti (il 30%).
I caratteri gustativi sono rivolti alla pienezza,
l’intensità, il sapore, l’armonia e l’acidità. Un
totale di 27 caratteristiche per un punteggio
complessivo di 180 punti (il 45%).
L’ultimo 10% (40 punti ) è fissato per la sensa zione finale gusto/olfattiva.
L’assaggiatore opera una scelta di carattere qualitativo, per determinare successivamente un
riscontro di natura quantitativa all’interno dell’intervallo prescelto, usando il punteggio a sua
disposizione. Al fine di condurre l’esame organolettico in modo corretto da parte di tutti gli
assaggiatori, si rende necessario procedere alla
stesura di un codice interpretativo riguardante il
significato univoco da attribuire ad ogni proprietà e a ciascuna aggettivazione. Per alcune caratteristiche non è sempre possibile produrre una
esauriente descrizione teorica di riferimento, in
quanto la stessa può essere singolarmente individuata soltanto attraverso l’osservazione diretta
di un congruo numero di campioni di balsamico
tradizionale.
Una delle più difficili interpretazioni fra gli
Assaggiatori è il carattere Armonia: essa è la
risultante ottimale dell’equilibrio che deve esistere fra tutti i componenti il balsamico, con
riferimento agli zuccheri e agli acidi. Valutare
l’armonia significa emettere un giudizio sullo
stato dei due aspetti tra loro contrastanti: il
dolce e l’acido.
La sensazione finale gusto olfattiva dà una valutazione globale del campione di balsamico esaminato.
A queste valutazioni segue un processo di sintesi delle sensazioni riportate attraverso l’uniformità dei giudizi sulle singole proprietà, la regolarità di comportamento numerico, la coerenza
all’interno dei dati utilizzati durante l’esame. Il
numero che ne esce rappresenta la classificazione definitiva del campione. La scheda si conclude con un giudizio ad uso del produttore e dà
informazioni sul prodotto sia positive che negative.
Il punteggio finale è di 400 punti massimo. Gli
aceti che hanno partecipato ai Palii, famoso il
Palio della Ghirlandina, arrivano a punteggi
intorno ai 340-350 punti.
Uso gastronomico
L’ABTM, per i suoi raffinati profumi, il colore
lucente e l’intenso aroma, possiede un’infinita
ricchezza di fragranze e sapori in grado di soddisfare i palati più esigenti. Per le sue qualità
l’ABTM può accompagnarci in cucina nella preparazione di innumerevoli ricette: si abbina a
varie portate; può essere servito “al cucchiaio”
oppure più tradizionalmente su scagliette di parmigiano- reggiano.
Visitare un’acetaia centenaria provoca sempre
un momento di grande suggestione, suscitata
dalla presenza delle piccole botti immerse nella
penombra e nel silenzio, da utensili vecchi di
secoli appesi alle pareti in un’ordinata mescolanza, dai vetri con le loro delicate trasparenze e
dalle ceramiche, reliquie di una vita passata che
accentuano, nella loro identità preservata, la
sacralità del luogo ed il fascino senza tempo del
Balsamico.
L’ invito è di venire a Modena a scoprire di persona le acetaie e il loro tesoro “oro nero”.
Ringraziamenti:
Un caloroso ringraziamento al Consorzio
Produttori Aceto Balsamico Tradizionale di
Modena, nella persona del Presidente, Avv. Mario
Gambigliani Zoccoli, e all’Associazione Esperti
Degustatori di ABTM che con la loro esperienza e
conoscenza mi hanno introdotto e svelato segreti di questa tradizione secolare. E un saluto a
Vittorio Torreggiani autore del libro “Da una
Tradizione Antica” per la vasta ricerca storica
sugli strumenti e contenitori usati durante i
secoli per l’aceto balsamico tradizionale di
Modena.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
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Visibilità della professione di Chimico
Riprendo alcune considerazioni tratte dal sito del
Consiglio Nazionale dei Chimici (www.chimici.it)
per invitare tutti i colleghi ad utilizzare il LOGO
DELLA PROFESSIONE.
La diffusione del logo è importante per caratterizzare presso il pubblico la figura professionale
del Chimico collegandola ad un elemento simbolico facilmente individuabile sui documenti, a
garanzia che essi rappresentano il frutto delle
competenze culturali, professionali e deontologiche di un Chimico iscritto all’Albo.
L’uso del logo professionale non è alternativo al
timbro-sigillo, ma lo integra sul piano dell’immagine.
Ogni chimico iscritto all’Albo può richiedere, tramite l’Ordine Territoriale di appartenenza, la
concessione di utilizzo del logo della professione.
Nella nostra attività rivolta ad una vasta e diversificata clientela nei settori dell’ambiente, della
sicurezza, della qualità e dell’igiene degli alimenti, la scelta di collegare il proprio nome, il nome
della propria società o del proprio gruppo a quel-
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lo del Consiglio Nazionale dei Chimici attraverso
il logo è sicuramente una carta vincente.
Il concetto di Ordine, di corporazione, dovrebbe
essere per noi chimici sentito come in poche
altre professioni: in Italia siamo pochi se confrontati ai medici o ai biologi, e l’importanza
della nostra professione e professionalità è poco
percepita all’esterno.
Il logo è molto bello graficamente, a mio giudizio, e sono orgogliosa di poterne fare sfoggio
sulla mia carta intesta, sui miei biglietti da visita
e sulla carta intestata della nostra società.
E’ un “marchio” importante per chi è opera la
professione da tanto tempo, la dimostrazione
dell’orgoglio di appartenere alla categoria, la
sicurezza per i giovani chimici di sapersi le
spalle coperte da menti e personalità di primo
livello. E’ altrettanto carico di significato per i
neolaureati, per chi si affaccia alla professione,
per chi ha ancora tanto da dare, un marchio
lineare e chiaro che ci rappresenta, che ci fa
riconoscere.
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
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Sofisticazioni nel tempo dei cereali
di Diego Celotto1
Origini e storia
I cereali hanno da sempre avuto un’importanza
fondamentale nella vita della nostra specie, svolgendo una funzione essenziale nella nutrizione
dell’uomo e nella sua evoluzione culturale. Circa
10.000 anni fa, con l’apparire dell’agricoltura,
della propagazione selettiva delle piante commestibili e la coltivazione di grandi campi di
cereali, l’insediamento stabile andò via via a
sostituire la vita nomade dei cacciatori primitivi.
L’accentramento delle riserve alimentari e delle
popolazioni resero necessaria, allora, una maggiore organizzazione sociale, con una pianificazione controllata attraverso gli archivi. E grazie,
quindi, all’agricoltura e al commercio dei cereali,
nel 3.000 a.C., furono introdotti gli alfabeti, le
scritture e i primi sistemi di calcolo.
Sebbene questo sia meno evidente per noi di
quanto potesse esserlo per i nostri lontani predecessori, i cereali sono tuttora l’alimento essenziale del genere umano.
Oggi forniscono la maggior parte delle calorie per
una gran percentuale della popolazione mondiale: circa il 70% in Egitto e India, e quasi l’80% in
Cina, in pratica due o tre volte la media dei paesi
occidentali e sviluppati, attestanti sul 30-40%.
I grani o cereali (dal latino Cerere, la dea romana
dell’agricoltura) sono tutte piante della famiglia
delle erbe, le graminacee. Queste piante producono molti piccoli frutti separati e secchi, chiamati cariossidi o grani. Non si ha l’abitudine a
considerarli frutti perchè lo strato fra il seme e la
buccia, che nei frutti dolci è spesso e succulento,
nei cereali è sottile e asciutto e in pratica fa
parte della crusca.
Il grano, o frumento, che insieme all’orzo è una
delle prime piante coltivate dall’uomo, è stato
(ed è ancora) il cereale più importante e il più
pregiato per le civiltà mediterranee dell’antichità, soprattutto perchè le sue proteine di riserva
(destinate a nutrire la pianticella fino a quando è
capace di sostenersi da sola) hanno proprietà
chimiche singolarissime.
Quando il frumento è macinato e mescolato con
l’acqua, queste proteine formano una struttura
complessa e semisolida chiamata “glutine” (dal
latino gluten = colla), che è allo stesso tempo plastica ed elastica: in altre parole, è capace di espan-
dersi (distendendosi) se sottoposta a pressione dei
gas prodotti dalla lievitazione, tendendo a resistere a quella pressione senza, però, scoppiare.
Fra gli altri cereali, solo la segale ha proteine di
riserva con proprietà vagamente simili, anche se
il glutine di segale ha proprietà nettamente inferiori a quelle del glutine di frumento.
Gli archeologi hanno trovato resti di focacce dell’età della pietra fatte con grano e orzo rozzamente macinati, e questa è solo una delle tante
prove che indicano che questi cereali sono contemporanei.
L’oorzo ha il vantaggio di crescere in tempi relativamente brevi e d’essere robusto per natura:
resiste bene sia al gelo sia alla siccità, ed è coltivato dal circolo polare artico fino alle pianure
tropicali del nord dell’India.
Nell’antichità la sua importanza in Egitto e in
Cina era pari a quella del grano e ad Atene era il
cibo speciale dei gladiatori, che erano chiamati
hordearii o “mangiatori d’orzo”.
