il chimico - Consiglio Nazionale dei Chimici
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IL CHIMICO Periodico di Informazione dei Chimici Italiani www.chimici.it ITALIANO POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA 2 DCB – ROMA Anno XIX n. 1-2008 UNITÀ ECONOMICA E MORALE DELL’APPARTENENZA ALL’E.P.A.P. I CHIMICI E LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA IL PAESE DEGLI ESAMI NORMALI I MERCOLEDÌ DELLA CHIMICA 2° EuCheMS CHEMISTRY CONGRESS COMITATO PROMOTORE PER LA PRESENTAZIONE DELLA Proposta di Legge di Iniziativa Popolare “RIFORMA DELL’ORDINAMENTO DELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI” (G.U. n° 68 del 22 marzo 2007) Ai Sigg. Presidenti dei Consigli Nazionali aderenti al CUP Ai Sigg. Componenti Segreteria Conferenza CUP Nazionale - Cup Territoriali Forum delle Professioni Intellettuali Coordinamento di CUP del Nord Italia- Padova Ai Sigg. Presidenti dei CUP e delle Consulte degli Ordini Territoriali Ai Sigg. Referenti Regionali Ai Sigg. Referenti Provinciali Ai Sigg. Presidenti degli Ordini e Collegi Regionali e Provinciali LORO SEDI Roma, 12 febbraio 2008 Rif. P/C1/637 OGGETTO: Iter parlamentare della proposta di legge di iniziativa popolare: “Riforma dell’ordinamento delle professioni intellettuali” (AC 3277/2007). Con riferimento ai numerosi quesiti prevenuti, riguardanti l’iter parlamentare della proposta di legge di iniziativa popolare in oggetto si comunica quanto segue. Si osserva preliminarmente che l’iter parlamentare di detta proposta di legge è stato interrotto dall’anticipata conclusione della XV legislatura, quando la proposta di legge risultava già assegnata alle Commissioni riunite della Camera dei Deputati II (Giustizia) e X (Attività produttive, commercio e turismo). La fattispecie rientra, pertanto, nelle previsioni di cui al punto 4 dell’articolo 107 del Regolamento della Camera dei Deputati, che, a proposito dei percorsi parlamentari delle proposte di legge di iniziativa popolare non conclusi, recita testualmente: “Per i progetti di legge di iniziativa popolare non è necessaria la presentazione prevista nel comma 1 ... i progetti stessi sono nuovamente deferiti alle Commissioni competenti in materia, secondo la procedura ordinaria”. La norma citata è più chiaramente esplicitata al punto 11 degli “Adempimenti relativi all’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare” , editi dall’Ufficio Testi Normativi della Camera dei Deputati, che così recita: “Le proposte di iniziativa popolare, il cui iter parlamentare non si sia concluso nella legislatura in cui sono state presentate, sono matenute all’ordine del giorno della Camera anche nella legislatura successiva, senza che ne sia necessaria la ripresentazione..” Questo comitato promotore nazionale, considerato che l’iter parlamentare della proposta di legge in oggetto dovrà essere ripreso nella prossima legislatura, assicura il sostegno di ogni utile iniziativa destinata a promuovere, di concerto con il CUP, la riforma delle professiioni, secondo i principi, ulteriormente migliorabili, espressi nel progeto di legge di iniziativa popolare, come condivisi e sottoscritti da cittadini e professionisti. Già pensate, al momento, azioni di sensibilizzazione e di informazione nei confronti degli esponenti dei vari schieramenti politici impegnati nella prossima campagna elettorale. Con i migliori auguri di buon lavoro, invio a tutti cordiali saluti. IL COORDINATORE DEL COMITATO PROMOTORE NAZIONALE geol. Pietro Antonio De Paola Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 Bimestrale di informazioni professionali, tecniche, giuridiche ed economiche dei Chimici d’Italia In copertina: Scorcio del mosaico della cappella personale del Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik SOMMARIO n. 1 Spedizione in Abb. postale Art. 2, comma 20/C - legge 662/96 Filiale di Roma Editore CONSIGLIO NAZIONALE DEI CHIMICI Direzione, redazione e amministrazione P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma Tel. 06.47883819 - Fax 06.47885904 E-mail: [email protected] Web: www.chimici.it Direttore responsabile ARMANDO ZINGALES Direttore editoriale ANTONIO RIBEZZO Revisori delle bozze ANTONIO DE PACE - CARLO BRESCIANI DANIELA BIANCARDI - SERGIO CARNINI Redazione DANIELA BIANCARDI - CARLO BRESCIANI ELIO CALABRESE - SERGIO CARNINI ANTONIO DE PACE - SERGIO FACCHETTI FERNANDO MAURIZI - DOMENICO MENCARELLI TOMASO MUNARI - CARMELA OCCHIPINTI ANTONIO RIBEZZO - GIUSEPPE RICCIO LUCA SCANAVINI - FRANCO TAU ARMANDO ZINGALES In copertina: Scorcio del mosaico della cappella personale del Papa in Vaticano di Padre M.I. Rupnik “Gli articoli e le note firmate esprimono soltanto l’opinione dell’Autore e non impegnano il Consiglio Nazionale dei Chimici né il Comitato di Redazione (CdR). L’accettazione per la stampa dei contributi originali di interesse scientifico e professionale nel campo della chimica è subordinato all’approvazione del CdR, previa revisione di tre Referee, scelti dal CdR tra gli esperti del settore. Quanto pubblicato nel Bollettino raccoglie gli atti ufficiali del Consiglio Nazionale dei Chimici”. • EDITORIALE Unità economica e morale dell’appartenenza all’E.P.A.P. 3 • DAL CNC Pareri del Consiglio Nazionale dei Chimici Attività 2007 5 6 • DAGLI ORDINI I Mercoledì della Chimica 10 • DAGLI ISCRITTI Il paese degli esami normali 11 Attività pericolose, rischio consentito e norme cautelari, criteri di valutazione della colpa Alla scoperta dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Visibilità della Professione del Chimico Sofisticazioni nel tempo dei cereali Proprietà chimico fisiche e rischio Accorato ricordo di un amico e collega Il nuovo Regolamento Europeo sulla Chimica: REACH Il problema energetico in Italia 13 14 18 19 24 27 28 30 • DALL’EUROPA EuCheMS Newsletter 35 Coordinamento editoriale e stampa Mailing Service s.r.l. Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 0032 del 18 gennaio 1990 ASSOCIATO ALL’USPI UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA Ai sensi dell’art. 10 della Legge n. 675/1996 e s.m.i., informiamo i lettori che i loro dati sono conservati nel nostro archivio informatico e saranno utilizzati da questa redazione e da enti e società esterne collegate solo per l’invio della rivista “IL CHIMICO ITALIANO” e di materiale promozionale relativo alla professione di chimico. Informiamo inoltre che, ai sensi dell’art. 13 della succitata Legge, i destinatari di “IL CHIMICO ITALIANO” hanno la facoltà di chiedere, oltre che l’aggiornamento dei propri dati, la cancellazione del proprio nominativo dall’elenco in nostro possesso, mediante comunicazione scritta a “IL CHIMICO ITALIANO” c/o Consiglio Nazionale dei Chimici - P.zza S. Bernardo, 106 - 00187 Roma. 1 Il Chimico • n. 1 gen/feb 2007 EDITORIALE UNITA’ ECONOMICA e MORALE dell’appartenenza all’E.P.A.P. di Antonio Ribezzo L’impegno dell’Ente di Previdenza cui aderiscono i Chimici, oltre che orientato all’incremento del patrimonio e, di riflesso, dei montanti dei propri iscritti, è tutto teso alla sensibilizzazione del mondo politico per la risoluzione di alcune problematiche che sono di ostacolo o che, quantomeno, creano disparità fra le categorie. Il nostro è un sistema che è stato privatizzato e strutturato affinché funzioni in modo autonomo. Chi attacca tale autonomia cerca nel contempo di indebolire, oltre che le Casse, anche le professioni aderenti. Riteniamo infatti che un eventuale accorpamento di Ordini sarebbe deleterio per le Casse e viceversa. Occorre allora mettere in atto una politica di difesa che normativamente metta al riparo i trattamenti assistenziali e pensionistici degli iscritti. A tale scopo crediamo che prioritariamente si debbano eliminare le distorsioni esistenti nell’attuale sistema come la doppia tassazione cercando anche di liberalizzare il contributo del 2% sulle parcelle. Dobbiamo a tal proposito ricordare a tutti gli iscritti che, ad esempio, un pensionato iscritto a forma previdenziale obbligatoria pubblica come l’Inps, subisce una sola tassazione: quella relativa alla prestazione pensionistica. Egli paga il 26,6% di imposta senza alcun onere per l’Inps. Il libero professionista iscritto obbligatoriamente alla propria Cassa versa la stessa imposta diretta ma in aggiunta ad essa subisce un ulteriore prelievo di circa il 12,50% sui redditi che l’Epap produce per l’aver investito, e quindi prodotto un utile, un rendimento a favore dell’iscritto. Viene così ad aversi un evidente disparità di trattamento fra lavoratori/professionisti se dipendenti oppure liberi professionisti. Nel primo caso viene versata un’imposta del 26,6%, nel secondo del 39,1%!!! Ciò accade, purtroppo, legalmente in forza della legge vigente in base alla quale ogni anno lo Stato preleva centinaia di milioni di Euro dai risparmi previdenziali. In tal modo si incide sulla buona gestione e sull’incremento patrimoniale ottenuto con un grande impegno di tutti coloro, chimici compresi, eletti negli organi dell’Epap. Occorre che sia posta la parola fine a tale prelievo che potrebbe andare invece ad incrementare i montanti e quindi la futura pensione. Appare evidente, a tale proposito, che chi amministra è di fatto ostacolato dal perseguire l’obbiettivo della sostenibilità finanziaria in un sistema che non solo non ha aiuti Statali ma addirittura subisce un prelievo forzoso annuale dallo stesso. Anche la richiesta tendente a liberalizzare il contributo del 2% sulle parcelle, come accade in altri Enti Previdenziali pre-103, mira ad eliminare differenze, questa volta, fra liberi professionisti di laurea diversa. Se le azioni intraprese porteranno, come è sperabile, buoni frutti, ciascun Ente, nella su autonomia, sarà legittimato a dare corso alla eventuale variazione del contributo percentuale anzidetto. Per quanto riguarda l’attuale prelievo del 12,50% dai redditi previdenziali prima riportato, riteniamo debba essere ridotto all’11% al fine di uniformarlo a quello dei fondi pensione. A tale scopo occorre sensibilizzare il 3 Il Chimico • n. 1 gen/feb 2007 EDITORIALE Legislatore affinchè, nell’intervento sulla riforma delle Professioni in itinere, tenga nel giusto conto il profilo previdenziale interloquendo sia con il nostro Ente Previdenziale che con altrui Enti al fine di non destabilizzare gli equilibri finanziari del sistema. Riteniamo importante ribadire che l’autonomia di gestione è necessaria sia nella Previdenza Obbligatoria di base, sia a quella Complementare alla quale ognuno può liberamente aderire per integrare il trattamento pensionistico ed a quella Integrativa sanitaria e di aiuto all’apertura dello studio professionale per i giovani laureati. In tutto ciò, nell’aumentare i montanti degli iscritti, l’Ente Previdenziale perse- gue anche l’obiettivo di fondo di avvicinare il Collega affinché, iscrivendosi immediatamente alla Cassa, possa fruire di un giusto aiuto proprio in una fase cruciale: l’inizio dell’attività professionale. Venendo incontro al giovane Collega mediante un insieme di prestazioni di cui tutti possono beneficiare, si protegge indirettamente la professione medesima, si incrementa la solidarietà fra gli iscritti, si contribuisce alla costituzione di quella unità di idee e di appartenenza che favoriscono l’unità della categoria che per questo beneficerà oltre che dell’unità economica, anche di quella morale ed etica. Cravatte e sciarpe del “Chimico” Sono disponibili le cravatte e le sciarpe in seta con la tavola periodica degli elementi. Per effettuare gli ordini inviare una e.mail a: [email protected] I colori disponibili sono pubblicati sul sito www.chimici.it 4 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAL CNC Pareri del Consiglio Nazionale dei Chimici In merito al rilascio dell’attestato di certificazione energetica Prot.: 18/08/cnc/fta Roma, 14 gennaio 2008 Oggetto: Parere Consiglio Nazionale dei Chimici. Il Consiglio Nazionale dei Chimici VISTO il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 ottobre 2007: “Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’articolo 1, comma 349, della legge 27 Dicembre 2006, n.269; VISTO l’Ordinamento della professione di Chimico; CONSIDERATO che le prestazioni professionali richieste per il rilascio di un “attestato di certificazione energetica” (poi certificato) relativo all’edificio o unità mobiliare rientrano pienamente nelle competenze professionali del chimico, e formano oggetto di accertamento nell’esame di abilitazione professionale; ESPRIME PARERE CHE i professionisti chimici regolarmente iscritti all’Albo siano leggittimati a rilasciare l’attestato di certificazione energetica degli edifici ai sensi del D. M. 19 febbraio 2007. I Consigli degli Ordini territoriali nell’ambito delle proprie competenze vigileranno sulla corretta applicazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche della suddetta normativa. Prot.: 66/08/cnc/fta Roma, 2 febbraio 2008 Oggetto: Parere Consiglio Nazionale dei Chimici – precisazione. Con riferimento al parere rilasciato il 14 gennaio 2008, Prot. 18/08/cnc/fta avente come oggetto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 ottobre 2007: “Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’articolo 1, comma 349, della legge 27 dicembre 2006, n. 296” questo Consiglio Nazionale precisa che: Come puntualmente rilevato dal Presidente dell’Ordine dei Chimici della Lombardia, il professionista laureato in Chimica o Chimica Industriale ed iscritto all’Ordine è tecnico abilitato alla firma delle certificazioni e delle asseverazioni previste dal DM 19 febbraio 2007, articolo 4 comma 1, lett. a), recante procedure per l’accesso agli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio. Quanto sopra, per rilevare che il chimico può “certificare” ed altresì “asseverare” in termini energetici. I Consigli degli Ordini territoriali nell’ambito delle proprie competenze vigileranno sulla corretta applicazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche della suddetta normativa. Certificazione Energetica D.G.R. Lombardia n.8/5018 del 26.06.07 Decidendo circa i soggetti certificatori che possono professionalmente intervenire sulle determinazioni inerenti la certificazione energetica degli edifici1, la Regione Lombardia ha individuato, fra gli alti, i CHIMICI Specialisti iscritti all’Albo Professionale idonei per la certificazione medesima. Si tratta di una scelta che permette alle sole persone fisiche di essere accreditati al calcolo e classificazione della classe energetica a cui l’edificio appartiene. In attuazione del D.L. n.192/2005 e 24/2006 1 5 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAL CNC Attività 2007 Riportiamo di seguito una breve sintesi sugli argomenti che il CNC ha seguito in modo particolare intervenendo anche direttamente nelle sedi delle decisioni, nelle sedi propositive e di confronto. RIFORMA DELLE PROFESSIONI L’iter parlamentare della proposta di legge di iniziativa poolare: “Riforma dell’ordinamento delle professioni intellettuali” (AC 3277/2007) è stato interrotto dall’anticipata conclusione della XV legislatura, quando la proposta di legge risultava già assegnata alle Commissioni riunite della Camera dei Deputati II (Giustizia) e X (Attività Produttive, Commercio e turismo). La fattispecie rientra, pertanto, nelle previsioni di cui al punto 4 dell’art. 107 del Regolamento della Camera dei Deputati che, a proposito dei percorsi parlamentari delle proposte dil egge di iniziativa popolare, recita testualmente: “Per i progetti di legge di iniziativa popolare non è necessaria la presentazione prevista nel comma 1 ..