I francescani e l`evangelizzazione nell`Europa di oggi Inserto al
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I francescani e l`evangelizzazione nell`Europa di oggi Inserto al
I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi Inserto al Notiziario - I 1. Il nostro discorso sull’”Europa” si muove – al pari del nostro discorso sugli ideali e sui valori francescani – continuamente e necessariamente tra la nostra “visione” da un lato e un “pragmatismo” se non in una banale realtà dall’altra. Esistono molti ideali e molte finalità che colleghiamo con il progetto Europa e che devono essere realizzati da parte di tutti gli interessati perché il progetto possa diventare realtà. Sono da elencare in particolare i seguenti aspetti: • Unità nella molteplicità e molteplicità nell’unità; • La parziale rinuncia ad una sovranità nazionale finora esistita; • La ricerca di soluzioni dei conflitti senza l’uso di ricorsi o di violenza; • Il rispetto delle minoranze; • Pianificazione del futuro basata sulla democrazia, solidarietà, tolleranza e partecipazione; • Libertà sia di coscienza che di religione garantita nell’ambito e sulla base di un ordinamento di fondo comune (costituzione). 2. L’Europa, sul piano politico ed economico, è tuttora un cantiere nel quale si lavora in piccoli ma numerosi passi. Al di là di tutte le considerazioni non dobbiamo però dimenticare che l’Europa è stata per secoli e fino a poco tempo fa un campo di battaglia con milioni di morti. In molti luoghi e in diversi tempi è stata terreno di dittature e guerre civili, di razzismo e “pulizie etniche”. Molti europei – ma anche cittadini di altri continenti – associano il termine “Europa” ad una situazione di con-fini ristretti, di particolarismo, di nazionalismo e una rovinosa campagna di scalzamento, di imperialismo, di oppressione sul territorio del continente e di sfruttamento coloniale in altri paesi, con la conseguente creazione di benessere a costo degli altri. Tutto questo non lo possiamo dimenticare. Se però pensiamo alla storia intrisa di dolore e di pena di questo continente, allora questo “incompiuto progetto Europa” (J. Habermas) diventa per tutti gli interessati – indipendentemente dalla loro cultura e provenienza religiosa – un impegno per il futuro, per il quale vale la pena di investire le II - Inserto al Notiziario proprie forze. La collaborazione nel cantiere Europa dal punto di vista cristiano e francesca-no è in sé già evangelizzazione e adempimento alla nostra “missione”, non nel senso di una strategia di imposizione monologa e magari volta all’indietro, ma al contrario volta al dialogo, alla collegialità basata sulla responsabilità comune per tutti coloro che collaborano a questo progetto, nella convinzioneche i valori fondamentali del vangelo come la somiglianza dell’uomo a Dio, la parità di dignità tra i sessi e le razze e la riconciliazione siano elementi irrinunciabili nella costruzione della nuova casa “Europa” e di una comunità mondiale più giusta e pacifica. Come possono dunque contribuire i membri della famiglia francescana a questo progetto? Io ritengo cosa salutare porci in un contesto più ampio: In questo contesto l’esortazione Apostolica “Ecclesia in Europa” di Giovanni Paolo II (2003) al n. 38 indica come “contributo specifico delle persone di vita consacrata al vangelo della speranza” i seguenti aspetti: • rispondere alle domande delle nuove forme di spiritualità; • riconoscimento del primato assoluto di Dio; • essere segno di speranza in un contesto contaminato dal secolarismo e assoggettato al consumismo; • testimoniare la dimensione trascendente dell’esistenza; • dare testimonianza di fraternità in un contesto multireligioso e multiculturale; • creatività nell’opzione per i poveri; • proseguimento del progetto di evangelizzazione anche negli altri continenti. Qui vi è un compito preciso per le chiese e gli ordini religiosi, anche per i francescani: ricordare alcuni valori fondamentali ed ispirazioni, senza le quali il “progetto Europa” non potrebbe andare oltre alcune mete politiche ed economiche: Francesco per noi incarna questa visione. Egli è per noi una memoria, un monito salutare, una anticipazione profetica di una nuova realtà in fratellanza sotto l’egida dell’unico Padre, in pace e giustizia, un mondo verso il quale tendiamo nonostante le molteplici esperienze contrarie. Egli ci dice: Se volete costruire una casa comune, dovete abbandonare le vostre strutture esistenti, il modo di pensare o di concepire Dio, la teologia e la spiritualità. Pace e fratellanza possono esistere solamente se usiamo una giustizia reciproca; una giustizia che potrà esistere solamente se siamo disposti alla I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi condivisione e alla rinuncia; stima e rispetto nei confronti del prossimo li avrà solo colui che vede nel prossimo una creatura pari a se stesso, fratelli in cammino sulla via di una storia comune. In questo senso, un atteggiamento fraterno di stima, rispetto e solidarietà potrebbe essere un valido principio per poter un giorno superare tutti i problemi e le tensioni tra individui, gruppi e popoli, come anche per risolvere la questione della distribuzione dei beni, delle opportunità di vita nel presente e nel futuro. Nelle relazione dettate da una logica spietata di mercato questo progetto non riuscirà mai. Una teologia e spiritualità poi, che si richiama unicamente ad una società ed una chiesa autoritaria, monologa ed auto-cratica, ugualmente non potrà dare un contributo positivo alla nuova Europa. Francesco e Chiara ci indicano un’altra via: un’esperienza di Dio ed un prassi ecclesiale che nonostante la loro radicalità non comportano mai una delimitazione fondamen-talistica ed una negazione delle convinzioni altrui, poiché sa che siamo tutti figli e figlie dell’unico Padre. 3. Vorrei porre le nostre domande e la nostre ricerca anche nel contesto della ”Charta Oecumenica” di tutte le chiese cristiane in Europa - firmata nel 2001 -, che può offrirci importanti punti di riferimento per le nostre riflessioni. Questo documento formula diversi impegni: • Nello spirito della lettera agli Ebrei 4,3-6 (“Un corpo, uno Spirito, una fede, un battesimo…”) ci impegniamo per una comprensione comune del Vangelo di Gesù, che un giorno deve portarci all’unità visibile, nel reciproco riconoscimento del battesimo e nella comunione eucaristica. • Nello spirito di Giovanni 13,35 (“Da questo conosceranno tutti…”) le diverse tradizioni cristiane cercano vie di evangelizzazione e di intesa per evitare inutili divisioni, concorrenze e proselitismo, per incentivare la collaborazione ecumenica, per ridurre gli equivoci ed i pregiudizi tra chiese di maggioranza e chiese di minoranza, per favorire il dialogo ed evitare nuove scissioni. • Nello spirito di Matteo 5,9 (“Beati quelli che si adoperano per la pace…”) ci impegniamo per un’Europa umana e sociale. Vogliamo porre un accento sul rispetto della vita, vogliamo evitare ogni forma di Eurocentrismo e di resistere alle tentazioni nazionalistiche ed etnocentriche. Dobbiamo esercitarci alla non-violenza. Nella chiesa e nella società ci impegniamo per l’uguaglianza tra uomini e donne. Dobbiamo salvaguardare il creato. Noi I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi cerchiamo relazioni dialogali fraterni con gli “altri”, in particolare con il giudaismo e l’islam. 