Ai tempi dei Romani però il frumento aveva già
soppiantato l’orzo diventando il cereale più
apprezzato.
Nel MedioEvo, e specialmente nel Nord
dell’Europa, il pane d’orzo o d’avena era l’alimento base dei poveri, mentre il frumento era riservato alle classi più alte.
Il riso è l’alimento vegetale di maggiore importanza per metà della popolazione mondiale.
E’ originario del subcontinente indiano e circa il
90% della produzione mondiale viene dalle zone
a clima monsonico dell’Asia.
Si afferma che Alessandro Magno abbia introdotto il riso in Europa intorno al 300 a.C., ma fu
solo nell’VIII secolo che i Mori cominciarono a
coltivarlo in Spagna in grandi quantità.
Oggi l’unico produttore importante in Europa è
l’Italia.
La segale sembra sia originaria dell’Asia
Centrale e dal 4.000 a.C. si propagò lentamente
verso ovest, grazie ai semi che si trovavano
mescolati nelle scorte di frumento e orzo delle
tribù nomadi.
Raggiunse le coste del Baltico verso il 2.000 a.C.
dove trovò condizioni favorevoli nel suolo tipicamente povero e nel clima freddo e umido. La
segale era e rimane poco conosciuta nelle regio-
1Dr. Diego Celotto
Dirigente Chimico U.O.Alimenti
Dipartimento Provinciale di
Salerno
ARPA Campania
[email protected]
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 1 dicembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
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ni mediterranee. Fino alla fine del secolo scorso
era il cereale più comune nel pane dei poveri nei
paesi nordeuropei, e ancora oggi il gusto del
pane di segale si è conservato specialmente nei
paesi scandinavi e nell’Europa orientale.
Il mais ha un rapporto proteina/amido più alto
degli altri tipi di cereali.
Quando i chicchi sono riscaldati in olio bollente, la
poca acqua che contengono gelatinizza in parte i
granuli di amido: questo accade a circa 65 °C.
Poi quando la temperatura del chicco raggiunge
il punto di ebollizione l’acqua si trasforma in
vapore e aumenta rapidamente in volume.
La matrice dura di proteina regge finche la
pressione diventa troppo forte e a questo punto
il chicco scoppia e l’endosperma si espande in
volume a causa della improvvisa caduta di
pressione.
Nello stesso momento il vapore sfugge e di conseguenza i granuli di amido già cotti si asciugano, e la consistenza dell’endosperma diventa
leggera e croccante.
Il popcorn scoppia bene solo quando il suo contenuto di umidità è fra l’11 e il 14%; è una
gamma di valori molto ristretta e i prodotti industriali sono trattati per raggiungere questi valori
ed essere poi confezionati sotto vuoto.
Il farro, invece, è un cereale, molto simile al grano
tenero. Entrambi hanno il seme che può essere
separato dalle glumelle di rivestimento. Le glumelle del farro si separano molto difficilmente per
cui esso resta di un colore più scuro. Questo
cereale è meno pregiato perché ha una resa nettamente inferiore rispetto a quella del grano.
In genere la farina di farro e di frumento sono
mescolate per migliorare le caratteristiche della
prima che, da sola, farebbe fatica a lievitare.
Gli antichi facevano largo uso di farro, dal quale
ricavavano una specie di zuppetta, simile
all’odierna polenta. La stessa parola farina deriva
dal latino “far” che vuol dire farro.
Oggi è ancora in uso per la preparazione di
minestre paste e biscotti.
Il miglio e il sorgo sono cereali noti in occidente
soprattutto come ingredienti dei mangimi animali, ma sono importanti per l’alimentazione
umana in molti paesi tropicali.
Il grano saraceno non è un vero cereale: non è
una graminacea e i suoi chicchi non sono cariossidi ma acheni, frutti secchi analoghi ai semi
delle fragole.
E’ originario dell’Asia centrale, fu coltivato in
Cina e fu introdotto in Europa alla fine del Medio
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Evo. Oggi il grano saraceno è usato per l’alimentazione umana soprattutto in Russia.
Fin dagli albori della civiltà, i grani sono stati sottoposti a trattamenti per eliminare i loro strati protettivi e renderli più facili da cuocere e da masticare.
Nella preistoria il grano era macinato usando
due pietre, che alla fine furono modificate dando
luogo al mortaio e pestello, e le lamine di crusca
che così si formavano erano separate a mano
dall’endosperma ridotto a frammenti.
L’arte della macinazione fu rivoluzionata intorno
all’800 a.C. con l’invenzione della mola, che
poteva essere azionata da animali o da ruote
idrauliche.
Questo metodo rimase in uso fino alla metà del
diciannovesimo secolo quando in Svizzera fu
inventato il mulino a rulli.
Oggi si usano rulli scanalati che si ingranano fra
loro per produrre azioni di taglio, raschiamento e
frantumazione che aprono i grani, ne raschiano
via l’endosperma e lo frantumano fino a ridurlo
in polvere.
Questa separazione è resa possibile dalle diverse
proprietà dell’endosperma, del germe e della
crusca: l’endosperma si frantuma facilmente, il
germe è oleoso e la crusca è tenace.
La farina raffinata è prodotta eliminando le particelle più grandi per mezzo di vagli, mentre nelle farine
integrali la crusca e il germe sono nuovamente
mescolati al macinato alla fine del trattamento.
Le sofisticazioni
Spesso negli attacchi contro il progresso e la
modernità, compare l’idea, inespressa ma inconfondibile, che i nostri antenati mangiavano cibi
più puri e più sani.
Questa non è che un’illusione.
Quasi tutto ciò che ha svolto l’uomo per la funzione di alimento è stato oggetto, da sempre, di
manipolazioni e di trasformazioni effettuate con
la finalità, sia di renderlo commestibile, sia di prolungare nel tempo la possibilità della sua consumazione, sia, infine, di farlo divenire più appetibile e gradevole, al gusto, alla vista e all’olfatto.
All’inizio era solo una questione di sopravvivenza,
un modo per tenere qualche scorta alimentare da
usare nei periodi di magra. Le civiltà più antiche
usavano già i conservanti, sotto forma di sale e di
fumo, il primo contenente varie impurità, il
secondo pieno di composti velenosi. Per lo stesso
motivo si usavano dosi massicce di senape e di
pepe, il cui impiego era dovuto a sostanze irritanti che servivano a mascherare il sapore dei piatti
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guasti, in un’epoca in cui il cibo era troppo prezioso per gettarlo via quando andava a male.
La sofisticazione alimentare non è, quindi, un
fenomeno particolarmente nuovo; tutt’altro,
esso è una piaga antica della cui presenza nel
passato esistono importanti testimonianze.
Nel I secolo a.C. Plinio il Vecchio descrisse, nel
suo “Naturalis historia”, la falsificazione di prodotti alimentari di largo consumo, come la farina, che, quando proveniva da cereali di scarso
pregio, grazie ad una serie di trattamenti, era
correntemente trasformata in un prodotto di
prima qualità.
Nemmeno l’adulterazione, cioè l’uso di additivi
per motivi fraudolenti, è un’invenzione del mondo
moderno. Verso la fine del quattordicesimo secolo il poeta inglese William Langland scriveva che
fra i doveri delle autorità cittadine c’era:
Punire con la gogna e la berlina
Birrai, fornai, beccai e cuochi.
Perché nessun altro al mondo fa più danno
ai poveri che comprano al dettaglio,
spesso, e in gran segreto, avvelenando gente.
Il sistema di adulterare il cibo era già affermato nel
Medio Evo e durò fino alla rivoluzione industriale,
quando le città si ingrandirono rapidamente.
Per quel che riguarda l’Italia, in età medievale e
rinascimentale, tra il 1300 ed il 1600, si segnalarono, numerosi falsi e frodi in campo alimentare,
tra i quali si ricorda il “pane ignobile”, che spesso poteva nascondere veleni per topi, e il pane
“alloiato”, nel quale al grano era mescolato il
loglio, la cui presenza poteva produrre, all’incolpevole consumatore, stati d’insensatezza e
d’istupidimento, atti frenetici e demenziali.
Tra il Seicento e il Settecento, accanto alla scoperta di nuove pratiche fraudolenti riguardanti i
cibi, fecero scalpore alcune manipolazioni particolarmente rischiose dei fornai, che producevano pani multicolori ottenuti, il più delle volte,
mescolando farina con sostanze nocive e pericolose per la salute, come “l’azzurro di rame, il
cobalto, la cenere e la calce di piombo, il massicot [protossido di piombo], il minio o quello che
si chiama vermiglione, e anche l’orpimento [solfuro giallo di arsenico”.
Un vero e proprio shock provocò, nel 1820, in
Inghilterra la pubblicazione di un “Trattato sulla
adulterazione del cibo ed i veleni della cucina” da
parte del chimico di origine tedesca Frederick
Christian Accum.