… i progetti stessi sono nuovamente deferiti alle Commissioni competenti in materia, secondo la procedura ordinaria”. La norma citata è più chiaramente esplicitata al punto 11 degli “Adempimenti relativi all’esercizio dell’iniziativa popolare”, editi dall’Ufficio Testi Normativi della Camera dei Deputati, che così recita: “Le proposte di iniziativa popolare il cui iter parlamentare non sia concluso nella legislatura in cui sono state presentate, sono mantenute all’ordine del giorno della Camera anche nella legislatura successiva, senza che ne sia necessaria la ripresentazione”. L’iter parlamentare della proposta di legge in questione dovrà essere pertanto ripreso nella prossima legislatura. DIRETTIVA QUALIFICHE PROFESSIONALI Sul Suppl. Ord. n. 228 alla G.U. n. 261 del 9.11.2007 è stato pubblicato il Decreto Leg.vo 9.11.2007, n. 206, recante “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali”. Il provvedimento disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali per l’accesso alle professioni regolamentate ed il loro esercizio nell’ambito dell’UE. Il decreto in questione si applica ai cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati, autonomi o liberi professionisti, 6 una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione. La Direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali disciplina in maniera specifica il regime di “prestazione temporanea” e dello “stabilimento”. Nel primo caso l’esercizio della prestazione è disciplinato dalle norme professionali del Paese in cui viene resa la prestazione. In conformità con la Direttiva Comunitaria il D.Lgs. 206/2007 prevede che si abbia una prestazione temporanea solo nel caso in cui il professionista comunitario si sposti nel nostro Paese per esercitare “in modo temporaneo ed occasionale” la professione per la quale è abilitato nel Paese d’origine. Nel caso di “stabilimento” il regime implica lo spostamento del professionista da un Paese all’altro con il conseguente interesse dello stesso a iscriversi nell’Albo locale ed esercitare con il titolo del Paese ospitante. Il riconoscimento delle qualifiche professionali presuppone il confronto fra i livelli di formazione richiesti per accedere alla professione regolamentata nel Paese di origine e nel Paese di destinazione e può essere subordinato al compimento di un tirocinio di adattamento o di una prova attitudinale. Il testo è stato oggetto di forti critiche da parte degli Ordini, in particolare si teme che con il recepimento della Direttiva 36/2005CE che riconosce le qualifiche professionali in realtà si miri all’obiettivo sostanziale di “riconoscere” in modo surrettizio tutte le Associazioni attualmente non riconosciute. Il testo finale non prevede la possibilità per le Associazioni di rilasciare “Attestati di Competenza”, ma consente alle stesse di partecipare ai tavoli di negoziazione UE. Le Associazioni dovranno comunque avere un’organizzazione ramificata a livello nazionale e assicurare l’affidabilità degli iscritti, con il rispetto di un codice deontologico e con l’obbligo di formazione continua. Il Decreto Legislativo demanda ai Ministeri competenti l’emanazione di regolamenti volti a disciplinare le procedure necessarie per assicurare lo svolgimento, la conclusione, l’esecuzione e la valutazione delle misure compensative. Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAL CNC Inoltre, gli stessi Ministeri dovranno emanare, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del D.Lgs 206/2007, regolamenti disciplinanti le modalità per porre a carico dei soggetti che richiedono il riconoscimento delle qualifiche gli oneri aggiuntivi derivanti dall’applicazione di misure compensative. INTERVENTI A DIFESA DELLA PROFESSIONE Continua l’impegno profuso dal Consiglio Nazionale dei Chimici a tutela della professione. - Il Consiglio si è costituito con atto di intervento “ad adiuvandum” innanzi al TAR Lazio nel giudizio promosso dall’Ordine Interprovinciale dei Chimici della Sicilia per l’annullamento del decreto assessoriale delle Regione Sicilia del 27 marzo 2007, recante requisiti minimi e criteri per il riconoscimento dei laboratori che effettuano analisi per le industrie alimentari ai fini dell’autocontrollo ed istituzione del relativo elenco regionale; nonché dell’accordo tra il Ministero della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano recante requisiti minimi e criteri per il riconoscimento dei laboratori di analisi non annessi alle industrie alimentari ai fini dell’autocontrollo. - Il Consiglio Nazionale dei Chimici ha promosso ricorso dinanzi al TAR del Lazio avverso il decreto 3 agosto 2007 “Riconoscimento dell’idoneità di altre lauree ai fini dello svolgimento dell’attività di informatore scientifico” pubblicato nella G.U. n. 198 del 27 agosto 2007. Il Tribunale con Ordinanza del 13 febbraio 2007 ha accolto la domanda cautelare proposta dal Consiglio ed ha disposto il riesame da parte della Pubblica Amministrazione del decreto ministeriale stesso. - Di notevole rilievo per la tutela della professione è stato l’intervento del Consiglio in materia di certificazione energetica degli edifici, in particolare con delibera del 4 e 5 maggio 2007 il Consiglio Nazionale dei Chimici ha espresso parere che l’iscrizione nell’Albo dei Chimici costituisce requisito tecnico-professionale valido e sufficiente per il rilascio dell’attestato di certificazione energetica delle raccomandazioni per il miglioramento della prestazione energetica degli edifici. Successivamente il Consiglio ha promosso Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica per l’annullamento, nella parte in cui esclude i Chimici dal novero dei “tecnici abilitati”, del comma 6 art. 1 del Decreto Ministeriale 19 febbraio 2007, n. 47, del Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico, avente ad oggetto: “Disposizioni in materia di detrazione per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’art. 1, comma 349, della L. 27 dicembre 2006, n. 296”. Contestualmente la Regione Lombardia, ha emanato una deliberazione (D.G.R. 26 giugno 2007, n. 8/5018) che prevede espressamente la possibilità per i laureati in chimica iscritti all’Ordine di essere accreditati come “soggetti certificatori”. Da ultimo la materia è stata oggetto di un nuovo intervento normativo, in particolare il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 ottobre 2007:“Disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’art. 1, comma 349, della legge 27 dicembre 2006, n. 296” (pubblicato nella G.U. 31 gennaio 2007, n. 302), espressamente prevede che: “Nell’art. 1, comma 6, del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico 19 febbraio 2007, (omissis)…le parole: iscritti “agli ordini professionali degli ingegneri o degli architetti, ovvero, ai collegi professionali dei geometri o dei periti industriali» sono sostituite dalle seguenti: iscritti «agli specifici ordini e collegi professionali.». In virtù di tale modifica il Consiglio Nazionale dei Chimici con delibera trasmessa a tutti gli Ordini ha rilevato che il professionista laureato in Chimica o Chimica industriale ed iscritto all’Ordine è tecnico abilitato a “Certificare” ed “Asseverare” in termini energetici, ed ha invitato i Consigli degli Ordini territoriali, nell’ambito delle proprie competenze, a vigilare sulla corretta applicazione da parte delle Amministrazioni Pubbliche della suddetta normativa. - Il Consiglio, infine, è intervenuto a tutela della professione emanando un comunicato stampa avente ad oggetto lo “Schema di decreto Legislativo di attuazione della delega di cui all’articolo 4 della legge 1° febbraio 2006, n. 43 e successive modificazioni, per l’istituzione degli Ordini e Albi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione”, In particolare il Presidente del Consiglio Nazionale dei Chimici, prof. Zingales ha sottoli- 7 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAL CNC neato come, con il provvedimento in questione, il Ministro della Salute On. Livia Turco ha di fatto “scippato” ai chimici le attività a Loro riservate, ed ha affermato che: “Quello in esame è un provvedimento atteso e necessario, ma è inaudito che l’estensore del Testo abbia pensato di istituire delle attività riservate in esclusiva per gli iscritti ai nuovi Albi dimenticando di verificare se fossero già oggetto (o riserva) di professioni esistenti. In particolare non è possibile sottrarre ai Chimici le loro competenze in materia di analisi chimico-cliniche e di sicurezza ed igiene del lavoro”. Il Presidente del Consiglio Nazionale dei Chimici ha altresì affermato che nel caso in cui il Testo non venisse emendato, salvaguardando le competenze delle professioni esistenti, dovrà essere impugnato, con grave danno delle nuove professioni sanitarie che, certamente, hanno il diritto di vedere finalmente concluso il faticoso iter per l’istituzione dei loro Ordini. EuCheMS Il processo di trasformazione della Federazione Europea delle Società Chimiche (FECS) in Associazione Europea per le Scienze Chimiche e Molecolari (EuCheMS) iniziato a Rimini nel 2000 ha visto positiva conclusione nel corso del 2006. Il nuovo stato legale dell’EuCheMS, in qualità di Associazione internazionale senza fini di lucro, è stato pubblicato nel marzo 2006 sulla Gazzetta Reale Belga ed i componenti del Comitato Esecutivo sono divenuti così “EuCheMS Board”. Ben 50 società scientifiche, tecniche e istituzioni professionali, Consiglio Nazionale dei Chimici compreso, appartenenti a 36 Paesi europei sono attualmente membri dell’EuCheMS che possono avvalersi dell’esperienza di 150.000 chimici. L’attività scientifica trova sostegno in quella delle 13 Divisioni o Gruppi di lavoro che, oltre ad approfondire i temi e problematiche specifiche, intendono promuovere collaborazioni con altre organizzazioni europee e internazionali. Di rilevanza mondiale è stato il 1° Congresso tenutosi a Budapest nell’agosto 2006 con la partecipazione di oltre 2300 chimici e 5 premi Nobel. Il secondo congresso europeo di chimica avrà luogo a Torino dal 16 al 22 settembre 2008, il terzo Congresso in Germania nel 2010. Venendo in via specifica al ruolo del Consiglio Nazionale dei Chimici, l’azione costantemente svolta dal Consiglio si è tradotta nei seguenti riconosci- 8 menti: attribuzione del titolo di Membro Fondatore con diritto di partecipare alle Assemblee Generali con potere decisionale; presenza di un rappresentante nel Comitato Esecutivo e nell’EuCheMS Board; presidenza dello Standing Committee ProChem; appartenenza al comitato organizzatore del 2° Congresso Europeo di chimica a Torino nel 2008; partecipazione di suoi rappresentanti nelle Divisioni di Chimica Analitica e di Chimica e l’Ambiente e nei Gruppi di Lavoro sulla Chimica Inorganica e sulla Chimica e Energia. Infine un rappresentante del Consiglio Nazionale dei Chimici è membro dell’European Committee Registration Board (ECRB) per il conferimento del titolo di Chimico Europeo (EurChem). Tra le diverse attività guidate dal Consiglio Nazionale dei Chimici vale sottolineare per l’appunto il tentativo di rilancio del titolo di EurChem istituito nel 1992 dalla ECCC ed ora poco ambito in alcuni Stati europei. Il titolo è analogo a quello conferito da altre istituzioni professionali: gli ingegneri in primo luogo, i geologi, i fisici, i biologi. Il titolo di chimico Europeo intende riconoscere competenze professionali in chimica che corrispondano a requisiti tipo validi nei Paesi europei che aderiscono all’iniziativa. Esso può essere conferito solo ai chimici appartenenti alle società chimiche membro dell’EurCheMS che, oltre a soddisfare i criteri piuttosto rigorosi stabiliti dall’ECRB, abbiano conseguito un diploma universitario della durata di cinque anni e acquisito una esperienza lavorativa di almeno tre anni. Dalla crescente richiesta di uniformità e confrontabilità della formazione in una Europa in continuo allargamento discende la necessità di disporre di un indicatore di confrontabilità anche nella competenza professionale. Il titolo in altri termini dovrebbe poter offrire al chimico la possibilità di operare nei diversi Paesi europei. L’attribuzione dello stesso, secondo criteri rigorosi, concorda anche con lo spirito dell’art. 15 della Direttiva 2005/36/CE (attuata dal D.Leg.vo 9 novembre 2007, n. 206) che introduce piattaforme comuni che vanno intese come un “insieme di criteri delle qualifiche professionali in grado di colmare le differenze sostanziali individuate tra i requisiti in materia di formazione esistenti nei vari Stati membri per una determinata professione”. IL CHIMICO ITALIANO Continua il restyling del nostro periodico. Sono infatti stati inseriti riferimenti bibliografici nella Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAL CNC colonna di servizio, notizie più puntuali sulle attività del Consiglio e delle Associazioni e Sindacati dei Chimici oltre che una nuova grafica. Anche la rubrica relativa ad interventi scientifici degli iscritti ha avuto un salto di qualità sia nei contenuti che nelle richieste di pubblicazioni. I contributi si sono nel tempo adeguati alle norme per le pubblicazioni sul nostro periodico mediante l’inserimento di un sommario ed attenendosi alle regole predisposte. Il formato ha subito una lieve variazione così come la grafica di copertina che ha continuato a pubblicare pitture di moderni artisti. Con il nuovo anno la rivista passerà ad evidenziare foto di elevata rilevanza artistica che sicuramente troveranno rispondenza nel gusto degli iscritti. Con il cambio della tipografia si è poi ottenuto un notevole risparmio economico a tutto vantaggio della cassa del nostro Consiglio che ha così potuto dedicare le relative cifre alla copertura di altre voci di bilancio. Anche la periodicità ha subito un aggiustamento avendo ottenuto un rispetto più attento delle pubblicazioni. Siamo convinti che agendo con sempre più attenzione al mondo delle professioni e dei chimici in particolare, si potrà apportare un ulteriore miglioramento al periodico del Consiglio Nazionale dei Chimici. Numerosi i complimenti ricevuti dagli iscritti che, anche con suggerimenti e contributi di vario genere, hanno contribuito a rimodernare la pubblicazione. A loro è rivolto un ringraziamento particolare per l’impegno e le segnalazioni effettuate che dimostrano sia l’affetto per IL CHIMICO ITALIANO ma anche la considerazione per il lavoro di tutto il Consiglio Nazionale. Un ulteriore ringraziamento è rivolto al Comitato di Redazione e ai Revisori delle bozze sempre puntuali e precisi sia nell’impostazione che nelle rilevazioni da apportare al periodico. SITO INTERNET Il sito internet del Consiglio www.chimici.it è stato completamente rinnovato nella grafica e nei contenuti. Nella ristrutturazione si sono tenute presenti le necessità dei possibili fruitori, distinguendo quelle del “generico navigatore” da quelle del chimico professionista. Il nuovo sito si presenta suddiviso in quattro aree principali: “Struttura Istituzionale”, “Formazione professionale”, Esercizio della Professione” e “Servizi per gli iscritti” che contengono al proprio interno delle sezioni che consentono all’utente di accedere a diverse informazioni e di essere sempre aggiornato, fra l’altro, sui corsi professionali, sugli Eventi e sui Master in programma; vi è inoltre la possibilità di consultare e scaricare tutti i numeri pubblicati dal 2001 della rivista “Il Chimico Italiano”. Nella sezione “Servizi per gli iscritti” sono presenti le iniziative poste in essere dal Consiglio Nazionale a favore degli iscritti come ad esempio il servizio di caselle di posta elettronica, che consente agli iscritti di utilizzare le caselle nel dominio “chimici.it” (VISP), l’Assicurazione sulla Responsabilità Civile per i Chimici e del Fondo di Assistenza Integrativo del S.S.N. Un sito che si rispetti deve essere, quasi per definizione, continuamente aggiornato ed arricchito. Il nuovo sito del Consiglio Nazionale dei Chimici dovrà pertanto diventare, ogni giorno di più, fonte principale ed aggiornata di notizie. A tale scopo la collaborazione dei colleghi è richiesta e gradita. Avviso Comitato Pari Opportunità Ricordiamo alle iscritte di compilare il questionario sulle pari opportunità reperibile sul sito www.chimici.it da inviare alla segreteria del CNC via mail all’indiriz zo [email protected] o FAX al n. 06.47885904. 