4. Nel caso che la famiglia francescana un giorno volesse formulare una “Charta Oecumenica Francescana” per l’Europa, alle proposte sinora fatte aggiungerei le seguenti domande e/o impulsi: • Negli ultimi 20-30 anni, il nostro ordine è riuscito a tenere strutturalmente e spiritualmente il passo con le sfide posteci dalla nostra stessa “global mission”, facendo particolare riferimento all’Europa? Potrebbe essere che definiamo e viviamo le nostre “fraternità” tuttora troppo intimistiche ed egocen-triche, troppo locali o addirittura nazionali. Noi sia-mo parzialmente, ma effettivamente attaccati a strutture ormai non più adatte ad esprimere la nostra missione nel attuale contesto continentale, globale e pluriculturale. Giustamente negli anni scorsi è sta-to sempre più posto l’accento sulla necessità che le nostre strutture devono essere invase dal fuoco di una “missione”, sulla necessità che noi stessi dob-biamo essere una “fraternità in missione”. Che cosa significa questo concretamente per l’Europa? In ul-tima analisi questa non è una questione strutturale, ma la questione di una spiritualità missionaria incarnata nel mondo di oggi come pure di una “fe-deltà creativa” indicata nell’esortazione apostolica “Vita Consacrata” (1996). • La situazione delle nostre province, in quanto a numero, grandezza e distribuzione geografica – non solo in Europa – assolve tuttora alla missione che come fraternità mondiale dovremmo esercitare in questo ”unico mondo”? In particolare - per quanto riguarda la distribuzione delle risorse personali e materiali e nella prospettiva nord-sud, il nostro ordine offre in parte un’immagine di un ordine mondiale ingiusto. Cosa possiamo fare per cambiare questa situazione? • L’Europa, le chiese in Europa, le famiglie francescane in Europa, tutti dovrebbero vivere un’”altra forma di globalizzazione”: una globalizzazione in una visione di ecumenismo cristiano, di unità dell’umanità e di tutta la terra abitata. La logica di globalizzazione che oggi imperversa può essere vinta da un’altra logica, e cioè da un concetto di vita e di organizzazione, che intende la questione della collaborazione nell’organizzazione del nostro mondo come una questione di fede, opponendosi contro il dominio economico e culturale degli uni sopra gli altri e che incentiva l’unità nella diversità, che invita alla “relazione” intesa come dialogo, con il fine del Inserto al Notiziario - III raggiungimento di una convergenza nella comune costruzione del mondo. Questo perché incontrare il prossimo nel “dialogo” significa rispettarlo e riconoscere - oltre la propria dignità - anche i propri limiti. Farsi arricchire dal “Tu” vuol dire creare insieme senso e valori dai quali possono trarre beneficio tutti gli uomini e tutto il creato. • Secondo me la “spiritualità del dialogo” consiste non nel porsi al di sopra di altri, ma di essere loro servitori, vedendo in Gesù Cristo il puntodi partenza ed anche la meta del nostro cammino comune. In questo particolare punto c’è da correggere parecchio, non solo nella casa “Europa”, ma anche nella propria casa: Nel contesto mondiale odierno, la famiglia francescana dovrebbe vivere la spiritualità “inclusiva” di Gesù e di nostro fratello Francesco. Internamente, nella famiglia francescana, questo significherebbe che le tendenze “esclusive” ancora esistenti, come p.es. il rapporto dei laici con i chierici, degli uomini con le donne, del Primo Ordine con l’Ordine Francescano Secolare verrebbero superate. La famiglia francescana potrà contribuire in modo credibile al dialogo con le confessioni, le religioni e le culture solamente se internamente risulta in “dialogo” e riconciliata con se stessa. Si tratta allora di rendere visibile già all’interno, che la forma francescana-clariana della sequela di Cristo può contribuire anche oggi alla costruzione della nostra chiesa e del nostro mondo. Il nostro dialogo con le culture e le religioni ottiene la sua forza interiore e la sua nota e dinamica particolari, se tutti si possono incontrare e scambiare in modo aperto e senza riserva alcuna (cfr. RegB 6). • La mutata situazione mondiale ci pone di fronte a sfide nuove. Tra queste vi sono la questione della crescita della popolazione mondiale, delle ingiustizie strutturali, della violenza e non-violenza, della violazione dei diritti dell’uomo, dell’ecologia, della necessità di un dialogo interreligioso. Sono tutte questioni che si pongono al nostro carisma. Oltre a queste ci sono poi – come già accennato – le altre questioni: quella dell’ecumenismo, della posizione della donna nella chiesa, della partecipazione dei laici al nostro carisma ed anche la “complementarietà” interfrancescana. • Il “progetto Europa” può riuscire, se possibilmente molti europei, cristiani e non, richiamano costantemente alla memoria le motivazioni più profonde e le mete del progetto e fanno trasformare loro stessi nel processo di realizzazione del progetto. Infatti, sono convinto che noi frati minori IV - Inserto al Notiziario e suore non siamo solamente vocati ad evangelizzare l’Europa, ma che noi stessi riusciremo a capire meglio il vangelo e Francesco se ci lasciamo entusiasmare da questa “visione Europa”. Hermann Schalück ofm (15 agosto 2005) Traduzione di Roland Faustin I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi “L’evangelizzazione francescana in Europa, oggi”. Si tratta di un tema “aperto” e molto complesso. Mi limiterei a sottolineare l’elemento “destabilizzante” provocato nel cuore e nella vita di una persona che è stata conquistata da Cristo. Sedotta da Colui che “ha messo la tenda fra noi”, una creatura si mette in cammino... Evangelizzare, portare la Buona Novella allora significa andare con questa passione nel cuore, alla ricerca del volto di Dio e dell’uomo. Si tratta di un’itineranza spirituale e geografica. Il cristiano è sempre e contemporaneamente discepolo e apostolo. Seguiamo l’esodo di Abramo, “nostro padre nella fede”; ci accosteremo alla “tenda” che Dio ha posto in mezzo a noi in Gesù di Nazareth; quella tenda che è il paradigma di ogni evangelizzazione e che Francesco con la sua primitiva Fraternità ha voluto rimuovere costantemente attraverso le strade del mondo, divenuto suo “chiostro”. Oggi tocca a noi arrotolare ancora la tenda e ripartire incontro a Dio e all’uomo, senza paure. La crisi del secolarismo che sta invadendo l’Europa, come la crisi di smarrimento che sta vivendo l’Ordine sono grazie di purificazione che, come spesso è avvenuto nella storia, possono indirizzare verso nuovi orizzonti,verso nuovi modi di vivere e annunziare il vangelo. “Andate in tutto il mondo... Io sono con voi”. 1. La tenda di Abramo. La storia di Abramo è compresa tra due “vattene”! il primo, Gen 12,1, dove Dio chiede al Patriarca di rinunciare al passato; il secondo, Gen 22, 2, dove gli viene chiesto di rinunciare al futuro, alla promessa, sacrificando il figlio prediletto… In ambedue le occasioni Abramo “parti senza sapere dove andava” (Eb 11,8). Dio indicherà ad Abramo dove andare e la strada da seguire solo dopo essere partito. Nella Bibbia non si parte quando tutto è chiaro e facile... con il progetto in mano! Abramo deve distaccarsi dal passato e dal futuro. Dovrà riporre tutta la fiducia in un presente posto nelle mani di Dio e... camminare. Nella Bibbia ogni grande inizio o esperienza religiosa importante nasce o si apre con una migrazione, uno spostamento locale: Abramo, l’Esodo, Mosè, Elia, Geremia, gli Apostoli.... Si tratta di I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi un’itineranza geografica accompagnata da quellaspirituale che appare come conversione, distacco da se stessi, fiducia in Dio, purificazione da ogni idolo, appartenenza a Dio solo. Dio non sopporta che ci si “installi” rinunciando a camminare, a ricercare, anche quando si hanno 75 anni (cfr. Gen 12, 4). Non è mai troppo tardi per porre tutta la propria fiducia in Lui. Anzi si deve sempre ricominciare, partire, lasciare, osare sulla sua Parola: Dio va incontro a chi cammina. 