“In verità” dice Accum nella sua introduzione
“sarebbe difficile menzionare un solo tipo di alimento che non si può trovare in forma adulterata; e vi sono sostanze che è quasi impossibile
trovare genuine. Il pane che si mangia a Londra
è un pastone deleterio, in cui la farina è mescolata con gesso, allume e cenere di ossa; insipido
al gusto e distruttivo per l’organismo. La buona
gente non ignora questa adulterazione, ma lo
preferisce al pane genuino, perchè è più bianco
che quello prodotto con la farina di frumento:
così sacrificano il gusto e la salute alla più assurda soddisfazione di un occhio ingannatore”.
Nel 1832, Charles Babbage, nel suo “Trattato sull’economia delle macchine e delle manifatture”,
dedicò alcune pagine del volume al tema delle
falsificazioni, riferendo, per quel che riguarda
l’agricoltura, di un’invenzione finalizzata a travestire i grani troppo vecchi che “venivano ringiovaniti prima inumidendoli leggermente e poi
asciugandoli con il vapore di zolfo bruciato”.
Non meno sconvolgenti furono gli effetti sulla
pubblica opinione inglese degli esiti dell’indagine
condotta fra il 1851 ed il 1854 da un Comitato
della Camera Bassa “sull’adulterazione dei cibi”.
Il rapporto sui panifici londinesi, curato dal commissario governativo Hugh S. Tremenheere nel
1862, indicava non meno di 20 tipi di adulterazione per la farina, mescolata, inoltre, a “sudore
umano, deiezione di ascessi, ragnatele, blatte
morte e lievito ammuffito; senza tener conto
dell’allume, dell’arenaria, e di altri piacevoli
ingredienti minerali”, nonché ancora di “potassa,
calce, farina di pietre del Derbysire ed altri simili
ingredienti piacevoli, nutrienti e salubri”.
Nel 1860, dopo che un gruppo di medici ebbe
confermato le accuse del Dr. Accum, furono proclamate in Inghilterra le prime Pure Food Laws
(leggi sulla purezza degli alimenti), e nel 1875 la
prima legge “alimentare e farmaceutica” finalizzata ad impedire l’uso di conservanti chimici
negli alimenti, i cosiddetti “improvers” (miglioratori), dai possibili effetti nocivi.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino
ai primi anni del Novecento, nei vari trattati concernenti l’alimentazione, uno spazio sempre più
ampio cominciò ad essere dato alla illustrazione
delle modalità con le quali gli alimenti venivano
manipolati con finalità fraudolente ed alla possibilità di scoprire la presenza nei cibi di sostanze
pericolose.
Un’impresa, quello dello smascheramento degli
inganni, che si fece ogni giorno più difficile a
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
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causa del crescente contributo che la chimica
aveva preso ad offrire all’industria alimentare,
fornendo un apporto eccezionale allo sviluppo
del settore, ma, al contempo, rendendo disponibile per i falsari un armamentario più raffinato e
di più difficile individuazione rispetto a quello
con cui operavano nel passato.
Falsari più organizzati, più attenti alle possibili
utilizzazioni, per il conseguimento dei loro obiettivi, di innovazioni e di scoperte tecniche, più
spregiudicati e più privi di scrupoli.
La situazione in America non si presentava molto
differente di quella europea.
Benché il potere delle lobby statunitensi del settore alimentare fosse tanto forte da bloccare
ogni tentativo di regolamentazione dell’uso di
sostanze chimiche nei cibi, tra la fine del vecchio
e l’inizio del nuovo secolo “furono scoperti e
denunciati numerosi abusi e frodi nella produzione alimentare”.
Affinché, tuttavia, la questione degli ingredienti
aggiunti agli alimenti manipolati dall’industria
statunitense giungesse ad una svolta fu necessario che colui che può essere considerato il primo
paladino della storia della sicurezza degli alimenti, Harvey Washington Wiley, dal 1883 al 1912
capo del Bureau Chemistry del Dipartimento
dell’Agricoltura degli Stati Uniti, inventasse un
originale strumento di pressione sul Parlamento:
the poison squad (lo squadrone dei veleni).
Wiley sottopose a controllo i pasti quotidiani di
dodici dipendenti del Dipartimento, misurando il
tipo e le quantità delle sostanze con le quali i cibi
venivano trattati o ad essi venivano aggiunte
dalle industrie produttrici e registrando gli effetti
che tali sostanze provocavano sui loro organismi.
I dati raccolti sulle “trasformazioni” indotte nelle
cavie umane volontarie da quanto contenuto nei
cibi da esse assunti furono diffusi da Wiley
durante tutto l’arco dell’esperimento, sortendo
l’effetto di turbare ulteriormente l’opinione pubblica e, soprattutto, di scuotere molti membri del
Parlamento al punto tale che quest’ultimo, nel
1906, varò il Pure Food and Drug Act, la prima
legge federale contro le “sofisticazioni”, dove
con questo termine venivano ad essere indicate
le più svariate manipolazioni nocive e fraudolente di ciò che le imprese, alimentari e farmaceutiche, immettevano sul mercato.
Dunque non è mai esistito il buon tempo antico
in cui il cibo era fresco e puro, e l’adulterazione e
gli additivi non erano che i sogni proibiti di qualche chimico.
22
Anzi, le condizioni sono molto migliori ai nostri
giorni di quanto non siano mai state da quando
sorsero le prime città, grazie alle tecniche
moderne di inscatolamento e refrigerazione, alla
scienza medica, e ai controlli governativi.
Il nostro sistema non è certo ideale, non abbiamo
ancora eliminato l’adulterazione, la contaminazione e l’uso di additivi potenzialmente pericolosi, ma è generalmente migliore che in passato.
Le pratiche
Essendo il più importante e pregiato fra tutti i
cereali, è il grano, o meglio la sua farina, che
viene continuamente fatto oggetto di sofisticazione e adulterazione.
Può essere frutto di miscelazioni di farina di frumento di buona qualità con quella di qualità
inferiore, oppure di addizioni con farine vecchie,
più qualche dose di talco, creta, sabbia, polvere
di marmo, carbonati di calcio e di magnesio, solfato di bario, per aumentare il peso, e di glutine
in polvere per aumentarne la “forza”.
Successivamente la farina divenuta troppo scura
a causa di questi commistioni viene sottoposta a
processi di “imbianchimento” artificiale, realizzati mediante l’impiego di sostanze ossidanti, quali
il biossido di azoto, il cloro, il cloruro di nitrosile,
il perossido di benzoile.
Questi tipi di farina, nei quali accade che siano
presenti concentrazioni elevate di nitrati e di
fosfati, muffe, larve e parassiti, dovuti all’invecchiamento e ad una cattiva conservazione, talora hanno la possibilità di trasformarsi nel nostro
pane quotidiano, ma non è escluso che ciò
avvenga senza che subiscano un ulteriore
“imbianchimento” reso possibile da trattamenti
con persolfato di ammonio, cloruro di benzoino,
bromato di potassio, perborato di sodio, eteri
poliossietilenici, glicole etilenico e alcool metilico, anche per aumentarne la fermentazione.
Le addizioni alla farina di frumento di farine
ricavate da altri cereali, compreso il riso, da leguminose, da patate, nonché da cereali destinati
all’alimentazione animale è da sempre stata,
anche questa, una pratica ordinaria.
La farina proveniente dai semi del lupino bianco
(Lupinus albus), non adoperata mai da sola
essendo incapace di lievitare, unita alla farina di
frumento in dosi non eccedenti il 25% fornisce
un ottimo pane e, più ancora, delle paste alimentari eccellenti e nutritive.
Occorre, però, allontanare i principi amari e tossici che i lupini contengono.
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Per la deamarizzazione si pongono i lupini a
macerare per 2-3 giorni in acqua salata; poi si
cuociono in acqua, si tornano a lavare ed infine,
dopo essiccamento a temperatura non superiore
a 100 °C, si sottopongono alla macinazione.
Buoni risultati si ottengono anche con le farine
di fave e di soia.
La farina di fave contiene fra le sue sostanze
proteiche della glutenina.
Costituisce un buon correttivo delle farine di grani
deboli, poichè la lievitazione della pasta ne è favorita ed il pane acquista una sofficità normale.
L’esperienza ha dimostrato che la farina di soia
addizionata a quella di grano in proporzioni inferiori al 20% permette di ottenere una lievitazione
regolare (in qualche caso anche accelerata) ed un
pane a mollica morbida con crosta ben liscia.
Il sapore amarognolo dei semi di soia si elimina
se la cottura è fatta lentamente.
Se le farine di frumento contenenti una buona
percentuale di surrogati lievitano male con i lieviti
ordinari, torna molto utile l’addizione di un “bonificatore”, come quelli a base di estratto di malto.
Conveniente è altresì l’incorporazione alla pasta
di un po’ di sciroppo di glucosio a basse DE; il
pane riesce più lievitato, più conservabile e con
un gusto dolciastro piacevole. In qualche caso è
opportuno l’impiego di un lievito artificiale
(bicarbonato di sodio e acido tartarico).
Utilizzando farina di frumento resa eccessivamente umida, per accrescerne il peso, o lieviti contaminati di cattiva qualità, si può avere la lievitazione di
alcuni bacilli sporogeni (il più ricorrente è il mesentericus vulgaris) responsabili di uno dei difetti del
pane di cui anche il più disattento dei consumatori si accorge, quello del “pane filante” che presenta
all’interno una mollica viscida ed attaccaticcia,
quasi fosse non del tutto cotta.