9 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ORDINI Proseguendo nell’opera di aggiornamento degli iscritti, l’Ordine dei Chimici del Piemonte e Valle d’Aosta continua nella programmazione degli incontri del “mercoledì della chimica”. Ordine dei Chimici del Piemonte e Valle d’Aosta I MERCOLEDÌ DELLA CHIMICA ARGOMENTI 10 DATA ORARIO ETICA/DEONTOLOGIA 06/02/2008 18-20 FORENSE 27/02/2008 18-20 ALIMENTI 12/03/2008 18-20 RIFIUTI 26/03/2008 18-20 SICUREZZA 09/04/2008 18-20 ISO 17025 23/04/2008 18-20 TRATTAMENTO ACQUA 14/05/2008 18-20 CERTIFICAZIONE ENERGETICA 28/05/2008 18-20 RUMORE AMBIENTALE 11/06/2008 18-20 ACQUA 25/06/2008 18-20 ENOLOGIA 09/07/2008 18-20 ARPA 10/09/2008 18-20 QUALITÀ 24/09/2008 18-20 BONIFICA SITI 08/10/2008 18-20 GESTIONE LABORATORIO 22/10/2008 18-20 FARMACIA 12/11/2008 18-20 AMIANTO 26/11/2008 18-20 EMISSIONI ATMOSFERA 10/12/2008 18-20 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Il paese degli esami normali di Gianluca Montia L’aggettivo “normale” è spesso utilizzato in rifermento al nostro Paese, quasi sempre (e purtroppo) in proposizioni interrogative. I giornali, i blog, le discussioni nei bar sempre più spesso si chiedono se l’Italia sia un “paese normale”. Pur in assenza di una risposta definitiva, si invoca, a scanso di equivoci, il ritorno alla “normalità”. Concetto fumoso quello della normalità. E il dizionario non aiuta. Con il suo laconico “riferibile alla consuetudine o alla generalità” non fissa i confini entro i quali misurare la consuetudine, generando così degli equivoci enormi. Limitandosi ai contesti italiani, molte cose possono apparire normali. Come ad esempio i costi delle linee ferroviarie ad alta velocità. La TorinoMilano costerà 62,7 milioni di € a Km, costo del tutto simile a quello della Firenze-Bologna (76,3 milioni a Km) e non molto più di quanto sia costata la Roma-Napoli (30,5 milioni a Km). Oltrepassando i confini nazionali la presunta normalità si dilegua: la Parigi-Lione è costata 9,7 milioni a Km (- 85%), la Tokio-Osaka 8,5 milioni a Km (- 87%)1. E anzi, il dizionario ci confonde perché dice che normale è ciò che è “conforme alla norma”, mescolando alla anglosassone maniera il concetto di consuetudine con quello di legge. In Italia, con i tempi processuali che corrono sul posto ed i codici più farraginosi d’Europa, né la giurisprudenza né la legge hanno il tempo di stabilire cosa sia la normalità. I matematici, forse più rigidi, si rifanno al latino: normale è, senza dubbio, la retta perpendicolare al piano. Non è chiaro se questo debba avere implicazioni sulla trasversalità di certi atteggiamenti politici, sempre pronti a trovare accordi su specifici argomenti di particolare interesse. I chimici sono invece più comparativi: normale è la soluzione contenente una quantità di sostanza equivalente ad un’altra di riferimento. Normale può essere, inoltre, il risultato di un esame di laboratorio, sulla base di valori di riferimento. Si ritorna così alla necessità di un modello di riferimento rispetto al quale definire la normalità. Ora bisogna chiarire che nel nostro Paese non tutto ha un prezzo più alto rispetto agli altri Paesi europei. Prendiamo, ad esempio, le analisi del sangue: le tariffe, similmente agli altri Paesi europei, sono definite dai sistemi sanitari regionali, prendendo a riferimento un tariffario nazionale. Il tempo di protrombina, un esame che 350 mila italiani in terapia anticoagulante eseguono con cadenza anche settimanale e dal quale dipende il loro tasso di mortalità, ha una tariffa nella Regione Lazio pari a 2,87 €. In Francia la tariffa è pari a 5,40 €, in Germania 4,08 €, in Svizzera 7,68 €. Si dirà bene, benissimo, considerata la congiuntura difficile per la sanità italiana2. E non proprio. Perché in Italia la consuetudine (il costo) non sempre coincide con la norma giuridica (la tariffa). Nessuno infatti è in grado di stabilire quanto costi, ad una struttura pubblica, eseguire un tempo di protrombina3. E questo perché i costi del personale, della struttura, dell’informatizzazione, dello smaltimento rifiuti biologici, dell’energia, delle provette, sono tutti divisi in reparti, competenze, capitoli di bilancio differenti. E questi costi superano di 3 o 4 volte il costo dei reagenti. E, allora, dato che il conto è maledettamente difficile da fare, i bilanci pubblici non riportano mai i costi, ma le valorizzazioni. E cioè il prodotto del numero di esami per la tariffa prevista; così tutto torna. O quasi. Perché ad un certo punto la confusione fra costo e tariffa si è fatta tanto grande che si è pensato di abbassare la tariffa per generare risparmio nella spesa sanitaria. E visto che si è in vena, si decide di riportare in auge il tariffario “Bindi” del 19964, già abolito dal Consiglio di Stato nel 2001 per la sua illegittimità5. Insensato si dirà. E non proprio. Perché solo la metà delle analisi si esegue nelle strutture pubbliche. L’altra metà si esegue in strutture private accreditate. E il costo, in questo caso, coincide con la tariffa. Tant’è che la tariffa, prima della ulteriore riduzione, era ferma da molti, molti anni. E tanto per far capire dov’è la ratio, si impone alle strutture private un ulteriore sconto del 20%. Sconto non da applicare al cittadino, ma da applicare al sistema sanitario regionale. Al lordo. Generando così il paradosso del franchigiato: il fanchigiato è, in gergo, il cittadino che paga interamente per i suoi esami perché non raggiunge la soglia della franchigia prevista. E il 20% dei suoi soldi fini- a [email protected] 1 Riccardo Bocca, “Alta Voracità”. L’Espresso 30/12/2006. 2 Francia: Biologie medicale: nomenclature des actes. 2007 (Il tariffario è espresso in punti, del valore attuale di 0,27 €); Germania: Gebührenordnung für Ärzte (GOÄ) 2007 (Regolamento per le tariffe delle prestazioni mediche); Svizzera: Ufficio federale della sanità pubblica: ”Elenco delle analisi“ (Il tariffario è espresso in punti del valore di 0,9 franchi svizzeri pari a 0,55 €); Lazio: Tariffe come da ex D.M. 1991. 3 La mancanza di dati economici di spesa è stata sottolineata, fra l’altro, nel “Rapporto sulla specialistica ambulatoriale” dell’Agenzia Sanitaria Regionale Emilia Romagna. Gli autori scrivono a p. 11: “I costi rilevati dalla contabilità analitica sono stati confrontati con quelli di altre Regioni,con risultati poco chiari. In effetti non esistono ancora dati comparabili <…>. Inoltre, i costi della specialistica prodotta dagli ospedali sono talvolta inseriti nei costi per le attività di degenza oppure sono ricavati non con una rileva zione dei costi di produzione ma dalle tariffe del nomenclatore”; si veda inoltre Cislaghi C., Pisani E., Tediosi F. “L’allocazione delle risorse alle Aziende sanitarie locali: il caso della Regione Toscana”. MECOSAN Management ed economia sanitaria, 12 (45). 4 La Legge finanziaria 23 dicembre 2006 ha, di fatto, costretto alcune Regioni ad applicare il tariffario secondo il D.M. 22/07/1996. 5 Sentenza della sez. IV 29 marzo 2001 n. 1839. 6 Sentenza N. 200712623. In particolare si riporta: “Nel caso di specie, la tariffa viene fissata con legge e la relativa norma si limita ad imporre uno sconto (oltretutto anche del 20%) sulle tariffe In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 5 gennaio 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 11 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI vigenti, senza dare conto delle ragioni della misura fissata: risultano quindi violati anche i principi di cui all’art. 41 Cost. Tra l’altro, lo sconto viene applicato su tariffe molto risalenti (quelle statali rimontano al 1996) e ciò appare irragionevole, non potendosi dubitare del fatto che, in dieci anni, i costi dei fattori produttivi (si pensi, per tutti, alla remunerazione del personale) siano cresciuti, a volte anche sensibilmente”. Un’analoga sentenza è stata emessa dal T.A.R. Puglia. 7 Legge finanziaria 23 dicembre 2006 art. 1 comma 796 lettera O. 8 “Piano di fattibilità per la riorganizzazione della diagnostica di laboratorio nella regione Lazio”, Assessorato tutela della salute e sanità, 2007. 9 Plebani M. Laboratory medicine: value for patients is the goal. Clin Chem. 2007 Oct;53(10):1873-4. Lippi G et al. One hundred years of laboratory testing and patient safety. Clin Chem Lab Med. 2007; 45(6):797-8. Sciacovelli L. et al. Risk management in laboratory medicine: quality assurance programs and professional competence. Clin Chem Lab Med. 2007; 45(6):756-65. Signori C. et al. Process and risk analysis to reduce errors in clinical laboratories. Clin Chem Lab Med. 2007; 45(6):742-8. scono nelle casse del sistema sanitario regionale. Non sorprende che il T.A.R. del Lazio abbia annullato tutto e sollevato la questione di costituzionalità6. Nel frattempo si prende un bel respiro e si decide di ristrutturare la rete dei laboratori d’analisi, promuovendo la formazione di megalaboratori pubblici7. Nella Regione Lazio, ad esempio, i circa 550 laboratori d’analisi pubblici e privati distribuiti sul territorio dovrebbero essere soppressi per decretato nanismo e sostituiti da 40 megalaboratori pubblici8. L’intento dichiarato è il risparmio di scala, basandosi sull’automazione dei processi analitici. Peccato che, come la maggior parte delle attività sanitarie, la porzione automatizzabile del processo generi solo una piccola quota dei costi. Tutto il resto riguarda l’interazione con il paziente e la sua domanda di salute: accettazione, prelievo, gestione, validazione, consulenza9. E niente di tutto questo è automatizzabile oltre lo stato attuale, salvo voler rinunciare alla qualità della prestazione. Non a caso alcuni fra i più importanti patologi clinici italiani si sono pronunciati contro simili aberrazioni, evidenziandone i pericoli socio-sanitari. Non è possibile inoltre chiedere ai pazienti di spostarsi di centinaia di Km per raggiungere il megalaboratorio. Bisogna quindi predisporre una rete di punti prelievo che organizzino trasporti dei campioni a temperatura controllata e consegna garantita entro poche ore. Nella regione Lazio si dovrebbero trasportare circa 5-10 milioni di provette l’anno con consegne quotidiane, tutte contenenti materiale altamente deperibile e a rischio biologico, fra circa 300 località diverse, con costi stimabili in diversi milioni di €. L’impegno risultante è tanto grande che dovrebbe essere gratificato con la formazione di una nuova disciplina scientifica, la “logistica di laboratorio”. Ma questo cosa c’entra con la normalità del Paese? Certo, può apparire anormale chiudere 350 laboratori privati, liberamente scelti dai pazienti e remunerati a costo certo e inferiore alle medie europee, per sostituirli con 40 megalaboratori pubblici a costo incerto e avversi alla società scientifica. Bisogna però considerare che i megalaboratori implicano mega-strutture, mega-appalti, mega-direttori, mega-bilanci, mega-assunzioni. Le rette parallele finalmente convergono e tutto ritorna alla, italianissima, normalità. la redazione de Il Chimico Italiano Invita i propri lettori ad inviare contributi scritti di argomenti tecnico-scientifico o di attualità per la professione. Le norme per la pubblicazione si trovano sul sito www.chimici.it nella ribrica “La rivista on-line” 12 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Attività pericolose, rischio consentito e norme cautelari, criteri di valutazione della colpa di Alberto Girelli Riteniamo interessante per numerosi colleghi riportare l’introduzione definita “premesse in diritto” di una sentenza emessa recentemente da un Tribunale su un incidente in ambiente chimico. Si omette ovviamente ogni riferimento al caso specifico considerato dalla sentenza. Il sinistro* è intervenuto nello svolgimento di una attività pericolosa il cui esercizio aveva richiesto l’acquisizione di autorizzazioni amministrative emesse sulla base della predisposizione da parte della azienda di un documento di analisi del rischio. Attività del genere sono ammesse nel nostro ordinamento in considerazione della loro utilità economica e sociale (connessa al progresso tecnologico). Tuttavia la liceità di tali attività, a prescindere dall’esistenza delle autorizzazioni richieste, trova il suo limite nella necessità di un adeguato bilanciamento tra il beneficio (iniziativa economica, progresso tecnologico) e i costi (eventi lesivi per l’uomo e l’ambiente). In contesto l’apprezzabilità sociale dell’attività d’impresa individua un’area di rischio consentito, ma gli eventi che esulano per la loro gravità da detta area non sono ammessi. Ne deriva che se non è possibile, alla stregua della scienza e della tecnica di un dato momento storico, predisporre cautele volte ad impedire i prevedibili eventi lesivi che esulano dall’area di rischio consentito, l’attività è illecita; è invece lecita se è possibile apprestare adeguate cautele volte ad evitare il concretizzarsi anche degli eventi pregiudizievoli il cui rischio è ammesso. Nel primo caso la norma cautelare generale impone all’imprenditore l’obbligo di astenersi dallo svolgere l’attività; nel secondo caso, impone a costui l’adozione di ogni opportuna cautela addossandogli in mancanza la responsabilità per il verificarsi dell’evento lesivo. Come osservato dalla giurisprudenza “l’esercizio di attività pericolose anche se risponde ad iniziative di pubblico interesse, è consentito nei limiti in cui sia possibile predisporre le misure occorrenti per evitare danni alla collettività ed ai singoli. L’esigenza di tutelare la sicurezza e l’incolumità dei collaboratori e dei terzi ha carattere primario e non può essere sacrificata, condizionando la liceità dell’opera. L’esercente di una attività pericolosa deve essere in possesso di cognizioni e di capacità tecniche tali da consentirgli di prevedere e prevenire i pericoli che quell’attività comporta. A questa capacità deve essere ragguagliata la prevedibilità dell’evento, quando questa ha rilevanza per la configurazione della colpa” (Cass. 810/71). Nel caso in esame l’attività svolta, quanto alle misure precauzionali (indicate dal legislatore in modo più o meno specifico) da adottare in sede di progettazione e gestione, è regolamentata, tra le altre, dal DPR 175/88, D.Lvo 334/99, D.Lvo 626/94 e DPR 547/55 e pertanto può dirsi lecita nei limiti in cui siano state predisposte, come imposto ai gestori e progettisti di impianti ad alto rischio dalla normativa citata e dalle norme di comune prudenza, diligenza a perizia, tutte le cautele idonee ad eliminare i rischi non consentiti, tra cui rientra indubbiamente quello di esplosioni di rilevante potenzialità lesiva per individui e ambiente. Se per quanto detto chi svolge (anche su delega) una attività ad alto rischio in violazione delle norme cautelari generali o speciali volte ad impedire gli infortuni “tipici” dell’attività può essere chiamato a rispondere di essi, al fine di accertare in concreto la responsabilità dell’agente è necessario verificare se questi, nell’ambito delle sue funzioni, abbia violato norme a contenuto precauzionale dirette a evitare il realizzarsi di un evento del tipo di quello verificatosi, se la violazione sia stata causa dell’evento e, infine, se possa a lui muoversi un rimprovero per tale violazione. La condotta sarà ritenuta rimproverabile, con conseguente affermazione di responsabilità laddove l’evento si fosse manifestato come possibile, e fosse evitabile dall’agente. L’esistenza della prevedibilità sotto il profilo che attiene all’elemento soggettivo, come comunemente ammesso, va accertata con criteri ex ante avendo come parametro di riferimento l’homo ejusdem professionis et condicionis, quindi, l’agente sarà ritenuto in colpa solo qualora non abbia tenuto conto delle conseguenze della sua condotta che conosceva o era tenuto a conoscere in base alla sua professione e condizione (Cass. 4675/07). * esplosione in uno stabilimento chimico In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 10 novembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 13 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Alla scoperta dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena di Barbieri Loretta Viaggiare non vuol dire necessariamente allontanarsi dalla propria terra e percorrere migliaia di chilometri; il viaggio intrapreso è vicino, nel raggio di pochi battiti d’ali di colombo, così presenti nel mio territorio. Mi propongo con questa nota e desidero far partecipi e condividere con i chimici il famoso “oro nero di Modena” e invito a trascorrere alcune ore in questa natura e terra così ospitale, o almeno provo a suscitare la voglia di “degustarlo” con un tour virtuale. Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, letto L’A più comunemente con la sigla ABTM, si differenzia dall’ABM, aceto balsamico di Modena. La differenza fra i due aceti balsamici è sostanziale, sia a livello merceologico, sia come materia prima, zona di provenienza, tecnica produttiva, normativa di riferimento, livello di tutela, impieghi gastronomici e nutrizionali, periodo di invecchiamento, prezzo. L’ABTM è un prodotto DOC(denominazione di origine controllata) e DOP(denominazione di origine protetta): lo si trova in commercio in due età di invecchiamento, invecchiato almeno 12 anni (affinato) e invecchiato almeno 25 anni (extra vecchio), in bottigliette esclusive di Design Giugiaro (il cui utilizzo è obbligatorio per legge) e solo in volume da 100 cc, il costo è importante e può superare i 100 Euro per aceti extravecchi. Un prodotto unico, la cui nascita è molto antica e testimoniata da lettere e libri contabili dell’amministrazione del ducato Estense: lettere e pergamene, del 1600, che ho potuto sfogliare con molta delicatezza e meraviglia e rispetto presso l’Archivio di Stato di Modena. Questo aceto è un prodotto che con il passare del tempo può solo migliorare, affinandosi e maturando. Proprio per questa sua caratteristica di vitalità eterna l’ABTM si ricorda e conserva ogni attività che viene svolta generando una matrice genetica che anno dopo anno tende ad incrementarsi. Aceto Balsamico Tradizionale di Modena: cos’è allora ? La sua definizione recita “Ottenuto da mosto d’uva cotto, maturato per lenta acetificazione, derivata da naturale fermentazione e progressiva concentrazione, mediante lunghissimo invecchiamento in serie di vaselli (botticelle) di legni diversi senza alcuna addizione di sostanze aromatiche. Di colore bruno scuro carico e lucente, manifesta la propria densità in una corretta, scorrevole sciropposità. Di tradizionale ed inimitabile sapore, dolce e agro ben equilibrato, si offre generosamente pieno, sapido con sfumature vellutate in accordo con i caratteri olfattivi che gli sono propri.” Di seguito la descrizione degli elementi chiave che identificano questo prodotto. Le uve e i mosti La tradizione ed il disciplinare indicano come uve utilizzabili per il mosto cotto il Trebbiano (famoso il Trebbiano di Spagna) in tutte le sue varietà e cloni, il Lambrusco in tutte le sue varietà e cloni, Ancellotta, oltre ad uve minori quali il Sauvignon (vitigno internazionale, molto diffuso: in Italia dà il meglio di sé in Friuli), Sgavetta (vitigno coltivato nella zona di Modena e Reggio Emilia, le cui prime notizie risalgono alla fine del 1800), Berzemino (Vitigno classico di quella bella parte della Penisola che resta fra il declivio delle Alpi Giulie e il Reno Italian) e Occhio di Gatta. Il mosto può essere ottenuto anche da uve di vigneti iscritte alle DOC (denominazione d’origine controllata) in provincia di Modena. La produzione massima di uva per ettaro di vigneto in coltura specializzata per la produzione di mosto cotto per ABTM non può superare i 160 quintali. Le uve devono garantire al mosto fresco un titolo di almeno 15 gradi Babo. La cottura del mosto avviene a fuoco diretto per almeno 30 minuti a temperatura non inferiore a 80 °C. La maturazione delle uve è fondamentale per avere un mosto crudo con grado zuccherino e caratteristiche aromatiche elevate e consentire di limitare i tempi di bollitura. La pigiatura avviene di norma la sera e nel modo più soffice possibile, per limitare al massimo la rottura dei vinaccioli che tendono a cedere tannini grezzi, indesiderati per l’ABTM. Terminata la pigiatura il mosto riposa in un tino In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 15 dicembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 14 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI per tutta la notte, si separa il liquido dalla vinaccia per decantazione naturale con il cosiddetto sollevamento del cappello. La cottura avviene in caldaie di acciaio inox, un tempo di rame, a fuoco diretto e in vaso aperto. Un tempo la caldaia era scaldata con il calore della legna; oggi questo avviene con un bruciatore a gas controllato manualmente o tramite un termostato che garantisce temperatura costante,evitando gli sbalzi della legna. Si riempie la caldaia con il mosto, si inizia a scaldare e si porta alla temperatura di circa 90-95 °C in breve tempo e con fuoco vivace, per evitare la fermentazione alcolica. Raggiunta la temperatura si mantiene a fuoco costante, schiumando le impurezze che affiorano per lungo tempo. L’acqua presente nel mosto evapora e la parte zuccherina si concentra. La cottura prosegue fino a riduzione del mosto a circa metà del volume iniziale. La cottura è in funzione dell’uso del mosto in acetaia: - Mosti poco cotti, 22-26 ° Babo sono mosti a facile fermentazione usati per ottenere prodotti con alto grado acetico e per la produzione di aceto forte di mosto. - Mosti con 28-34 ° Babo, sono mosti usati per il rincalzo. - Mosti molto cotti 38-42 ° Babo sono mosti che servono per tagliare o da innestare. Il mosto cotto, una volta raffreddato, va versato in damigiane riempite al massimo e chiuse ermeticamente. Le damigiane vengono poi collocate in un luogo freddo e asciutto: durante il periodo invernale avviene la decantazione: precipitano i tartrati e le impurezze. A primavera si è in presenza di un mosto cotto purificato pronto per iniziare la fase di fermentazione balsamica. La fase di fermentazione del mosto cotto per ABTM è una “fantasia della natura”: la fermentazione alcolica e quella acetica tendono a confondersi, differentemente dalla produzione di aceto di vino dove esistono due fasi ben distinte. Una fase in cui gli zuccheri sono trasformati in alcool da parte dei lieviti, saccaromiceti e zigosaccaromiceti, che lavorano in assenza di ossigeno. I lieviti iniziano l’attività di trasformazione a temperature maggiori di 18°C. La loro attività si sviluppa con maggior vigore quanto minore è il contenuto zuccherino del mosto cotto (ricordo che lo zucchero è di per sé un conservante ed un inibitore delle fermentazioni). Allo stesso tempo concentrazioni acetiche superiori ai 3-4° tendono a ridurre l’attività dei lieviti. Questa fase tende a svilupparsi nei barili più grossi, quelli cioè nei quali viene immesso un mosto tendenzialmente più fresco, in particolare nelle botti “badesse” di stoccaggio. L’altra fase è la fermentazione acetica. In questa fase intervengono gli acetobatteri che trasformano l’alcool, generato dai lieviti, in acido acetico attraverso il processo ossidativo. Anche in questo caso concentrazioni zuccherine o alcoliche elevate fungono da inibitori della fermentazione. Proprio per questo motivo si rappresenta il processo fermentativo dell’ABTM come una continua staffetta fra lieviti e acetobatteri. Questa fase tende ad iniziare nelle botti più grosse per svilupparsi in quelle medie e terminare in quelle più piccole. Le botti La parola” botte” indica da sempre recipienti rotondeggianti a doghe di legno. Tecnicamente si deve parlare di barili per le capacità più ridotte e di botti per contenitori da 10 ettolitri in su. Le lavorazioni sono in effetti diverse: semplice con una sola curvatura quella dei barili; diversa quella delle botti che necessitano di 4 curve rotonde fino a 5 o 6 nelle botti ovali. La batteria per ABTM deve essere formata da almeno 5 vaselli più la botte madre “badessa”. I vaselli devono essere costruiti con perizia, avere doghe spesse e cerchi spessi di ferro e verniciati per resistere alla corrosione, oppure di ferro zincato o di acciaio inox. La capacità dei barili deve variare in modo scalare. Una buona serie è costituita da barili con le seguenti capacità (litri): (5)-10-15-20-(25)-3040-50-(60)-70- badessa-barrique ed a lato un barile da 10-15 litri di ginepro. Anche i legni usati per i barili possono essere diversi: l’unico legno che si presta da solo alla costruzione di un’intera serie è il Rovere. L’essenza dei vari legni porta l’aroma balsamico all’aceto. Il consiglio é di aprire e chiudere la serie con barili di rovere, sia per la tenuta che per l’aroma. A fianco vanno inseriti barili di castagno, che dona colore al balsamico e per i centrali inserire gelso, ciliegio e frassino. Per la badessa é consigliato l’uso di barili siciliani, di castagno. Nella badessa avvengono buona parte dei processi biochimici che trasformano il mosto cotto in ABTM, fra cui la fermentazione e la biossidazione acetica. Una barrique da 225 litri serve di 15 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI norma due badesse e proviene da barrique scartate dai produttori di vini nobili rossi al termine dell’invecchiamento. Avviamento di un’acetaia Prima di avviare l’acetaia è fondamentale una pianificazione tale da avere chiari gli obiettivi: realizzare un’acetaia ad uso famiglia o a scopi commerciali, quanti barili acquistare, budget a disposizione, locale idoneo, copertura di tutte le fasi della filiera produttiva, dal vigneto al prodotto finale o solo la maturazione, ecc. Importante è il locale idoneo. L’ABTM deve essere posto in un sottotetto per risentire degli sbalzi termici climatici. L’ambiente ideale è quello più caldo possibile in estate e con maggior sbalzo termico in inverno. Normalmente è il sottotetto posto a sud, non coibentato, con un paio di finestre. L’acetaia di cui si conoscono le prime notizie era l’acetaia del Duca (Corte Ducale Estense trasferitasi da Ferrara a Modena nel 1598) ubicata nella torre a sinistra del Palazzo Ducale di Modena. La conduzione dell’acetaia La sede tradizionale dell’aceto è l’acetaia, di norma il solaio della casa, in dialetto modenese “al tasel mort“: luogo ben areato, igienizzato con calce, asciutto, dove l’escursione termica è forte. Caldo d’estate e freddo l’inverno. L’aerazione naturale fornisce l’ossigeno necessario agli acetobatteri per la fermentazione. Nell’ABTM si sono selezionati per natura gli acetobacteraceti. Se le fermentazioni avvengono lentamente, migliore risulta il prodotto trasformato. In alcuni casi la fermentazione alcolica si sviluppa in modo molto vivace da vedere fisicamente bollire il prodotto fino a formare una schiuma superficiale. In questi casi può essere opportuno frenare gli effetti aumentando il tenore acetico con un innesto di aceto forte di mosto ad alta gradazione (>7/8°) o alzando il grado zuccherino immettendo mosto più cotto. Infatti sia l’acido acetico che lo zucchero sono due inibitori delle fermentazioni. Particolare attenzione bisogna porre in questa fase al formarsi delle “madri“ che non sono altro che pelli superficiali. Occorre ricordare che le madri sono tipiche della fermentazione dell’aceto di vino e in alcuni casi sono considerate anche per questo prodotto patologiche. In particolare la presenza dell’acetobattere “acetobacterxilinum” è dannoso per l’ABTM. Infatti la 16 fermentazione prodotta tende a generare, anche nel breve lasso di pochi giorni, una pelle molto spessa, consistente e gelatinosa di color beige, che assolutamente non deve comparire nel balsamico. Se si presenta, la soluzione più drastica può consistere nell’eliminare il prodotto; nel caso si volesse provare a recuperarlo occorre pastorizzare a 70° e una volta raffreddato, innestarlo con aceto forte. Durante la fase di maturazione dell’ABTM l’attività fermentativa dei lieviti e degli aceto batteri tende a rallentare favorendo la comparsa di enzimi che sono i precursori dei profumi, degli aromi e dei sapori caratteristici dell’ABTM. La fase di maturazione si sviluppa nelle botticelle centrali della serie ed è una fase che tendenzialmente non ha mai termine in quanto tutti gli anni viene mantenuta viva con i travasi a valle di prodotto più fresco rispetto a quello contenuto nelle botti. L’invecchiamento avviene nei barili più piccoli della serie dove il prodotto consolida le proprie caratteristiche organolettiche acquisendo corpo e strutturando in modo armonico la componente zuccherina e quella acetica. Operativamente le fasi di gestione di un’acetaia comprendono l’esame fisico dei barili, l’esame organolettico, esami chimici quali analisi del grado acetico, del grado zuccherino, determinazione del rapporto armonico e redazione di grafici, valutazione delle eventuali correzioni da apportare all’ABTM, prelievo del prodotto, travaso tra i vari barili, rincalzo del barile più grosso. La scheda di valutazione e la degustazione Ha lo scopo di assicurare un comportamento comune a tutti gli Assaggiatori; di fornire documentazione sul prodotto esaminato; di condurre l’atto valutativo con finalità rivolte alla “ricerca” sul prodotto. Occorrono un matraccio da 100cc, di vetro trasparente da riempire a metà di ABTM, un cucchiaino (meglio in ceramica, altrimenti in acciaio o plastica). Prima dell’assaggio occorre evitare di ingerire cibi dal sapore intenso o che possano alterare le capacità sensoriali. Occorre evitare l’uso di profumi o saponi particolarmente odorigeni sulle mani e sul corpo; tenere i campioni da esaminare a temperatura ambiente; aprire il matraccio alcuni minuti prima dell’assaggio per consentire l’ossigenazione del prodotto; verificare la pulitura esterna del matraccio; eseguire l’assaggio seguendo l’ordine della scheda valutativa. Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI La scheda prende in considerazione i caratteri visivi, gli olfattivi, i gustativi. I caratteri visivi studiano la densità, il colore e la limpidezza. Un totale di 17 caratteristiche per un punteggio complessivo di 60 punti (il 15%). I caratteri olfattivi analizzano la franchezza, la finezza, l’intensità e persistenza, l’acidità. Un totale di 22 caratteristiche per un punteggio complessivo di 120 punti (il 30%). I caratteri gustativi sono rivolti alla pienezza, l’intensità, il sapore, l’armonia e l’acidità. Un totale di 27 caratteristiche per un punteggio complessivo di 180 punti (il 45%). L’ultimo 10% (40 punti ) è fissato per la sensa zione finale gusto/olfattiva. L’assaggiatore opera una scelta di carattere qualitativo, per determinare successivamente un riscontro di natura quantitativa all’interno dell’intervallo prescelto, usando il punteggio a sua disposizione. Al fine di condurre l’esame organolettico in modo corretto da parte di tutti gli assaggiatori, si rende necessario procedere alla stesura di un codice interpretativo riguardante il significato univoco da attribuire ad ogni proprietà e a ciascuna aggettivazione. Per alcune caratteristiche non è sempre possibile produrre una esauriente descrizione teorica di riferimento, in quanto la stessa può essere singolarmente individuata soltanto attraverso l’osservazione diretta di un congruo numero di campioni di balsamico tradizionale. Una delle più difficili interpretazioni fra gli Assaggiatori è il carattere Armonia: essa è la risultante ottimale dell’equilibrio che deve esistere fra tutti i componenti il balsamico, con riferimento agli zuccheri e agli acidi. Valutare l’armonia significa emettere un giudizio sullo stato dei due aspetti tra loro contrastanti: il dolce e l’acido. La sensazione finale gusto olfattiva dà una valutazione globale del campione di balsamico esaminato. A queste valutazioni segue un processo di sintesi delle sensazioni riportate attraverso l’uniformità dei giudizi sulle singole proprietà, la regolarità di comportamento numerico, la coerenza all’interno dei dati utilizzati durante l’esame. Il numero che ne esce rappresenta la classificazione definitiva del campione. La scheda si conclude con un giudizio ad uso del produttore e dà informazioni sul prodotto sia positive che negative. Il punteggio finale è di 400 punti massimo. Gli aceti che hanno partecipato ai Palii, famoso il Palio della Ghirlandina, arrivano a punteggi intorno ai 340-350 punti. Uso gastronomico L’ABTM, per i suoi raffinati profumi, il colore lucente e l’intenso aroma, possiede un’infinita ricchezza di fragranze e sapori in grado di soddisfare i palati più esigenti. Per le sue qualità l’ABTM può accompagnarci in cucina nella preparazione di innumerevoli ricette: si abbina a varie portate; può essere servito “al cucchiaio” oppure più tradizionalmente su scagliette di parmigiano- reggiano. Visitare un’acetaia centenaria provoca sempre un momento di grande suggestione, suscitata dalla presenza delle piccole botti immerse nella penombra e nel silenzio, da utensili vecchi di secoli appesi alle pareti in un’ordinata mescolanza, dai vetri con le loro delicate trasparenze e dalle ceramiche, reliquie di una vita passata che accentuano, nella loro identità preservata, la sacralità del luogo ed il fascino senza tempo del Balsamico. L’ invito è di venire a Modena a scoprire di persona le acetaie e il loro tesoro “oro nero”. Ringraziamenti: Un caloroso ringraziamento al Consorzio Produttori Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, nella persona del Presidente, Avv. Mario Gambigliani Zoccoli, e all’Associazione Esperti Degustatori di ABTM che con la loro esperienza e conoscenza mi hanno introdotto e svelato segreti di questa tradizione secolare. E un saluto a Vittorio Torreggiani autore del libro “Da una Tradizione Antica” per la vasta ricerca storica sugli strumenti e contenitori usati durante i secoli per l’aceto balsamico tradizionale di Modena. 17 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Visibilità della professione di Chimico Riprendo alcune considerazioni tratte dal sito del Consiglio Nazionale dei Chimici (www.chimici.it) per invitare tutti i colleghi ad utilizzare il LOGO DELLA PROFESSIONE. La diffusione del logo è importante per caratterizzare presso il pubblico la figura professionale del Chimico collegandola ad un elemento simbolico facilmente individuabile sui documenti, a garanzia che essi rappresentano il frutto delle competenze culturali, professionali e deontologiche di un Chimico iscritto all’Albo. L’uso del logo professionale non è alternativo al timbro-sigillo, ma lo integra sul piano dell’immagine. Ogni chimico iscritto all’Albo può richiedere, tramite l’Ordine Territoriale di appartenenza, la concessione di utilizzo del logo della professione. Nella nostra attività rivolta ad una vasta e diversificata clientela nei settori dell’ambiente, della sicurezza, della qualità e dell’igiene degli alimenti, la scelta di collegare il proprio nome, il nome della propria società o del proprio gruppo a quel- 18 lo del Consiglio Nazionale dei Chimici attraverso il logo è sicuramente una carta vincente. Il concetto di Ordine, di corporazione, dovrebbe essere per noi chimici sentito come in poche altre professioni: in Italia siamo pochi se confrontati ai medici o ai biologi, e l’importanza della nostra professione e professionalità è poco percepita all’esterno. Il logo è molto bello graficamente, a mio giudizio, e sono orgogliosa di poterne fare sfoggio sulla mia carta intesta, sui miei biglietti da visita e sulla carta intestata della nostra società. E’ un “marchio” importante per chi è opera la professione da tanto tempo, la dimostrazione dell’orgoglio di appartenere alla categoria, la sicurezza per i giovani chimici di sapersi le spalle coperte da menti e personalità di primo livello. E’ altrettanto carico di significato per i neolaureati, per chi si affaccia alla professione, per chi ha ancora tanto da dare, un marchio lineare e chiaro che ci rappresenta, che ci fa riconoscere. Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Sofisticazioni nel tempo dei cereali di Diego Celotto1 Origini e storia I cereali hanno da sempre avuto un’importanza fondamentale nella vita della nostra specie, svolgendo una funzione essenziale nella nutrizione dell’uomo e nella sua evoluzione culturale. Circa 10.000 anni fa, con l’apparire dell’agricoltura, della propagazione selettiva delle piante commestibili e la coltivazione di grandi campi di cereali, l’insediamento stabile andò via via a sostituire la vita nomade dei cacciatori primitivi. L’accentramento delle riserve alimentari e delle popolazioni resero necessaria, allora, una maggiore organizzazione sociale, con una pianificazione controllata attraverso gli archivi. E grazie, quindi, all’agricoltura e al commercio dei cereali, nel 3.000 a.C., furono introdotti gli alfabeti, le scritture e i primi sistemi di calcolo. Sebbene questo sia meno evidente per noi di quanto potesse esserlo per i nostri lontani predecessori, i cereali sono tuttora l’alimento essenziale del genere umano. Oggi forniscono la maggior parte delle calorie per una gran percentuale della popolazione mondiale: circa il 70% in Egitto e India, e quasi l’80% in Cina, in pratica due o tre volte la media dei paesi occidentali e sviluppati, attestanti sul 30-40%. I grani o cereali (dal latino Cerere, la dea romana dell’agricoltura) sono tutte piante della famiglia delle erbe, le graminacee. Queste piante producono molti piccoli frutti separati e secchi, chiamati cariossidi o grani. Non si ha l’abitudine a considerarli frutti perchè lo strato fra il seme e la buccia, che nei frutti dolci è spesso e succulento, nei cereali è sottile e asciutto e in pratica fa parte della crusca. Il grano, o frumento, che insieme all’orzo è una delle prime piante coltivate dall’uomo, è stato (ed è ancora) il cereale più importante e il più pregiato per le civiltà mediterranee dell’antichità, soprattutto perchè le sue proteine di riserva (destinate a nutrire la pianticella fino a quando è capace di sostenersi da sola) hanno proprietà chimiche singolarissime. Quando il frumento è macinato e mescolato con l’acqua, queste proteine formano una struttura complessa e semisolida chiamata “glutine” (dal latino gluten = colla), che è allo stesso tempo plastica ed elastica: in altre parole, è capace di espan- dersi (distendendosi) se sottoposta a pressione dei gas prodotti dalla lievitazione, tendendo a resistere a quella pressione senza, però, scoppiare. Fra gli altri cereali, solo la segale ha proteine di riserva con proprietà vagamente simili, anche se il glutine di segale ha proprietà nettamente inferiori a quelle del glutine di frumento. Gli archeologi hanno trovato resti di focacce dell’età della pietra fatte con grano e orzo rozzamente macinati, e questa è solo una delle tante prove che indicano che questi cereali sono contemporanei. L’oorzo ha il vantaggio di crescere in tempi relativamente brevi e d’essere robusto per natura: resiste bene sia al gelo sia alla siccità, ed è coltivato dal circolo polare artico fino alle pianure tropicali del nord dell’India. Nell’antichità la sua importanza in Egitto e in Cina era pari a quella del grano e ad Atene era il cibo speciale dei gladiatori, che erano chiamati hordearii o “mangiatori d’orzo”. Ai tempi dei Romani però il frumento aveva già soppiantato l’orzo diventando il cereale più apprezzato. Nel MedioEvo, e specialmente nel Nord dell’Europa, il pane d’orzo o d’avena era l’alimento base dei poveri, mentre il frumento era riservato alle classi più alte. Il riso è l’alimento vegetale di maggiore importanza per metà della popolazione mondiale. E’ originario del subcontinente indiano e circa il 90% della produzione mondiale viene dalle zone a clima monsonico dell’Asia. Si afferma che Alessandro Magno abbia introdotto il riso in Europa intorno al 300 a.C., ma fu solo nell’VIII secolo che i Mori cominciarono a coltivarlo in Spagna in grandi quantità. Oggi l’unico produttore importante in Europa è l’Italia. La segale sembra sia originaria dell’Asia Centrale e dal 4.000 a.C. si propagò lentamente verso ovest, grazie ai semi che si trovavano mescolati nelle scorte di frumento e orzo delle tribù nomadi. Raggiunse le coste del Baltico verso il 2.000 a.C. dove trovò condizioni favorevoli nel suolo tipicamente povero e nel clima freddo e umido. La segale era e rimane poco conosciuta nelle regio- 1Dr. Diego Celotto Dirigente Chimico U.O.Alimenti Dipartimento Provinciale di Salerno ARPA Campania [email protected] In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 1 dicembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 19 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI ni mediterranee. Fino alla fine del secolo scorso era il cereale più comune nel pane dei poveri nei paesi nordeuropei, e ancora oggi il gusto del pane di segale si è conservato specialmente nei paesi scandinavi e nell’Europa orientale. Il mais ha un rapporto proteina/amido più alto degli altri tipi di cereali. Quando i chicchi sono riscaldati in olio bollente, la poca acqua che contengono gelatinizza in parte i granuli di amido: questo accade a circa 65 °C. Poi quando la temperatura del chicco raggiunge il punto di ebollizione l’acqua si trasforma in vapore e aumenta rapidamente in volume. La matrice dura di proteina regge finche la pressione diventa troppo forte e a questo punto il chicco scoppia e l’endosperma si espande in volume a causa della improvvisa caduta di pressione. Nello stesso momento il vapore sfugge e di conseguenza i granuli di amido già cotti si asciugano, e la consistenza dell’endosperma diventa leggera e croccante. Il popcorn scoppia bene solo quando il suo contenuto di umidità è fra l’11 e il 14%; è una gamma di valori molto ristretta e i prodotti industriali sono trattati per raggiungere questi valori ed essere poi confezionati sotto vuoto. Il farro, invece, è un cereale, molto simile al grano tenero. Entrambi hanno il seme che può essere separato dalle glumelle di rivestimento. Le glumelle del farro si separano molto difficilmente per cui esso resta di un colore più scuro. Questo cereale è meno pregiato perché ha una resa nettamente inferiore rispetto a quella del grano. In genere la farina di farro e di frumento sono mescolate per migliorare le caratteristiche della prima che, da sola, farebbe fatica a lievitare. Gli antichi facevano largo uso di farro, dal quale ricavavano una specie di zuppetta, simile all’odierna polenta. La stessa parola farina deriva dal latino “far” che vuol dire farro. Oggi è ancora in uso per la preparazione di minestre paste e biscotti. Il miglio e il sorgo sono cereali noti in occidente soprattutto come ingredienti dei mangimi animali, ma sono importanti per l’alimentazione umana in molti paesi tropicali. Il grano saraceno non è un vero cereale: non è una graminacea e i suoi chicchi non sono cariossidi ma acheni, frutti secchi analoghi ai semi delle fragole. E’ originario dell’Asia centrale, fu coltivato in Cina e fu introdotto in Europa alla fine del Medio 20 Evo. Oggi il grano saraceno è usato per l’alimentazione umana soprattutto in Russia. Fin dagli albori della civiltà, i grani sono stati sottoposti a trattamenti per eliminare i loro strati protettivi e renderli più facili da cuocere e da masticare. Nella preistoria il grano era macinato usando due pietre, che alla fine furono modificate dando luogo al mortaio e pestello, e le lamine di crusca che così si formavano erano separate a mano dall’endosperma ridotto a frammenti. L’arte della macinazione fu rivoluzionata intorno all’800 a.C. con l’invenzione della mola, che poteva essere azionata da animali o da ruote idrauliche. Questo metodo rimase in uso fino alla metà del diciannovesimo secolo quando in Svizzera fu inventato il mulino a rulli. Oggi si usano rulli scanalati che si ingranano fra loro per produrre azioni di taglio, raschiamento e frantumazione che aprono i grani, ne raschiano via l’endosperma e lo frantumano fino a ridurlo in polvere. Questa separazione è resa possibile dalle diverse proprietà dell’endosperma, del germe e della crusca: l’endosperma si frantuma facilmente, il germe è oleoso e la crusca è tenace. La farina raffinata è prodotta eliminando le particelle più grandi per mezzo di vagli, mentre nelle farine integrali la crusca e il germe sono nuovamente mescolati al macinato alla fine del trattamento. Le sofisticazioni Spesso negli attacchi contro il progresso e la modernità, compare l’idea, inespressa ma inconfondibile, che i nostri antenati mangiavano cibi più puri e più sani. Questa non è che un’illusione. Quasi tutto ciò che ha svolto l’uomo per la funzione di alimento è stato oggetto, da sempre, di manipolazioni e di trasformazioni effettuate con la finalità, sia di renderlo commestibile, sia di prolungare nel tempo la possibilità della sua consumazione, sia, infine, di farlo divenire più appetibile e gradevole, al gusto, alla vista e all’olfatto. All’inizio era solo una questione di sopravvivenza, un modo per tenere qualche scorta alimentare da usare nei periodi di magra. Le civiltà più antiche usavano già i conservanti, sotto forma di sale e di fumo, il primo contenente varie impurità, il secondo pieno di composti velenosi. Per lo stesso motivo si usavano dosi massicce di senape e di pepe, il cui impiego era dovuto a sostanze irritanti che servivano a mascherare il sapore dei piatti Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI guasti, in un’epoca in cui il cibo era troppo prezioso per gettarlo via quando andava a male. La sofisticazione alimentare non è, quindi, un fenomeno particolarmente nuovo; tutt’altro, esso è una piaga antica della cui presenza nel passato esistono importanti testimonianze. Nel I secolo a.C. Plinio il Vecchio descrisse, nel suo “Naturalis historia”, la falsificazione di prodotti alimentari di largo consumo, come la farina, che, quando proveniva da cereali di scarso pregio, grazie ad una serie di trattamenti, era correntemente trasformata in un prodotto di prima qualità. Nemmeno l’adulterazione, cioè l’uso di additivi per motivi fraudolenti, è un’invenzione del mondo moderno. Verso la fine del quattordicesimo secolo il poeta inglese William Langland scriveva che fra i doveri delle autorità cittadine c’era: Punire con la gogna e la berlina Birrai, fornai, beccai e cuochi. Perché nessun altro al mondo fa più danno ai poveri che comprano al dettaglio, spesso, e in gran segreto, avvelenando gente. Il sistema di adulterare il cibo era già affermato nel Medio Evo e durò fino alla rivoluzione industriale, quando le città si ingrandirono rapidamente. Per quel che riguarda l’Italia, in età medievale e rinascimentale, tra il 1300 ed il 1600, si segnalarono, numerosi falsi e frodi in campo alimentare, tra i quali si ricorda il “pane ignobile”, che spesso poteva nascondere veleni per topi, e il pane “alloiato”, nel quale al grano era mescolato il loglio, la cui presenza poteva produrre, all’incolpevole consumatore, stati d’insensatezza e d’istupidimento, atti frenetici e demenziali. Tra il Seicento e il Settecento, accanto alla scoperta di nuove pratiche fraudolenti riguardanti i cibi, fecero scalpore alcune manipolazioni particolarmente rischiose dei fornai, che producevano pani multicolori ottenuti, il più delle volte, mescolando farina con sostanze nocive e pericolose per la salute, come “l’azzurro di rame, il cobalto, la cenere e la calce di piombo, il massicot [protossido di piombo], il minio o quello che si chiama vermiglione, e anche l’orpimento [solfuro giallo di arsenico”. Un vero e proprio shock provocò, nel 1820, in Inghilterra la pubblicazione di un “Trattato sulla adulterazione del cibo ed i veleni della cucina” da parte del chimico di origine tedesca Frederick Christian Accum. “In verità” dice Accum nella sua introduzione “sarebbe difficile menzionare un solo tipo di alimento che non si può trovare in forma adulterata; e vi sono sostanze che è quasi impossibile trovare genuine. Il pane che si mangia a Londra è un pastone deleterio, in cui la farina è mescolata con gesso, allume e cenere di ossa; insipido al gusto e distruttivo per l’organismo. La buona gente non ignora questa adulterazione, ma lo preferisce al pane genuino, perchè è più bianco che quello prodotto con la farina di frumento: così sacrificano il gusto e la salute alla più assurda soddisfazione di un occhio ingannatore”. Nel 1832, Charles Babbage, nel suo “Trattato sull’economia delle macchine e delle manifatture”, dedicò alcune pagine del volume al tema delle falsificazioni, riferendo, per quel che riguarda l’agricoltura, di un’invenzione finalizzata a travestire i grani troppo vecchi che “venivano ringiovaniti prima inumidendoli leggermente e poi asciugandoli con il vapore di zolfo bruciato”. Non meno sconvolgenti furono gli effetti sulla pubblica opinione inglese degli esiti dell’indagine condotta fra il 1851 ed il 1854 da un Comitato della Camera Bassa “sull’adulterazione dei cibi”. Il rapporto sui panifici londinesi, curato dal commissario governativo Hugh S. Tremenheere nel 1862, indicava non meno di 20 tipi di adulterazione per la farina, mescolata, inoltre, a “sudore umano, deiezione di ascessi, ragnatele, blatte morte e lievito ammuffito; senza tener conto dell’allume, dell’arenaria, e di altri piacevoli ingredienti minerali”, nonché ancora di “potassa, calce, farina di pietre del Derbysire ed altri simili ingredienti piacevoli, nutrienti e salubri”. Nel 1860, dopo che un gruppo di medici ebbe confermato le accuse del Dr. Accum, furono proclamate in Inghilterra le prime Pure Food Laws (leggi sulla purezza degli alimenti), e nel 1875 la prima legge “alimentare e farmaceutica” finalizzata ad impedire l’uso di conservanti chimici negli alimenti, i cosiddetti “improvers” (miglioratori), dai possibili effetti nocivi. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento sino ai primi anni del Novecento, nei vari trattati concernenti l’alimentazione, uno spazio sempre più ampio cominciò ad essere dato alla illustrazione delle modalità con le quali gli alimenti venivano manipolati con finalità fraudolente ed alla possibilità di scoprire la presenza nei cibi di sostanze pericolose. Un’impresa, quello dello smascheramento degli inganni, che si fece ogni giorno più difficile a 21 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI causa del crescente contributo che la chimica aveva preso ad offrire all’industria alimentare, fornendo un apporto eccezionale allo sviluppo del settore, ma, al contempo, rendendo disponibile per i falsari un armamentario più raffinato e di più difficile individuazione rispetto a quello con cui operavano nel passato. Falsari più organizzati, più attenti alle possibili utilizzazioni, per il conseguimento dei loro obiettivi, di innovazioni e di scoperte tecniche, più spregiudicati e più privi di scrupoli. La situazione in America non si presentava molto differente di quella europea. Benché il potere delle lobby statunitensi del settore alimentare fosse tanto forte da bloccare ogni tentativo di regolamentazione dell’uso di sostanze chimiche nei cibi, tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo secolo “furono scoperti e denunciati numerosi abusi e frodi nella produzione alimentare”. Affinché, tuttavia, la questione degli ingredienti aggiunti agli alimenti manipolati dall’industria statunitense giungesse ad una svolta fu necessario che colui che può essere considerato il primo paladino della storia della sicurezza degli alimenti, Harvey Washington Wiley, dal 1883 al 1912 capo del Bureau Chemistry del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, inventasse un originale strumento di pressione sul Parlamento: the poison squad (lo squadrone dei veleni). Wiley sottopose a controllo i pasti quotidiani di dodici dipendenti del Dipartimento, misurando il tipo e le quantità delle sostanze con le quali i cibi venivano trattati o ad essi venivano aggiunte dalle industrie produttrici e registrando gli effetti che tali sostanze provocavano sui loro organismi. I dati raccolti sulle “trasformazioni” indotte nelle cavie umane volontarie da quanto contenuto nei cibi da esse assunti furono diffusi da Wiley durante tutto l’arco dell’esperimento, sortendo l’effetto di turbare ulteriormente l’opinione pubblica e, soprattutto, di scuotere molti membri del Parlamento al punto tale che quest’ultimo, nel 1906, varò il Pure Food and Drug Act, la prima legge federale contro le “sofisticazioni”, dove con questo termine venivano ad essere indicate le più svariate manipolazioni nocive e fraudolente di ciò che le imprese, alimentari e farmaceutiche, immettevano sul mercato. Dunque non è mai esistito il buon tempo antico in cui il cibo era fresco e puro, e l’adulterazione e gli additivi non erano che i sogni proibiti di qualche chimico. 