Tesi di laurea Elisa Ronzullo
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Tesi di laurea Elisa Ronzullo
1 INTRODUZIONE 1.1 La cute : molto più di una barriera meccanica La cute è un organo complesso che ricopre l’intera superficie corporea agendo da barriera protettiva nei confronti dell’ambiente esterno, essa si oppone al passaggio dei microrganismi, assorbe e blocca le radiazioni, impedisce la perdita di acqua, contribuisce alla regolazione della temperatura corporea, svolge un importante ruolo immunologico e contiene una fitta rete nervosa. 1 Dalla superficie in profondità la cute è costituita da un epitelio (epidermide), da un tessuto connettivo (derma) e da un tessuto adiposo (sottocutaneo). Nel derma e nel sottocutaneo sono contenuti gli annessi cutanei, i vasi e i nervi.2 L’epidermide rappresenta la principale barriera contro la disidratazione, la penetrazione dei germi e le lesioni di natura meccanica; rigenera in oltre con grande facilità dopo le lesioni e le sue cellule superficiali, morte, vengono continuamente sostituite man mano che si staccano dalla superficie. 3 Il derma invece conferisce alla cute una considerevole consistenza meccanica grazie alla sua alta percentuale di fibre collagene miste a quelle elastiche e con i suoi vari componenti cellulari, costituisce una riserva di cellule con funzioni di difesa e rigenerative, in grado di opporsi ai processi infettivi e di riparare le ferite profonde. Nella cute solo il derma è vascolarizzato e pertanto gli scambi metabolici dell’epidermide avvengono per diffusione, da e verso i capillari degli strati più superficiali del derma.4 L’innervazione, invece, interessa sia il derma che l’epidermide. Sotto il derma si trova il tessuto sottocutaneo, costituito in molte regioni del corpo da un traliccio irregolare di connettivo lasso, dove sono situate gruppi di cellule adipose, andando a formare quindi il pannicolo adiposo.5 Oltre a possedere la capacità di ammortizzare gli urti e di immagazzinare risorse energetiche, il sottocutaneo rappresenta un valido isolante termico, che limita in larga misura ai vasi sanguigni il flusso di calore e rende cosi possibile una termoregolazione basata su modificazioni circolatorie.6 Vasi arteriosi e venosi presentano nella cute una disposizione ben precisa, correlata con le esigenze metaboliche dei suoi vari componeneti tissutali. Tra le parti metabolicamente più attive della cute vanno annoverate l’epidermide, gli annessi 1 cutanei, i follicoli piliferi e le terminazioni sensitive di vari nervi cutanei; tutte queste formazioni sono in intimo rapporto con fitte reti capillari del derma. Il sangue giunge alla cute per mezzo di piccole arterie che penetrano dalla profondità nel sottocutaneo e vi si ramificano, al confine col derma, formando un plesso laminare detto rete cutanea.7 Figura 1: Stratificazione cutanea 2 1.2 Le lesioni da decubito Con il termine lesione da decubito ( o lesione da pressione, o piaga da decubito o ulcera da pressione o ulcera da decubito) si indica un’area localizzata di danno della cute e dei tessuti sottocutanei, causata da forze di pressione, trazione, frizione o da una combinazione di questi fattori, che si forma normalmente in corrispondenza di prominenze ossee e la cui gravità è classificata in diversi stadi.8 Nonostante i costanti e notevoli progressi della scienza, le lesioni da decubito continuano a prodursi in maniera rilevante. Sono molto frequenti in particolare nella popolazione ospite di strutture preposte alle cure sanitarie (ospedali, strutture per lungodegenti e residenze sanitarie assistite), cosi come tra le persone che ricevono cure a domicilio, e colpiscono individui di tutte le età, ma principalmente i soggetti affetti da patologie che ne compromettono la funzionalità neuromotoria e nei soggetti anziani allettati. È un problema quindi destinato a crescere in ragione dell’invecchiamento della popolazione e del cambiamento nei modelli di malattia.9 Ancora non si è trovata una cura definitiva, né si è raggiunta uniformità nei comportamenti terapeutici ed assistenzaili nonostante i numerosi studi condotti sull’argomento, le varie figure professionali coinvolte, l’infinità di ausili e presidi impiegati, compresi quelli tecnologicamente più avanzati.10 L’unico dato certo è che un’adeguata prevenzione svolge un ruolo significativo e decisivo nel prevenire la comparsa o la progressione delle ulcere. La prevenzione richiede la disponibilità di strumenti tecnici adeguati come ad esempio i materassi ad aria antidecubito, ma anche un contesto di cultura professionale attenta al fenomeno capace di identificare i pazienti a rischio e un organizzativo in grado di mantenere pratiche di nursing in sé semplici ma talvolta onerose, soprattutto per la cronica mancanza di personale infermieristico.11 Le ulcere da pressione comportano perciò dei costi molto elevati sia in termini di impiego di risorse economiche e professionali, sia di sofferenza umana in quanto provocano disagio e dolore, rallentano il processo di guarigione, prolungano la degenza, aumentano la morbilità e la mortalità. 3 1.2.1 Epidemiologia del fenomeno Negli ultimi decenni il progressivo invecchiamento della popolazione e il consequenziale aumento di soggetti “fragili”, maggiormente predisposti allo sviluppo di LDD, hanno determinato l’aumento in termini di incidenza e prevalenza di tali lesioni. Una stima reale del fenomeno è, però, resa difficile a causa delle barriere metodologiche che spesso impediscono di formulare generalizzazioni dai dati pubblicati. Tuttavia è necessario sottolineare che la stima delle LDD varia in rapporto al setting assistenziale considerato. Nei reparti per acuti l’incidenza può variare dallo 0,4% al 38%, nelle residenze sanitarie assistenzuali (RSA) dal 2,2% al 23,9 %, mentre nell’ambito dell’assistenza domiciliare dallo 0% al 17% 12 . In base ad un’analisi di Kenkel che stima la prevalenza di ulcere da pressione in RSA variabile tra l’11 e il 30%, i soggetti con deficit neurologici hanno un’incidenza annua di piaghe da decubito del 7-8% e secondo Klitzman una probabilità di svilupparle durante il corso della vita pari al 25 - 85% 13 14 . La quinta survey del National Pressure Ulcel Advisory Panel (NPUPA), ha documentato una presenza globale nei reparti per acuti del 14,8% con una prevalenza pari al 21,5% in quelli di Terapia Intensiva, identificando la fascia di età tra 71 e gli 80 anni quale quella maggiormente coinvolta (tasso di prevalenza pari al 29%) 15. In Italia i dati preliminari relativi a uno studio nazionale di prevalenza che ha valutato 13.081 pazienti ricoverati in 24 strutture ospedaliere, ha documentato un tasso di prevalenza pari al 10,97 % che non si associava, però, ad una adeguata risposta ai termini di applicazione di misure preventive che infatti venivano adottate soltanto del 9,4% dei casi 16 . Un ulteriore studio effettuato nei reparti di neurologia, geriatria, chirurgia, ortopedia, medicina interna, neurochirurgia, rianimazione ed urologia di 20 ospedali che ha arruolato 12.048 pazienti valutati, ha documentato una prevalenza totale dell’8,6% mentre la valutazione eseguita per singoli reparti ha messo in evidenza come nei reparti di rianimazione, neurochirurgia e geriatria vi erano prevalenze maggiori, rispettivamente, pari al 26,6 %, 13% e 11%, verosimilmente in rapporto alla presenza di pazienti più compromessi. Altri studi condotti dall’Associazione Infermieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee (AISLeC) riportano dati di prevalenza intorno al 13% 17. 