2. Dio “Pose la tenda fra noi”. Tale è stato anche l’esodo di Gesù che ha messo la tenda fra noi. Nell’obbedienza al Padre, è venuto incontro all’uomo; è vissuto in mezzo a noi senza “avere dove posare il capo”, e “passando”, ha chiamato tutti alla conversione. L’ultima consegna del Cristo risorto alla Chiesa sarà proprio quella di andare verso gli uomini di ogni cultura e religione, di ogni stato e condizione, fidandosi solo di Lui, liberi da ogni sicurezza, mettendosi in cammino, due a due, fino alla fine del mondo, al di là dei risultati, anzi sconfitti in partenza. “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi…” (Mt 10, 16) 3. La tenda di Francesco. Anche la storia di Francesco, come quella di Abramo, è centrata su due invii: il primo, è il messaggio ascoltato dal Crocifisso di S. Damiano: “Francesco va, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina” (2Cel 10). Il secondo, che collega, nel Poverello, vocazione e missione: l’ascolto evangelico dell’invio dei dodici (cfr. Mt 10, 5-15). Francesco “subito, esultante di Spirito Santo, esclamò”: questo voglio, questo chiedo, Abramo, “senza sapere dove andava”. Fedele al Vangelo, Francesco intuisce che il vero discepolo diventa anche apostolo, poiché la chiamata è già, fin dall’inizio, vocazione missionaria. La chiamata è unica; non ci si forma “al chiuso” per poi andare “all’aperto”. 4. La tenda della primitiva Fraternità francescana. Nelle sue origini la spiritualità francescana è una spiritualità missionaria, una spiritualità dell’incontro, centrifuga come quella del NT. Tende a mettersi sempre in cammino, a rendersi presente all’altro nel “suo terreno”, nella sua situazione, nei “suoi luoghi”, nel suo “habitat”, prima ancora di diventare ospitalità e accoglienza. Si tratta di una spiritualità “fraterna” come segno del Regno già Inserto al Notiziario - V iniziato con i suoi frutti di riconciliazione; di una spiritualità che annuncia innanzitutto con la testimonianza di una vita liberata e rinconciliata (la passione evangelica dell’amore); di una vita sull’esempio di Cristo. Una spiritualità legata all’uomo più che a una terra determinata. Le prime generazioni francescane non si lasciano circoscrivere o imprigionare da nessuna struttura che potrebbe limitarne i movimenti, né da nessuna area geografica. La stessa Fraternità provinciale dei primi anni, è una Fraternità dinamica, itinerante, agile, pronta a mettersi su ogni strada, verso oriente e occidente, capace di adattarsi ad ogni situazione, cambiando metodo a seconda delle categorie di persone che si incontrano. La spiritualità francescana, sul modello di quella biblica, non è una spiritualità dell’attesa, ma dell’incontro. 5. La nostra tenda Come il Cristo, ponendo la tenda fra noi, si è incamminato su tutte le strade dell’umanità, così noi siamo chiamati continuamente ad “arrotolare” la tenda per porci in ascolto dell’uomo di ogni tempo e di ogni cultura; una cultura che è ugualmente sempre in cammino e che richiede sempre una grande capacità di accoglienza, di ascolto, di dialogo, ma anche di leggerezza nei movimenti: “Che i Frati non posseggano nulla” (2Reg 6). Che i Frati siano sempre liberi per saper accogliere, comprendere e incontrare Dio e l’uomo del proprio tempo. Si è dunque chiamati continuamente a vivere il passaggio: • da una logica della conservazione a una logica della conversione. “Chi cercherà di salvare la vita, la perderà. Chi invece l’avrà perduta la salverà” (Lc 17,38). • da un’attitudine di attesa, di stabilità sedentaria, di immutabilità strutturale, alla leggerezza, alla mobiilità, all’itineranza, alla missione… Allo Spirito si addice più l’impazienza che l’immobilità; • da una presenza passiva, stanca e rassegnata, a una presenza attiva, accogliente e che va incontro all’altro senza paure; presenza di condivisione e di dialogo...; • dalla pesantezza di strutture, soddisfatte e chiuse su se stesse, senza vita, alla leggerezza di mediazioni rinnovate, più vicine alla gente, più significative, piir aperte...; • da un passato solo ripetitivo, non più eloquente e troppo accomodante, a una significatività VI - Inserto al Notiziario teocentrica ed escatologica… 6. L’Europa ci interpella. Il secolarismo e l’indifferenza stanno invadendo il nostro mondo. A giudizio di Timothy Garton Ash, l’Europa è il continente più laico della terra. II cristianesimo sta vivendo un processo di “ex-culturazione” molto forte: la fede e la religione sono messe ai margini della cultura; c’è il rifiuto di riconoscere perfino “le radici Cristiane dell’Europa”. La popolazione giovane e meno giovane è sempre più assente dalle nostre chiese. Non è più tempo di attendere, anche se la poca gente può ancora “occupare” i pochi Frati... Il Vangelo ci invita con urgenza a pregare e ad andare; a osare con la fiducia in Lui. La spiritualità francescana, grazie a S. Francesco, mantiene ancora oggi tutta la sua forza evangelica, tutta la sua attualità e la sua attrattiva anche in Europa; tocca a noi ri-esprimerla in forme storiche più significative, più eloquenti, capaci di toccare le aspirazioni profonde dell’uomo del nostro tempo. Le grandi crisi purificano e spesso costituiscono l’inizio di una nuova storia. Sappiamo anche che la dimensione missionaria del nostro carisma ha sempre accompagnato la rinascita periodica del nostro Ordine. 7. “Arrotolare” ancora la nostra tenda… e osare. Non ci resta che ripartire! Tuttavia siamo chiamati a verificare e affrontare alcuni problemi che impediscono questo cammino personale e comunitario. Innanzitutto come recuperare una libertà evangelica. L’evangelizzazione francescana ritroverà la sua forza trasformante solo recuperando questa libertà interiore ed esteriore. Si tratta di una dimensione carismatica ed escatologica che dovrà concretizzarsi in fraternità più sobrie, con meno ostentazione di ricchezza o con meno sicurezze. Frati che vogliono vivere concretamente la povertà ce ne sono, a livello provinciale e interprovinciale: basta aiutarli,accompagnarli con fiducia, senza paure e senza sentirsi giudicati. Ma come liberarli? “Quando non avremo più nulla da perdere”...: nè privilegi, né ruolo, né denaro, ne case, ne Provincia…, allora si potrà ricominciare qualche cosa di evangelicamente grande! Poiché l’espropriazione diventerà lo spazio libero dello Spirito per nuovi miracoli che il Signore compierà con noi. Riconciliare profetismo e comunione, I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi missionarietà e ospitalità. Il Cammino per le strade del mondo non contraddice la vita più stabile e accogliente dei nostri conventi. Una Fraternità mobile o itinerante dovrà saper vivere anche il ritiro; come una Fraternità contemplativa non è una fraternità di separazione ma di