22 Anzi, le condizioni sono molto migliori ai nostri giorni di quanto non siano mai state da quando sorsero le prime città, grazie alle tecniche moderne di inscatolamento e refrigerazione, alla scienza medica, e ai controlli governativi. Il nostro sistema non è certo ideale, non abbiamo ancora eliminato l’adulterazione, la contaminazione e l’uso di additivi potenzialmente pericolosi, ma è generalmente migliore che in passato. Le pratiche Essendo il più importante e pregiato fra tutti i cereali, è il grano, o meglio la sua farina, che viene continuamente fatto oggetto di sofisticazione e adulterazione. Può essere frutto di miscelazioni di farina di frumento di buona qualità con quella di qualità inferiore, oppure di addizioni con farine vecchie, più qualche dose di talco, creta, sabbia, polvere di marmo, carbonati di calcio e di magnesio, solfato di bario, per aumentare il peso, e di glutine in polvere per aumentarne la “forza”. Successivamente la farina divenuta troppo scura a causa di questi commistioni viene sottoposta a processi di “imbianchimento” artificiale, realizzati mediante l’impiego di sostanze ossidanti, quali il biossido di azoto, il cloro, il cloruro di nitrosile, il perossido di benzoile. Questi tipi di farina, nei quali accade che siano presenti concentrazioni elevate di nitrati e di fosfati, muffe, larve e parassiti, dovuti all’invecchiamento e ad una cattiva conservazione, talora hanno la possibilità di trasformarsi nel nostro pane quotidiano, ma non è escluso che ciò avvenga senza che subiscano un ulteriore “imbianchimento” reso possibile da trattamenti con persolfato di ammonio, cloruro di benzoino, bromato di potassio, perborato di sodio, eteri poliossietilenici, glicole etilenico e alcool metilico, anche per aumentarne la fermentazione. Le addizioni alla farina di frumento di farine ricavate da altri cereali, compreso il riso, da leguminose, da patate, nonché da cereali destinati all’alimentazione animale è da sempre stata, anche questa, una pratica ordinaria. La farina proveniente dai semi del lupino bianco (Lupinus albus), non adoperata mai da sola essendo incapace di lievitare, unita alla farina di frumento in dosi non eccedenti il 25% fornisce un ottimo pane e, più ancora, delle paste alimentari eccellenti e nutritive. Occorre, però, allontanare i principi amari e tossici che i lupini contengono. Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Per la deamarizzazione si pongono i lupini a macerare per 2-3 giorni in acqua salata; poi si cuociono in acqua, si tornano a lavare ed infine, dopo essiccamento a temperatura non superiore a 100 °C, si sottopongono alla macinazione. Buoni risultati si ottengono anche con le farine di fave e di soia. La farina di fave contiene fra le sue sostanze proteiche della glutenina. Costituisce un buon correttivo delle farine di grani deboli, poichè la lievitazione della pasta ne è favorita ed il pane acquista una sofficità normale. L’esperienza ha dimostrato che la farina di soia addizionata a quella di grano in proporzioni inferiori al 20% permette di ottenere una lievitazione regolare (in qualche caso anche accelerata) ed un pane a mollica morbida con crosta ben liscia. Il sapore amarognolo dei semi di soia si elimina se la cottura è fatta lentamente. Se le farine di frumento contenenti una buona percentuale di surrogati lievitano male con i lieviti ordinari, torna molto utile l’addizione di un “bonificatore”, come quelli a base di estratto di malto. Conveniente è altresì l’incorporazione alla pasta di un po’ di sciroppo di glucosio a basse DE; il pane riesce più lievitato, più conservabile e con un gusto dolciastro piacevole. In qualche caso è opportuno l’impiego di un lievito artificiale (bicarbonato di sodio e acido tartarico). Utilizzando farina di frumento resa eccessivamente umida, per accrescerne il peso, o lieviti contaminati di cattiva qualità, si può avere la lievitazione di alcuni bacilli sporogeni (il più ricorrente è il mesentericus vulgaris) responsabili di uno dei difetti del pane di cui anche il più disattento dei consumatori si accorge, quello del “pane filante” che presenta all’interno una mollica viscida ed attaccaticcia, quasi fosse non del tutto cotta. Se poi la farina viene utilizzata per la produzione di “pani speciali”, quei prodotti nei quali possono, ad esempio, essere contenuti burro e olio d’oliva, al prodotto in questione può essere abusivamente addizionato di “tutto”: margarina, burro di cocco, oli di semi, sevo, paste di demargarinizzazione, glicole etilenico, ecc. Per le paste alimentari, in cui deve essere utilizzata solo semola di grano duro, il più frequente “inganno” è la sostituzione, con percentuali dal 5 al 15%, di semolato o di farina di grano tenero. Per mascherare, poi, l’aspetto grigiastro che pre- sentano le paste di qualità scadente e quelle prodotte con molta farina di grano tenero, oppure per dare l’idea di una maggiore presenza di uova in paste che dovrebbero contenerne si usa l’espediente di colorare il prodotto unendo agli impasti: farina di mais, carotene, curcuma, giallo di chinolina, lecitine e fosfatine. Singolare è anche l’abitudine da parte di alcuni produttori di aggiungere alla pasta sostanze come il bicarbonato di sodio, per impedire alterazioni acide ed ammuffimento derivanti da un imperfetto processo di essiccamento. ”Che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”, scriveva 2400 anni fa Ippocrate. Visto questo breve excursus sulle possibili contraffazioni di una farina, c’è da prendere con le dovute cautele quanto detto dal padre dell’Arte Medica. I controlli E i controlli in Italia? Sono molteplici, sia a livello centrale sia territoriale, quelli effettuati dagli Organismi responsabili dei diversi aspetti del controllo ufficiale degli alimenti e delle bevande: Agenzie Regionali Protezione Ambiente (ARPA), Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dei Carabinieri (NAS), Aziende Sanitarie Locali (ASL), Istituti Zooprofilattici Sperimentali (I.Z.S.), Università, ecc., tutti concorrenti con professionalità a dare la più alta sicurezza alimentare ai cittadini. Sempre, però, che i laboratori siano forniti delle strumentazioni idonee ad esaminare e ricercare la presenza di tutte le “irregolarità” possibili che un prodotto alimentare può nascondere e che i budget di cui essi dispongono consentano di utilizzare le risorse necessarie per procedere a tali accertamenti. C’è, infatti (e purtroppo), oggi la tendenza, da parte di alcune classi politiche, di privilegiare l’Ambiente con leggi, strutture, strumentazioni, fondi, finanziamenti e personale, relegando in secondo (ed anche in terzo) piano tutto quello che compete al Cibo e all’Alimentazione (Ricerca, Analisi, Sperimentazioni, ecc.). Come se gli Alimenti fossero un mondo a sé, senza alcun contatto con noi (!) e con l’ambiente in cui viviamo... Si spera solo che ci sia, nel breve termine, un qualche ravvedimento di ordine generale che inverta questa tendenza causando il minor danno possibile di quanto non sia stato già fatto. 23 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Proprietà chimico fisiche e rischio Molti giovani mi chiedono di introdurli sul tema sicurezza. Ho pensato quindi a qualche concetto elementare del quale mi scuso con gli “esperti” Ordinario di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali nell’Università di Roma La Sapienza. 1 di Luigi Campanella1 L’infiammabilità e l’esplosività di alcuni composti sono proprietà altamente utili per la società, anche se occorrendo nel posto ed al tempo sbagliato possono condurre a danni, lesioni, morte che si ripercuotono negativamente sull’immagine dell’industria chimica. A chi usa o conserva composti chimici pericolosi viene chiesto di stabilire sia la probabilità che le conseguenze dell’occorrere di tali eventi. Per fare ciò devono essere esaminate le proprietà chimico-fisiche dei composti ed i trattamenti dal momento che il pericolo (esplosione, incendio) si concretizza soltanto in condizioni ben determinate (concentrazione di vapore), che non c’è generalmente alcun livello accettabile di rischio e infine, che gli effetti non sono specifici. Il termine gestione del rischio deve quindi essere usato per descrivere le procedure di minimizzazione delle probabilità di effetti avversi derivanti dalle proprietà fisico chimiche correlate al pericolo. Per esigenze di brevità saranno considerati sol- PROPRIETÀ CHIMICO FISICHE correlate al rischio flash point (liquidi) infiammabilità (solidi) infiammabilità (a seguito di contatto con l'acqua) proprietà piroforiche (a contatto con aria) proprietà esplosive temperatura di autoaccensione (liquidi e solidi) partizione (ottanolo/acqua) proprietà ossidanti da essi subiti. La valutazione del rischio da proprietà fisico chimiche richiede la considerazione di queste: I responsabili della sicurezza delle varie industrie che trattano sostanze pericolose devono assumere come loro principale responsabilità quella di valutare i pericoli ed i rischi (rischio = pericolo x esposizione) che possono derivare ai lavoratori interni ed alle popolazioni circostanti a seguito della presenza di questi composti sul territorio. La valutazione del rischio in termini classici non si applica al rischio da proprietà chimico fisiche non correlate al rischio punto di fusione/temperatura di gelo temperatura di ebollizione densità relativa tensione di vapore tensione superficiale solubilità in acqua; coefficiente di granulometria (solidi) idrolisi (come funzione del pH) coefficiente di assorbimento tanto l’infiammabilità, l’esplosività e le proprietà ossidanti essendo queste le proprietà chimico fisiche più comuni correlate a situazioni di rischio. I fornitori sono obbligati ad informare i loro clienti sulla proprietà pericolosa dei loro prodotti. L’etichetta sul contenitore fornisce un’indicazione dei pericoli attraverso simboli accompagnati da considerazioni di rischio e sicurezza, mentre alcuni dettagli informativi sulla stessa materia si possono ritrovare nelle relative schede descrittive dei composti. Per valutare un ambiente di lavoro per i pericoli chimico fisici è necessario comprendere alcune In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scentifico professionale su “ Il Chimico Italiano”, il presente articolo è stato ricevuto il 14 novembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 24 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Classificazione Infiammabilità (esempio) Trasporti Classe 3 gruppo imballaggio III Fornitura Classe 3 gruppo imballaggio II Liquidi infiammabili (flash point fra 23 e 61 °C, punto di ebollizione > 35°) Liquidi infiammabili (fp < 23 °C, bp > 35 °C) Classe 4.1 Solidi infiammabili R 11 Classe 4.2 Sostanze capaci di autocombustione R 17 senza applicazione di Sostanze che in contatto con H2O emettono gas infiammabili R 15 (il contatto con Sostanze e preparaacqua libera gas estre- zioni che al contatto mamente infiammabili) con acqua o aria umida emettono gas altamente infiammabili in quantità pericolose ad una velocità minima di 1 lt/Kg/hr energia Classe 4.3 Classe R10 Liquidi infiammabili (fp fra 21 e 55 °C) R 11 Liquidi infiammabili (fp< 21 °C), ma "non estremamente" Solidi infiammabili e capaci di continuare a bruciare Sostanze infiammabili Classificazione esplosività Trasporti Designazione Sostanze esplosive divise in 6 classi a rischio decrescente Definizione Sostanze solide o liquide capaci di reagire producendo gas a tale pressione e temperatura da provocare danno ai circostanti di queste proprietà in maggiore dettaglio e come la classificazione dei vari composti viene realizzata (esplosivi, infiammabili). INFIAMMABILITÀ Per creare un fuoco sono necessari un combustibile (es. benzina), un comburente (ossigeno o aria), una sorgente di calore (fiamma, scintilla), il cosiddetto triangolo del fuoco. Nella legislazione europea l’infiammabilità è distinta in un certo numero di sub.categorie, le due principali delle quali - per gli aspetti chimici - sono la fornitura ed il trasporto. Forniture Designazione Rischio di esplosioni per frizione e riscaldamento a rischio decrescente Definizione Composti (solidi, liquidi, gassosi) capaci di reagire esotermica mente anche in assenza di ossigeno I due sistemi usano simboli completamente differenti, ma i criteri di classificazione sono simili. La detonazione di materiale esplosivo può avvenire per riscaldamento in uno spazio confinato, per frizione, per impatto o scarica elettrica. Alcuni gruppi funzionali chimici provocano un innalzamento del grado di esplosività. Il calcolo del bilancio di ossigeno e le informazioni termodinamiche possono indirizzare e agevolare gli interventi preventivi. ATMOSFERE ESPLOSIVE 25 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Esempi Caratteristiche strutturali C - C insaturo C - metallo N - metallo Atomi di ossigeno contigui Legami N - O N - alogeno O - alogeno Atomi di N contigui Struttura forzata ad anello Un valutatore di sicurezza assumerà che le sostanze infiammabili quando disperse in aria, formeranno un’atmosfera esplosiva almeno che non ci sia evidenza del contrario. Quando si crea un’atmosfera potenzialmente esplosiva la combustione produrrà un incendio piuttosto che un’esplosione, in dipendenza delle condizioni. Le precauzioni per prevenire un fuoco e un’esplosione sono spesso gli stessi. Qualche volta un incendio può portare all’esplosione successiva e viceversa. Per ogni miscela di gas o di un vapore combustibile con un ossidante c’è un valore di energia critica al di sopra del quale si produrrà un’autopropagazione. Anche la miscela aria combustibile sarà esplosiva soltanto in un intervallo di valori di concentrazione del combustibile. Questi limiti sono 26 Classi di composti chimici Acetileni Reattivi di Grignard Perossidi Idrossilammina, nitrato Cloroammine Perclorati Azidi Ciclopopano indicati come limite esplosivo inferiore (LEL) al limite inferiore di concentrazione e come limite esplosivo superiore (UEL) al limite superiore di concentrazione. Generalmente la sicurezza è garantita ad un valore di atmosfera esplosiva pari al 25-50% del LEL. Aspetti normativi: La Direttiva 98/24/EC dell’Unione Europea, la Direttiva ATEX (Atmosphere Explosibles Directive) e la Direttiva SEVESO obbligano gli utenti di prodotti chimici pericolosi alla identificazione dei rischi, alla definizione delle popolazioni a rischio, alla valutazione, rimozione e protezione, alla registrazione, informazione, istruzione, alla riconsiderazione complessiva. Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Accorato ricordo di un amico e collega di D. Mencarelli Dicembre 2007. Muore Piero Orioli, per gli amici Puccio. Ricevo la notizia dalla voce concitata della moglie. Già Puccio; un collega Chimico, ma soprattutto un amico fraterno. Come non dolersene? Compongo per Lui un epicedio triste ed informe, incongruo con queste pagine. Lo cestino. Solo ora, che sono già trascorsi due mesi da che lo ho perduto, il mio dolore è fermo ed ho la forza di piangerlo, o meglio di parlarne. Brevemente il Chimico che è stato. Si laurea in Chimica industriale in quella autentica fucina di Colleghi che è stata, ed è tuttora, l’Ateneo bolognese. Opera come Assistente a Chimica Agraria, ove affianca il Servizio “Repressione frodi” ed acquisisce quella solida esperienza nel campo dei fertilizzanti e concimi, che avrei ammirato ed ampiamente utilizzato piu avanti nella mia attività. Nel 1956 è alla SIR, stabilimento di Ravenna. Apprezzano le Sue qualità manageriali; fa carriera. Nel 1970 passa allo Stabilimento di Marina di Montemarciano, come Direttore, e si distingue. E’ uno Stabilimento, oggi archeologia industriale, che utilizza ancora processi della Chimica storica per produrre perfosfati: le camere di piombo, la Torre di Glover e di Gay-Lussac. Già, le camere di piombo: nostre reminescenze del 1° anno di Liceo classico della fine degli anni cinquanta. Ora un ricordo dell’amico. Lo conobbi nel 1976. I nostri posti di lavoro distanziavano pochi chilometri. Ci conoscemmo per problemi ambientali che riguardavano entrambi gli Stabilimenti. Una frequentazione assidua, fatta di incontri di lavoro, di indagini di campo, di ricerche bibliografiche, durante la quale imparai a volerGli bene. Non poteva essere altrimenti. Era colto ed affabile; discutevo con Lui di arti e di Dio. Parlava un italiano elegante: un precoce candore dei capelli accentuava la innata signorilità del volto, caratterizzato da un naso greco. Era febbrile: aveva la inaudita capacità, a dispetto dell’età non propriamente verde, di vivere I’ansia di cimentarsi. Sapeva mostrare la Sua amicizia. Chi, se non Lui, trovavo accanto nei momenti difficili? Quante ricerche comuni nel mio laboratorio! Ah, se ci era utile. Ne inventava più di me, che pure in quel periodo sfornavo idee a raffica. Ma con la differenza che io sovente le idee le smarrivo nelle unghie degli altri (mi succede anche oggi). Lui no. La completa realizzazione di un’idea era per Piero obiettivo primario. Non aveva ancora finito di escogitare un trattamento di inertizzazione delle ceneri di pirite che già si industriava ad escogitarne il test su impianto pilota. Era l’ingegnere e l’operaio dei nostri, talora effimeri, progetti. La pensione, il ritorno a Ravenna. Si butta anima e corpo nelle sue due grandi passioni: dipingere tristi marine solitarie, e studiare le perle artistiche della sua stupenda, sepolcrale città, tanto cara a padre Dante. Conservo una sua opera, ricca di foto stupende, dedicata ai marmi di S. Vitale: tempio visitato più volte con la sua guida dotta, che mi riproponeva particolari nuovi o sfuggiti, penombre e giochi di luce sulle marmoree e levigate superfici policrome. Già, i marmi: colori, riflessi, venature, disegni. L’artista ed il Chimico si alleavano per raccontare quei materiali millenari, di fronte ai quali i visitatori ritrovano I’armonia del creato. Ritorno volentieri con il pensiero ad un incontro di circa quattro anni fa: è ancora lucido, memore, a tratti vulcanico. Ma c’è già un presagio di un triste decadimento fisico e mentale: la voce stanca, lo sguardo talora perso, l’amarezza nelle parole. Parliamo seduti su un divano, a casa sua. Tentiamo di dissacrare il futuro, ripercorrendo il passato: la degustazione attenta di buoni vini, la visita ad abbazie e musei. E’ estate: in quella luce ed in quella brezza marina, mi confida la decisione di scrivere un nuovo libro sulla sua città, purtroppo mai completato. Ripenso a questa opera che non ha avuto la gioia di presentare e rivedo quell’impolverato fascio di sole che attraversava la sala. Tendo ora nel vuoto la mano, cercando la sua. In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 1 febbraio 2008 ed è stato accettato per la pubblicazione il 4 febbraio 2008. 27 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Il nuovo Regolamento Europeo sulla Chimica: REACH È passato poco più di un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, il giorno 30 dicembre 2006, del regolamento REACH (acronimo che sta per “registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche”). Con questo atto l’Europa ha adottato la più avanzata e complica ta legislazione mondiale in materia di controllo e registrazione delle circa 30.000 sostanze chimiche che circolano attualmente all’interno dei propri Paesi membri. di Gianluca Stocco (normachem) 1Sede ufficio: via G.Munari n°1, 35014 Fontaniva (PD) tel. 049.5940419, fax 049.8591142, cell. 347.2660106 Posta elettronica: [email protected] Premessa Dovranno essere registrate presso la nuova agenzia chimica europea, che avrà sede ad Helsinki, tutte le sostanze chimiche prodotte (o importate) in Europa in quantitativi superiori ad 1 tonnellata annua. Entro il 2010 dovranno venire registrate le sostanze più pericolose e quelle prodotte/importate in quantità superiore a 1.000 tonnellate l’anno. Seguiranno, entro il 2013 quelle tra 100 e le 1.000 tonnellate ed infine, entro il 2018, quelle prodotte/importate in minor quantità (da 1 a 100 tonnellate/anno). Per tutte le sostanze è comunque prevista una fase di pre-registrazione che dovrà essere effettuata entro 18 mesi dell’entrata in vigore di questo Regolamento. Con questo Regolamento non solo si inverte l’onere della prova sulla pericolosità delle sostanze (dalle autorità pubbliche passa infatti a carico delle imprese) ma viene anche introdotto il principio di sostituzione. Per le circa 1.500 sostanze ritenute le più dannose si prevedono tre strade: • la sostituzione qualora ne esista la possibilità e sia economicamente percorribile; • l’autorizzazione per un periodo limitato dietro garanzia di un adeguato controllo (e relativo piano di sostituzione obbligatorio quando ci siano alternative); • via libera all’utilizzo se non ci sono alternative di sostituzione previa presentazione di un valido piano di ricerca. Il Regolamento è entrato in vigore ufficialmente il 1° giugno 2007 (come riportato all’articolo 140) ma la vera e propria operatività, soprattutto per le imprese, inizierà il 1° giugno 2008. Si ricorda che questo è un Regolamento e quindi come tale NON dovrà essere recepito dall’ordinamento legislativo nazionale. Cronistoria REACH Libro Bianco (documento di indirizzi e strategie sulla chimica): Febbraio 2001 Consultazione internet prima bozza regolamento REACH: Maggio-Luglio 2003 Proposta della Commissione: 29.10.2003 Prima Lettura PE: 17 novembre 2005 Posizione comune Consiglio: 13 dicembre 2005 Seconda Lettura PE: 13 dicembre 2006 Posizione comune Consiglio: 18 dicembre 2006 Pubblicazione in GU: numero L 396 del 30 dicembre 2006 – Regolamento n° 1907 Pubblicazione delle Rettifiche al Regolamento: GU n. L 136 del 29 maggio 2007 Impatto sul mondo produttivo Bisogna considerare che il REACH, tenuto conto della pervasività dell’industria chimica, che fornisce beni intermedi a tutti i settori dell’economia, avrà ripercussioni tanto gestionali che economiche non soltanto sulle aziende chimiche ma anche su tutti quei settori industriali che utilizzano le sostanze chimiche. Ancora poco definite sono le linee guida che dovrebbero aiutare nell’implementazione del Regolamento in maniera uniforme nei diversi Stati Membri, poco chiare sono inoltre le politiche nazionali su come e in quale misura intervenire a supporto delle imprese italiane. In particolare, le PMI, sicuramente le aziende che In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale, su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 2 novembre 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 28 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI subiranno il maggiore impatto del Regolamento, necessiteranno di strumenti di aiuto nell’applicazione dello stesso. In Italia il 98% del settore chimico, con più di 70,000 aziende, è composto da PMI. Esse rappresentano il 50% dell’occupazione totale, e più del 50% del fatturato totale del settore. I mutamenti dall’introduzione del REACH Tutte le aziende che producono e/o importano sostanze chimiche dovranno provvedere alla registrazione di tali sostanze instaurando un filo diretto con l’Agenzia europea della chimica. Dal momento dell’introduzione del Regolamento nella normativa nazionale, inoltre, lo scenario della Chimica Italiana subirà un rivoluzionario cambiamento. Infatti sarà verosimile assistere alla scomparsa di sostanze chimiche – magari di strategica importanza - non più prodotte o importate perché non convenienti, il che avrà come logica conseguenza la necessaria modifica dei sistemi di produzione o dei processi produttivi, o ancora l’indispensabile ricerca di sostituzione delle sostanze. E’ opportuno mettere in evidenza come, il cambiamento dovuto al REACH, sia molto più radicale per una PMI (a valle della catena di approvvigionamento) che per una grande azienda, con ogni probabilità già oggi in linea con i dettami del Regolamento. Interventi alle aziende Primo passo fondamentale sarà aiutare le azien de a capire se e come verranno “toccate” dal REACH e soprattutto i tempi che avranno a disposizione per poter attuare quanto richiesto da questa nuova norma. Dopo questo primo intervento si potrà intervenire nello specifico: • Informazione specifica e assistenza nella predisposizione dei dossier di registrazione e di revisione degli stessi prima di sottometterli all’Agenzia Europea, in modo che questi possano essere redatti nella maniera più corretta e completa come richiesto dal Regolamento; • Assistenza sulle modalità operative di costituzione e funzionamento dei Consorzi; • Indicazione di laboratori di analisi e centri di saggio per poter ottenere tutti i dati necessari per la compilazione dei dossier tecnici. • Supporto e sostegno per l’innovazione e la ricerca (elementi fondamentali soprattutto per la sopravvivenza delle PMI), per esempio le aziende che dovranno sostituire sostanze pericolose con altre meno pericolose o per le aziende che non troveranno più alcune sostanze sul mercato europeo; • Assistenza alle aziende che non devono registrare le sostanze chimiche ma che le utilizzano (verificare se il proprio utilizzo rientra nello scenario definito dal proprio fornitore/importatore). 29 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI Il problema energetico in Italia di Paolo Magnani1 1 [email protected]; [email protected] Riassunto: L’Autore presenta una sintesi aggiornata del dibattito sulle principali fonti energetiche. Vengono esposti i più importanti aspetti scientifici, senza trascurare fattori ambientali ed economici. Particolare attenzione è rivolta ai problemi italiani, nel quadro complessivo dell’Unione Europea e alla luce del Protocollo di Kyoto e delle normative internazionali. Dal confronto ed esame delle diverse componenti considerate, emerge l’opzione per l’energia nucleare come soluzione migliore dai vari punti di vista. Parole chiave: biomasse, biocarburanti, fotovoltaico, solare termodinamico, reattore subcritico. Extended abstract: Energy sources, their exploiting and disadvantages are the object of vast discussions. The Author presents a synthesis of the recent debate, focusing on scientific aspects, and touching environmental and economic issues. Although Italy is the main object of attention, its problems are shown in the global background of the European Union and of international regulations. The nuclear option stands out as the best solution from many points of view. Key words: Biomass, biofuel, photovoltaic cell, thermodynamic solar power plant, subcritical reactor. La notizia, anche se riportata sulle pagine interne del quotidiano economico italiano più stimato, è di quelle da far sobbalzare o quasi: il prezzo del petrolio, ormai in “ascesa libera” da tempo, ha superato gli 88 dollari al barile! “Il petrolio a 100 dollari al barile? Non mi sembra una prospettiva così distante”. A pensarlo è Rajiv Kumar, un economista-analista indiano che ha passato la propria vita a studiare alcune delle economie legate in maniera più stretta all’andamento del prezzo del greggio. La notizia a cui ho accennato sopra si inquadra nella constatazione, amara ma consolidata da vari anni, che la bolletta energetica italiana è diventata la più alta fra tutti i paesi europei e che contribuisce a strozzare in maniera determinante l’economia del nostro Paese. Un incremento annuo dell’1,5-1,9%, quale dicono le statistiche attuali, sembra a me molto modesto, quando con un costo dell’energia notevolmente più contenuto esso sarebbe certamente molto più alto con beneficio generale. Dalla classifica mondiale sulla competitività di Business International e dell’Economist Intelligence Unit emerge infatti che l’Italia è al 40° posto su 82 Paesi esaminati. L’Italia sta quindi attraversando, dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico, un periodo particolarmente delicato e difficile. Al cittadino qualsiasi, distratto dai propri problemi quotidiani, la cosa non può, di primo acchito, apparire evidente. Se si osservano però con maggior attenzione articoli di giornali o riviste, o se si è porto l’orecchio alle recenti disposizioni governative ed alle misure del Governo stesso, atte al risparmio di fonti petrolifere ed al progetto di utilizzazione di fonti alternative di energia, la cosa richiama l’attenzione di tutti. L’attuale massiccio ricorso a combustibili di origine petrolifera non può non destare preoccupazione non solo per l’alto costo che esso implica, ma anche per una conseguenza che ormai è accertata da tempo ed è il famoso “effetto serra”. Esso, com’è noto, provoca un aumento progressivo della temperatura del pianeta e quindi delle acque degli oceani, con effetti inquietanti sui climi del pianeta e sul dissolvimento dei ghiacci delle calotte polari. La relazione tra “effetto serra” e variazioni climatiche è stata a lungo discussa e lo è tuttora; resta il fatto che la distribuzione di eventi tipo piogge periodiche, uragani, siccità e desertificazione di estese aree della Terra ha subito evoluzioni – a detta degli specialisti e meteorologi – decisamente sconcertanti. L’”effetto serra” è dovuto a numerosi gas, ma quello direttamente sotto accusa per il suo enorme e tuttora inarrestabile accumulo nell’atmosfera è la CO2. Superfluo dire che tutte le sostanze organiche che bruciano generano anidride carbonica; occorre però tener conto che se si brucia ad esempio della legna o della biomassa vegetale, la CO2 prodotta è quella che la combustione “restituisce” dopo che i vegetali sono nati e cresciuti fissando la CO2 nella fotosintesi; se si brucia invece un prodotto petrolifero non c’è questa compensazione. L’Italia sta attualmente utilizzando nelle centrali termoelettriche forti quantità di tali prodotti, e punta ora ad un elevato consumo di metano, proveniente in prevalenza da Russia, Algeria e Libia. Occorre qui parlare del protocollo di Kyoto. Già dal 1992 la Convenzione-quadro delle Nazioni Unite aveva approvato a New York il progetto di stabilizzazione a livello planetario della concentrazione dei gas ad effetto-serra. Nel dicembre 1997 nasce il Protocollo di Kyoto, che è lo strumento attuativo della Convenzione sopra menzionata: esso impegna tutti i Paesi industrializzati a ridurre i gas ad effetto serra, e diventa vincolante quando viene ratificato da un numero di Paesi pari al 55% delle emissioni. Il Protocollo di Kyoto entra in vigore il 16 febbraio 2005. Il 30 aprile 2006 c’è la verifica sul primo anno di funzionamento del mercato europeo, col bilancio tra le quote di emissioni assegnate e quelle effettivamente prodotte. C’è la possibilità di “acquistare” quote da Paesi più virtuosi di quanto ad essi assegnato e quindi “vendere” quote a Paesi che sono fuori dalla quota assegnata, cioè l’hanno superata. L’Italia è purtroppo tra le nazioni europee al di fuori della quota assegnata, ovviamente per averla superata. Allo stato attuale questo dato è In relazione alle norme di pubblicazione di contributi di interesse scientifico-professionale su “Il Chimico Italiano” il presente articolo è stato ricevuto il 12 dicembte 2007 ed è stato accettato per la pubblicazione il 7 gennaio 2008. 