4 1.2.2 Fisiopatologia e fattori di rischio La LDD è la conseguenza diretta di un’elevata e/o prolungata compressione, o di forze di taglio o stiramento che causano uno stress meccanico ai tessuti e la strozzatura dei vasi sanguigni. La pressione o lo stiramento comprime i capillari che trasportano il sangue, causando la mancata irrorazione sanguigna e naturalmente il rifornimento di ossigeno dell’area interessata 18. La diminuita circolazione sanguigna porta ad un accumulo di prodotti metabolici tossici nel tessuto con successivo aumento della permeabilità capillare, dilatazione vasale, formazione di edema e infiltrazione cellulare. Le reazioni infiammatorie suscitano nello stadio iniziale un’iperemia con aumento della pressione capillare; in questo stadio i prodotti metabolici possono ancora essere eliminati e rimuovendo la causa della compressione, la normalità della cute verrebbe ripristinata 19. Se invece permangono la compressione o le forze di taglio, si giunge alla morte cellulare con la successiva formazione di necrosi dovuta all’aumento dell’ipossia tissutale, determinando un’ischemia locale. Le LDD sono la prova visibile di fattori multipli interagenti che possono essere distinti in fattori estrinseci (o locali) e fattori intrinseci (o secondari). 5 Fattori estrinseci, esercitano un’azione meccanica sui tessuti molli: Pressione: s’ intende per pressione una forza applicata perpendicolarmente ad un’unità di superficie. Il punto critico dello sviluppo di una LDD si raggiunge quando la forza comprimente fra superficie corporea e piano d’appoggio è più intensa della pressione del sangue nel distretto arteriolo - capillare, per cui viene a crearsi una condizione d’ischemia persistente. Questa pressione è la causa principale delle LDD, quando supera i 32 mmHg (valori della pressione dei capillari sanguigni) per periodo prolungati di almeno 2 ore. Il fattore tempo risulta essere indubbiamente una variabile importante per la formazione della lesione: una bassa pressione per un periodo prolungato di tempo è maggiormente dannosa rispetto all’applicazione elevata per un periodo breve. Il danno tessutale compare quando viene superata una soglia data dal prodotto della pressione per il tempo; comunque l’entità del danno dipende anche dallo spessore locale della cute, dal luogo preciso dove la pressione viene esercitata e da diversi fattori di tipo emodinamico (pressione a livello arteriolare, viscosità ematica, il valore dell’ematocrito) tutti questi fattori possono significativamente far diminuire il livello critico di pressione/tempo capaci di determinare la formazione della LDD. La pressione media a livello delle zone d’appoggio, e soprattutto in corrispondenza delle prominenze ossee, in una persona sdraiata su un comune materasso, varia tra i 20 e 70 mmHg 20. In realtà, in condizioni normali, la soglia pressione-tempo non viene mai superata, poiché il sistema nervoso sensitivo è in grado di percepire gli aumenti localizzati di pressione persistenti per tempi prolungati prima che si determini ischemia locale. In via riflessa tali stimoli nervosi inducono un immediato cambio di posizione. Tale meccanismo fisiologico è presente anche durante il sonno e la sua alterazione aumenta significativamente il rischio di contrarre lesioni da decubito. Le strutture più sensibili che subiscono il danno sono il tessuto adiposo sottocutaneo e i dotti escretori delle ghiandole sudoripare, poi la necrosi si estende alle ghiandole sebacee, all’epidermide e ai follicoli piliferi; Forze di stiramento e di taglio: I vari segmenti corporei tendono a “scivolare” da una posizione ad un’altra se non vengono costretti da un’idonea postura, determinando a 6 livello della cute interessata una certa pressione con effetto di stiramento, microtrombosi locali, ostruzioni e recisione dei piccoli vasi con conseguente necrosi tessutale profonda. Le forze di scivolamento producono in soggetti anziani, allettati o costretti su sedie a rotelle, danni almeno tre volte superiori a quelle che si possono riscontrare in soggetti più giovani. Quindi, la superficie cutanea può essere compromessa ed esposta a rischio di lesione da decubito per la formazione di pieghe cutanee specie in soggetti anziani specialmente defedati e magri nei quali la cute è lassa e scarsamente aderente ai piani ossei sottostanti. La mancanza di grasso sottocutaneo aumenta infatti il danno provocato dallo stiramento. Le forze di stiramento agiscono parallelamente al piano interessato e sono più intense a livello sacrale, in posizione semi-seduta in cui il corpo tende a scivolare in avanti e in basso sino a raggiungere la posizione supina, in tal modo la pelle tende ad aderire alla superficie del letto mentre lo scheletro tende a scivolare in avanti provocando zone di stiramento dei tessuti superficiali su quelli profondi. Lo stiramento e la strozzatura dei vasi, che a partire dagli strati più profondi vanno a nutrire la cute, provocano ischemia e necrosi 21. Attrito o frizione: E’ la forza esercitata da due superfici che si muovono una contro l’altra quando tra esse esiste un contatto che genera calore, sfregamento delle due parti. Non è un fattore determinante, ma può giocare un ruolo importante asportando gli strati superficiali dell’epidermide e rendendo più suscettibile la cute agli eventi lesivi. Il fenomeno attrito diventa particolarmente evidente negli spostamenti del paziente a letto: quest’azione dovrebbe essere eseguita sollevando il paziente ed eventualmente facendolo ruotare, ma mai trascinandolo 22. Macerazione: E’ determinata da una eccessiva presenza di liquidi a contatto della cute che può causare danni locali. Gli effetti dell’attrito o frizione sono potenziati dall’esposizione prolungata della cute all’umidità conseguente ad incontinenza urinaria, diarrea, sudorazione. Inoltre, il contatto prolungato della cute con urine e feci determinerebbe un danno epiteliale diretto sia per gli agenti chimici o tossici che per la conseguente modificazione del PH cutaneo. Il segnale di allarme è identificabile con il colore violaceo della cute; indebolisce gli strati superficiali e favorisce la colonizzazione batterica 23. 7 Fattori intrinseci: relativi al paziente Età: I pazienti anziani dimostrano un’aumentata suscettibilità alle lesioni da decubito a causa delle modificazioni della cute legate all’invecchiamento quali la diminuzione del tessuto adiposo sottocutaneo, la diminuita percezione del dolore, la ridotta risposta immunitaria cellulo-mediata, il rallentamento della guarigione delle ferite. I cambiamenti importanti nella cute che invecchia includono anche la diminuzione dell’attività proliferativa dell’epidermide, l’assottigliamento della giunzione dermo– epidermica, la riduzione del microcircolo, la ridotta diminuzione infiammatoria locale, la riduzione della sensibilità e dell’elasticità; Riduzione della mobilità: Ogni malattia o condizione che riducano l’abilità del paziente a muoversi liberamente aggrava il rischio di insorgenza di LDD. La compromissione dello stato mentale, le malattie psichiatriche o neurologiche, la sedazione farmacologica, il dolore e le fratture ossee (in particolare la frattura del femore), diminuendo la mobilità del soggetto, costituiscono fattori di rischio per la comparsa della piaga da decubito. Per i soggetti costretti a letto si ritiene necessario effettuare cambi posturali, i quali sono in grado di eliminare la pressione, mentre la superficie antidecubito la può solo ridurre 24. Malnutrizione: Lo stato nutrizionale del paziente può essere severamente compromesso specie nei pazienti anziani, negli stati ipermetabolici, nelle iperpiressie prolungate e nella cachessia neoplastica. Influenza le caratteristiche del tessuto cutaneo, specialmente il basso apporto proteico e l’ipoalbuminemia 25. Malattie croniche: Malattie arteriose (riducono la perfusione tissutale), cardiovascolari e respiratorie (portano a stasi venosa, alterata circolazione ematica e ipossia tissutale), diabete mellito (per le alterazioni neurologiche e del microcircolo), insufficienza renale, vari squilibri idroelettrolitici. Patologie neurologiche, che provocano un’assenza o diminuzione della sensibilità, problema che porta l’individuo a non reagire agli stimoli dolorosi o fastidiosi percepiti sulla pelle cambiando posizioni (ad es. lesioni midollari, coma, morbo di Parkinson, Alzheimer). 8 Altri fattori sono eventuali lesioni cutanee precedenti, patologie acute, disidratazione, ipotensione, ridotta resistenza cutanea, bassa ossigenazione tissutale 26. 