comunione. Sappiamo bene come il metodo missionario di Gesù con i ricchi (la nostra Europoa!) è stato quello di farsi ospitare (cfr Lc 19,1-6). Dovremmo favorire gesti e mediazioni nuove e rinnovate dove tutti “stanno a guardare alla finestra”..., solo per discutere, commentare o criticare... Soprattutto evitare di mettere in contrasto gesti profetici di alcuni e impegni ordinari degli altri: siamo tutti impegnati nel creare una sinergia rinnovata, coordinata e vissuta nell’obbedienza e nella comunione fraterna. Colmare la distanza, tra l’ortodossia e l’ortoprassi, tra l’ideale e la pratica, tra i documenti e la vita concreta di ogni giorno. È forse la crisi interna più grave che si sta vivendo. Continuando in questo modo si rischia sempre più di favorire l’individualismo, l’apatia e l’indifferenza che paralizzerebbe ogni tipo di ripresa, aumentando la folla dei delusi e degli sfiduciati che vanno ad aumentare il numero degli abbandoni vocazionali! Abbiamo bisogno urgentemente di segni concreti ed evangelici, anche se piccoli e poco appariscenti, per colmare questa distanza e ridare il senso di appartenenza alla stessa Famigli. La medesima autorità provinciale dovrebbe partecipare attivamente e accompagnare questo cammino creativo. Superara l’auto-referenzialità (personale, di una Fraternità, di una Provincia, dell’Ordine) con l’andare verso l’altro... Anche qui è tempo di segni, di esperienze concrete, di ascolto e di comunione. Il Regno di Dio e la stessa Famiglia francescana è più ampia e più ricca, dei nostri carismi personali, dei nostri “progetti” e possibilità provinciali, dei limiti angusti delle nostre culture locali, del nostro Ordine...; è più ricca di quanto pensiamo! I nostri laici, le nostre Sorelle e i nostri Fratelli del secondo e terzo Ordine hanno molto da dirci e da insegnarci; in certi casi, esprimono molto bene la radicalità evangelica di Francesco nel nostro tempo. Perché non inventare qualche gesto missionario insieme? In certe parti si è già cominciato... Perché non iniziare qualche casa di formazione a livello europeo? Le crisi si superano allargando i n ostri orizzonti domestici! Che bello poter ritrovare il senso di appartenenza a questa Famiglia francescano allargata! Tutto ciò può far superare la I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi “filosofia” del “si salvi chi può”, dello “scisma bianco” di cui ha parlato l’ultimo Congresso sulla vita religiosa, scisma che tende a isolare, a ridurre sempre di più gli spazi di comunione e di relazione. 8. Non è un’utopia… “Lo Spirito chiama la vita consacrata a elaborare nuove risposte... nuovi progetti di evangelizzazione per le odierne situazioni” (VC 73). Si tratta chiaramente di “muovere la tenda”..., di trovare nuove forme, nuovi segni, nuove mediazioni che mettono in relazione il Vangelo con l’uomo del nostro tempo. Nell’Ordine ci sono molti Frati pronti a rischiare su questo tipo di dialogo concreto con la nostra società; pronti alla mobilità missionaria, animati dalla passione per Dio e dalla compassione per l’uomo, senza venir meno alle priorità del nostro carisma. Ma come liberarli dalla preoccupazione angosciante della sopravvivenza, delle strutture da salvare a tutti i costi? Come convivere con queste nuove forme di presenza senza ledere all’unità di una determinata Entità? Come superare il “sedentarismo” di comodo che paralizza il cammino di tanti Frati e di tante Province? Sono già nate Fraternità provvisorie, mobili, inter-provinciali, internazionali, inter-obbedienziali e inter-congregazionali, in collaborazione con laici; fraternità dove l’ascolto, l’auto-evangelizzazione e la missionarietà sono congiunte. Si tratta di esperienze episodiche ma che possono diventare tasselli per un mosaico in vista di queste nuove mediazioni. Sono spesso Frati che hanno altri impegni nella Provicnia (definitori, responsabili dell’infermeria provinciale o di altre Case…), ma vengono liberati periodicamente dai loro superiori per questo genere di missionarietà itinerante. Molti Ministri provinciali ci credono, altri meno; ma i Frati che desiderano incamminarsi sulle strade del mondo sono molti... Altre volte si tratta di Fraternità di inserzione in ambienti poveri, che si auto-gestiscono economicamente, e che si rendono ugualmente disponibili occasionalmente per queste esperienze di incontro, unendosi a Fratelli di altre Province e di altre nazioni. Naturalmente non sono “la soluzione” a tutte le nostre crisi, ma esprimono la ricerca autentica, coraggiosa e attiva di quelle “nuove forme” di cui abbiamo bisogno oggi. Perché non favorire e moltiplicare queste esperienze? È un modo per ritrovare entusiasmo nel vivere la nostra vocazione. La Chiesa ce lo ricorda: “La missione rafforza la vita Inserto al Notiziario - VII consacrata, le dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni, sollecita la sua fedeltà” (VC 78). “Francesco diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, passar via in pace” (LM VII, 2). Fr. Giacomo Bini ofm VIII - Inserto al Notiziario I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi penitenza” e a riscoprire il volto del lebbroso e di Gesù Cristo, Signore povero e crocifisso” (La grazia delle origini, Anno 2006, p. 16). L’Assemblea dei Ministri provinciali OFM d’Europa si tiene in un momento particolarmente significativo per la nostra Fraternità universale, per le Fraternità locali e provinciali e per ogni Frate. Nei giorni 28-29 ottobre 2005, infatti, abbiamo ufficialmente iniziato ad Assisi il cammino di preparazione che ci condurrà nel 2009 alla celebrazione dell’VIII centenario della fondazione dell’Ordine. Le celebrazioni inaugurali nella Basilica di Santa Chiara, a San Damiano e in S. Maria degli Angeli sono state caratterizzate da un’icona, il Crocifisso di San Damiano, e da un avvenimento, la conclusione del Congresso Internazionale dei Maestri di Noviziato. L’icona rimanda a ciò che sta all’inizio della vocazione di Francesco; l’avvenimento ci ricorda gli inizi del nostro proposito di seguire Cristo, secondo il carisma vissuto e proposto dal Poverello di Assisi. Entrambi ci sollecitano a “stare” di fronte al Crocifisso per conoscere la volontà del Signore su di noi; ci invitano ad accogliere la sua grazia per realizzare oggi il “suo santo e verace comandamento” (PCr). E questo ogni giorno della vita, soprattutto, in questa prima tappa del nostro itinerario giubilare che ha come contenuto il discernimento e come provocazione il Crocifisso di San Damiano, “per scegliere ciò che è buono secondo la volontà di Dio, per riassumere i criteri del Vangelo e la nostra forma vitae che abbiamo promesso di osservare, per ripartire con rinnovato impegno ad annunciare nel mondo il Vangelo di Cristo” (cf. Lettera per l’inizio delle celebrazioni e Indizione del Capitolo, 4 ottobre 2005). Si tratta, detto diversamente, di un atteggiamento spirituale e di un itinerario che hanno come scopo di celebrare con gratitudine la grazia delle origini, rivivendola alla luce delle sfide che la Chiesa e gli uomini e le donne del nostro tempo pongono alla vita francescana. Per percepire, allora, la risposta del Crocifisso alla nostra domanda, “che cosa vuoi che io faccia?”, è necessario non solo riscoprire, personalmente e in Fraternità, la grazia delle origini, ma anche rileggere il “nostro essere Fraternità in missione, secondo lo specifico dei