Se poi la farina viene utilizzata per la produzione di “pani speciali”, quei prodotti nei quali possono, ad esempio, essere contenuti burro e olio
d’oliva, al prodotto in questione può essere abusivamente addizionato di “tutto”: margarina,
burro di cocco, oli di semi, sevo, paste di demargarinizzazione, glicole etilenico, ecc.
Per le paste alimentari, in cui deve essere utilizzata solo semola di grano duro, il più frequente
“inganno” è la sostituzione, con percentuali dal 5
al 15%, di semolato o di farina di grano tenero.
Per mascherare, poi, l’aspetto grigiastro che pre-
sentano le paste di qualità scadente e quelle
prodotte con molta farina di grano tenero,
oppure per dare l’idea di una maggiore presenza
di uova in paste che dovrebbero contenerne si
usa l’espediente di colorare il prodotto unendo
agli impasti: farina di mais, carotene, curcuma,
giallo di chinolina, lecitine e fosfatine.
Singolare è anche l’abitudine da parte di alcuni
produttori di aggiungere alla pasta sostanze
come il bicarbonato di sodio, per impedire alterazioni acide ed ammuffimento derivanti da un
imperfetto processo di essiccamento.
”Che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia
il tuo cibo”, scriveva 2400 anni fa Ippocrate.
Visto questo breve excursus sulle possibili contraffazioni di una farina, c’è da prendere con le dovute
cautele quanto detto dal padre dell’Arte Medica.
I controlli
E i controlli in Italia?
Sono molteplici, sia a livello centrale sia territoriale,
quelli effettuati dagli Organismi responsabili dei
diversi aspetti del controllo ufficiale degli alimenti e
delle bevande: Agenzie Regionali Protezione
Ambiente (ARPA), Nuclei Antisofisticazioni e Sanità
dei Carabinieri (NAS), Aziende Sanitarie Locali (ASL),
Istituti Zooprofilattici Sperimentali (I.Z.S.), Università,
ecc., tutti concorrenti con professionalità a dare la
più alta sicurezza alimentare ai cittadini.
Sempre, però, che i laboratori siano forniti delle
strumentazioni idonee ad esaminare e ricercare
la presenza di tutte le “irregolarità” possibili che
un prodotto alimentare può nascondere e che i
budget di cui essi dispongono consentano di utilizzare le risorse necessarie per procedere a tali
accertamenti.
C’è, infatti (e purtroppo), oggi la tendenza, da
parte di alcune classi politiche, di privilegiare
l’Ambiente con leggi, strutture, strumentazioni,
fondi, finanziamenti e personale, relegando in
secondo (ed anche in terzo) piano tutto quello
che compete al Cibo e all’Alimentazione (Ricerca,
Analisi, Sperimentazioni, ecc.).
Come se gli Alimenti fossero un mondo a sé,
senza alcun contatto con noi (!) e con l’ambiente in cui viviamo...
Si spera solo che ci sia, nel breve termine, un
qualche ravvedimento di ordine generale che
inverta questa tendenza causando il minor
danno possibile di quanto non sia stato già fatto.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Proprietà chimico fisiche
e rischio
Molti giovani mi chiedono di introdurli sul tema sicurezza. Ho pensato quindi a qualche concetto elementare del quale mi scuso con gli “esperti”
Ordinario
di
Chimica
dell’Ambiente e dei Beni Culturali
nell’Università di Roma La
Sapienza.
1
di Luigi Campanella1
L’infiammabilità e l’esplosività di alcuni composti
sono proprietà altamente utili per la società,
anche se occorrendo nel posto ed al tempo sbagliato possono condurre a danni, lesioni, morte
che si ripercuotono negativamente sull’immagine dell’industria chimica.
A chi usa o conserva composti chimici pericolosi
viene chiesto di stabilire sia la probabilità che le
conseguenze dell’occorrere di tali eventi.
Per fare ciò devono essere esaminate le proprietà chimico-fisiche dei composti ed i trattamenti
dal momento che il pericolo (esplosione, incendio) si concretizza soltanto in condizioni ben
determinate (concentrazione di vapore), che non
c’è generalmente alcun livello accettabile di
rischio e infine, che gli effetti non sono specifici.
Il termine gestione del rischio deve quindi essere usato per descrivere le procedure di minimizzazione delle probabilità di effetti avversi derivanti dalle proprietà fisico chimiche correlate al
pericolo.
Per esigenze di brevità saranno considerati sol-
PROPRIETÀ CHIMICO FISICHE
correlate al rischio
flash point (liquidi)
infiammabilità (solidi)
infiammabilità
(a seguito di contatto con l'acqua)
proprietà piroforiche (a contatto con aria)
proprietà esplosive
temperatura di autoaccensione
(liquidi e solidi) partizione (ottanolo/acqua)
proprietà ossidanti
da essi subiti. La valutazione del rischio da proprietà fisico chimiche richiede la considerazione
di queste:
I responsabili della sicurezza delle varie industrie
che trattano sostanze pericolose devono assumere come loro principale responsabilità quella
di valutare i pericoli ed i rischi (rischio = pericolo x esposizione) che possono derivare ai lavoratori interni ed alle popolazioni circostanti a
seguito della presenza di questi composti sul territorio.
La valutazione del rischio in termini classici non
si applica al rischio da proprietà chimico fisiche
non correlate al rischio
punto di fusione/temperatura di gelo
temperatura di ebollizione
densità relativa
tensione di vapore
tensione superficiale
solubilità in acqua; coefficiente di
granulometria (solidi)
idrolisi (come funzione del pH)
coefficiente di assorbimento
tanto l’infiammabilità, l’esplosività e le proprietà
ossidanti essendo queste le proprietà chimico
fisiche più comuni correlate a situazioni di
rischio. I fornitori sono obbligati ad informare i
loro clienti sulla proprietà pericolosa dei loro
prodotti. L’etichetta sul contenitore fornisce
un’indicazione dei pericoli attraverso simboli
accompagnati da considerazioni di rischio e
sicurezza, mentre alcuni dettagli informativi
sulla stessa materia si possono ritrovare nelle
relative schede descrittive dei composti.
Per valutare un ambiente di lavoro per i pericoli
chimico fisici è necessario comprendere alcune
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scentifico professionale su “ Il Chimico Italiano”, il presente
articolo è stato ricevuto il 14 novembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Classificazione Infiammabilità (esempio)
Trasporti
Classe 3
gruppo imballaggio III
Fornitura
Classe 3
gruppo imballaggio II
Liquidi infiammabili
(flash point
fra 23 e 61 °C, punto di
ebollizione > 35°)
Liquidi infiammabili
(fp < 23 °C, bp > 35 °C)
Classe 4.1
Solidi infiammabili
R 11
Classe 4.2
Sostanze capaci di
autocombustione
R 17
senza applicazione di
Sostanze che in contatto con H2O
emettono gas infiammabili
R 15 (il contatto con
Sostanze e preparaacqua libera gas estre- zioni che al contatto
mamente infiammabili) con acqua o aria
umida emettono gas
altamente infiammabili
in quantità pericolose
ad una velocità minima
di 1 lt/Kg/hr
energia
Classe 4.3
Classe R10
Liquidi
infiammabili
(fp fra 21 e 55 °C)
R 11
Liquidi infiammabili
(fp< 21 °C), ma "non
estremamente"
Solidi infiammabili e
capaci di continuare
a bruciare
Sostanze infiammabili
Classificazione esplosività
Trasporti
Designazione
Sostanze esplosive
divise in 6 classi a
rischio decrescente
Definizione
Sostanze solide
o liquide capaci di
reagire producendo
gas a tale pressione
e temperatura da
provocare danno ai
circostanti
di queste proprietà in maggiore dettaglio e come
la classificazione dei vari composti viene realizzata (esplosivi, infiammabili).
INFIAMMABILITÀ
Per creare un fuoco sono necessari un combustibile (es. benzina), un comburente (ossigeno o
aria), una sorgente di calore (fiamma, scintilla), il
cosiddetto triangolo del fuoco. Nella legislazione
europea l’infiammabilità è distinta in un certo
numero di sub.categorie, le due principali delle
quali - per gli aspetti chimici - sono la fornitura
ed il trasporto.
Forniture
Designazione
Rischio di esplosioni
per frizione e riscaldamento a rischio decrescente
Definizione
Composti (solidi, liquidi, gassosi) capaci di
reagire esotermica
mente anche in assenza di ossigeno
I due sistemi usano simboli completamente differenti, ma i criteri di classificazione sono simili.
La detonazione di materiale esplosivo può avvenire per riscaldamento in uno spazio confinato,
per frizione, per impatto o scarica elettrica.
Alcuni gruppi funzionali chimici provocano un
innalzamento del grado di esplosività. Il calcolo
del bilancio di ossigeno e le informazioni termodinamiche possono indirizzare e agevolare gli
interventi preventivi.