1.2.3 Valutazione del rischio Una fase cruciale della gestione delle LDD è rappresentata dalla fase di valutazione del rischio di sviluppo delle stesse. Ridurre, infatti, l’incidenza e la prevalenza ha importanti risvolti in termini di miglioramento della qualità della vita del paziente, di riduzione del carico di lavoro infermieristico, nonché di riduzione dei costi diretti ed indiretti. La prevenzione si basa su misure di carattere generale e locale. Obiettivi dell’attività di prevenzione sono: identificare i soggetti a rischio, ridurre i fattori di rischio favorenti e quelli specifici, migliorare o recuperare la mobilità mediante interventi di riabilitazione ed attuazione di programmi educativi. L’identificazione dei pazienti a rischio si basa sull’utilizzo di diverse scale: le più conosciute sono quelle di Norton, la scala di Braden, quella di Gosnell, di Knoll e di Waterlow 27. Le più frequentemente usate sono quelle di Norton e di Braden e sono state sufficientemente studiate in merito ad affidabilità e validità per essere considerate strumenti utili per la valutazione e pianificazione dell’assistenza 28. La scala di Norton è un sistema semplice da utilizzare e prende in considerazione cinque fattori: - Condizioni generali; - Salute mentale; - Deambulazione; - Mobilità; - Incontinenza. 9 Tabella 1: Scala di Norton. Condizioni generali Stato Mentale Deambulazione Mobilità Incontinenza 4. Buone 4. Lucido 4. Normale 4. Piena 4. Assente 3. Discrete 3. Apatico 3. Cammina con aiuto 3. Moderatamente limitata 3. Occasionalmente bagnato 2. Scadenti 2. Confuso 2. Costretto su sedia 2. Molto limitata 2. Abituale (urine) 1. Pessime 1.Stuporoso 1. Costretto a letto 1. Immobile 1. Doppia Ad ognuno di essi viene attribuito un punteggio da 1 a 4 e se il punteggio totale risulta essere inferiore o uguale a 12, la persona è considerata a rischio di LDD. La scala di Braden è un indicatore di rischio elaborato nel 1987 da Braden e Bergstrom. Vengono presi in considerazione 6 indicatori: - Percezione sensoriale; - Umidità; - Attività motoria; - Mobilità; - Nutrizione; - Frizione e scivolamento. 10 Tabella 2: Scala di Braden. Variabili Indicatori Percezione Sensoriale 4 Non limitata Risponde agli stimoli verbali. Non ha deficit sensoriale che limiti le capacità di sentire ed esprimere il dolore o il disagio. 3 Leggermente limitata Risponde agli ordini verbali ma non può comunicare sempre il suo disagio o il bisogno di cambiare posizione 2 Molto limitata Risponde solo agli stimoli dolorosi. Non può comunicare il proprio disagio o il bisogno di cambiare posizione. O Ha impedimento al sensorio che limita la capacità di avvertire dolore o il disagio in 1 o 2 estremità. Umidità Cutanea Attività Fisica Mobilità Raramente bagnato Occasionalmente bagnato La pelle è abitualmente asciutta. La biancheria è cambiata ad intervalli di routine. La pelle è occasionalmente umida, è richiesto un cambio di lenzuola circa 1 volta al giorno Cammina frequentemente Cammina occasionalmente Esce dalla stanza un paio di volte al giorno e gira per la stanza almeno ogni 2 ore nelle ore di veglia. Cammina occasionalmente durante il giorno ma per brevi distanza con o senza aiuto. Trascorre la maggior parte del tempo a letto o in poltrona. Nessuna limitazione Parzialmente limitata Effettua i maggiori e più frequenti cambiamenti di posizione senza aiuto. Effettua di frequente piccoli cambiamenti di posizione del corpo o delle estremità in modo autonomo. Molto bagnato La pelle è spesso, ma non sempre umida. La biancheria deve essere cambiata almeno 2 volta per turno In poltrona Capacità di camminare molto limitata o inesistente. Il paziente non riesce a sostenere il suo peso e/o deve essere assistito in poltrona o sulla carrozzella. Molto limitata Riesce occasionalmente a fare piccoli movimenti corporei o delle estremità, ma non riesce a realizzare frequenti o significativi movimenti in modo autonomo. 1 Completamente limitata Non vi è risposta (non geme, non si contrae o non afferra) allo stimolo doloroso, a causa del diminuito livello di coscienza od alla sedazione. O Limitata capacità di avvertire stimoli dolorosi su gran parte della superficie corporea. Costantemente bagnato La pelle è mantenuta costantemente umida a causa della traspirazione, dell’urina, ecc. ogni volta che il paziente si muove o si gira lo si trova sempre bagnato. Completamente allettato Costretto a letto. Completamente immobile Il paziente non riesce a produrre neppure piccoli movimenti del corpo e delle estremità senza assistenza. 11 Nutrizione Eccellente Adeguata Mangia la maggior parte del cibo. Non rifiuta mai un pasto. Talvolta mangia tra i pasti. Non necessità di integratori. Mangia più della metà dei pasti. 4 porzioni o più di proteine al giorno. Usualmente assume integratori. O Si alimenta artificialmente con NPT o NE assumendo il quantitativo necessario. Frizione e scivolamento Senza problemi apparenti Si sposta nel letto e in poltrona liberamene e ha sufficiente forza muscolare per sollevarsi completamente durante il movimento. Mantiene una posizione adeguata durate tutto il periodo un cui è a letto o in poltrona. Probabilmente scarsa Mangia raramente un pasto completo e generalmente il 50% del cibo offerto. L’assunzione di proteine comprende tre quote di carne o latticini al giorno. Assume saltuariamente integratori alimentari se gli vengono offerti OPPURE riceve una dieta non ottimale, sia essa liquida o per sonda. Problema potenziale Si muove con debolezza oppure richiede una minima assistenza. Durante le pratiche di mobilizzazione probabilmente sfrega con alcune estremità contro le lenzuola, la sedia. Le sponde o qualche dispositivo. Mantiene una posizione relativamente corretta in sedia o a letto per una gran parte del tempo ma occasionalmente scivola in basso. Molto povera Non mangia mai un pasto completo. Assaggia solamente il cibo che gli viene offerto. Assume 2 quote giornaliere (carne o latticini). Assume pochi liquidi e nessun integratore. O È a digiuno o è mantenuto a dieta liquida o fleboclisi da più di 5 giorni. Problematico Il paziente richiede una assistenza da moderata a massima nel movimento. Sollevarlo senza sfregare contro le lenzuola è impossibile. Scivola verso i basso di frequente nella sedia o nel letto e richiede di essere riposizionato con il massimo d’aiuto. Spasticità e contratture o uno stato di agitazione determinano una costante frizione. Le definizioni sono particolareggiate. Ci sono ventitré variabili con un punteggio che va da 1 a 4 ad esclusione del fattore “frizione e scivolamento” che ha un punteggio da 1 a 3. Questa scala si basa sul principio secondo il quale minore è il valore, maggiore è il rischio. Si evidenza una situazione di rischio se il punteggio è minore o uguale a 16 (alto rischio = 6; basso rischio=23). L’infermiere applica la scala di Braden ai pazienti che entrano nell’Unità Operativa entro le prime ventiquattro ore. Questo lasso di tempo è necessario perché il paziente possa essere valutato nelle diverse attività di vita e durante i diversi momenti della giornata. Trascorso questo periodo, l’infermiere prende in esame ciascun indicatore ed assegna un punteggio relativo alla somma delle condizioni riscontrate. Assegnati i punteggi ad ogni variabile, se ne fa la somma. 12 Questo è il punteggio della scala che deve essere riportato in cartella. La valutazione viene ripetuta ogni sette giorni, ogni qualvolta le condizioni del paziente si modificano ed alla dimissione, così come consigliato dalla letteratura. Tutte le rivalutazioni devono essere documentate in cartella. A seconda del punteggio individuato si rendono necessari diversi tipi di interventi: Tabella 3: Punteggi Scala di Braden. Punteggio 20-17 Intervento Occorre attuare un piano di monitoraggio per l’individuazione precoce di lesioni. 16-13 Occorre attuare un piano di monitoraggio e un piano preventivo con l’utilizzo di eventuali presidi antidecubito anche sulla base della valutazione complessiva del paziente. < 13 Occorre attuare un piano di monitoraggio e un piano preventivo con il ricorso a presidi antidecubito (superficie antidecubito a pressione alternata o a cessione d’aria) fatto salvo di una diversa indicazione clinica. La descrizione dei fattori presi in esame dalla scala Braden rende più sensibile lo strumento, inoltre vengono valutati gli aspetti della nutrizione e della frizione e scivolamento non presenti nella scala di Norton. 