30 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI tuttora di debito, e si prevede che – col programma del Governo (massiccio uso di metano nelle centrali termoelettriche) – saremo ancora in debito per chissà quanto tempo. Se l’Autorità dell’Unione Europea preposta a far rispettare il Protocollo di Kyoto dovesse sanzionarci per la nostra situazione debitoria, dovremmo pagare una multa elevatissima. Non dimentichiamo inoltre gli effetti dell’inalazione di CO2 da parte dell’organismo umano. E’ noto che la CO2 non è velenosa ma soffocante, e non si può vivere normalmente in ambienti dove essa supera una certa concentrazione. Di recente la stampa ha riportato studi medici che mettono in relazione l’elevata concentrazione di CO2 nell’aria respirata e le possibili crisi di panico in persone particolarmente predisposte. Il neurologo R. Sorrentino, direttore dell’Istituto ricerca e cura degli attacchi di panico della Clinica Pio X di Roma, asserisce che, una volta inalata, l’anidride carbonica stimolerebbe quei recettori cerebrali che possono indurre in alcuni centri nervosi uno stato di agitazione, che a sua volta predispone all’attacco di panico. I casi riscontrati si sono verificati in luoghi particolarmente affollati tipo i vagoni della metropolitana, i treni di pendolari e gli autobus, ove la concentrazione di CO2 ha superato le 2500-3000 ppm. Per quanto detto finora è chiaro che da tempo si parla del ricorso a fonti energetiche alternative, fonti rinnovabili (combustibili da biomasse: ad esempio alcoli metilico ed etilico, biodiesel). E sempre più spesso si leggono articoli e proposte di un ritorno al nucleare. Tra le fonti alternative è necessario citare i generatori eolici, i pannelli solari, i pannelli fotovoltaici ed i sistemi che sfruttano la concentrazione dei raggi solari con generazione di vapore da collegare a impianti turbina/alternatore per la produzione di elettricità. Non è da dimenticare inoltre l’applicazione di moderni criteri ecologici all’edilizia, che permettono sensibili risparmi energetici; in Italia purtroppo in questo campo siamo solo agli inizi. I generatori eolici sono un sistema moderno, efficace ed intelligente di produzione di energia elettrica e sono largamente diffusi nel Nord Europa, in Germania e in Spagna. In Italia essi non godono di sufficiente stima per due ragioni: la prima è legata al fattore estetico, poiché è opinione diffusa che i “mulini a vento” siano brutti e deturpanti. Così anche di recente una cospicua installazione di generatori eolici in Sardegna è stata bocciata: peccato, si è rinunciato a un bel po’ di megawatt di preziosa energia elettrica. Qui mi viene spontaneo esprimere una ormai diffusa opinione circa un difetto di noi italiani (ma forse anche all’estero è un po’ così), per cui desideriamo tante belle cose utili o necessarie: le linee ad alta tensione, le linee ferroviarie, le centrali elettriche, i rigassificatori per il metano, ecc. ecc. Quando però i tecnici esperti del Governo indicano i luoghi ove tali opere devono essere installate, ecco che subito nascono le ribellioni ed i no di comuni e regioni: “non nel mio giardino” o Nimby come si suol dire. Le opere bloccate ammontano a decine e quindi se per certe cose siamo carenti o arretrati non possiamo altro che recitare i “mea culpa”. Tornando ai generatori eolici, la seconda ragione che limita la loro diffusione è legata alla conoscenza imperfetta del regime dei venti sulla superficie terrestre, per cui l’obiezione di coloro che sono contrari dice: “… e se poi il vento cessa?”. Gli esperti sanno rispondere esaurientemente a tale obiezione: se i generatori eolici sono impiantati “off-shore”, cioè in mare, ad una certa distanza dalla costa, le loro pale girano praticamente di continuo. Avete mai visto in proposito foto di generatori eolici danesi? Sono per lo più “off-shore”. Veniamo ai pannelli fotovoltaici: essi sono in commercio ormai da parecchi anni, ma la loro tecnologia di fabbricazione deve fare ancora progressi consistenti perché diventino convenienti. In termini più espliciti, il rapporto rendimento/costo è ancora troppo modesto, a mio avviso, perché ci si decida ad utilizzarli su larga scala. Esistono qua e là in Italia installazioni di dimensioni limitate e l’ENEL stesso ne possiede alcune, ma il numero di megawatt prodotto è ancora basso. Dal luglio scorso in Italia hanno iniziato i lavori di costruzione 7400 impianti fotovoltaici, per una potenza complessiva di 200 megawatt. In Germania comunque la tecnologia di fabbricazione è migliore di quella di altre nazioni e sui tetti tedeschi sono già presenti più di 300.000 sistemi fotovoltaici, il 50% dei quali posati su edifici multifamiliari, su edifici pubblici e spazi commerciali, mentre l’altro 50% è costituito da piccoli impianti installati su residenze private. I pannelli solari che generano acqua calda sono anch’essi preziosi dispositivi, che per la loro semplicità di costruzione e gestione si sono ormai 31 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI largamente diffusi e, com’è ovvio, sono assai convenienti; le statistiche dicono che l’aumento delle installazioni di tali pannelli nel nostro Paese ha toccato il 46% nel 2006. Per quanto riguarda invece il solare termodinamico, cioè i sistemi che sfruttano la concentrazione dei raggi solari con generazione di vapore e quindi di energia elettrica, l’Italia non ha ancora impianti di tal genere. C’è comunque un importante progetto degli scienziati italiani dell’ENEA (Ente per le nuove tecnologie Energia e Ambiente) che dovrebbe realizzarsi a Priolo Gargallo, piccolo centro in provincia di Siracusa. Il team è guidato dal premio Nobel italiano prof. Carlo Rubbia che, dopo un periodo di lontananza dall’Italia e di ricerca in Spagna, ha rilanciato in Italia la sua sfida per il solare termodinamico. Penso che sia noto il principio di questa intelligente tecnologia: impianti costituiti fondamentalmente da tantissimi specchi concavi concentrano i raggi solari in un unico recettore termico che immagazzina energia, pronta per essere poi sfruttata in un impianto termoelettrico o a ciclo combinato. Il punto chiave del successo di queste tecnologie è il cosiddetto “thermal storing”, o immagazzinamento termico: si raggiungono temperature molto elevate poiché l’energia catturata dagli specchi parabolici ed immagazzinata da un fluido salino subisce una densità di concentrazione dell’energia solare molto alta. Il calore ad alta temperatura prodotto viene accumulato in un contenitore di dimensioni tali da produrre energia in funzione della domanda, evitando l’eventuale discontinuità di energie rinnovabili (es. fotovoltaico od eolico). Veniamo ora ai combustibili da biomasse: quantità sempre maggiori di quest’ultime vengono ormai prodotte un po’ ovunque, soprattutto per ottenere, mediante processi fermentativi, alcoli metilico ed etilico e, mediante trans-esterificazione di oli vegetali, il cosiddetto biodiesel. Dei primi è soprattutto l’etanolo che interessa nel campo dell’autotrazione. Esso è generalmente miscelato al 5-10% con benzina normale, ma in Brasile, che vanta coltivazioni vastissime di mais per la produzione di bioetanolo, esiste già da tempo un numero non elevato di auto funzionanti ad etanolo puro. Si tratterà probabilmente di motori con rapporti di compressione molto elevati, perché l’etanolo è una molecola che ha fortunatamente un potere antidetonante molto alto. 32 Analogamente, per ottenere biodiesel da oli vegetali in quantità industrialmente interessanti occorrerebbero grandi piantagioni di colza, girasole, ecc., per cui al momento attuale, essendo la quantità di biodiesel prodotta in Italia relativamente modesta, tale prodotto è più costoso del normale gasolio ed è tuttora sottoposto a pesante imposizione fiscale. Esattamente solo 40.000 tonnellate è la quantità di biodiesel che in Italia è finita miscelata al diesel nei primi sette mesi dell’anno. Zero, com’è ovvio, la quota di bioetanolo nella benzina. Le previsioni iniziali (non rispettate quindi) indicavano in 400.000 tonnellate la produzione per il 2007 che, per legge, sarebbero dovute essere obbligatoriamente miscelate a gasolio diesel e benzina. Entro il 2010, secondo il Protocollo di Kyoto la percentuale dovrebbe salire al 5,75%. Il ritardo sarebbe da imputare ai decreti attuativi che devono avere l’approvazione del Consiglio di Stato. Nel lodevole intento di limitare il consumo di prodotti petroliferi per usare quelli sopra descritti, c’è da immaginare che i Paesi – Italia compresa naturalmente – che vorranno produrre notevoli quantità di bioetanolo e biodiesel dovranno destinare aree vastissime del territorio alle colture vegetali che poi daranno origine alle biomasse e successivamente a tali prodotti. Col rischio di interferire anche pesantemente con le colture agricole tradizionali, alle quali ovviamente non si può rinunciare; si dovrà poi tener conto dei tempi tecnici per realizzare le colture vegetali in questione e del costo degli impianti per ottenere bioetanolo, metanolo e biodiesel. Un esperto di queste problematiche, L. Maugeri, afferma che “occorreranno enormi superfici coltivate per ottenere volumi assai ridotti di biocarburanti”; ed afferma più oltre che se, per ipotesi, si destinassero alla coltivazione della colza tutti i 13 milioni di ettari di terreno coltivabile italiano per ottenere olio di colza e quindi biodiesel, si potrebbe sostituire circa il 15% del gasolio usato in Italia. In sostanza una terribile devastazione di un territorio (con lo sradicamento di colture storiche quali ulivi, vigneti, ecc.) per un risultato molto modesto. Sorvoliamo, per ragioni di spazio, su molti altri aspetti, come per esempio il banale errore di equiparare il litro di benzina a quello di bioetanolo. Quest’ultimo costerebbe più della benzina con un minor potere calorifico, che si tradurrebbe in 30-40% in meno di energia rispetto alla benzina a parità di volume; quindi Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI con un litro di bioetanolo si percorrono molti km. in meno. Ultimo e non indifferente aspetto negativo di queste coltivazioni intensive ed estensive di biomasse per biocarburanti è che esse richiedono acqua, tantissima acqua, ed è quanto meno singolare che nessuno si preoccupi di questo, quando la stessa ONU classifica il problema idrico come il più critico del nostro secolo. Veniamo ora all’ultimo argomento, ma non per questo meno importante degli altri già trattati: la produzione di energia con reattori nucleari. L’abbandono del nucleare con il referendum del 1987 è stato – a mio avviso – una delle scelte in campo energetico più errate, gravi ed incomprensibili, ed è anche il motivo fondamentale per cui l’Italia si trova nella penosa situazione attuale, nella quale occorre comprare la maggior quantità di energia da fornitori esteri, o direttamente come energia elettrica o come combustibili tipo petrolio o gas naturale. L’abbandono del nucleare (e quel che è peggio la dismissione di centrali come ad esempio quella di Caorso che con poche centinaia di milioni di lire avrebbe potuto ripartire) è stato generato da una reazione generale di paura e fuga in seguito all’incidente di Cernobyl. Esso fu indubbiamente molto grave, ma occorre tener presente da una parte la tecnologia del tutto obsoleta del reattore di tipo RBMK, il cui nocciolo fuse con le disastrose conseguenze ben note; e dall’altra il progresso tecnologico dei reattori attuali, arrivati ormai alla quarta generazione e quindi intrinsecamente sicuri. Mentre in tutto il mondo si riparte con la fabbricazione di centrali nucleari, nel nostro Paese regna un clima per lo più di opposizione che, a voler ragionare serenamente e senza pregiudizi, non si riesce a comprendere pienamente. Il nemico numero 1, com’è noto, è l’attuale Ministro dell’Ambiente che ha formulato da tempo l’equazione: centrale nucleare = reattori di Cernobyl e quindi certezza di morire prima o poi per incidente nucleare. Ma non mancano altri oppositori che con una certa regolarità intervengono su giornali e riviste e, con una sicurezza che molto spesso tradisce la loro totale incompetenza tecnico-scientifica, sparano addosso al nucleare con le argomentazioni più strane, meno logiche, più prive di ogni fondamento razionale. Cito una recente lettera al Direttore del Corriere della Sera: chi scrive parla con un piglio di sicurezza che quasi intimorisce. Dice questo “esperto” che le centrali nucleari sono di due tipi: il primo è quello delle centrali tradizionali a fissione che producono plutonio (sempre?!) e che quindi sono in mano a Stati che vogliono produrre bombe termonucleari: a parte il fatto che la resa energetica di tali centrali è notoriamente assai bassa (sic!). Il secondo tipo è quello delle centrali con reattori a fusione nucleare funzionanti a isotopi d’idrogeno, abbondantissimi in natura (e quindi assai economici, dovremmo dedurre…). Non aggiungo altro: forse quel tale ha raggiunto lo scopo di ottenere un reattore a fusione nucleare stabile (realizzato nella sua cantina?) mentre decine di fisici atomici in tutto il mondo stanno provando e riprovando con apparecchiature molto complesse e costose (reattori TOKAMAK o ITER); ma di produzione stabile di energia da fusione nucleare per ora non se ne parla. Tornando al problema delle centrali nucleari, gli oppositori del nucleare fondano la parte più persuasiva del loro discorso sulla questione dello smaltimento delle scorie nucleari, affermando o che non esistono possibilità di metterle al sicuro o che la radioattività residua che contengono non è ulteriormente sfruttabile. Tali argomenti possono essere oggi confutati entrambi, sia per l’esistenza di tecnologie inglesi e francesi molto avanzate nel trattamento delle scorie, sia per la possibile applicazione del cosiddetto “reattore nucleare subcritico” o “amplificatore d’energia” proposto dal prof. Carlo Rubbia. Quest’ultimo impianto ideato dal nostro illustre scienziato permetterebbe di trattare in un particolare reattore le scorie nucleari, ottenendo energia e riducendo notevolmente la “vita radioattiva” delle scorie medesime. Ricordiamo ancora che l’Italia avrebbe un ottimo sito di stoccaggio delle scorie radioattive: il sito di Scansano Jonico, dove le scorie potrebbero giacere in profondità all’asciutto e al sicuro. Ma sappiamo cosa ne pensano gli abitanti di tale sito. Un’altra obiezione al nucleare, questa sì inconfutabile, riguarda il costo molto elevato degli impianti e dell’uranio necessario a farli funzionare. Immaginiamo però di calcolare il costo della produzione delle energie alternative: fotovoltaico, eolico, da biomasse, termodinamico, nonché quello relativo all’acquisto del gas metano, e la realizzazione degli impianti del cosiddetto “carbone pulito” (quest’ultimo prevederebbe la separazione, la cattura, la liquefazione della 33 Il Chimico Italiano • n. 1 gen/feb 2008 DAGLI ISCRITTI CO2 prodotta e il suo confinamento in giacimenti petroliferi pressoché esauriti o addirittura sul fondo del mare: un insieme di procedimenti ancora allo stato di studio ma certamente costosissimi). Immaginiamo di sommare tutti questi costi: probabilmente la cifra finale supererebbe il costo di dieci centrali nucleari da 1500-2000 megawatt; o no? Riassumendo: Ritornare, il più velocemente possibile, al nucleare permetterebbe la realizzazione dell’energia la più pulita tra tutte, che consentirebbe all’Italia non solo di sfuggire alle conseguenze delle crisi politiche dei Paesi produttori di petrolio e derivati ed ai loro ricatti, ma anche di ridurre progressivamente il debito nei riguardi del protocollo di Kyoto, con la soddisfazione di respirare un’aria incomparabilmente più pulita e sana e la convinzione di non dare contributo a mutazioni e sconvolgimenti climatici che, come sembra ormai molto probabile, sono direttamente legati all’”effetto serra”. Un’ultima considerazione, da sottoporre anche ai politici che ci governano: rammentiamo che Francia, Austria, Svizzera e Slovenia ci vendono energia elettrica non solo e non tanto perché indubbiamente gliela paghiamo bene, ma soprattutto perché ne hanno in surplus. Che cosa accadrebbe se tale situazione cessasse (e non è per nulla illogico o impossibile pensarlo)? Quanto tempo di preavviso ci darebbero tali Paesi prima di “chiudere i rubinetti”? 34 BIBLIOGRAFIA AA. VV., Le Scienze, anno 2006, n. 459 (intera rivista). AA. VV., Incontri, BpER, anno 2007, n. 93, pag. 42 e sgg. BELLONE E., Le Scienze, anno 2005, n. 445, pag. 5 e sgg. CALERI R., Il Sole 24 Ore, n. 310, 11-11-2007. FAIELLA M.G., Corriere della Sera, 13-05-2007. MAGLIOCCO P., Quark, anno 2006, n. 63, pag. 85 e sgg. MANNA C., Corriere della Sera, 27-11-2007. MARINO D., Panorama, 08-09-2007. MAUGERI L., Il Sole 24 Ore, n. 83, 25-03-2007. PHOTON CONSULTING, Il Sole 24 Ore, n. 151, 03-062007. SOKOLOW R.H., Le Scienze, anno 2005, n. 445, pag. 70 e sgg. STAGNARO C., IBL Focus, n. 18, 21-02-2006. VALSECCHI C., Le Scienze, anno 2006, n. 452, pag. 70 e sgg. VERONESI U., Corriere della Sera, 30-05-2007. WALD M.L., Le Scienze, anno 2007, n. 464, pag. 82 e sgg. www.archivionucleare.com www.siet.it www.ugis.it www.biocarburanti.org www.chim.unisi.it www.ecoage.it ELENCO delle COMMISSIONI CONSILIARI 2005-2010 1) Deontologia, magistratura, ordinamento professionale (Zingales - Tau) 2) Formazione e aggiornamento professionale (Maurizi Carnini - Riccio) 3) Organizzazione Convegni, Congressi, incontri con gli Ordini e C.N.C. (Occhipinti - De Pace - Maurizi - Ribezzo Scanavini) 4) Parlamento, leggi e Commissioni Parlamentari (Zingales Bresciani - Maurizi - Mencarelli - Munari - Ribezzo) 5) Pari opportunità (Biancardi - Occhipinti) 6) Rapporti con Enti ed Istituzioni (Zingales - Calabrese Facchetti - Mencarelli - Tau) 7) Scuola, Università e Ricerca (Zingales - Facchetti - Riccio Scanavini - Tau) 8) Stampa, informazione e comunicazione (Ribezzo Biancardi - Bresciani - Carnini - De Pace) 9) Studi e pareri, relazioni internazionali e attività preparatoria e di approfondimento (Facchetti - Munari - Carnini) N.B. I nomi sottolineati riportano i Consiglieri Coordinatori della Commissione www.chimici.it