ATMOSFERE ESPLOSIVE
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Esempi
Caratteristiche strutturali
C - C insaturo
C - metallo
N - metallo
Atomi di ossigeno contigui
Legami N - O
N - alogeno
O - alogeno
Atomi di N contigui
Struttura forzata ad anello
Un valutatore di sicurezza assumerà che le
sostanze infiammabili quando disperse in aria,
formeranno un’atmosfera esplosiva almeno che
non ci sia evidenza del contrario. Quando si crea
un’atmosfera potenzialmente esplosiva la combustione produrrà un incendio piuttosto che
un’esplosione, in dipendenza delle condizioni. Le
precauzioni per prevenire un fuoco e un’esplosione sono spesso gli stessi. Qualche volta un
incendio può portare all’esplosione successiva e
viceversa. Per ogni miscela di gas o di un vapore
combustibile con un ossidante c’è un valore di
energia critica al di sopra del quale si produrrà
un’autopropagazione.
Anche la miscela aria combustibile sarà esplosiva soltanto in un intervallo di valori di concentrazione del combustibile. Questi limiti sono
26
Classi di composti chimici
Acetileni
Reattivi di Grignard
Perossidi
Idrossilammina, nitrato
Cloroammine
Perclorati
Azidi
Ciclopopano
indicati come limite esplosivo inferiore (LEL) al
limite inferiore di concentrazione e come limite
esplosivo superiore (UEL) al limite superiore di
concentrazione. Generalmente la sicurezza è
garantita ad un valore di atmosfera esplosiva
pari al 25-50% del LEL.
Aspetti normativi:
La Direttiva 98/24/EC dell’Unione Europea, la
Direttiva ATEX (Atmosphere Explosibles
Directive) e la Direttiva SEVESO obbligano gli
utenti di prodotti chimici pericolosi alla identificazione dei rischi, alla definizione delle popolazioni a rischio, alla valutazione, rimozione e protezione, alla registrazione, informazione, istruzione, alla riconsiderazione complessiva.
Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Accorato ricordo di un amico e collega
di D. Mencarelli
Dicembre 2007. Muore Piero Orioli, per gli amici
Puccio. Ricevo la notizia dalla voce concitata
della moglie. Già Puccio; un collega Chimico, ma
soprattutto un amico fraterno. Come non dolersene? Compongo per Lui un epicedio triste ed
informe, incongruo con queste pagine. Lo cestino. Solo ora, che sono già trascorsi due mesi da
che lo ho perduto, il mio dolore è fermo ed ho la
forza di piangerlo, o meglio di parlarne.
Brevemente il Chimico che è stato. Si laurea in
Chimica industriale in quella autentica fucina di
Colleghi che è stata, ed è tuttora, l’Ateneo bolognese.
Opera come Assistente a Chimica Agraria, ove
affianca il Servizio “Repressione frodi” ed acquisisce
quella solida esperienza nel campo dei fertilizzanti e
concimi, che avrei ammirato ed ampiamente utilizzato piu avanti nella mia attività. Nel 1956 è alla
SIR, stabilimento di Ravenna.
Apprezzano le Sue qualità manageriali; fa carriera. Nel 1970 passa allo Stabilimento di Marina di
Montemarciano, come Direttore, e si distingue. E’
uno Stabilimento, oggi archeologia industriale,
che utilizza ancora processi della Chimica storica
per produrre perfosfati: le camere di piombo, la
Torre di Glover e di Gay-Lussac. Già, le camere di
piombo: nostre reminescenze del 1° anno di
Liceo classico della fine degli anni cinquanta.
Ora un ricordo dell’amico. Lo conobbi nel 1976. I
nostri posti di lavoro distanziavano pochi chilometri. Ci conoscemmo per problemi ambientali
che riguardavano entrambi gli Stabilimenti.
Una frequentazione assidua, fatta di incontri di
lavoro, di indagini di campo, di ricerche bibliografiche, durante la quale imparai a volerGli
bene. Non poteva essere altrimenti. Era colto ed
affabile; discutevo con Lui di arti e di Dio. Parlava
un italiano elegante: un precoce candore dei
capelli accentuava la innata signorilità del volto,
caratterizzato da un naso greco. Era febbrile: aveva
la inaudita capacità, a dispetto dell’età non propriamente verde, di vivere I’ansia di cimentarsi.
Sapeva mostrare la Sua amicizia. Chi, se non Lui,
trovavo accanto nei momenti difficili?
Quante ricerche comuni nel mio laboratorio! Ah,
se ci era utile. Ne inventava più di me, che pure
in quel periodo sfornavo idee a raffica. Ma con la
differenza che io sovente le idee le smarrivo nelle
unghie degli altri (mi succede anche oggi). Lui
no. La completa realizzazione di un’idea era per
Piero obiettivo primario.
Non aveva ancora finito di escogitare un trattamento di inertizzazione delle ceneri di pirite che
già si industriava ad escogitarne il test su
impianto pilota. Era l’ingegnere e l’operaio dei
nostri, talora effimeri, progetti.
La pensione, il ritorno a Ravenna. Si butta anima
e corpo nelle sue due grandi passioni: dipingere
tristi marine solitarie, e studiare le perle artistiche della sua stupenda, sepolcrale città, tanto
cara a padre Dante.
Conservo una sua opera, ricca di foto stupende,
dedicata ai marmi di S. Vitale: tempio visitato più
volte con la sua guida dotta, che mi riproponeva
particolari nuovi o sfuggiti, penombre e giochi di
luce sulle marmoree e levigate superfici policrome.
Già, i marmi: colori, riflessi, venature, disegni.
L’artista ed il Chimico si alleavano per raccontare quei materiali millenari, di fronte ai quali i
visitatori ritrovano I’armonia del creato.
Ritorno volentieri con il pensiero ad un incontro
di circa quattro anni fa: è ancora lucido, memore, a tratti vulcanico. Ma c’è già un presagio di un
triste decadimento fisico e mentale: la voce
stanca, lo sguardo talora perso, l’amarezza nelle
parole. Parliamo seduti su un divano, a casa sua.
Tentiamo di dissacrare il futuro, ripercorrendo il
passato: la degustazione attenta di buoni vini, la
visita ad abbazie e musei. E’ estate: in quella luce
ed in quella brezza marina, mi confida la decisione di scrivere un nuovo libro sulla sua città, purtroppo mai completato. Ripenso a questa opera
che non ha avuto la gioia di presentare e rivedo
quell’impolverato fascio di sole che attraversava
la sala.
Tendo ora nel vuoto la mano, cercando la sua.
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 1 febbraio 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 4 febbraio 2008.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Il nuovo Regolamento Europeo sulla
Chimica: REACH
È passato poco più di un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, il giorno
30 dicembre 2006, del regolamento REACH (acronimo che sta per “registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche”). Con questo atto l’Europa ha adottato la più avanzata e complica ta legislazione mondiale in materia di controllo e registrazione delle circa 30.000 sostanze chimiche che
circolano attualmente all’interno dei propri Paesi membri.
di Gianluca Stocco (normachem)
1Sede ufficio: via G.Munari n°1,
35014 Fontaniva (PD)
tel. 049.5940419,
fax 049.8591142,
cell. 347.2660106
Posta elettronica:
[email protected]
Premessa
Dovranno essere registrate presso la nuova agenzia chimica europea, che avrà sede ad Helsinki,
tutte le sostanze chimiche prodotte (o importate)
in Europa in quantitativi superiori ad 1 tonnellata
annua. Entro il 2010 dovranno venire registrate le
sostanze più pericolose e quelle prodotte/importate in quantità superiore a 1.000 tonnellate l’anno.
Seguiranno, entro il 2013 quelle tra 100 e le 1.000
tonnellate ed infine, entro il 2018, quelle prodotte/importate in minor quantità (da 1 a 100 tonnellate/anno). Per tutte le sostanze è comunque prevista una fase di pre-registrazione che dovrà essere effettuata entro 18 mesi dell’entrata in vigore di
questo Regolamento.
Con questo Regolamento non solo si inverte
l’onere della prova sulla pericolosità delle
sostanze (dalle autorità pubbliche passa infatti a
carico delle imprese) ma viene anche introdotto
il principio di sostituzione. Per le circa 1.500
sostanze ritenute le più dannose si prevedono
tre strade:
• la sostituzione qualora ne esista la possibilità e
sia economicamente percorribile;
• l’autorizzazione per un periodo limitato dietro
garanzia di un adeguato controllo (e relativo
piano di sostituzione obbligatorio quando ci
siano alternative);
• via libera all’utilizzo se non ci sono alternative
di sostituzione previa presentazione di un valido piano di ricerca.
Il Regolamento è entrato in vigore ufficialmente
il 1° giugno 2007 (come riportato all’articolo
140) ma la vera e propria operatività, soprattutto per le imprese, inizierà il 1° giugno 2008. Si
ricorda che questo è un Regolamento e quindi
come tale NON dovrà essere recepito dall’ordinamento legislativo nazionale.
