la legge organica sulle pensioni del 1969 - Tocqueville

Transcript

la legge organica sulle pensioni del 1969 - Tocqueville
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
LA LEGGE ORGANICA SULLE PENSIONI DEL 1969
di FLAVIO FELICE
Direttore Centro Studi e Documentazione Tocqueville-Acton
È stato più volte rilevato che il nostro sistema pensionistico ricevette un forte
impulso riformatore sul finire degli anni sessanta. Senza voler entrare nelle peculiari vicende
storiche che diedero vita a quella particolare fase politica della storia italiana che va sotto il
nome di centro-sinistra, è nostra intenzione ripercorrere, attraverso le parole dei protagonisti
dell’epoca, i tratti principali di quello che, a torto o a ragione, è stato definito uno dei
risultati politici più “avanzati” della stagione riformista dell’Italia degli anni sessanta e
settanta. Ci riferiamo alla legge n° 153 del 30 aprile 1969, nota come riforma Brodolini per la
revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale.
Il disegno di legge (N. 1064) venne presentato nella seduta del 19 febbraio 1969 alla
Camera dei Deputati dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Giacomo
Brodolini, di concerto col Ministro del Bilancio e della Programmazione economica Luigi
Preti e del Ministro del Tesoro Emilio Colombo. Il disegno venne approvato dalla Camera
nella seduta del 29 marzo 1969, modificato dal Senato il 24 aprile (disegno N. 603),
trasmesso dal Presidente del Senato alla Presidenza della Camera il 28 aprile ed approvato
definitivamente il 30 dello stesso mese.
La vicenda politico-sociale che accompagnò la presentazione e l’approvazione della
riforma vide il movimento sindacale impegnato nello svolgere un ruolo di primissimo
piano, assumendo una posizione di rottura rispetto alle ipotesi di riforma elaborate negli
anni precedenti; è lo stesso Ministro Brodolini, durante la seduta di presentazione alla
Camera, ad affermare: «Il provvedimento è, d’altra parte, il frutto della più ampia e feconda
collaborazione con le organizzazioni sindacali, il cui apporto di responsabilità e di
esperienza ha operato positivamente nel momento delle valutazioni e delle scelte alle quali
il Governo è pervenuto»1.
In particolare, la riforma avrebbe segnato il passaggio da un modello fondato su un
trattamento di base per tutti i cittadini anziani, con una integrazione differenziata per
Relazione del Ministro G. Brodolini al disegno di legge: Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia
di sicurezza sociale, presentata il 19 febbraio 1969, p.1.
1
1
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
appartenenza professionale e l’aggiunta di versamenti contributivi effettuati durante la vita
lavorativa, ad un modello che colloca al centro i lavoratori occupati dei settori forti. Questi
ultimi avrebbero percepito trattamenti rapportati ad un elevata percentuale della
retribuzione, calcolata sulla base dell’ultimo periodo lavorativo, finanziati dalla solidarietà
intergenerazionale, tipica dei sistemi cosiddetti a ripartizione. In breve, è lecito pensare che,
almeno nelle intenzioni dei protagonisti dell’epoca, si trattava «di un provvedimento di
largo respiro e di notevole impegno finanziario, con obiettivi a breve e lungo termine e che
[avrebbe contribuito] ad un più celere avvicinamento di quel traguardo della “sicurezza
sociale” verso il quale erano già rivolti i provvedimenti legislativi approvati dal Parlamento
dal 1965 in poi»2. Sulla stessa linea si assestava anche il giudizio dell’Istituto Nazionale di
Previdenza Sociale, il quale considerava il provvedimento in esame il tentativo, ben riuscito,
di «recare miglioramenti e innovazioni rispondenti ad una esigenza di giustizia verso larghe
categorie di cittadini, assicura[ndo] negli organi di gestione dell’Istituto la più ampia
partecipazione e responsabilizzazione delle rappresentanze dei lavoratori e introduce[ndo]
alcuni principi che costituiscono la premesse necessaria per la trasformazione dell’attuale
ordinamento in un progressivo ed ordinato sistema di sicurezza sociale, consono al livello
di sviluppo civile ed economico della nostra società»3.
Il quadro generale della legge di riforma pensionistica prese corpo tra l’autunno del
1968 e la primavera del 1969, dopo un’intensa trattativa che vide coinvolti da un lato i
rappresentanti del Governo e dall’altro quelli dei lavoratori dipendenti. Gli elementi che
maggiormente qualificarono il contenuto della riforma possono essere raggruppati in due
rami principali, da un lato, abbiamo gli interventi volti a tutelare gli interessi degli occupati
nei settori forti, dall’altro, possiamo rilevare una serie di trattamenti di solidarietà, rientranti
nella categoria degli interventi assitenziali nei confronti dei soggetti appartenenti alle
categorie più deboli. Per quanto riguarda il primo ramo i punti qualificanti sono i seguenti:
a) abbandono del criterio contributivo e passaggio a quello retributivo, con riferimento al
periodo finale della vita lavorativa; b) meccanismi di salvaguardia del potere d’acquisto dei
trattamenti pensionistici; c) presenza maggioritaria dei rappresentanti dei sindacati nel
Consiglio d’amministrazione dell’INPS. In relazione agli interventi di tutela dei cittadini
appartenenti ai settori economicamente più deboli, ricordiamo che la legge previde il
Relazione del Sen. Ricci al disegno di legge N. 603: Revisione degli ordinamenti..., cit., p.5.