Frati Minori, accogliendo la chiamata ad andare “nel mondo intero”, ad annunciare “agli uomini la pace e la I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi L’Unione Europea La riscoperta della nostra identità e la rilettura della nostra missione comportano l’essere attenti non solo ai “segni dei tempi”, ma anche ai “segni dei luoghi” per comprendere cosa viene chiesto a noi Frati Minori per servire il Vangelo e l’uomo. E noi, Frati Minori di questa Assemblea e Frati Minori di tutto il Continente, siamo anche cittadini europei. Allora l’incontro dell’UFME 2005 è di grande rilevanza per i “segni” rintracciabili nell’attuale storia e nei luoghi del Continente europeo. Dalla precedente riunione dell’UFME, avvenuta a Lourdes nel novembre 2003, nella quale ho parlato su “L’Europa ci chiama”, per la costruzione della Casa europea sono stati compiuti passi importanti, che possono essere sintetizzati nelle seguenti date: 1° maggio 2004, sono entrati a far parte dell’Unione Europea dieci nuovi Paesi (anche alcuni Paesi dell’Est ed altri che ne hanno fatto richiesta), passando da 15 a 25 Paesi; 10-13 giugno 2004, la maggioranza della popolazione europea, 453 milioni su 700 milioni, è stata chiamata ad eleggere 732 membri del nuovo Parlamento di Strasburgo; 18 giugno 2004, i Capi di Stato e di Governo dei 25 Paesi membri dell’Unione Europea hanno approvato a Bruxelles il “Trattato Costituzionale”. Sono questi avvenimenti storici e, soprattutto, tappe importanti per la realizzazione del sogno concepito dai padri fondatori dell’Unione Europea – Adenaur, De Gasperi, Monet, Schuman e Spaak – e coltivato fattivamente, negli ultimi cinquant’anni, da quanti hanno operato per fare degli Stati europei, dell’ovest e dell’est, del nord e del sud, una grande “famiglia”, capace di passare dalle reciproche diffidenze alla condivisione di un grande patrimonio di valori, attraverso organismi istituzionali idonei a guidare un numero crescente di Stati, promovendo l’unità nella diversità. Ai lavori sempre in corso per la costruzione della “famiglia” europea non possono essere assenti gli operai della Vigna del Signore: per essere davvero una “famiglia” questa “Europa ha bisogno di un salto qualitativo nella presa di coscienza dellasua eredità spirituale. Tale spinta non le può venire che da un rinnovato ascolto del Vangelo di Cristo. Tocca a tutti i cristiani impegnarsi per soddisfare questa fame e sete di vita” (Giovanni Paolo Inserto al Notiziario - IX II, Ecclesia in Europa, [EiE], 120, Esortazione Apostolica post-sinodale su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, 28 giugno 2003). Quale Europa sognare? Questo impegno tocca tutti i cristiani, anzitutto per il numero consistente dei membri della Chiesa: 280 milioni di cattolici (40% della popolazione), 144.000 sacerdoti diocesani, 10.000 diaconi, 62.000 religiosi e 350.000 religiose, 34 Conferenze episcopali; ma soprattutto per la vocazione originaria della Chiesa: essere luce e lievito, in ogni momento storico, presso ogni cultura e popolo “per contribuire dall’interno a modo di fermento alla santificazione del mondo” (LG 31). “L’interesse che la Chiesa nutre per l’Europa – dichiara l’Es. Ap. Ecclesia in Europa – nasce dalla sua stessa natura e missione. Lungo i secoli, infatti, la Chiesa ha avuto legami molto stretti con il nostro Continente, così che il volto spirituale dell’Europa si è andato formando grazie agli sforzi di grandi missionari, alla testimonianza di santi e di martiri, e all’opera assidua di monaci, religiosi e pastori. Dalla concezione biblica dell’uomo, l’Europa ha tratto il meglio della sua cultura umanistica, ha attinto ispirazione per le sue creazioni intellettuali e artistiche, ha elaborato norme di diritto e, non per ultimo, ha promosso la dignità della persona, fonte di diritti inalienabili” (EiE, 25; cf anche Giovanni Paolo II, Discorso al corpo diplomatico, 12 gennaio 2004). Da qui la sfida per la Chiesa di “non disperdere questo prezioso patrimonio e di aiutare l’Europa a costruire se stessa rivitalizzando le radici cristiane che l’hanno originata” (EiE 25). Richiamo quanto mai opportuno dal momento che il “Trattato Costituzionale”, sebbene sia “strumento” importante per il futuro dell’Europa, ignora ogni riferimento a Dio e alle radici cristiane. L’omissione non è stata una distrazione involontaria, le ragioni apportate sono talmente superficiali da coprire anziché indicare la motivazione del silenzio (cf J. Ratzinger, Riflessione su culture che oggi si contrappongono, Subiaco, 1° aprile 2005). Tanto da fare gridare Giovanni Paolo II: “Non si tagliano le radici dalle quali si è nati!” (Angelus, 20 giugno 2004). In realtà il “Trattato” è lo specchio dell’attuale spiritualità dell’Europa, che, originariamente cristiana, ha come patrimonio comune il secolarismo. Il grido di Giovanni Paolo II è indice sen- X - Inserto al Notiziario z’altro di una grande sofferenza per una verità storica ignorata, ma anche forte richiamo a mettere il Vangelo al centro della vita dei popoli che stanno completando la loro unificazione; consegna alla “future generazioni” di un sogno che ha coltivato lungamente nel suo cuore e confidato in occasione del conferimento del premio “Carlo Magno” della città di Aquisgrana il 24 marzo 2003. Dopo essersi domandato in quella circostanza: “Qual è l’Europa che oggi si dovrebbe sognare?”, ha dichiarato: “Penso a un’Europa nella quale le conquiste della scienza, dell’economia e del benessere sociale non si orientano a un consumismo privo di senso, ma stanno al servizio di ogni uomo in necessità e dell’aiuto solidale per quei paesi che cercano di raggiungere la meta della sicurezza sociale. Possa l’Europa, che ha sofferto nella sua storia tante guerre sanguinose, divenire un fattore attivo della pace nel mondo! Penso a un’Europa la cui unità si fonda sulla vera libertà. La libertà di religione e le libertà sociali sono maturate come frutti preziosi sull’humus cristianesimo... Penso a un’Europa unita grazie all’impegno dei giovani. Con tanta facilità i giovani si capiscono tra di loro, al di là dei confini geografici! Come può nascere, però, una generazione giovanile che sia aperta al vero, al bello, al nobile e a ciò che è degno di sacrificio, se in Europa la famiglia non si presenta più come un’istituzione aperta alla vita e all’amore disinteressato? Una famiglia della quale anche gli anziani sono parte integrante in vista di ciò che è più importante: la mediazione attiva dei valori e del senso della vita. L’Europa che ho in mente è un’unità politica, anzi spirituale, nella quale i politici cristiani di tutti i paesi agiscono nellacoscienza delle ricchezze umane che la fede porta con sé: uomini e donne impegnati a far diventare fecondi tali valori, ponendosi al servizio di tutti per un’Europa dell’uomo, sul quale splenda il volto di Dio. Questo è il sogno che porto nel cuore e che vorrei affidare... alle generazioni future”. Il sogno di Giovanni Paolo II, vero Profeta di un’Europa nuova, è la sintesi di un lungo ministero che si è andato maturando in oltre 700 interventi dedicati per esteso o in parte all’Europa, e che ha ispirato i due Sinodi dei Vescovi per l’Europa (1991 e 1999) allo scopo di individuare cammini concreti per “offrire nuovamente agli uomini e alle donne dell’Europa il messaggio liberante del Vangelo” (EiE 29). Un nuovo annuncio del Vangelo