13 1.2.4 Complicanze delle lesioni da decubito Le LDD possono andare incontro a numerose complicanze, che nel caso di pazienti molto anziani e defedati, possono essere causa di morte. Le distinguiamo in complicanze di ordine locale e generale. Complicanze locali • Infezione della piaga da parte di flora batterica mista • Emorragie • Presenza di tessuto necrotico fino alla gangrena • Drenaggio purulento • Cellulite della cute circostante • Febbre • Leucocitosi • Osteite, Osteo-periostite, Osteomielite Complicanze sistemiche La complicanza sistemica più importante è la sepsi, in genere dovuta ad anaerobi o a Gram-negativi. 14 1.2.5 Classificazione delle lesioni da decubito Le LDD possono essere classificate secondo criteri clinici, topografici e di stato. Nell’ambito dei criteri clinici l’European Pressure Ulcer Advisory Panel (EPUAP) e l’Agency for Health Care Policy and Reaserch (AHCPR) forniscono indicazioni universalmente accettate che permettono di classificare le ulcere da pressione in quattro distinti stadi clinici ai quali l’NPUAP (National Pressure Ulcer Advisory Panel) ha aggiunto, per gli USA, due ulteriori stadi riguardanti il sospetto danno degli strati tissutali profondi e le lesioni non stadiabili 29-30. La classificazione topografica tiene conto di una precisa correlazione tra la posizione assunta dal paziente e le sedi anatomiche delle lesioni ulcerative. Vengono individuate delle zone anatomiche ben precise ove si determineranno con maggiore probabilità, in rapporto alla posizione mantenuta dal corpo, le ldd. Nella posizione supina: regione sacrale, apofisi spinose vertebrali, spina della scapola, nuca e talloni; nella posizione laterale: regione trocanterica, cresta iliaca, malleoli, bordo esterno del piede, ginocchio, spalla, gomito, padiglione auricolare; in quella prona: zigomo, regione temporale, padiglione auricolare, arcate costali, spina iliaca antero-superiore; mentre in quella seduta: gomito, coccige, regione ischiatica, aree compresse dai bordi della sedia, da ciambelle, cuscini. Questo tipo di classificazione risulta di particolare importanza da un punto di vista riabilitativo. La classificazione in stato prende in considerazione il fatto che una lesione una volta formatasi può presentarsi in uno o più dei seguenti stati: necrotico, colliquato, infetto, fibrinoso, fibrino-membranoso, deterso, con tessuto di granulazione, emanante odore. Inoltre la lesione può essere poco essudante, essudante, molto essudante e può presentarsi sottominata e/o con tramiti fistolosi. Nell’ambito di questa classificazione ricordiamo la classificazione secondo la scala di Sessing che valuta parametri quali il fondo e il bordo della lesione cutanea, la presenza di essudato, il suo odore e l’escara necrotica individuando sette livelli di gravità: livello 1: cute normale ma a rischio; livello 2: cute integra, ma iperpigmentata ed arrossata; livello 3: fondo e bordo dell’ulcera integri e non arrossati; livello 4: fondo e bordi dell’ulcera granuleggianti, modesto essudato ed odore; livello 5: modesto tessuto di granulazione, iniziale e modesto tessuto necrotico, essudato ed odore moderato: livello 6: presenza di abbondante essudato, maleodorante, escara; bordo arrossato ed 15 ischemico; livello 7 : ulteriore ulcerazione intorno all’ulcera primaria, essudato purulento, inteso odore, tessuto necrotico e sepsi 31. Di notevole supporto, infine, nel monitoraggio dell’evoluzione delle lesione ulcerative, si è dimostrato l’utilizzo di immagini fotografiche e di diagrammi che sono in grado di documentare in modo oggettivo le modificazione che intercorrono tra una valutazione/medicazione e quella successiva. Classificazione topografica e riguarda la sede della piaga a seconda della posizione del paziente: 1. Decubito supino: Occipite, scapole, gomiti, prominenze vertebrali, sacro e talloni; 2. Decubito prono: dorso del piede, ginocchia, pube, creste iliache, sterno, clavicole, zigomi, orecchio; 3. Decubito laterale: orecchio, costato, spalla, gomiti, trocanteri, creste iliache, malleoli, prominenze ossee laterali al ginocchio; 16 4. Paziente seduto: Talloni, prominenze ischiatiche, sacro, prominenze vertebrali, gomiti e scapole. 17 Le classificazioni anatomiche si basano sulla morfologia e la profondità della piaga, descrivendone il progressivo aggravamento. Tra queste, una delle più utilizzate la NPUAP (proposta dal National Pressure Ulcer Advisory Panel nel 1989), che classifica le ulcere da pressione in quattro stadi: Tabella 4: Stadiazione NPUAP delle lesioni da decubito. Stadio 1 Stadio 2 Stadio 3 Stadio 4 Lesioni non stadiabili Sospetto danno dei tessuti profondi Eritema della cute integra che non scompare alla digitopressione di solito localizzata in corrispondenza di prominenza ossea. Parziale perdita di sostanza che interessa l’epidermide, il derma o entrambi. Perdita di sostanza a tutto spessore che si estende sino al sottocute senza però oltrepassarlo; la lesione di presenta clinicamente sottoforma di profondità cavità associata o meno a tessuto adiacente sotto minato. Lesione a tutto spessore che si estende sino al muscolo e/o osso con possibile coinvolgimento delle strutture di supporto. Perdita di tessuto a tutto spessore in cui l’effettiva profondità dell’ulcera è completamente nascosta da slough di colorito variabile e/o escara presenti sul letto della lesione. Fino a quando lo slough e/o l’escara non vengono rimossi in modo tale da esporre la base dell’ulcera, non è possibile determinare la reale profondità. Un’ escara stabile (secca, adesa, integra, senza eritema o fluttuazione) localizzata sui talloni ha la funzione di "natura” e (biologica) copertura del corpo” e non dovrebbe essere rimossa. Area localizzata di color porpora o marrone-rossastro di cute integrata, oppure vescica a contenuto ematico, secondaria al danno dei tessuti molli sottostanti dovuto a pressione e/o forze di stiramento. L’area potrebbe essere preceduta da tessuto che appare dolente, duro, molliccio, cedevole, più caldo o più freddo rispetto al tessuto adiacente. Il danno dei tessuti profondi potrebbe essere difficile da individuare nelle persone di pelle scusa. L’evoluzione potrebbe includere una sottile vescica su un letto di lesione di colore scuro. La lesione potrebbe evolvere ulteriormente ricoprendosi con un’escara sottile. L’evoluzione potrebbe esporre in tempi rapidi ulteriori strati di tessuto anche applicando un trattamento ottimale. 18 1.3 Cura delle lesione da Decubito La cura della LDD comprende lo sbrigliamento del tessuto necrotico, la pulizia della ferita, l’applicazione di medicazioni e possibili terapie aggiuntive. 1.3.1 Sbrigliamento È l’approccio che favorisce la rimozione del tessuto necrotico qualora sia presente nel letto di ferita della lesione. La presenza di tale tessuto devitalizzato sulla ferita in ambiente umido favorisce la crescita di microrganismi patogeni, di conseguenza la rimozione di tale tessuto sostiene la guarigione. Tra le diverse tecniche di sbrigliamento, quelle di tipo meccanico, enzimatico e/o autolitico sono indicate quando non vi è il bisogno clinico urgente di rimuovere il tessuto necrotico. Lo sbrigliamento con strumento tagliente invece è indicato generalmente quando vi è la necessità urgente come nel caso di presenza di lesioni con segni di infezione. 1.3.2 Pulizia della lesione da decubito La pulizia della lesione favorisce la rimozione del tessuto necrotico, l’essudato e gli scarti metabolici, diminuendo cosi il rischio di infezione. Il processo di pulizia della ferita consiste nella scelta di una soluzione e di un mezzo meccanico per l’applicazione della stessa sul letto di ferita a ogni cambio di medicazione. Nella scelta della soluzione si sconsiglia l’utilizzo di detergenti per la pelle o agenti antisettici (ad esempio iodopovidone, perossido d’ idrogeno, acido acetico ecc.). Gli antisettici sono sostanze chimiche reattive, citotossiche per il tessuto così come le sostanze chimiche contenute nei detergenti cutanei. La soluzione fisiologica costituisce la scelta migliore in qualità di agente detergente poiché è un prodotto fisiologico, non provoca danni al tessuto e deterge in maniera adeguata gran parte delle ferite. Durante l’applicazione di tale soluzione è necessario utilizzare una pressione d’irrigazione sufficiente a migliorare la pulizia della ferita, senza però causare trauma al fondo della lesione stessa 32. 