Settant’anni dell’Istituto di previdenza sociale. Cinquant’anni dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità e la
vecchiaia. Raccolta di Studi, INPS, 1970, p.292.
2
3
2
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
consolidamento dei trattamenti minimi e istituì la cosiddetta pensione sociale per tutti i
cittadini ultrasessantacinquenni, sprovvisti di reddito. Ecco come il Balandi, da un punto di
vista politico-sidacale, valuta l’esito delle trattative tra Governo e Sindacati: «Questo
compromesso plurilaterale avrebbe segnato il sistema pensionistico italiano negli anni
successivi; il bilanciamento di interessi che così si realizzò è tuttavia, probabilmente,
all’origine dell’intreccio di veti che da tempo blocca le ulteriori prospettive di sviluppo» 4.
Durante la presentazione del disegno di legge al Senato, il Realtore Ricci individuò i
provvedimenti fondamentali che avrebbero consentito il raggiungimento degli obiettivi
fissati dal governo. Sulla base del suo intervento, riportiamo di seguito lo schema degli
interventi previsti dal disegno di legge:
Schema riassuntivo
A decorrere dal 1° gennaio 1969, l’aumento delle pensioni minime dei lavoratori dipendenti da lire
18.000 a lire 23.000 mensili per i titolari di pensione di età inferiore a 65 anni, e da lire 21.900 a lire
25.000 mensili per i titolari di età superiore a 65 anni;
l’aumento dalla stessa data delle pensioni minime dei lavoratori autonomi da lire 13.000 a lire
18.000 mensili;
l’estensione dei trattamenti minimi dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i
superstiti ai cittadini italiani titolari delle pensioni dell’Istituto nazionale di assicurazione sociale libico,
nonché ai lavoratori emigranti titolari di pensione il sui diritto sia acquisito in virtù di accordi e convenzioni
internazionali;
con effetto dal 1° gennaio 1969, l’aumento, in misura pari al 10 per cento del loro ammontare, delle
pensioni a carico delle assicurazioni generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, aventi
decorrenza anteriore al 1° gennaio 1969;
l’aumento, nella stessa misura del 10 per cento, delle pensioni dei lavoratori autonomi, qualunque sia
la loro decorrenza;
le equiparazioni delle pensioni di invalidità e di anzianità da liquidare alle lavoratrici assicurate in
base alle disposizioni vigenti anteriormente al 1° maggio 1968, determinandole con gli stessi criteri di
calcolo stabiliti per i lavoratori assicurati;
il rapporto pensione-retribuzione, per le pensioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1968,
viene elevato dal 65 al 75 per cento;
4
Ibidem.
3
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
il rapporto pensione retribuzione viene ulteriormente elevato all’80 per cento per le pensioni aventi
decorrenza successiva al 31 dicembre 1975;
la base imponibile per il calcolo dei contributi e delle relative prestazioni viene ulteriormente precisata
con la indicazione degli elementi che sono esclusi in modo tassativo dalla determinazione della retribuzione;
il periodo di contribuzione effettiva o figurativa, da utilizzare per la determinazione della retribuzione
annua pensionabile, non è più costituito dalle ultime 156 settimane, ma, per le pensioni con decorrenza
successiva al 31 dicembre 1968, dalla media dei migliori tre gruppi di 52 settimane individuati nelle 260
settimane precedenti la data di decorrenza della pensione; per le pensioni, invece, aventi decorrenza posteriore
al 31 dicembre 1975, i tre gruppi favorevoli sono scelti fra dieci gruppi nelle ultime 520 settimane di
contribuzione effettiva e figurativa;
l’introduzione di un congegno per la perequazione automatica delle pensioni, per effetto del quale
l’importo delle pensioni, ivi compresi i trattamenti minimi, è aumentato in misura percentuale pari
all’aumento dell’indice del costo della vita calcolato dall’Istituto centrale di statistica ai fini della scala
mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell’industria;
viene garantito al pensionato, che si occupi alle dipendenze di terzi, il godimento della pensione entro
determinati limiti, e più precisamente: viene consentito, in ogni caso, il pagamento del trattamento minimo;
sulla quota di pensione eccedente tale “minimo” viene operata, a cura del datore di lavoro, una trattenuta
pari al 50 per cento di detta quota; nel complesso, comunque, il pensionato che lavori potrà ricevere una
pensione superiore a lire 100.000 mensili;
viene ripristinata la cosiddetta pensione di anzianità in favore dei lavoratori dipendenti ed autonomi
che possano vantare una anzianità assicurativa di 35 anni e possano far valere 35 anni di contribuzione
effettiva, volontaria e figurativa accreditata a favore degli ex combattenti e categorie assimilate, innovando
per questa ultima parte al precedente ordinamento che prevedeva trentacinque anni di sola contribuzione
effettiva;
il diritto alla predetta forma di pensionamento è sottoposto alla condizione che i richiedenti non