Il primo ad accogliere l’invito di Giovanni I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi Paolo II a sognare un’Europa nuova è stato il suo successore, Benedetto XVI. Nella prima Udienza generale del 27 aprile 2005, infatti, ha spiegato che il nome scelto, evocando la straordinaria figura di san Benedetto da Norcia, “costituisce un punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici della sua cultura e della sua civiltà”. La scelta, però, va coniugata con l’invito a “prendere il largo”, cioè con l’urgente necessità di annunciare il Vangelo nel mondo di oggi (cf Benedetto XVI, Omelia in S. Paolo fuori le mura, 25 aprile 2005). Siamo sulla linea della Dichiarazione finale del 1° Sinodo dei Vescovi per l’Europa: “L’Europa non deve semplicemente fare appello alla sua precedente eredità cristiana: occorre infatti che sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell’incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo” (n. 2). È un compito di tutti i membri della Chiesa che è in Europa. In questa opera un ruolo specifico viene affidato alle persone consacrate, che hanno nel loro DNA la tensione tra la memoria e la profezia. Pertanto, come hanno avuto un ruolo fondamentale “nell’evangelizzazione dell’Europa e nella costruzione della sua identità cristiana”, così devono averlo oggi, “in un momento nel quale è urgente una “nuova evangelizzazione” del Continente” (EiE 37). Tenendo presenti alcuni aspetti che caratterizzano l’attuale volto culturale e sociale dell’Europa – come l’offuscamento della speranza, lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane, la paura del futuro, la frammentazione dell’esistenza, l’affievolirsi della solidarietà e l’emergere di un’antropologia senza Dio e senza Cristo (cf EiE 7-9) – il contributo peculiare che oggi le persone consacrate possono offrire al Vangelo della speranza in Europa consiste nell’essere “annuncio” del primato di Dio, come risposta al bisogno del trascendente; nella testimonianza della fraternità evangelica, come via privilegiata per rendere possibili nuove relazioni tra le persone e i popoli; nel prendersi cura dei più bisognosi, per rispondere alla sfida delle nuove forme di povertà e di emarginazione; nell’essere disponibili a “prendere il largo”, nonostante il calo numerico dei membri dei vari Istituti, per offrire la Parola di vita ad altri popoli e ad altre culture, allargando così i propri orizzonti (cf EiE 38). I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi I Frati Minori e l’Europa Le nuove sfide che l’Unione Europea lancia anche a noi Frati Minori sono una sollecitazione provvidenziale dello Spirito a “prendere il largo”, ad andare “oltre” i nostri limiti e le nostre povertà, per osare nuovi cammini, per servire il Vangelo e servire l’uomo in “questo luogo” in cui siamo ed operiamo. Il sogno, infatti, di Giovanni Paolo II è stato deposto anche nei nostri cuori: non possiamo soffocarlo con i nostri “problemi interni” o intrappolarlo con visioni di basso profilo, ma dobbiamo accoglierlo, custodirlo ed assecondarlo come nuove possibilità per ridare vivacità, autenticità, fascino alla nostra vocazione e alla nostra missione. Come concretizzare, però, tale sogno? Quale contributo offrire alla costruzione della “Famiglia europea”, una famiglia aperta ad altre famiglie del mondo? L’anno di “discernimento”, che abbiamo appena iniziato, è una vera grazia: un tempo favorevole per leggere i “segni dei tempi” per comprendere quali sfide ed appelli aspettano da noi una risposta. Un’indicazione precisa, alla domanda “che cosa dobbiamo fare?”, ci viene intanto dall’Esortazione Ap. Ecclesia in Europa: partecipare alla missione della Chiesa sintetizzata in tre verbi: annunciare il Vangelo, celebrare il Vangelo e servire il Vangelo. Tre mandati che ci interpellano come persone consacrate, ma anche come persone che hanno scelto di vivere “il Vangelo nella Chiesa, secondo la forma osservata e proposta da san Francesco” (CCGG 1,1). Anche noi, infatti, abbiamo una storia da raccontare: san Francesco e santa Chiara, che subito hanno “preso il largo”, e innumerevoli Fratelli e Sorelle lungo i secoli hanno contributo in modo significativo a formare il volto spirituale dell’Europa. Abbiamo anche una storia da scrivere, anzi desideriamo e vogliamo “narrare” agli uomini e alle donne dell’Europa di oggi, e di domani, una nuova storia, affinché insieme si possa lodare il Signore, che è “ogni bene, tutto il bene”. Nella presentazione del documento La grazia delle origini sintetizzavo così lo scopo del nostro itinerario verso la celebrazione dell’VIII centenario dell’Ordine: “tornare all’essenziale della nostra forma di vita, rileggendola e reincarnandola nell’odierna realtà culturale; rimanere fedeli al nostro carisma e allo stesso tempo tener presenti le esigenze del mondo attuale, anticipando il futuro”. Penso che sia un richiamo importante per non “bloccarci”, da una parte, a causa delle oggettive difInserto al Notiziario - XI ficoltà in cui si trova a vivere gran parte delle nostre Fraternità in Europa, e, dall’altra, di fronte alle sfide che sempre più numerose premono per entrare nella nostra “agenda” (cf L’Europa ci chiama, Lourdes, 20 novembre 2003). L’essenziale ci è stato riproposto dalle cinque priorità dell’Ordine, che ci dicono con chiarezza “ciò che oggi è veramente essenziale per vivere la sequela di Cristo e per porre la nostra forma vitae a servizio della Chiesa e del mondo” (Seguaci di Cristo per un mondo fraterno, Presentazione). Altra “guida” per discernere l’essenziale, l’abbiamo nell’itinerario proposto a ciascun Frate, alle Fraternità locali e provinciali per la celebrazione del dono della nostra vocazione. Tale itinerario è articolato in tre tappe e per ciascuna tappa popone una parola chiave, una meta, dei mezzi e dei gesti significativi, ed è animato dalla tensione a “rifondare la nostra vita e missione sugli elementi essenziali della nostra “forma vitae”” (La grazia delle origini, p. 12). È vero che Conferenze, Province e Frati hanno già iniziato questo itinerario, anche con percorsi concreti o con una programmazione triennale con scadenze precise, sorretti dalla certezza che la vita francescana ha qualcosa da dire al mondo di oggi e di domani. La ricerca dell’essenziale, tuttavia, deve continuare per capire che cosa i Frati Minori europei possono e devono fare nel e per l’Unione Europea. I “segni” dei luoghi, oltre che dei tempi, in questo caso sono decisivi. Mi permetto, allora, di indicare alcune piste di riflessione per individuare che cosa possa fare l’UFME. Insieme per l’Europa L’Unione Europea è ancora un cantiere aperto e ciascuno, secondo le proprie responsabilità e carismi, deve portare il proprio mattone per la costruzione dell’edificio comune. Ma le problematiche e le sfide sono così ampie e complesse che nessuno “da solo” può incidere negli orientamenti religiosi, culturali, sociali ed economici. Per rendersene conto si pensi ai problemi collegati con la dignità della persona umana, la famiglia, la libertà religiosa, le migrazioni e i diritti umani; alle grandi scelte dell’Unione Europea che ricadranno non solo sui suoi membri, ma avranno influenza anche in altre parti del mondo, come l’impegno per la pace e per la difesa dell’ambiente, la lotta contro la povertà...; alle sfide legate alla secolarizzazione, alla progressiva