19 1.3.3 Guarigione delle ferite La guarigione è una risposta fibro-proliferativa che si occupa di “riparare” un certo tessuto mediante la neoformazione di un tessuto di granulazione che evolverà al ripristino di un’unità tissutale identica a quella perduta oppure in una struttura definitiva detta cicatrice. 1.3.4 Modalità di guarigione delle ferite Classicamente la guarigione delle ferite della cute può avvenire per prima o seconda intenzione. Questa distinzione è basata sulla natura della ferita. È importante sottolineare che queste due modalità differiscono essenzialmente per l’entità dei fenomeni riparativi, ma non per i meccanismi coinvolti, che sono fondamentalmente gli stessi 33. Guarigione per prima intenzione (Ferite con lembi giustapposti): L’esempio meno complesso di guarigione di una ferita è fornito dalla rimarginazione di un’incisione chirurgica pulita e non infetta in cui i lembi siano mantenuti giustapposti da una sutura chirurgica. Tale processo è definita unione primaria o guarigione per prima intenzione 34. L’incisione causa la morte di un limitato numero di cellule epiteliali e connettivali, nonché l’interruzione della continuità della membrana basale epiteliale. Lo stretto spazio lasciato dall’incisione si riempie immediatamente di coaguli di sangue contenenti fibrina e cellule ematiche e la disidratazione della superficie del coagulo forma la ben nota crosta che ricopre la ferita. Entro ventiquattro ore presso i margini dell’incisione compaiono i neutrofili, che si muovono verso il coagulo di fibrina. Entro ventiquattro-quarantotto ore gruppi di cellule epiteliali si spostano dai bordi della ferita lungo i margini tagliati del derma, depositando i componenti della membrana basale 35. Tali cellule si fondono al centro della ferita, sotto la superficie della crosta, producendo uno strato epiteliale continuo ma sottile che chiude la ferita. Entro il terzo giorno il tessuto di granulazione invade progressivamente lo spazio dell’incisione ed entro il quinto giorno lo riempie completamente. La neoangiogenesi è massima e le fibrille di collagene diventano più abbondanti e cominciano a disporsi a ponte rispetto all’incisione. L’epidermide riprende il suo normale spessore. Durante la seconda settimana continua l’accumulo di collagene e la proliferazione dei fibroblasti. Scompaiono l’edema e l’aumentata 20 vascolarizzazione. Alla fine del primo mese la cicatrice è costituita da tessuto connettivo privo d’infiltrato infiammatorio. L’epidermide è intatta. Guarigione per seconda intenzione (ferite con lembi separati): Se vi è una più cospicua perdita di cellule e tessuto, come nel caso di ferite superficiali con grossa perdita di tessuto, il processo riparativo risulta più complesso. La rigenerazione delle cellule parenchimali non può completamente ripristinare l’architettura originale e quindi l’abbondante tessuto di granulazione cresce dai margini della ferita per completare la riparazione. Questa forma di guarigione è indicata come unione secondaria o guarigione per seconda intenzione e differisce da quella per prima intenzione sotto diversi aspetti: - Ampie perdite di tessuto generano un più abbondante coagulo di fibrina che riempie la ferita e una maggior quantità di residui necrotici ed essudato che devono essere rimossi. Di conseguenza la reazione infiammatoria risulta essere più intensa; - Si formano quantità maggiori di tessuto di granulazione; - La caratteristica che differenzia la guarigione per prima da quella per seconda intenzione è il fenomeno della contrazione della ferita. Le fasi iniziali della contrazione della ferita interessano la formazione presso i margini della ferita di un reticolo di fibroblasti contenenti filamenti di actina. La permanente contrazione della ferita richiede l’azione di miofibroblasti che hanno le caratteristiche strutturali delle cellule muscolari lisce. La contrazione di queste cellule riduce lo spazio tra i margini cutanei della ferita; - In fine si hanno la formazione di un’evidente cicatrice e assottigliamento dell’epidermide 36. 21 1.3.5 Processo di guarigione La guarigione consiste in un complesso ma ordinato fenomeno che coinvolge un certo numero di processi: - Induzione di un processo infiammatorio in risposta a una lesione iniziale, con rimozione di tessuto danneggiato o morto; - Proliferazione e migrazione delle cellule parenchimali e connettivali; - Formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) e tessuto di granulazione; - Sintesi delle proteine dell’ECM e deposito di collagene; - Rimodellamento tissutale; - Contrazione della lesione; - Acquisizione della resistenza della ferita. Il processo di riparazione è influenzato da molti fattori che comprendono: - L’ambiente tissutale e l’estensione del danno; - L’intensità e la durata dello stimolo; - Le condizioni che inibiscono l’intervento come la presenza di corpi estranei oppure l’inadeguato apporto di sangue; - Varie malattie che inibiscono la riparazione. L’obiettivo del processo di riparazione è di ripristinare il tessuto riportandolo nella sua condizione originaria. La reazione infiammatoria determinata dalla lesione limita il danno, elimina gli stimoli lesivi, rimuove il tessuto leso e determina l’inizio della deposizione dei componenti della ECM nell’area di lesione 37. La riparazione inizia precocemente durante l’infiammazione: i fibroblasti e le cellule endoteliali vascolari iniziano a proliferare per formare il tessuto di granulazione. Il termine deriva dal suo aspetto rosato, molle, granulare sulla superficie delle ferite, anche se in realtà sono le sue proprietà istologiche che lo caratterizzano: la formazione di nuovi piccoli vasi e la proliferazione dei fibroblasti. 22 1.3.6 Rimodellamento del tessuto cicatriziale Lo stadio finale della riparazione di una ferita consiste nella formazione della cicatrice, che inizia simultaneamente alla formazione del tessuto di granulazione e si completa con il suo rimodellamento. Durante la fase di sintesi delle molecole della nuova matrice extracellulare, che prosegue per diverse settimane dopo la chiusura della ferita, la cicatrice è spesso visibilmente rossa e rilevata. Nell’arco di diversi mesi l’aspetto della ferita di solito migliora: passa dal rosso violaceo al rosa biancastro, diventa più morbida ed elastica e si appiattisce. Scompaiono inoltre sintomi quali il prurito e il bruciore che spesso accompagnano le fasi iniziali del rimodellamento cicatriziale. A livello cellulare questo processo è caratterizzato dall’azione delle collagenasi, che intervengono nel delicato equilibrio tra la sintesi e la degradazione di fibre collagene e matrice extracellulare. Nella fase finale dei rimodellamento la resistenza alla trazione raggiunge il suo massimo con la formazione di tessuto cicatriziale relativamente elastico, costituito da tessuto connettivo fibroso denso. 1.3.7 Fattori che influenzano la guarigione Numerosi fattori sistemici e locali influenzano la guarigione delle ferite. Lo stato nutrizionale (per esempio la carenza di vitamina C che notoriamente riduce la sintesi di collagene); la presenza di dismetabolismi (per esempio il diabete mellito che è noto provocare un ritardo nella guarigione); deficit circolatori dovuti ad aterosclerosi o stasi venosa. Il sito della lesione è anche un importante fattore influenzante la guarigione: ferite in aree riccamente vascolarizzate tendono a guarire più rapidamente di quelle in aree poco vascolarizzate. La presenza di eventuali corpi estranei di norma impediscono una normale guarigione, ma la singola più importante causa di ritardo è sicuramente l’infezione della ferita 38. 