prestino attività lavorativa subordinata alla data della liquidazione della pensione;
nel caso di ripresa di attività lavorativa subordinata la pensione di anzianità è sottoposta alle
disposizioni sul cumulo con la retribuzione;
miglioramenti vengono introdotti anche per le pensioni di reversibilità, eliminando gli ostacoli
dipendenti dalla durata del matrimonio, dalla età dei coniugi e dalla differenza di età;
4
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
la pensione indiretta o di reversibilità per i coltivatori diretti, mezzadri coloni viene disciplinata con le
stessa norme stabilite per l’assicurazione dei lavoratori dipendenti, per gli eventi successivi al 31 dicembre
1969;
la maggiorazione per i familiari a carico dei lavoratori pensionati vengono commisurate agli assegni
familiari corrisposti ai lavoratori dell’industria;
i titolari di pensione sono ammessi a fruire della assistenza sanitaria per i figli studenti fino al 26°
anno di età;
i contributi figurativi per i periodi di servizio militare ed equiparato sono considerati utili a domanda,
anche se non sussista una precedente iscrizione nell’assicurazione obbligatoria;
il periodo del corso legale di laurea è ammesso al riscatto sulla base del contributo versato dal datore,
all’atto della domanda, maggiorato dell’interesse legale;
gli impiegati già esclusi dall’assicurazione obbligatoria per i periodi anteriori al 1° settembre 1950, in
dipendenza del reddito percepito, possono esercitare la facoltà di riscatto con le particolari modalità previste
dall’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n° 1338;
innovando ulteriormente, viene previsto l’accredito, a carico delle riserve di gestione, dei contributi non
versati da aziende fallite o che versino in condizioni di crisi determinata da eccezionali calamità naturali.
La discussione parlamentare che accompagnò l’intero iter legislativo fu avvincente e
ricco di spunti polemici. Al centro delle argomentazioni portate dall’opposizione di sinistra
rileviamo la severa critica condotta nei confronti dell’operato del Governo di centrosinistra, reo di procedere sul sentiero delle riforme in contrasto con un indirizzo di politicaeconomica “socialmente avanzata”. Tuttavia, nonostante le dure critiche al Governo
presieduto dal Primo Ministro Mariano Rumor, gli strali dei rappresentanti dell’estrema
sinistra erano rivolti soprattutto contro il Ministro del Tesoro, il democristiano Emilio
Colombo, colpevole, ai loro occhi, di essere troppo vicino alle posizioni degli industriali.
L’onorevole Libertini, nel suo intervento alla Camera del 20 marzo 1969, argomentò tale
accusa in questi termini: «In effetti, dietro tutti questi ragionamenti e questi alibi vi è un
indirizzo, costantemente seguito dal ministro del tesoro, che parte dalla preoccupazione di
riservare larga parte del mercato dei capitali agli investimenti privati, di non turbare e
intralciare le scelte dei grandi industriali. Ciò corrisponde del resto ad una martellante
pressione esercitata anche in questi giorni dai giornali finanziari e dai portavoce della
Confindustria perché la spesa pubblica abbia un carattere subordinato, di servizio, rispetto
5
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
all’iniziativa privata»5. In realtà il ministro Colombo intendeva spostare il dibattito sul lato
della sostenibilità finanziaria della riforma e, con l’invito al Parlamento di non sottovalutare
tale aspetto, il 21 febbraio, intervenendo alla Commissione Bilancio, egli ebbe ad affermare
che “L’aspetto economico costituisce un elemento di decisione preliminare per la riforma,
sicché trattandosi di un piano di carattere finanziario di notevole ampiezza è da ritenersi
perfettamente corretto che il Parlamento sia preliminarmente chiamato a decidere sulla
destinazione quantitativa di spesa di determinate risorse del paese”.
Se da un lato gli esponenti dell’opposizione di estrema sinistra accusavano la politica
economica del Governo Rumor di scarsa attenzione alle istanze sociali “avanzate”, per
usare un’espressione che appare un numero infinito di volte negli interventi dei relatori
della sinistra, dall’altro, obiettivo dichiarato era quello di rivendicare il ruolo guida svolto
dai sindacati e dalle “grandi masse lavoratrici” nella “lotta” per un “nuovo” sistema sociale:
«arriviamo a questa discussione dopo che vi sono stati nel paese tre scioperi generali dei
lavoratori, i quali hanno così dimostrato di avere raggiunto un’alta consapevolezza
dell’importanza che per essi riveste la possibilità di contrattare non soltanto il salario
immediato, il salario contrattuale, ma anche quello differito, quello previdenziale» ed
ancora, rendendo la rivendicazione più esplicita: «Perciò, se oggi discutiamo su posizioni
più avanzate [...] ciò si deve alla lotta delle masse, all’iniziativa delle forze di sinistra,
all’iniziativa ed alla presenza delle grandi organizzazioni sindacali, le quali senza dubbio
hanno assolto ad un ruolo importantissimo in tutta questa battaglia, in tutta questa
vicenda»6.