Cronistoria REACH
Libro Bianco (documento di indirizzi e strategie
sulla chimica): Febbraio 2001
Consultazione internet prima bozza regolamento REACH: Maggio-Luglio 2003
Proposta della Commissione: 29.10.2003
Prima Lettura PE: 17 novembre 2005
Posizione comune Consiglio: 13 dicembre 2005
Seconda Lettura PE: 13 dicembre 2006
Posizione comune Consiglio: 18 dicembre 2006
Pubblicazione in GU: numero L 396 del 30
dicembre 2006 – Regolamento n° 1907
Pubblicazione delle Rettifiche al Regolamento:
GU n. L 136 del 29 maggio 2007
Impatto sul mondo produttivo
Bisogna considerare che il REACH, tenuto conto
della pervasività dell’industria chimica, che fornisce beni intermedi a tutti i settori dell’economia, avrà ripercussioni tanto gestionali che economiche non soltanto sulle aziende chimiche ma
anche su tutti quei settori industriali che utilizzano le sostanze chimiche.
Ancora poco definite sono le linee guida che
dovrebbero aiutare nell’implementazione del
Regolamento in maniera uniforme nei diversi
Stati Membri, poco chiare sono inoltre le politiche nazionali su come e in quale misura intervenire a supporto delle imprese italiane.
In particolare, le PMI, sicuramente le aziende che
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 2 novembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
subiranno il maggiore impatto del Regolamento,
necessiteranno di strumenti di aiuto nell’applicazione dello stesso.
In Italia il 98% del settore chimico, con più di
70,000 aziende, è composto da PMI. Esse rappresentano il 50% dell’occupazione totale, e più del
50% del fatturato totale del settore.
I mutamenti dall’introduzione del REACH
Tutte le aziende che producono e/o importano
sostanze chimiche dovranno provvedere alla
registrazione di tali sostanze instaurando un filo
diretto con l’Agenzia europea della chimica.
Dal momento dell’introduzione del Regolamento
nella normativa nazionale, inoltre, lo scenario
della Chimica Italiana subirà un rivoluzionario
cambiamento. Infatti sarà verosimile assistere
alla scomparsa di sostanze chimiche – magari di
strategica importanza - non più prodotte o
importate perché non convenienti, il che avrà
come logica conseguenza la necessaria modifica
dei sistemi di produzione o dei processi produttivi, o ancora l’indispensabile ricerca di sostituzione delle sostanze.
E’ opportuno mettere in evidenza come, il cambiamento dovuto al REACH, sia molto più radicale per una PMI (a valle della catena di approvvigionamento) che per una grande azienda, con
ogni probabilità già oggi in linea con i dettami
del Regolamento.
Interventi alle aziende
Primo passo fondamentale sarà aiutare le azien de a capire se e come verranno “toccate” dal
REACH e soprattutto i tempi che avranno a
disposizione per poter attuare quanto richiesto
da questa nuova norma. Dopo questo primo
intervento si potrà intervenire nello specifico:
• Informazione specifica e assistenza nella predisposizione dei dossier di registrazione e di
revisione degli stessi prima di sottometterli
all’Agenzia Europea, in modo che questi possano essere redatti nella maniera più corretta
e completa come richiesto dal Regolamento;
• Assistenza sulle modalità operative di costituzione e funzionamento dei Consorzi;
• Indicazione di laboratori di analisi e centri di
saggio per poter ottenere tutti i dati necessari
per la compilazione dei dossier tecnici.
• Supporto e sostegno per l’innovazione e la
ricerca (elementi fondamentali soprattutto per
la sopravvivenza delle PMI), per esempio le
aziende che dovranno sostituire sostanze pericolose con altre meno pericolose o per le
aziende che non troveranno più alcune
sostanze sul mercato europeo;
• Assistenza alle aziende che non devono registrare le sostanze chimiche ma che le utilizzano (verificare se il proprio utilizzo rientra nello
scenario definito dal proprio fornitore/importatore).
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Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008
DAGLI
ISCRITTI
Il problema energetico in Italia
di Paolo Magnani1
1
[email protected];
[email protected]
Riassunto: L’Autore presenta una
sintesi aggiornata del dibattito
sulle principali fonti energetiche.
Vengono esposti i più importanti
aspetti scientifici, senza trascurare fattori ambientali ed economici. Particolare attenzione è rivolta
ai problemi italiani, nel quadro
complessivo dell’Unione Europea
e alla luce del Protocollo di Kyoto
e delle normative internazionali.
Dal confronto ed esame delle
diverse componenti considerate,
emerge l’opzione per l’energia
nucleare come soluzione migliore
dai vari punti di vista.
Parole chiave: biomasse, biocarburanti, fotovoltaico, solare termodinamico, reattore subcritico.
Extended abstract:
Energy
sources, their exploiting and disadvantages are the object of vast
discussions. The Author presents
a synthesis of the recent debate,
focusing on scientific aspects,
and touching environmental and
economic issues. Although Italy is
the main object of attention, its
problems are shown in the global
background of the European
Union and of international regulations. The nuclear option stands
out as the best solution from
many points of view.
Key words: Biomass, biofuel, photovoltaic cell, thermodynamic
solar power plant, subcritical
reactor.
La notizia, anche se riportata sulle pagine interne del quotidiano economico italiano più stimato, è di quelle da far sobbalzare o quasi: il prezzo del petrolio, ormai in “ascesa libera” da tempo,
ha superato gli 88 dollari al barile! “Il petrolio a
100 dollari al barile? Non mi sembra una prospettiva così distante”. A pensarlo è Rajiv Kumar,
un economista-analista indiano che ha passato
la propria vita a studiare alcune delle economie
legate in maniera più stretta all’andamento del
prezzo del greggio.
La notizia a cui ho accennato sopra si inquadra
nella constatazione, amara ma consolidata da
vari anni, che la bolletta energetica italiana è
diventata la più alta fra tutti i paesi europei e
che contribuisce a strozzare in maniera determinante l’economia del nostro Paese. Un incremento annuo dell’1,5-1,9%, quale dicono le statistiche attuali, sembra a me molto modesto, quando con un costo dell’energia notevolmente più
contenuto esso sarebbe certamente molto più
alto con beneficio generale. Dalla classifica mondiale sulla competitività di Business
International e dell’Economist Intelligence Unit
emerge infatti che l’Italia è al 40° posto su 82
Paesi esaminati.
L’Italia sta quindi attraversando, dal punto di
vista dell’approvvigionamento energetico, un
periodo particolarmente delicato e difficile. Al
cittadino qualsiasi, distratto dai propri problemi
quotidiani, la cosa non può, di primo acchito,
apparire evidente. Se si osservano però con maggior attenzione articoli di giornali o riviste, o se
si è porto l’orecchio alle recenti disposizioni
governative ed alle misure del Governo stesso,
atte al risparmio di fonti petrolifere ed al progetto di utilizzazione di fonti alternative di energia,
la cosa richiama l’attenzione di tutti.
L’attuale massiccio ricorso a combustibili di origine petrolifera non può non destare preoccupazione non solo per l’alto costo che esso implica,
ma anche per una conseguenza che ormai è
accertata da tempo ed è il famoso “effetto serra”.
Esso, com’è noto, provoca un aumento progressivo della temperatura del pianeta e quindi delle
acque degli oceani, con effetti inquietanti sui
climi del pianeta e sul dissolvimento dei ghiacci
delle calotte polari. La relazione tra “effetto
serra” e variazioni climatiche è stata a lungo
discussa e lo è tuttora; resta il fatto che la distribuzione di eventi tipo piogge periodiche, uragani, siccità e desertificazione di estese aree della
Terra ha subito evoluzioni – a detta degli specialisti e meteorologi – decisamente sconcertanti.
L’”effetto serra” è dovuto a numerosi gas, ma
quello direttamente sotto accusa per il suo enorme e tuttora inarrestabile accumulo nell’atmosfera è la CO2. Superfluo dire che tutte le sostanze organiche che bruciano generano anidride
carbonica; occorre però tener conto che se si
brucia ad esempio della legna o della biomassa
vegetale, la CO2 prodotta è quella che la combustione “restituisce” dopo che i vegetali sono nati
e cresciuti fissando la CO2 nella fotosintesi; se si
brucia invece un prodotto petrolifero non c’è
questa compensazione.
L’Italia sta attualmente utilizzando nelle centrali
termoelettriche forti quantità di tali prodotti, e
punta ora ad un elevato consumo di metano,
proveniente in prevalenza da Russia, Algeria e
Libia.
Occorre qui parlare del protocollo di Kyoto.
Già dal 1992 la Convenzione-quadro delle
Nazioni Unite aveva approvato a New York il
progetto di stabilizzazione a livello planetario
della concentrazione dei gas ad effetto-serra.
Nel dicembre 1997 nasce il Protocollo di Kyoto,
che è lo strumento attuativo della Convenzione
sopra menzionata: esso impegna tutti i Paesi
industrializzati a ridurre i gas ad effetto serra, e
diventa vincolante quando viene ratificato da un
numero di Paesi pari al 55% delle emissioni. Il
Protocollo di Kyoto entra in vigore il 16 febbraio
2005. Il 30 aprile 2006 c’è la verifica sul primo
anno di funzionamento del mercato europeo, col
bilancio tra le quote di emissioni assegnate e
quelle effettivamente prodotte. C’è la possibilità
di “acquistare” quote da Paesi più virtuosi di
quanto ad essi assegnato e quindi “vendere”
quote a Paesi che sono fuori dalla quota assegnata, cioè l’hanno superata.