23 1.4 Le medicazioni Il trattamento delle lesioni richiedono l’applicazione di medicazioni al fine di conservare la loro integrità fisiologica. La medicazione ideale deve permettere di mantenere il fondo della lesione costantemente umido al fine di agevolare la guarigione, pertanto non devono essere utilizzate medicazioni asciutte. Le diverse condizioni della lesione come la profondità, l’essudato e il tipo di tessuto indicano la scelta della tipologia di medicazione da adottare, ad esempio se una LDD è particolarmente essudante, l’operatore si orienterà verso l’utilizzo di una medicazione con capacità assorbente per il controllo della perdita di liquidi in eccesso. I materiali che appartengono alla categoria di medicazioni avanzate che favoriscono il controllo dell’essudato, regolano il microambiente e gli scambi gassosi, impediscono la contaminazione batterica e fungono anche da matrice per l’eventuale rilascio di farmaci. Il mercato offre numerosissime tipologie di medicazioni avanzate e la scelta di tali medicazioni va presa in base alle caratteristiche della lesione. 1.4.1 Medicazioni avanzate Con il termine medicazione avanzata si definisce un materiale di copertura che abbia caratteristiche di biocompatibilità: qualità che si identifica nell’interazione del materiale con un tessuto e nell’evocazione di una risposta specifica. Alcuni tipi di lesione della cute necessitano di un’assistenza complessa. Grazie alle conoscenze scientifiche attuali, le medicazioni avanzate sono in grado di rispondere a tali necessità. La medicazione ideale è quella in grado di creare l’ambiente ottimale per il processo di riparazione della lesione. L’ambiente più favorevole alla ricostruzione del tessuto connettivo esposto e che darà inizio al processo di cicatrizzazione è l’ambiente umido 40. In generale le medicazioni avanzate rispondono a tali principi: - Mantenere l’ambiente umido a contatto con la lesione tissutale; - Permettere lo scambio gassoso di ossigeno, anidride carbonica e vapore acqueo con l’ambiente; - Garantire l’isolamento termico, essere sicura, non contenere elementi tossici, essere anallergica, sterile; 24 - Avere elevata capacità assorbente; - Agire da barriera all’ingresso di microrganismi esterni che altrimenti aggraverebbero la lesione rendendola infetta; - Non aderire all’area cutanea lesa; - Conformarsi alle superfici irregolari; - Permettere intervalli di cambio non giornalieri; - Permettere il monitoraggio del processo riparativo senza rimuovere le medicazioni. Considerando che non esiste una medicazione ideale per tutte le lesioni e che una singola medicazione non è efficace con la stessa intensità nelle varie fasi della riparazione tissutale, l’obiettivo finale è rivolto verso un prodotto che prenda in considerazione non solo le condizioni locali della lesione, ma anche le condizioni generali del paziente, il suo stile di vita, l’ambiente con cui interagisce ed il personale che dovrà gestire la medicazione nei tempi successivi 41. I progressi compiuti permettono oggi di poter evitare o minimizzare numerosi inconvenienti e fattori di rischio, tra cui la perdita di liquidi dalla lesione, la distruzione del tessuto neo-formato al momento della rimozione della medicazione, la necessità di frequenti cambi della medicazione con inevitabili esposizioni della lesione, la riduzione della mobilità del paziente, la probabilità che si verifichino sovra infezioni. Le medicazioni avanzate, se propriamente impiegate, offrono vantaggi in termini di efficacia clinica, misurata in termini di velocità di guarigione della lesione, qualità di vita del paziente ed economicità. Nei confronti della qualità di vita del paziente, la lesione ben pulita e idratata riduce le possibilità d’infezioni e di conseguenza evita trattamenti invasivi di detersione della lesione che altrimenti potrebbero rendersi necessari. Una migliore praticità della medicazione apporta un comfort maggiore al paziente in termini di mobilità e autosufficienza; la non aderenza evita dolori durante i controlli e al momento della rimozione, inoltre la possibilità di utilizzo della medicazione a contatto con la lesione per più giorni rende il cambio meno frequente. Le medicazioni avanzate infatti possono rimanere in posizione per più giorni consecutivi, tale caratteristica da un lato favorisce il processo di guarigione della lesione, dall’altro implica un minor numero di ore/personale necessarie al cambio della 25 medicazione, ridotto numero di medicazioni utilizzate, minor costo del personale impiegato per il controllo/sostituzione della medicazione/minor utilizzo di prodotti complementari. 1.4.2 Classificazione delle medicazioni Alginati Derivano dalle alghe brune, sono assorbenti e si adattano perfettamente alla forma della lesione. L’alginato, che può essere a base di calcio o sodio, interagisce con l’essudato della lesione e forma un gel morbido che mantiene umido l’ambiente di cicatrizzazione. I prodotti a base di ioni/calcio possono avere azione favorente il processo di coagulazione. L’alto potere assorbente di questa categoria e la loro possibilità di adattarsi a qualsiasi fondo, agevolano l’allontanamento di residui batterici attraverso il loro inglobamento nella matrice gelificata. Attraverso la loro azione permettono l’assorbimento e la lisi anche di strati ridotti di fibrina. Sono adatti per ferite cavitarie e molto essudative o infette, non sono indicati per ferite asciutte. Carbossimetilcellulosa Fibre non tessute di carbossimetilcellulosa sodica in grado di assorbire rapidamente e di trattenere i liquidi. La medicazione interagisce subito con l’essudato grazie alla sua trasformazione in gel coesivo che crea un ambiente umido. Alcune possono contenere fibre di alginato che vanno a potenziare il grado di assorbimento interagendo con il fondo della lesione. Hanno la capacità di trattenere all’interno i liquidi e di non cederli sotto compressione. In tal modo si ha un controllo sulla carica batterica che viene inglobato insieme all’essudato. Sono medicazioni primarie e/o secondarie in base all’abbinamento con l’alginato e con prodotti di copertura come le schiume. Sono indicate per le lesioni da moderatamente a fortemente essudanti anche in fase di granulazione. Schiume di poliuretano 26 Le medicazioni a base di schiuma sono assorbenti, possono essere di vario spessore ed, essendo antiaderenti, non comportano nessun trauma durante la loro rimozione. Alcune di queste medicazioni hanno un bordo adesivo e posso avere anche una pellicola di rivestimento che funge da ulteriore barriera antibatterica. Creano un ambiente umido e favoriscono l’isolamento termico. Indicate per ferite granuleggianti con moderata perdita di essudato. Possono essere utilizzate con idrogeli per facilitare lo sbrigliamento del tessuto devitalizzato. Idrocolloidi Sono le prime medicazioni avanzate messe in commercio e ancora oggi le più utilizzate. Sono sistemi idroattivi polimerici con scarsa capacità assorbente e in grado di favorire lo sbrigliamento. Indicati per ferite con lieve essudato, granuleggianti e/o con minima presenza di tessuto necrotico (giallo o nero). Controindicati nelle lesioni infette. Idrogeli Gel a base acquosa (circa per il 70%) in grado di idratare e favorire lo sbrigliamento autolitico e favoriscono il processo di granulazione. Indicato per lesioni superficiali o cavitarie con presenza di tessuto necrotico (nero o giallo). Film semipermeabili Sono medicazioni primarie e/o secondarie in film adesivi di poliuretano, semiocclusivi, trasparenti con o senza tampone assorbente per la prevenzione e il trattamento di lesioni in fase di riepitelizzazione. 27 Medicazioni a base di argento Hanno proprietà antibatteriche. Sono indicate per la gestione di ferite con segni di infezione e nelle lesioni con essudazione media/elevata. Riducono la carica batterica senza danneggiare il tessuto del fondo devitalizzato e mantengono l’ambiente umido. Estremamente flessibili, si adattano a qualsiasi tipo di ulcera: superficiale, profonda o con tragitti fistolosi. Non aderisce al letto della ferita e la sua rimozione risulta atraumatica 42. Pomate enzimatiche Favoriscono lo sbrigliamento del tessuto necrotico con azione enzimatica. Indicate nelle lesioni superficiali o cavitarie con tessuto devitalizzato. 