I brani appena riportati sono soltanto un piccolo esempio del clima politico che si
respirava nelle aule parlamentari durante la discussione del progetto di legge. L’aspra
polemica affondava le sue radici nella travagliata storia che aveva preceduto l’accordo tra
Governo e movimento sindacale e, in particolare, la presentazione, da parte del precedente
Governo, presieduta dal Primo Ministro Giovanni Leone, sostenuto dalla stessa
maggioranza di centro-sinistra, del disegno di legge che divenne la cosiddetta “famigerata”
legge del 18 marzo 1968, n° 238. A tal riguardo, l’On. Tognoni, nel suo intervento alla
Camera, nella seduta del 20 marzo, ripercorse tutte le tappe che portarono alla
Intervento alla Camera dei Deputati dell’On. Libertini sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti..., cit.,
seduta del 20 marzo 1969, p. 5913.
6 Intervento alla Camera dei Deputati dell’On. Tognoni sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti..., cit.,
seduta del 20 marzo 1969, p. 5901.
5
6
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
presentazione del disegno in esame. Il primo impegno solenne a varare una riforma
previdenziale fu preso in sede parlamentare in occasione della scadenza elettorale del 1963,
dall’allora ministro del lavoro Bertinelli. Per studiare nel merito i contenuti della riforma
venne anche insediata una commissione: la commissione Varaldo, che, sempre nel 1963,
presentò le proprie conclusioni. Ancora nel 1964, il Governo, dinnanzi ai sindacati, si
impegno nuovamente a varare la riforma “in un prossimo futuro”. Dopo ripetuti rinvii e
ulteriori promesse, il Tognoni ricorda: «Le organizzazioni sindacali aprirono una vertenza
con il Governo, minacciarono uno sciopero generale per il 15 dicembre 1967. Solo nel
marzo del 1968 il Governo si presentò alla Camera con il proprio disegno di legge, disegno
di legge che aprì una spaccatura all’interno della stessa Assemblea, ponendo in disaccordo
le stesse organizzazioni sindacali. Infatti la Confederazione generale del lavoro, dopo aver
consultato le proprie organizzazioni periferiche, non sottoscrisse quell’accordo e proclamò
anzi una giornata di manifestazioni e di lotta, uno sciopero per le pensioni che venne fatto
nel marzo del 1968»7.Il Tognoni conclude la panoramica storica affermando che, per
quanto il Governo presieduto da Rumor si fosse presentato all’Assemblea (16 dicembre
1968), promettendo di affrontare il problema delle pensioni “entro la più vasta cornice di
riforma del sistema previdenziale”, in realtà, dai banchi dell’opposizione si rilevava che,
anche in quel caso, dal Governo venivano sempre frapposti ostacoli all’inizio ed alla
prosecuzione del dibattito. Ma la critica più severa il nostro relatore la riserva proprio al
ministro del tesoro: «l’Onorevole Colombo, che nel marzo non aveva una lira, che
nell’autunno diceva di aver trovato 400 miliardi, alla fine pare che ne abbia trovati un po’ di
più, tanto che siamo arrivati a 500 miliardi e oltre del provvedimento al nostro esame. Il
che apre un problema di credibilità nei confronti del ministro del tesoro che si comporta in
questo modo; che cioè a un anno distanza, dopo aver detto che non c’era una lira, trova,
come un prestigiatore nel cappello, 537 miliardi di lire»8. Di qui il Tognoni fa dipendere le
ragioni delle rivendicazioni da parte di tutta la sinistra non di governo circa i meriti della
riforma: «... dell’agganciamento, del finanziamento del fondo sociale da parte dello Stato,
della scala mobile, della gestione degli enti, della pensione sociale [...] E’ un passo in avanti
sulla strada dell’azione e della lotta per la riforma; è un passo in avanti che abbiamo fatto, è
una conquista dell’azione e della lotta delle masse»9.
Ibidem.
Ibidem.
9 Ibidem.
7
8
7
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
La posizione dell’estrema sinistra sul disegno di legge in discussione fu
moderatamente critica e, per quanto essa fosse consapevole del fatto che il provvedimento
in esame indirizzava la riforma del sistema previdenziale in una direzione di certo non ostile
al proprio programma di politica-economica, in merito alle singole disposizioni ebbe modo
di esprimere la sua contrarietà, evidenziando le differenze e le distanze che, nonostante
tutto, permanevano tra l’opposizione di sinistra e il Governo. In particolare, il punto di
maggiore distanza tra i comunisti e la maggioranza di centro-sinistra era rappresentato
dall’introduzione del divieto assoluto di cumulo con la pensione di anzianità. L’Onorevole
Sulotto, in occasione della seduta alla Camera del 30 aprile 1969, dichiarando che in merito
alla votazione finale il suo gruppo si sarebbe astenuto, affermava che «con l’introduzione
del divieto assoluto di cumulo con la pensione di anzianità, si creano illegittime e quindi
assurde discriminazioni tra pensionati e pensionati. Il diritto di cumulo, anche se parziale,
vale per i pensionati di anzianità liquidati con la legge n° 903 del 1965; il diritto di cumulo
vale per tutti gli altri pensionati di vecchiaia e di invalidità. Ma in base a quale
considerazione giuridico-costituzionale non deve valere anche per i nuovi pensionati di
anzianità»10.