L’Italia è purtroppo tra le nazioni europee al di
fuori della quota assegnata, ovviamente per
averla superata. Allo stato attuale questo dato è
In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 12 dicembte 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008.
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tuttora di debito, e si prevede che – col programma del Governo (massiccio uso di metano nelle
centrali termoelettriche) – saremo ancora in
debito per chissà quanto tempo. Se l’Autorità
dell’Unione Europea preposta a far rispettare il
Protocollo di Kyoto dovesse sanzionarci per la
nostra situazione debitoria, dovremmo pagare
una multa elevatissima.
Non dimentichiamo inoltre gli effetti dell’inalazione di CO2 da parte dell’organismo umano. E’
noto che la CO2 non è velenosa ma soffocante,
e non si può vivere normalmente in ambienti
dove essa supera una certa concentrazione. Di
recente la stampa ha riportato studi medici che
mettono in relazione l’elevata concentrazione di
CO2 nell’aria respirata e le possibili crisi di panico in persone particolarmente predisposte. Il
neurologo R. Sorrentino, direttore dell’Istituto
ricerca e cura degli attacchi di panico della
Clinica Pio X di Roma, asserisce che, una volta
inalata, l’anidride carbonica stimolerebbe quei
recettori cerebrali che possono indurre in alcuni
centri nervosi uno stato di agitazione, che a sua
volta predispone all’attacco di panico. I casi
riscontrati si sono verificati in luoghi particolarmente affollati tipo i vagoni della metropolitana,
i treni di pendolari e gli autobus, ove la concentrazione di CO2 ha superato le 2500-3000 ppm.
Per quanto detto finora è chiaro che da tempo si
parla del ricorso a fonti energetiche alternative,
fonti rinnovabili (combustibili da biomasse: ad
esempio alcoli metilico ed etilico, biodiesel). E
sempre più spesso si leggono articoli e proposte
di un ritorno al nucleare. Tra le fonti alternative
è necessario citare i generatori eolici, i pannelli
solari, i pannelli fotovoltaici ed i sistemi che
sfruttano la concentrazione dei raggi solari con
generazione di vapore da collegare a impianti
turbina/alternatore per la produzione di elettricità. Non è da dimenticare inoltre l’applicazione
di moderni criteri ecologici all’edilizia, che permettono sensibili risparmi energetici; in Italia
purtroppo in questo campo siamo solo agli inizi.
I generatori eolici sono un sistema moderno,
efficace ed intelligente di produzione di energia
elettrica e sono largamente diffusi nel Nord
Europa, in Germania e in Spagna. In Italia essi
non godono di sufficiente stima per due ragioni:
la prima è legata al fattore estetico, poiché è
opinione diffusa che i “mulini a vento” siano
brutti e deturpanti. Così anche di recente una
cospicua installazione di generatori eolici in
Sardegna è stata bocciata: peccato, si è rinunciato a un bel po’ di megawatt di preziosa energia
elettrica. Qui mi viene spontaneo esprimere una
ormai diffusa opinione circa un difetto di noi
italiani (ma forse anche all’estero è un po’ così),
per cui desideriamo tante belle cose utili o
necessarie: le linee ad alta tensione, le linee ferroviarie, le centrali elettriche, i rigassificatori per
il metano, ecc. ecc. Quando però i tecnici esperti del Governo indicano i luoghi ove tali opere
devono essere installate, ecco che subito nascono le ribellioni ed i no di comuni e regioni: “non
nel mio giardino” o Nimby come si suol dire. Le
opere bloccate ammontano a decine e quindi se
per certe cose siamo carenti o arretrati non possiamo altro che recitare i “mea culpa”.
Tornando ai generatori eolici, la seconda ragione
che limita la loro diffusione è legata alla conoscenza imperfetta del regime dei venti sulla
superficie terrestre, per cui l’obiezione di coloro
che sono contrari dice: “… e se poi il vento
cessa?”. Gli esperti sanno rispondere esaurientemente a tale obiezione: se i generatori eolici
sono impiantati “off-shore”, cioè in mare, ad una
certa distanza dalla costa, le loro pale girano
praticamente di continuo. Avete mai visto in
proposito foto di generatori eolici danesi? Sono
per lo più “off-shore”.
Veniamo ai pannelli fotovoltaici: essi sono in
commercio ormai da parecchi anni, ma la loro
tecnologia di fabbricazione deve fare ancora
progressi consistenti perché diventino convenienti. In termini più espliciti, il rapporto rendimento/costo è ancora troppo modesto, a mio
avviso, perché ci si decida ad utilizzarli su larga
scala. Esistono qua e là in Italia installazioni di
dimensioni limitate e l’ENEL stesso ne possiede
alcune, ma il numero di megawatt prodotto è
ancora basso. Dal luglio scorso in Italia hanno
iniziato i lavori di costruzione 7400 impianti
fotovoltaici, per una potenza complessiva di 200
megawatt. In Germania comunque la tecnologia
di fabbricazione è migliore di quella di altre
nazioni e sui tetti tedeschi sono già presenti più
di 300.000 sistemi fotovoltaici, il 50% dei quali
posati su edifici multifamiliari, su edifici pubblici
e spazi commerciali, mentre l’altro 50% è costituito da piccoli impianti installati su residenze
private.
I pannelli solari che generano acqua calda sono
anch’essi preziosi dispositivi, che per la loro semplicità di costruzione e gestione si sono ormai
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largamente diffusi e, com’è ovvio, sono assai
convenienti; le statistiche dicono che l’aumento
delle installazioni di tali pannelli nel nostro Paese
ha toccato il 46% nel 2006.
Per quanto riguarda invece il solare termodinamico, cioè i sistemi che sfruttano la concentrazione dei raggi solari con generazione di vapore
e quindi di energia elettrica, l’Italia non ha ancora impianti di tal genere. C’è comunque un
importante progetto degli scienziati italiani
dell’ENEA (Ente per le nuove tecnologie Energia
e Ambiente) che dovrebbe realizzarsi a Priolo
Gargallo, piccolo centro in provincia di Siracusa.
Il team è guidato dal premio Nobel italiano prof.
Carlo Rubbia che, dopo un periodo di lontananza dall’Italia e di ricerca in Spagna, ha rilanciato
in Italia la sua sfida per il solare termodinamico.
Penso che sia noto il principio di questa intelligente tecnologia: impianti costituiti fondamentalmente da tantissimi specchi concavi concentrano i raggi solari in un unico recettore termico
che immagazzina energia, pronta per essere poi
sfruttata in un impianto termoelettrico o a ciclo
combinato. Il punto chiave del successo di queste tecnologie è il cosiddetto “thermal storing”, o
immagazzinamento termico: si raggiungono
temperature molto elevate poiché l’energia catturata dagli specchi parabolici ed immagazzinata da un fluido salino subisce una densità di concentrazione dell’energia solare molto alta. Il
calore ad alta temperatura prodotto viene accumulato in un contenitore di dimensioni tali da
produrre energia in funzione della domanda, evitando l’eventuale discontinuità di energie rinnovabili (es. fotovoltaico od eolico).
Veniamo ora ai combustibili da biomasse: quantità sempre maggiori di quest’ultime vengono
ormai prodotte un po’ ovunque, soprattutto per
ottenere, mediante processi fermentativi, alcoli
metilico ed etilico e, mediante trans-esterificazione di oli vegetali, il cosiddetto biodiesel. Dei
primi è soprattutto l’etanolo che interessa nel
campo dell’autotrazione. Esso è generalmente
miscelato al 5-10% con benzina normale, ma in
Brasile, che vanta coltivazioni vastissime di mais
per la produzione di bioetanolo, esiste già da
tempo un numero non elevato di auto funzionanti ad etanolo puro. Si tratterà probabilmente
di motori con rapporti di compressione molto
elevati, perché l’etanolo è una molecola che ha
fortunatamente un potere antidetonante molto
alto.
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Analogamente, per ottenere biodiesel da oli
vegetali in quantità industrialmente interessanti
occorrerebbero grandi piantagioni di colza, girasole, ecc., per cui al momento attuale, essendo la
quantità di biodiesel prodotta in Italia relativamente modesta, tale prodotto è più costoso del
normale gasolio ed è tuttora sottoposto a pesante imposizione fiscale. Esattamente solo 40.000
tonnellate è la quantità di biodiesel che in Italia
è finita miscelata al diesel nei primi sette mesi
dell’anno. Zero, com’è ovvio, la quota di bioetanolo nella benzina. Le previsioni iniziali (non
rispettate quindi) indicavano in 400.000 tonnellate la produzione per il 2007 che, per legge,
sarebbero dovute essere obbligatoriamente
miscelate a gasolio diesel e benzina. Entro il
2010, secondo il Protocollo di Kyoto la percentuale dovrebbe salire al 5,75%. Il ritardo sarebbe
da imputare ai decreti attuativi che devono
avere l’approvazione del Consiglio di Stato.