28 1.5 Terapia topica a pressione negativa (NPWT) La terapia topica a pressione negativa (NPWT) è una tecnica terapeutica che è andata sempre più affermandosi negli ultimi anni per quanto riguarda il trattamento e la gestione di ferite definite "difficili", vale a dire quelle ferite che non seguono un normale processo di guarigione e che possono mostrare complicazioni molto più facilmente. Si tratta in pratica di un sistema di drenaggio e medicamento della ferita sotto vuoto, vale a dire che dopo una medicazione con garze idonee allo scopo si applica un sistema di aspirazione che può essere continuo ma anche alternato (vale a dire variazioni di pressioni nell'arco del tempo), che ha lo scopo di accelerare il processo di guarigione e di garantire risultati che medicazioni complesse standard non riescono a raggiungere. Gli effetti tissutali della NPWT sono ormai ampiamente descritti in letteratura, dalla quale si evince come questo tipo di terapia possa aiutare nella risoluzione di ferite difficili. La NPWT offre diversi meccanismi di azione, in particolare un aumento della perfusione della ferita, la riduzione dell'edema, la stimolazione della formazione di tessuto di granulazione e un decremento della colonizzazione batterica nonché la continua rimozione dell'essudato proveniente dalla ferita 43. Figura 2: Meccanismo di azione della NPWT. 29 Per definizione infatti si viene a creare uno shift nel gradiente interstiziale 44 il quale ha una serie di effetti positivi, tra i quali la riduzione dell'edema, un aumento della perfusione del derma e la rimozione di eventuali secrezioni della ferita. L'importanza di questa alterazione nel gradiente pressorio del fluido interstiziale è stato probabilmente sottostimato, ciò nonostante è stato ben dimostrato come il flusso di fluido interstiziale possa modificare i componenti e l'organizzazione matrice extracellulare (ECM), modulando tra l'altro alcuni processi cellulari fondamentali nella guarigione delle ferite come l'espressione di fattori di crescita e l'attività cellulare mitotica 45 . La riduzione dell'edema è probabilmente dovuta al fatto che questo gradiente pressorio del liquido interstiziale che viene continuamente rimosso dalla ferita porta via con se i vari mediatori pro-infiammatori che contribuiscono alla formazione dell'edema, permettendo così una più rapida guarigione della ferita. L'effetto invece della NPWT sulla biologia vascolare delle ferite è ancora parzialmente incompreso, sembra che cambiamenti delle pressioni dei liquidi interstiziali abbiano un effetto indiretto sulla perfusione della ferita tramite la decompressione dei piccoli vasi capillari, facendo sì che le forze meccaniche che agiscono sull’ECM automaticamente agiranno anche sui vasi contenuti all'interno di essa, questo stress meccanico quindi sarebbe alla base dell'aumentata perfusione tissutale 46-47 . Tale tesi è stata sostenuta da studi secondo i quali misurando il flusso sanguigno tissutale dell'area interessata tramite un ago collegato a un laser Doppler a determinate pressioni la perfusione aumentava. Altro vantaggio nell'uso della NPWT è la rimozione dei liquidi che emergono dalla ferita, di conseguenza viene ridotta la presenza di proteasi, fibronectina, enzimi proteolitici, citochine e proteine di fase acuta che normalmente sono riscontrabili nell'essudato presente sulla ferita e che notoriamente ostacolano la guarigione rapida delle lesioni tissutali. Importantissimo è lo stress meccanico che questo tipo di medicazione può fornire a ferite, difatti la pressione applicata su tutta la superficie in modo omogeneo permette una forza trazionale distribuita uniformemente su tutta la ferita. Questo stress meccanico ha effetti sull'attività cellulare e sull'angiogenesi in particolare 48-49-50 . A completare il quadro, la terapia topica a pressione negativa produce un up-regolazione dell'espressione dei fattori di crescita. Kopp e collaboratori hanno di fatti dimostrato un incremento di 3-4 volte rispettivamente l'espressione di Transforming Growth Factor-B-1 e Endothelial 30 Growth Factor e di 2.5 volte l'espressione di Platelet-derived growth factor (PDGF) 51, mentre a livello macroscopico uno degli effetti se vogliamo più ovvi della terapia topica a pressione negativa è il favorire la formazione di tessuto di granulazione. A questo aggiungiamo il fatto che la NPWT è per ovvi motivi un ottima barriera nei confronti di nuove colonizzazioni patogene, limitando la crescita sia di aerobi che di anaerobi, e favorendo per i meccanismi sopracitati il trasporto di antibiotici nella sede di infezione dal circolo sistemico. 1.5.1 Quando scegliere la NPWT: la scelta del paziente ideale La NPWT può essere impiegata in ferite acute e croniche, sia in pazienti in regime di ricovero che in pazienti trattati a domicilio. Secondo l'approvazione della FDA, è indicata per i pazienti con ferite croniche, acute, traumatiche, subacute e deiscenti, ustioni a spessore parziale, ulcere (diabetiche, da pressione o da insufficienza venosa), lembi e innesti. Tuttavia, nell'applicare questo tipo di medicazione, bisogna prestare molta attenzione nell'individuare e trattare esclusivamente i casi in cui la terapia giochi un ruolo insostituibile, scegliendo altre terapie nei casi in cui il sistema è controindicato. Nello specifico è controindicata in presenza di tessuto necrotico o escara se non previa escarectomia, esposizione di vasi sanguigni importanti e/o organi, osteomielite non trattata, fistole non enteriche o inesplorate, lesioni di natura maligna. Inoltre, vanno prese precauzioni in pazienti che presentino emorragie, ridotta emostasi della lesione o che siano in terapia con anticoagulanti. Nel posizionare la medicazione in prossimità di vasi sanguigni, organi o tendini esposti bisogna assicurarsi che questi siano opportunamente protetti. Per tutti i casi menzionati la terapia a pressione topica negativa è proposta come seconda linea di trattamento, cioè in lesioni che non hanno ridotto del 50% la loro estensione a un mese dall'inizio del trattamento standard. Se non si osserva alcuna risposta o miglioramento nella ferita entro due settimane è necessario riconsiderare la cura. Per questo motivo è importante che la valutazione non sia effettuata solo nella fase iniziale, ma che sia inserita in modo trasversale in tutte le fasi del piano di assistenza. L'elemento chiave nella scelta della terapia appropriata per la gestione di una ferita, consiste nel compiere un’approfondita valutazione iniziale. Bisogna tener conto, 31 infatti, che la velocità di guarigione di una ferita varia da individuo a individuo ed è influenzata da numerosi fattori. Inoltre, la complessità della ferita esercita una notevole influenza sulla progressione del processo di guarigione e i fattori che contribuiscono a determinarla possono essere classificati in quattro gruppi principali: - Fattori relativi al paziente (fisici, psicologici e sociali); - Fattori relativi alla ferita; - Abilità e conoscenze dell’operatore sanitario - Risorse e fattori relativi al trattamento. Solo valutando e interpretando in modo corretto l'interazione di tutti i fattori e il loro impatto sulla ferita si possono sviluppare strategie adeguate ed efficaci per migliorare i risultati. In particolare è stato dimostrato che fattori come il diabete mellito, l'obesità, la malnutrizione, l'età avanzata, la perfusione ridotta, la vasculopatia periferica, le neoplasie, l'insufficienza d'organo, la sepsi e, non meno importante, le restrizioni della mobilità, possono influenzare fortemente il processo di guarigione. Generalmente l’accettabilità da parte dei pazienti è abbastanza buona, ma deve essere definito in modo appropriato il candidato ideale: questi dovrà essere vigile, collaborante, consapevole del meccanismo di funzionamento; essenziale è inoltre l’esperienza e la formazione del care giver. Dove manchino queste caratteristiche, la NPWT è assolutamente controindicata. Da questo si deduce che per ogni paziente è necessario e importante definire un piano di trattamento personalizzato, specificando gli obiettivi da raggiungere “a breve” e “a lungo termine”; coinvolgendo il paziente in questa fase sarà più facile acquisire il suo consenso e la sua adesione al trattamento. Gli obiettivi a breve termine possono includere: - Gestione dell'essudato; - Gestione dell'odore della ferita; - Riduzione del dolore; - Rimozione del tessuto necrotico e/o dell'escara; - Prevenzione delle infezioni. Gli obiettivi a lungo termine possono essere: - Riduzione della superficie della ferita; 32 - Riduzione del volume di essudato della ferita; - Produzione di tessuto di granulazione sano; - Chiusura della ferita per via chirurgica o guarigione per seconda intenzione; ripristino della funzionalità fisica nel sito della ferita. 