Inoltre, da un punto di vista di politica economica generale, il disegno di legge
presentato dal Governo, per il Tognoni, rifletteva tutti gli squilibri tradizionali della nostra
“società nazionale”: squilibri tra Nord e Sud, tra settore industriale e agricolo, tra uomo e
donna. L’onorevole Raucci nella seduta alla Camera del 22 marzo affermava: «Noi
abbiamo individuato quali sono gli obiettivi fondamentali di una politica programmata nel
nostro paese. Il dibattito politico-culturale su questo problema è giunto a delle conclusioni
che credo siano largamente condivise. Noi dobbiamo aggredire gli squilibri fondamentali
che esistono nel nostro paese, quelli settoriali e territoriali, dobbiamo affrontare il problema
del Mezzogiorno ed il problema dei rapporti industria-agricoltura: sono questi gli obiettivi
fondamentali di un’azione riformatrice in Italia [...] con il disegno di legge presentato dal
Governo si configura una tendenza diversa, che porta ad aggravare tali squilibri»11.
L’onorevole Sulotto, a coloro che, come il ministro Colombo si appellavano
all’insostenibilità della spesa ed agli effetti economici delle richieste provenienti dai banchi
Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Sulotto sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti...,
cit., seduta del 30 aprile 1969, p.7422.
11 Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Raucci sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti...,
cit., seduta del 22 marzo 1969, p.6090.
10
8
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
dell’opposizione, rispondeva che «occorre una politica economica diversa, di piano, di
selezione degli investimenti e dei consumi, di espansione della spesa sociale, anche per
tonificare il mercato interno »12. In particolare, l’onorevole Polotti, del gruppo socialista,
quindi di un partito che sosteneva il Governo, pur dichiarandosi favorevole alla votazione
finale del provvedimento, durante la discussione alla Camera, nel richiedere un
emendamento che elevasse i livelli di contribuzione degli agrari dal 3 al 9 per cento, ebbe ad
affermare che «il provvedimento che andiamo ad approvare non chiede niente ai padroni
[corsivo aggiunto]: niente, neanche una lira!» ed ancora «Si parla tanto della necessità di un
allargamento del mercato interno: bene, quale occasione più favorevole per allargarlo al
massimo attraverso una ripartizione del reddito nazionale che vada a beneficio delle classi
più umili e più povere del nostro paese?»13. Dai brani appena citati si evince la tendenza a
perpetuare il conflitto tra capitale e lavoro, tra i cosiddetti padroni e le classi meno abbienti,
nella falsa e perniciosa idea che se qualcuno è povero, ciò è dovuto al fatto che, nel
frattempo, qualcun altro è divenuto ingiustamente ricco. Una simile impostazione di
pensiero – una sorta di “morale alla Robin Hood” – appare ancora più esplicita dalla lettura
dei seguenti brani: «Occorre, a nostro avviso, che si dia mano finalmente alla riforma
tributaria e fiscale con incidenza diretta e progressiva sui redditi, che colpisca i sovraprofitti
di monopolio e le scandalose operazioni speculative, che tolga ai capitalisti [corsivo
aggiunto] il privilegio di poter usare i fondi previdenziali come comodo mezzo di
autofinanziamento e di creazione di sovraprofitto» e, in modo inequivocabile, l’Onorevole
Libertini giunge ad affermare che “I lavoratori sanno che la regola del tutti per uno e uno
per tutti è il solo modo per battere i padroni e andare avanti”, ribadendo che «Se un
Governo, per esempio ci propone di non andare oltre nella riforma delle pensioni allo
scopo di incrementare la produzione di autostrade e yacht da diporto, certamente noi
preferiremmo far la figura delle cicale, e diremmo di volere piuttosto la riforma delle
pensioni: sceglieremmo in questo caso il consumo rispetto all’investimento, perché si tratta
di un investimento inutile e distorsivo rispetto a certi fini»14.
Dal lato destro dell’Assemblea, i rappresentanti del Movimento Sociale, pur aderendo
in linea di massima al disegno di legge presentato dal Governo, ebbero modo di affermare
Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Sulotto sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti...,
cit., seduta del 21 marzo 1969, p.5983.
13 Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Polotti sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti...,
cit., seduta del 20 marzo 1969, p.5907.
14 Ibid., Libertini, p.5923.
12
9
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
la loro contrarietà rispetto ad alcuni punti specifici. La prima critica che i rappresentanti
della destra mossero alla proposta del Governo in esame, riguardava il provvedimento in
base al quale quella particolare forma di pensione, data dalla “pensione di povertà”, erogata
a titolo di mantenimento e di assistenza sociale, sarebbe stata assimilata al trattamento
pensionistico per i lavoratori. L’onorevole Roberti, durante la seduta alla Camera del 21
marzo, spiegò la posizione del Movimento Sociale con queste parole: «Noi plaudiamo a
questa iniziativa dello Stato che risponde, come ho già detto, ad una delle norme
dell’articolo 38 della Costituzione. Ma non possiamo accettare che venga confusa questa
attività dello Stato, che è una attività di mantenimento, con quella che è invece l’attività di
controprestazione, di versamento della pensione dei lavoratori, cioè di adempimento di un
dovere statale preciso e di riconoscimento di un diritto speciale dei lavoratori»15. Per il
rappresentante missino, quando uno Stato confonde la doverosa attività di assistenza con
l’altrettanto doveroso adempimento del riconoscimento dei diritti previdenziali, si rende
responsabile di una “frode”, volendo far pagare ai lavoratori il costo di una pensione che
solo impropriamente egli conteggia all’interno del capitolo pensioni.