secolarizzazione del Continente, al relativismo morale, alla divisione dei cristiani, al pluralismo religioso e alla collaborazione tra le XII - Inserto al Notiziario varie religioni; alla crisi, infine, delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, proprio quando crescono bisogni e richieste. È indispensabile, allora, associarsi, partecipare attivamente a “strutture” di condivisione, collaborare se si vuole insieme capire che cosa e come offrire una risposta significativa ed adeguata. Se “il ruolo delle istituzioni internazionali, legate e operanti sul territorio europeo”, è “per molti aspetti determinante nel cammino per disegnare il volto nuovo del Contenente” (EiE 113), allo stesso modo in campo ecclesiale “strutture” di comunione e di collaborazione sono oggi indispensabili per annunciare, celebrare e servire il Vangelo della speranza in Europa. Infatti, scrive Giovanni Paolo II nella Ecclesia in Europa, le Chiese particolari non possono rispondere da sole alle sfide attuali: “c’è bisogno di un’autentica collaborazione tra tutte le Chiese particolari del Continente” (EiE 53). Una “struttura” per promuovere la collaborazione è stata la convocazione e la celebrazione dei due Sinodi dei Vescovi per l’Europa. Le Assemblee sinodali sono state “una preziosa opportunità di incontro, di ascolto e di confronto”; un’occasione per recepire l’appello che lo Spirito rivolge oggi alle Chiese che sono in Europa e per formulare “utili orientamenti per rendere più visibile il volto di Cristo” (cf EiE 3). In questa prospettiva va visto anche il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE): è uno strumento efficace per ricercare insieme “vie nuove”, per mettere in comune, attraverso lo “scambio dei doni”, esperienze e riflessioni e per condividere comuni orientamenti pastorali (cf EiE 53). Sempre su questa linea è da menzionare la collaborazione tra la CCEE e la KEK, la Conferenza delle Chiese europee (organismo ecumenico di cui fanno parte 123 Chiese e 25 organizzazioni associate nel Continente), per affrontare insieme alcune sfide, come la riconciliazione tra popoli e culture, la custodia del creato, l’approfondimento della comunione con gli Ebrei e la cura dei rapporti con l’Islam. E noi Frati Minori? Non possiamo essere dei “navigatori solitari”: non si arriva così all’altra riva! Sì, “non si può affrontare il futuro in dispersione” (Ripartire da Cristo, 30) e il futuro della vita e della missione dell’Ordine sta nella collaborazione tra le Province, tra le Conferenze e tra queste e le Province. Questo anche se siamo riusciti a “selezionare” l’essenziale; anzi l’essenziale per noi Frati Minori europei è imboccare decisamente la strada della collaborazione – anche con gli altri Istituti della Vita consacrata e, in partiI francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi colare, con gli altri membri della grande Famiglia francescana –, se vogliamo vivere con rinnovato entusiasmo la nostra vocazione e ridare significatività alla nostra missione. Si è detto che è determinante per il futuro dell’Europa la “Carta Costituzionale” e noi abbiamo già la nostra “Carta Costituzionale”, che definisce il nostro Ordine, di cui fra poco celebriamo l’VIII centenario di fondazione, come Fraternità (cf CCGG 1,1). Tale definizione esprime la nostra identità, contiene un programma di vita, indica un modo specifico di comprendere ed esprimere le nostre relazioni con Dio, con gli altri e con il creato, e di porsi a servizio della Chiesa e del mondo. L’essere una Fraternità, pertanto, non solo esige relazione-collaborazione-solidarietà-condivisioneservizio reciproco, ma qualifica e determina il nostro essere presenti e il nostro operare nella Chiesa e nel mondo (cf Consiglio Plenario 2001, Fraternità in missione in un mondo che cambia , p. 5). L’operare insieme scaturisce, in definitiva, dall’essere una Fraternità, i cui membri condividono la stessa avventura (cf CCGG 1,1-2). Penso che sia stata proprio questa consapevolezza a far sorgere l’UFME, che, il nome stesso lo dice, vuol dire: Frati Minori insieme per l’Europa, tanto più che fanno parte dell’UFME Frati Minori dell’Europa dell’ovest e dell’est, del nord e del sud. Si tratta di una ricchezza incredibile di storia, di tradizioni, di culture e di spiritualità – anche di una ricchezza “quantitativa”, nonostante il calo numerico i Frati Minori sono 7.956–, e per questo di possibilità concrete per cercare e percorre insieme alcune vie per testimoniare ed annunciare, secondo il nostro specifico carisma, il nome di Gesù Cristo, fonte di speranza per tutti in Europa. uomini che tengono lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la veraumanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può fare ritorno presso gli uomini” (cf anche EiE 116). È quanto vuole san Francesco: uomini che desiderano avere “sopra ogni cosa lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro” (Rb 10,8-9). Non è per caso che la prima priorità ci ricorda: dallo “spirito di orazione e devozione” deriva la capacità di testimoniare che Dio è l’unico assoluto, l’unico onnipotente, l’altissimo e buon Signore, l’unico bene, ogni bene, tutto il bene, l’unica realtà desiderabile e da desiderare” (Seguaci di Cristo..., 1ª priorità, 7); che il primo mezzo suggerito da me per compiere un vero discernimento, in questa prima tappa delle celebrazioni per l’VIII centenario di fondazione dell’Ordine, sia stato “un’orazione prolungata, senza orologio e “affettiva”, come quella di Francesco. Una preghiera “vincolante”, attraverso la quale poter comprendere che Dio benedice (dice bene) le nostre scelte” (cf Lettera per l’inizio delle celebrazioni, 4 ottobre 2005). Ma nel contesto dell’Assemblea dell’UFME, però, il discernimento dovrebbe portarci ad individuare dove e come realizzare insieme delle presenze (almeno qualche presenza) in cui sia visibile il primato Dio e sia punto di riferimento, – “in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e interrottamente” – per lodare, adorare, magnificare, rendere grazie “all’altissimo e sommo eterno Dio” (cf Rnb 23,11). “Testimoni eloquenti del primato Dio” “In un contesto contaminato dal secolarismo e assoggettato al consumismo, dall’“apostasia silenziosa”, in cui si vive “come se Dio non esistesse” (EiE 38.9), la prima via da percorrere è quella di essere testimoni della dimensione trascendente dell’esistenza, del primato assoluto di Dio, “costantemente lodato, adorato, servito, amato con tutta la mente, con tutta l’anima, con tutto il cuore” (Benedetto XVI, Lettera in occasione della Plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, della 27 settembre 2005). Poco prima di essere eletto Papa, il Card. J. Ratzinger, parlando a Subiaco dell’Europa il 1° aprile 2005, ha detto: “Abbiamo bisogno di “Passione per l’umanità” Dalla passione per il Cristo, che si concretizza nella volontà di seguire le orme di Cristo e che continuamente si rinnova attraverso lo “spirito di orazione e devozione”, scaturisce la nostra “passione per l’umanità”, che costituisce la nostra ragion d’essere: inviati da san Francesco “a due a due per le diverse parti della terra, annunciando agli uomini la pace e la penitenza” (1Cel 12,29) e dalla Chiesa: “andate con Dio, fratelli, e come egli si degnerà di ispirarvi, predicate a tutti la penitenza” (1Cel 13,33). Giovanni Paolo II, aprendo le porte al terzo millennio, e Benedetto XVI, all’inizio del suo ministero petrino, ci hanno riproposto l’invito a I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi Inserto al Notiziario - XIII “prendere il largo”. La Chiesa che è in Europa ci ha indicato il contenuto dell’andare: annunciare il Vangelo della speranza ad un’Europa che sembra averla smarrita. Dobbiamo, allora, essere pronti ad “ascoltare le nuove chiamate dello Spirito, cercando di individuare... le urgenze spirituali e missionarie del momento presente” (Giovanni Paolo II, Messaggio al Congresso Internazionale sulla vita consacrata, 26 novembre 2004). Come individuare le nuove chiamate e, soprattutto, come rispondere ad esse? Come ho messo in evidenza nell’Assemblea di Lourdes, l’assottigliamento delle forze e delle energie potrebbero scoraggiarci a “prendere il largo”. Ma “se ripartissimo da Assisi per ricostruire l’Europa?”