Nel lodevole intento di limitare il consumo di
prodotti petroliferi per usare quelli sopra descritti, c’è da immaginare che i Paesi – Italia compresa naturalmente – che vorranno produrre notevoli quantità di bioetanolo e biodiesel dovranno
destinare aree vastissime del territorio alle colture vegetali che poi daranno origine alle biomasse e successivamente a tali prodotti. Col rischio
di interferire anche pesantemente con le colture
agricole tradizionali, alle quali ovviamente non si
può rinunciare; si dovrà poi tener conto dei
tempi tecnici per realizzare le colture vegetali in
questione e del costo degli impianti per ottenere bioetanolo, metanolo e biodiesel.
Un esperto di queste problematiche, L. Maugeri,
afferma che “occorreranno enormi superfici coltivate per ottenere volumi assai ridotti di biocarburanti”; ed afferma più oltre che se, per ipotesi,
si destinassero alla coltivazione della colza tutti i
13 milioni di ettari di terreno coltivabile italiano
per ottenere olio di colza e quindi biodiesel, si
potrebbe sostituire circa il 15% del gasolio usato
in Italia. In sostanza una terribile devastazione di
un territorio (con lo sradicamento di colture storiche quali ulivi, vigneti, ecc.) per un risultato
molto modesto. Sorvoliamo, per ragioni di spazio, su molti altri aspetti, come per esempio il
banale errore di equiparare il litro di benzina a
quello di bioetanolo. Quest’ultimo costerebbe
più della benzina con un minor potere calorifico,
che si tradurrebbe in 30-40% in meno di energia
rispetto alla benzina a parità di volume; quindi
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con un litro di bioetanolo si percorrono molti km.
in meno.
Ultimo e non indifferente aspetto negativo di
queste coltivazioni intensive ed estensive di biomasse per biocarburanti è che esse richiedono
acqua, tantissima acqua, ed è quanto meno singolare che nessuno si preoccupi di questo, quando la stessa ONU classifica il problema idrico
come il più critico del nostro secolo.
Veniamo ora all’ultimo argomento, ma non per
questo meno importante degli altri già trattati:
la produzione di energia con reattori nucleari.
L’abbandono del nucleare con il referendum del
1987 è stato – a mio avviso – una delle scelte in
campo energetico più errate, gravi ed incomprensibili, ed è anche il motivo fondamentale per
cui l’Italia si trova nella penosa situazione attuale, nella quale occorre comprare la maggior
quantità di energia da fornitori esteri, o direttamente come energia elettrica o come combustibili tipo petrolio o gas naturale. L’abbandono del
nucleare (e quel che è peggio la dismissione di
centrali come ad esempio quella di Caorso che
con poche centinaia di milioni di lire avrebbe
potuto ripartire) è stato generato da una reazione generale di paura e fuga in seguito all’incidente di Cernobyl. Esso fu indubbiamente molto
grave, ma occorre tener presente da una parte la
tecnologia del tutto obsoleta del reattore di tipo
RBMK, il cui nocciolo fuse con le disastrose conseguenze ben note; e dall’altra il progresso tecnologico dei reattori attuali, arrivati ormai alla
quarta generazione e quindi intrinsecamente
sicuri. Mentre in tutto il mondo si riparte con la
fabbricazione di centrali nucleari, nel nostro
Paese regna un clima per lo più di opposizione
che, a voler ragionare serenamente e senza pregiudizi, non si riesce a comprendere pienamente.
Il nemico numero 1, com’è noto, è l’attuale
Ministro dell’Ambiente che ha formulato da
tempo l’equazione: centrale nucleare = reattori
di Cernobyl e quindi certezza di morire prima o
poi per incidente nucleare. Ma non mancano
altri oppositori che con una certa regolarità
intervengono su giornali e riviste e, con una
sicurezza che molto spesso tradisce la loro totale incompetenza tecnico-scientifica, sparano
addosso al nucleare con le argomentazioni più
strane, meno logiche, più prive di ogni fondamento razionale. Cito una recente lettera al
Direttore del Corriere della Sera: chi scrive parla
con un piglio di sicurezza che quasi intimorisce.
Dice questo “esperto” che le centrali nucleari
sono di due tipi: il primo è quello delle centrali
tradizionali a fissione che producono plutonio
(sempre?!) e che quindi sono in mano a Stati che
vogliono produrre bombe termonucleari: a parte
il fatto che la resa energetica di tali centrali è
notoriamente assai bassa (sic!). Il secondo tipo è
quello delle centrali con reattori a fusione
nucleare funzionanti a isotopi d’idrogeno,
abbondantissimi in natura (e quindi assai economici, dovremmo dedurre…). Non aggiungo altro:
forse quel tale ha raggiunto lo scopo di ottenere
un reattore a fusione nucleare stabile (realizzato
nella sua cantina?) mentre decine di fisici atomici in tutto il mondo stanno provando e riprovando con apparecchiature molto complesse e
costose (reattori TOKAMAK o ITER); ma di produzione stabile di energia da fusione nucleare per
ora non se ne parla.
Tornando al problema delle centrali nucleari, gli
oppositori del nucleare fondano la parte più persuasiva del loro discorso sulla questione dello
smaltimento delle scorie nucleari, affermando o
che non esistono possibilità di metterle al sicuro
o che la radioattività residua che contengono
non è ulteriormente sfruttabile. Tali argomenti
possono essere oggi confutati entrambi, sia per
l’esistenza di tecnologie inglesi e francesi molto
avanzate nel trattamento delle scorie, sia per la
possibile applicazione del cosiddetto “reattore
nucleare subcritico” o “amplificatore d’energia”
proposto dal prof. Carlo Rubbia. Quest’ultimo
impianto ideato dal nostro illustre scienziato
permetterebbe di trattare in un particolare reattore le scorie nucleari, ottenendo energia e riducendo notevolmente la “vita radioattiva” delle
scorie medesime. Ricordiamo ancora che l’Italia
avrebbe un ottimo sito di stoccaggio delle scorie
radioattive: il sito di Scansano Jonico, dove le
scorie potrebbero giacere in profondità
all’asciutto e al sicuro. Ma sappiamo cosa ne
pensano gli abitanti di tale sito.
Un’altra obiezione al nucleare, questa sì inconfutabile, riguarda il costo molto elevato degli
impianti e dell’uranio necessario a farli funzionare. Immaginiamo però di calcolare il costo
della produzione delle energie alternative: fotovoltaico, eolico, da biomasse, termodinamico,
nonché quello relativo all’acquisto del gas metano, e la realizzazione degli impianti del cosiddetto “carbone pulito” (quest’ultimo prevederebbe
la separazione, la cattura, la liquefazione della
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CO2 prodotta e il suo confinamento in giacimenti petroliferi pressoché esauriti o addirittura
sul fondo del mare: un insieme di procedimenti
ancora allo stato di studio ma certamente costosissimi). Immaginiamo di sommare tutti questi
costi: probabilmente la cifra finale supererebbe il
costo di dieci centrali nucleari da 1500-2000
megawatt; o no?
Riassumendo:
Ritornare, il più velocemente possibile, al nucleare permetterebbe la realizzazione dell’energia la
più pulita tra tutte, che consentirebbe all’Italia
non solo di sfuggire alle conseguenze delle crisi
politiche dei Paesi produttori di petrolio e derivati ed ai loro ricatti, ma anche di ridurre progressivamente il debito nei riguardi del protocollo di Kyoto, con la soddisfazione di respirare
un’aria incomparabilmente più pulita e sana e la
convinzione di non dare contributo a mutazioni
e sconvolgimenti climatici che, come sembra
ormai molto probabile, sono direttamente legati
all’”effetto serra”.
Un’ultima considerazione, da sottoporre anche
ai politici che ci governano: rammentiamo che
Francia, Austria, Svizzera e Slovenia ci vendono
energia elettrica non solo e non tanto perché
indubbiamente gliela paghiamo bene, ma
soprattutto perché ne hanno in surplus. Che cosa
accadrebbe se tale situazione cessasse (e non è
per nulla illogico o impossibile pensarlo)?
Quanto tempo di preavviso ci darebbero tali
Paesi prima di “chiudere i rubinetti”?
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ELENCO delle COMMISSIONI
CONSILIARI 2005-2010
1) Deontologia, magistratura, ordinamento professionale
(Zingales - Tau)
2) Formazione e aggiornamento professionale (Maurizi Carnini - Riccio)
3) Organizzazione Convegni, Congressi, incontri con gli
Ordini e C.N.C. (Occhipinti - De Pace - Maurizi - Ribezzo Scanavini)
4) Parlamento, leggi e Commissioni Parlamentari (Zingales Bresciani - Maurizi - Mencarelli - Munari - Ribezzo)
5) Pari opportunità (Biancardi - Occhipinti)
6) Rapporti con Enti ed Istituzioni (Zingales - Calabrese Facchetti - Mencarelli - Tau)
7) Scuola, Università e Ricerca (Zingales - Facchetti - Riccio Scanavini - Tau)
8) Stampa, informazione e comunicazione (Ribezzo Biancardi - Bresciani - Carnini - De Pace)
9) Studi e pareri, relazioni internazionali e attività preparatoria e di approfondimento (Facchetti - Munari - Carnini)
N.B. I nomi sottolineati riportano i Consiglieri Coordinatori della Commissione
www.chimici.it