Ma il punto sul quale l’onorevole Roberti si mostrò nettamente contrario, quello che
egli definì “la menda maggiore di questo disegno di legge, il neo più grosso, la più grave delle violazioni dei
diritti dei lavoratori”, e dal quale avrebbe fatto dipendere l’astensione dei rappresentanti del
Movimento Sociale nel caso in cui fosse stata respinta la proposta di modifica presentata
dal suo gruppo, riguardava la mancata variazione di quelle norme della “famigerata” legge
del 18 marzo 1968 che stabilivano l’abrogazione della pensione di anzianità e la confisca di
una parte della pensione di vecchiaia per quei pensionati che continuavano l’attività
lavorativa: «In altri termini, si toglie una parte di quello che è dovuto al lavoratore e, in
base ad un principio che non esito a definire mostruoso, si impone il divieto del cumulo tra
pensione e retribuzione»16.
Una posizione distinta dall’opposizione sia di sinistra sia di destra, fu quella assunta
dai rappresentanti del Partito Liberale. Pur rinvenendo alcuni essenziali punti di disaccordo
con il disegno di legge presentato dal Governo, esso, opportunamente modificato e
ritoccato, avrebbe potuto “finalmente” rappresentare un decisivo passo avanti nella
direzione di un compiuto sistema di sicurezza sociale. L’onorevole Pucci di Barsento,
15 Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Roberti sul disegno di legge: Revisione degli ordinamenti...,
cit., seduta del 21 marzo 1969, p.5973.
16 Ibid., p.5972.
10
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
intervenendo alla Camera durante la discussione parlamentare del 20 marzo, ebbe a
sostenere che una società industriale avanzata, per non compromettere irrimediabilmente il
proprio futuro avrebbe dovuto necessariamente affrontare tre esigenze assolutamente
prioritarie: 1) l’educazione civile, culturale e professionale delle nuove generazioni; 2) la
garanzia di condizioni morali, spirituali e materiali di lavoro e di vita per i suoi cittadini; 3)
un compiuto sistema di sicurezza sociale che, «come la famosa enunciazione del presidente
Roosevelt, liberi definitivamente l’uomo dalla paura della fame e del bisogno, garantisca
pertanto condizioni economiche adeguate a tutti coloro che si trovano in età avanzata e
consenta a tutti coloro che lavorano di guardare con fiducia al loro avvenire anche e
specialmente quando, al termine del lungo arco di vita dedicato alla loro attività, essi si
dovranno ritirare dalla fase attiva per godersi un meritato riposo»17.
Per il deputato liberale il provvedimento rappresentava realmente un passo in avanti
nella edificazione di un più adeguato sistema di sicurezza sociale; tuttavia, ciò non gli
impediva di rilevare nel disegno presentato dal Governo un sostanziale vizio di forma che
inevitabilmente ne comprometteva la portata contenutistica. La critica mossa dal
rappresentante del Partito Liberale si basava sul fatto che il provvedimento in esame
rispecchiava la sua natura di “documento-accordo” realizzato con una controparte
rappresentata soltanto da alcune forze sindacali, procedendo nella definizione dei termini
dell’accordo, escludendo interi settori del mondo del lavoro, precludendosi in tal modo la
possibilità di ottenere un quadro di generale equilibrio tra le istanze delle singole parti: «Il
gruppo liberale si compiace che siano state svolte consultazioni tra i sindacati e il Governo,
ma non può approvare che dalla consultazione si sia passati alle trattative e che le trattative
siano poi state concluse con un accordo effettuato soltanto con determinate forze sindacali,
mentre altre ne erano escluse [...] Il provvedimento risente della mancanza di un disegno
politico centrale o meglio di un’idea informatrice che avrebbe dovuto scaturire da una
attenta considerazione della realtà sociale e politica attuale non solo italiana, ma europea»18.
In particolare, l’onorevole Pucci di Barsento ebbe a contestare l’esigua entità della
cosiddetta pensione sociale, proponendo, contro l’ipotesi governativa delle 400 lire al
giorno, cioè 12 mila lire mensile, la concessione di “una pensione speciale non reversibile di
Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Pucci di Barsento sul disegno di legge: Revisione degli
ordinamenti..., cit., seduta del 20 marzo 1969, p.5908.
17
18
Ibid., pp. 5909-5910.