. Fu questa la pro-vocazione che il mio predecessore, Fr. Giacomo Bini, lanciò all’UFME nel 1998, proprio qui in Polonia. E questo voleva dire: ripartire da Assisi verso il mondo (non solo l’Europa!) per annunciare il Vangelo, “dimenticando il “regno” delle nostre Province, che blocca ogni collaborazione...; rinnegando il “nostro regno” comodo e individualistico, che soffoca la nostra vitalità e tradisce la nostra vocazione” (in Acta Ordinis, III,1998,282). Accogliamo di nuovo quella pro-vocazione, come stimolo a concretizzare la nostra passione per il Vangelo in una o più iniziative comuni dell’UFME, anche se poi viene portata avanti da una Conferenza o attraverso la collaborazione di più Province. Come aiuto per la riflessione e le decisioni voglio segnalare un’iniziativa di evangelizzazione, sorta nel 2000 ad opera di quattro Cardinali europei – J.-M. Lustiger (Parigi), C. Schönborn (Vienna), J. da Cruz Policarpo (Lisbona) e G. Danneels (Bruxelles) –, per rispondere alla sfida: come annunciare la Parola nelle grandi città del Continente? È sorta così l’iniziativa del “Congresso Internazionale per la nuova evangelizzazione (CINE) – con incontri, dibattiti, concerti, esposizioni, laboratori, serate di festa e momenti di preghiera –, che si è tenuto nel 2003 a Vienna, nel 2004 a Parigi, nel 2005 a Lisbona nei primi giorni di novembre, e che si terrà a Bruxelles nel 2006 e a Budapest nel 2007. Dal momento, però, che dall’essere Frati e Minori deriva lo stile missionario dell’Ordine, allora qualsiasi scelta venga fatta per annunciare il Vangelo all’uomo delle città, dei villaggi, delle campagne o ai crocicchi delle strade, questa può arricchirsi mediante altre incarnazioni dell’unica passione per l’umanità: la promozione del dialogo ecumenico, l’impegno per la pace e la salvaguardia del creato, la solidarietà con i più poveri, la condi- XIV - Inserto al Notiziario visione del pensiero francescano sull’uomo e sul mondo, ecc.! Responsabili del nostro futuro “La cura delle vocazioni è un problema vitale per il futuro della fede cristiana in Europa e, di riflesso, per il progresso spirituale degli stessi popoli che l’abitano; è passaggio obbligato per una Chiesa che voglia annunciare, celebrare e servire il Vangelo della speranza” (EiE 39). È anche un problema vitale per il nostro Ordine, particolarmente in Europa, come già ho sottolineato nella precedente Assemblea dell’UFME. Ed ora ribadisco l’urgenza dell’impegno di tutti per un’adeguata pastorale delle vocazioni. Abbiamo a disposizione documenti, sussidi, esperienze; sappiamo quali sono le cose importante da fare: preghiera, testimonianza, invito esplicito a condividere la nostra vocazione e la nostra missione. È giunto il momento di attuare quanto sappiamo; soprattutto dobbiamo fare della cura pastorale delle vocazioni una scelta prioritaria di ogni Provincia e Conferenza, cercando e ricercando collaborazione, promovendo incontri tra Province e tra Conferenze per scambiarsi le esperienze, i metodi, per incoraggiarsi vicendevolmente e, infine, per verificare come e dove possiamo agire insieme. C’è spazio qui per investire fantasia e creatività. Ma ne vale la pena, perché “è ancora grande il fascino di Francesco e di Chiara di Assisi sui giovani” (Giovanni Paolo II, Messaggio al Capitolo 2003, 5); perché è bello condividere ciò che si ritiene sommamente prezioso, come la sequela di Cristo, povero e crocifisso; perché “non è vero che la gioventù pensa soprattutto ai consumi e al piacere... La gioventù vuole cose grandi, vuole il bene... ” (Benedetto XVI, Discorso ai pellegrini tedeschi, 25 aprile 2005; cf anche EiE 39). La XX Giornata Mondiale della Gioventù deve farci riflettere: convocati da Giovanni Paolo II ed animati da Benedetto XVI circa un milione di giovani sono affluiti a Colonia alla ricerca di Gesù per poterlo adorare! Conclusione Cari Fratelli Ministri, permettetemi una parola conclusiva che consiste in una presa di coscienza, in un augurio e in una preghiera. L’Europa dell’est e dell’ovest “va costruendosi sempre più come “unione”: questo deve spingere i cristiani verso l’unità” (cf EiE 118). Ecco il senso della mia enfasi sulla collaborazione. Del I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi resto l’“Unione dei Ministri provinciali d’Europa” non sta a sottolineare proprio questo aspetto? Resta, come è evidente, la grazia e il dovere per ciascuno e per tutti di vivere i valori peculiari del carisma francescano “per offrire all’umanità disorientata, logorata e priva di memoria, testimonianze credibili della speranza cristiana, “rendendo visibile l’amore di Dio, che non abbandona nessuno” e offrendo “all’uomo smarrito ragioni vere per continuare a sperare”” (Giovanni Paolo II, Messaggio al Congresso..., 2); come resta la necessità e l’esigenza della comunione con tutti i membri del Popolo di Dio: “la vita consacrata, all’inizio del nuovo millennio, ha davanti a sé sfide formidabili, che può affrontare soltanto in comunione con tutto Popolo di Dio, con i suoi Pastori e con il popolo dei fedeli” (Benedetto XVI, Lettera in occasione della Plenaria...). Nel 2006 celebreremo il Capitolo generale straordinario ad Assisi. Nella Lettera di indizione del 4 ottobre 2005 ho scritto: “abbiamo deciso di darci un tempo per fermarci e per riflettere insieme, per sostare in attento ascolto di ciò che il Signore ci chiede, per confrontarci su come meglio assumere quanto ciascuno ha promesso..., per ripartire con rinnovato impegno ad annunciare tra i fratelli e le sorelle nel mondo il Vangelo di Cristo”. Mi auguro che i Ministri provinciali d’Europa, grazie anche a questa VII Assemblea, vi contribuiscano con riflessioni arricchenti e con proposte capaci di dare per davvero nuova linfa alla nostra forma vitae. È tempo di discernimento! “Signore, aiutaci a convertirci! Dona a tutti noi la grazia del vero rinnovamento! Non permettere che la tua luce in mezzo a noi si spenga! Rafforza tu la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore, perché possiamo portare frutti buoni!” (Benedetto XVI, Omelia per l’Apertura dell’XI Assemblea del Sinodo dei Vescovi, 2 ottobre 2005). Fr. José Rodríguez Carballo, ofm Ministro generale I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi Inserto al Notiziario - XV Inserto del numero 112 del Notiziario della Provicnia Minoritica di Cristo Re dei Frati Minori dell’Emilia-Romagna, dicembre 2005 XVI - Inserto al Notiziario I francescani e l’evangelizzazione nell’Europa di oggi