11
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
lire 325 mila annue, da ripartire in 13 rate mensili di lire 25 mila ciascuna”. A sostegno della
sua proposta egli portò nobilissime ragioni di carattere sociale, affermando che «Una
società moderna non può permettere o ammettere che si tolleri la indigenza mentre il paese
è ormai avviato verso un avanzato assetto economico che si identifica con la società dei
consumi. Pertanto, non si può tollerare che per legge si istituzionalizzi quasi una condizione
di umana miseria che non ha riscontro se non in paesi sottovalutati»19.
Dal lato della sostenibilità economica anche il nostro interlocutore liberale non
sembrò preoccuparsi eccessivamente delle conseguenze finanziarie di lungo periodo, anche
in questo caso l’attenzione sembra rivolta tutta alla celebrazione di un’economia in via di
espansione, di una popolazione che non desta gravi problemi di carattere demografico, di
una società industriale destinata a non conoscere crisi: «Il costo del provvedimento in
esame, mentre rappresenta da un lato un elemento di sollecitazione dell’economia italiana
con presumibili effetti tonificanti nel settore della produzione dei servizi, rappresenta anche
una certezza di maggiori introiti fiscali che, anche se difficilmente valutabili con sicurezza,
dovrebbero raggiungere un ammontare di 80-100 miliardi per l’anno in corso»20.
L’attenzione del gruppo liberale, al pari degli altri gruppi, era tutta centrata sull’espansione
del mercato interno, non tenendo conto di quelle variabili di natura macroeconomica, come
ad esempio il bilancio demografico, il costo della vita e l’insostenibile debito pubblico, che,
come abbiamo potuto constatare, da lì a pochi anni, mostrarono tutta la loro carica
distruttiva del sistema Italia.
Se, da parte governativa, il provvedimento presentato alle Camere venne accolto con
grande entusiasmo e salutato come la realizzazione della precisa volontà delle forze
politiche della maggioranza di centro-sinista di attuare una delle più importanti riforme
attese dal paese, “con la consapevolezza di compiere un dovere verso il mondo del lavoro”
e, da parte delle opposizioni, giudicato come una grande vittoria delle lotte sindacali, da
parte degli industriali non mancarono alcune critiche sul modo in cui si procedette
all’elaborazione del testo definitivo.
L’onorevole Lobianco, del gruppo democristiano, durante la seduta alla Camera del
20 marzo 1969, espresse con parole inequivocabili la fiducia e la viva soddisfazione per i
provvedimenti contenuti nel disegno di legge appena presentato: «Come cittadino italiano,
oltre che come parlamentare, non posso che manifestare il mio più vivo compiacimento
19
20
Ibid., p.5910.
Ibidem.
12
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
per il provvedimento che non esito a definire di portata storica per la previdenza sociale del
nostro mondo del lavoro»21. Alla comune soddisfazione dei membri di maggioranza ed
apposizione bisogna aggiungere quella espressa dalla dirigenza del maggiore istituto di
previdenza sociale del nostro paese: l’INPS. Ripercorrendo le tappe fondamentali della
storia della previdenza in Italia, in un volume pubblicato in occasione dei settant’anni
dell’Istituto, leggiamo: «Le disposizioni emanate con la legge predetta sviluppano e
completano, almeno nelle linee essenziali, il processo evolutivo nell’ordinamento
pensionistico italiano il quale fatto oggetto, nel breve periodo di un quadriennio, di tre
importanti interventi legislativi, può considerarsi aver raggiunto ormai una impostazione
organica del tutto soddisfacente, sulle linee della quale dovrebbe essere agevole muovere de
futuro verso mete ottimali [corsivo aggiunto]»22.
Per offrire una chiara e non mediata esposizione dell’atteggiamento tenuto dagli
industriali in occasione della presentazione e della votazione del disegno di legge sulla
riforma pensionistica, riportiamo alcuni interessanti brani tratti dagli annuari del 1968 e
1969 della Confederazione Generale degli industriali italiani. Nei brani che seguono possiamo
constatare una particolare cura per quegli aspetti che normalmente non vengono
considerati immediatamente di natura sociale, ma che, trascurati, hanno portato alla
degenerazione dell’intero sistema di previdenza sociale.
Annuario 1968
«...In detta occasione è stata sottolineata la necessità che il problema sia affrontato con una visione
di carattere non solo sociale ma anche economico, cioè con un’impostazione nuova che faccia valutare
globalmente, in relazione alle possibilità economiche del paese, le connessioni tra pensioni salari, ed
investimenti, evitando di procedere con provvedimenti parziali, a carattere episodico e contingente, che
rendono sempre più difficile l’auspicato assetto definitivo del problema.
E’ stato rilevato che la causa principale dello squilibrio e della insufficienza del sistema stesso è da
attribuire al mantenimento di limiti di età che non sono più in armonia con il prolungamento della vita
media e con la possibilità di utilizzazione delle forze lavoro»23.
Intervento alla Camera dei Deputati dell’Onorevole Lobianco sul disegno di legge: Revisione degli
ordinamenti..., cit., seduta del 20 marzo 1969, p.5895.
22 Settant’anni dell’Istituto di previdenza sociale ..., cit., p.395.
23 Confederazione Generale dell’Industria Italiana, Annuario, 1968, p.588.
21
13
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
«E’ invero molto preoccupante la tendenza manifestata dalle numerose proposte in materia,
presentate in sede parlamentare fin dall’inizio della legislatura, di non dare la dovuta importanza o
addirittura di trascurare gli aspetti economico-finanziari.
Un problema di riforma del sistema indubbiamente esiste ed è pienamente comprensibile che nella
coscienza pubblica si vada diffondendo l’ansia per una sua integrale soluzione. Non v’è dubbio, peraltro,
che il problema vada esaminato nella globalità degli aspetti finanziari, tecnici, strutturali ed organizzativi,
non essendo ammissibile che un’evoluzione ed una nuova sistematica della previdenza sociale si limiti ad
una rielaborazione dei criteri di erogazione delle prestazioni, senza che si proceda ad un coordinamento della
numerose e contraddittorie disposizioni normative ed ad una razionalizzazione nella struttura delle gestioni.
A tale organico riassetto occorre tendere sulla base di una operante distinzione tra oneri strettamente
previdenziali ed oneri di carattere esclusivamente assistenziale, di un severo controllo del costo della
previdenza che consenta di ridurne l’incidenza nei tempi e nei modi adatti, di uno slittamento di procedure,
di riassetto funzionale ed istituzionale degli Enti, ed infine di una sensibilizzazione di tutte le categorie
beneficiarie per una loro partecipazione adeguata agli oneri di pertinenza»24.
Annuario 1969
«E’ noto che l’aspetto dominante, da molti anni, nella previdenza sociale italiana è costituito dal
cronico stato deficitario di pressoché tutte le gestioni. A tale stato deficitario si è fatto fronte o attraverso
l’assorbimento delle riserve o attraverso trasferimenti di disponibilità dall’una all’altra gestione o mediante
fusioni di gestioni attive con gestioni passive o mediane apporti, più o meno contingenti ed aleatori, di
pubblico denaro.
E’ superfluo rilevare quanto tali procedure si discostino dalle esigenze elementari di una corretta
gestione, che non può non essere basata su due criteri fondamentali: la netta separazione, non solo giuridica
ed istituzionale, ma anche contabile e finanziaria, delle gestioni; l’equilibrio costante, in ciascuna gestione,
delle uscite e delle entrate»25.
«La tendenza, nell’attuale momento storico italiano, a non dare il giusto rilievo alle esigenze della
più severa amministrazione ha avuto ulteriore, grave conferma nell’intendimento [...] di porre in assoluta
minoranza le rappresentanze dei datori di lavoro negli organi amministratori degli enti previdenziali.
Tale innovazione, presentata sotto l’insegna, troppo spesso abusata e qui del tutto impropria, della
“democratizzazione”, sottovaluta arbitrariamente il fatto che l’incidenza immediata della parte
24
25
Ibid., p.591.
Confederazione Generale dell’Industria Italiana, Annuario, 1969, p.574.
14
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
preponderante (in Italia più che altrove) dei contributi previdenziali grava sull’impresa; viola un criterio
elementare di buona gestione ... »26.
26
Ibid., p. 575.
15
Focus Paper, n. 11 – novembre 2007
CHI SIAMO
Il Centro Studi e Documentazione Tocqueville-Acton nasce dalla collaborazione tra la
Fondazione Novae Terrae ed il Centro Cattolico Liberale al fine di favorire l’incontro
tra studiosi dell'intellettuale francese Alexis de Tocqueville e dello storico inglese Lord
Acton, nonché di cultori ed accademici interessati alle tematiche filosofiche, storiografiche,
epistemologiche, politiche, economiche, giuridiche e culturali, avendo come riferimento la
prospettiva antropologica ed i principi della Dottrina Sociale della Chiesa.
PERCHÈ TOCQUEVILLE E LORD ACTON
Il riferimento a Tocqueville e Lord Acton non è casuale. Entrambi intellettuali cattolici,
hanno perseguito per tutta la vita la possibilità di avviare un fecondo confronto con quella
componente del liberalismo che, rinunciando agli eccessi di razionalismo, utilitarismo e
materialismo, ha evidenziato la contiguità delle proprie posizioni con quelle tipiche del
pensiero occidentale ed in particolar modo con la tradizione ebraico-cristiana.
MISSION
Il Centro, oltre ad offrire uno spazio dove poter raccogliere e divulgare documentazione
sulla vita, il pensiero e le opere di Tocqueville e Lord Acton, vuole favorire e promuovere
una discussione pubblica più consapevole ed informata sui temi della concorrenza, dello
sviluppo economico, dell'ambiente e dell'energia, delle liberalizzazioni e delle
privatizzazioni, della fiscalità e dei conti pubblici, dell'informazione e dei media,
dell'innovazione tecnologica, del welfare e delle riforme politico-istituzionali. A tal fine, il
Centro invita chiunque fosse interessato a fornire materiale di riflessione che sarà inserito
nelle rispettive aree tematiche del Centro.
Oltre all'attività di ricerca ed approfondimento, al fine di promuovere l'aggiornamento della
cultura italiana e l'elaborazione di public policies, il Centro organizza seminari, conferenze
e corsi di formazione politica, favorendo l'incontro tra il mondo accademico, quello
professionale-imprenditoriale e quello politico-istituzionale.
16