33 1.5.2 Fasi di applicazione della medicazione 1.5.2.1 Preparazione del letto di ferita Con l’espressione WBP (Wound bed preparation) s’indica quell’insieme di procedure volte alla gestione di una ferita, che hanno l’obiettivo di accelerare i processi endogeni di guarigione e di promuovere l’efficacia delle misure terapeutiche intraprese. La WBP costituisce un approccio olistico, che consente di definire in modo sistematico quali siano i punti sui quali articolare la strategia di trattamento delle ferite, attraverso la comprensione dei meccanismi scientifici che stanno alla base delle alterazioni del fisiologico processo di riparazione tessutale. Un approccio così articolato deve essere riservato a quelle ferite che non tendono a progredire normalmente verso la guarigione, indipendentemente da quale sia stato l’evento causale della loro comparsa. L’acronimo TIME (dai termini inglesi Tissue, Infection o Inflammation, Moisture imbalance, Epidermal margin) è stato coniato per aiutare gli operatori ad identificare meglio i principi della preparazione del letto della ferita. Facendo ricorso all’acronimo TIME, l’operatore potrà effettuare una valutazione sistematica di tutte le caratteristiche oggettive della lesione, individuando agevolmente gli elementi da correggere e gli interventi più appropriati per arrivare ad una efficace rimozione delle barriere che impediscono la progressione verso la guarigione. 34 Tabella 5: il Time. Osservazioni cliniche Tessuto non vitale o carente Presunta fisiopatologia Difetto della matrice e residui cellulari sono di ostacolo alla guarigione Infezione o infiammazione Elevata carica batterica o infiammazione prolungata: -aumento Citochine pro-infiammatorie; - diminuzione dell’attività proteasica; - diminuzione dell’attività dei fattori di crescita. Macerazione e secchezza: squilibrio dei fluidi Secchezza: lenta migrazione delle cellule epiteliali. Essudato in eccesso: macerazione dei margini della ferita. Epidermide margini non proliferativi o sottominati Cheratinociti non migranti. Cellule non responsive e anormalità nella matrice extracellulare o nell’attività della proteasi. WBP-interventi clinici Debridement (occasionale o di mantenimento): -Autolitico -Chirurgico -Enzimatico -Meccanico o biologico Rimozioni foci infettive: -locale/sistemica -Antimicrobici - Antiinfiammatori -Inibitori delle proteasi. WBP-effetti degli interventi clinici Fondo della lesione deterso e ripristinata funzionalità della matrice extracellulare. Risultati clinici Fondo della lesione vitale. Riduzione della carica batterica o controllo infiammazione: -diminuzione citochine proinfiammatorie; -diminuzione attività proteasica; - aumento fattori di crescita. Controllo dell’infezione e dell’infiammazione. Applicazione di medicazioni avanzate per favorire il giusto grado di umidità. Bendaggio compressivo, pressione negativa o altri metodi per rimuovere l’eccesso di essudato. Rivalutare le cause o considerare terapie correttive: -Debridement; - innesti cutanei; - terapie di supporto. Ripristino migrazione delle cellule epiteliali: secchezza evitata. Bilancio dei fluidi (essudato). Riduzione dell’edema, controllo dell’eccesso di essudato: macerazione evitata Migrazione dei cheratinociti e presenza di cellule responsive. Margini epiteliali in attiva proliferazione. Ripristino di un appropriato profilo di proteasi. A questo punto è necessario riprendere un concetto, dichiarato nella WBP, meritevole di un ulteriore approfondimento, quello dello “Sbrigliamento di mantenimento”. Per comprendere l’importanza di questo aspetto basta tenere presente come siano sempre più numerose le evidenze che dimostrano quanto incidano sulla guarigione delle ferite elementi come una necrosi non opportunamente controllata o una carica cellulare o microbica alterata. Inoltre è stata dimostrata una diretta relazione tra la percentuale di 35 guarigione e l’efficienza e la frequenza dello sbrigliamento. Inizialmente, il concetto di preparazione del letto di ferita è stato sviluppato per definire, articolare e cadenzare i momenti che costituiscono il fisiologico processo di riparazione attraverso l’impiego di mezzi terapeutici avanzati. In seguito è divenuto un approccio pratico nel processo di presa in carico di fattori quali il controllo dell’essudato e la rimozione del tessuto necrotico, ponendo maggiore attenzione ai processi biologici che avvengono durante la guarigione e alla ricerca di un protocollo convenzionale di trattamento. Un altro concetto con risvolti pratici correlati alla preparazione del letto di ferita è lo sbrigliamento di mantenimento. Se la preparazione del letto di ferita si fonda sulle evidenze raccolte attraverso prove cliniche, biochimiche e cellulari caratteristiche delle ferite croniche, oltre che sulla determinazione dell’aumento della carica batterica e sulla presenza di biofilm, lo sbrigliamento di mantenimento rappresenta l’elemento indispensabile per ripristinare la guarigione, tenendo contro di un programma di pulizia del letto di ferita anche quando questa appaia clinicamente non necessaria. Per questo lo sbrigliamento di mantenimento merita attenzione da parte della Comunità Scientifica. L’importanza di rimuovere tutto ciò che rappresenta un ostacolo al processo di riparazione è stata ormai da qualche tempo opportunamente monitorata e validata. Le modalità di cui possiamo oggi avvalerci per lo sbrigliamento sono molteplici per tipologia e metodi, come diversi sono i risultati che possiamo attenderci. (Tab. 1). Se è vero che escara, eczema, profondità, esiti cicatriziali, colore del fondo, edema, neo epitelio ed essudato sono elementi che ostacolano il regolare processo di riparazione, sarà comunque opportuno focalizzare la propria attenzione anche su biofilm e sottominature, in quanto elementi di sbilanciamento dell’equilibrio batteri/ospite che giocano un grosso ruolo nell’economia di una corretta riparazione. Infatti i biofilm rappresentano un’area in cui facilmente le colonie batteriche, se non opportunamente gestite, tendono a moltiplicarsi indisturbate, al riparo dall’azione di antisettici ed antibiotici. 36 Tabella 6: tipologie di sbrigliamento – vantaggi e svantaggi riassunti da revisione bibliografica. Tipo di sbrigliamento Agenti assorbenti Antisettici Autolitico Biologico Esempi di materiali usati Velocità di rimozione dei tessuti Protezione dei tessuti sani Comfort per il paziente Alginati + ++++ +++ + +++ ++ + ++++ ++++ +++ +++ + Cadexomero Iodico Idrogeli, idrocolloidi Terapia con larve Chimico Cloruro di zinco ++ + + Enzimatico Collagenasi +++ ++++ ++++ +++ ++ + +++++ + + Meccanico Chirurgico + minimo o assente Wet to dry, Npet, lavaggio pulsato Bisturi, Curette, Idrochirurgia ++++ massimo Le sottominature, invece, rappresentano l’espressione concreta di una perfetta organizzazione micro-ambientale dei batteri stessi. Lo sbrigliamento risulta essere la modalità operativa più indicata ad interrompere la solidità di questa barriera (biofilm) che consente ai batteri di aumentare le singole resistenze ed implementare la propria virulenza. La distinzione fra sbrigliamento inziale o di mantenimento non è da ricercare necessariamente nel metodo impiegato, ma nella sequenza temporale e nella logica con cui si sceglie di impiegarli. A differenza di quello iniziale (che potrebbe essere anche ripetuto successivamente), quello di mantenimento potrebbe risultare necessario durante tutto il periodo della presa in carico della lesione. In conclusione, lo sbrigliamento iniziale è la rimozione del tessuto necrotico, colliquato e/o infetto dal letto della lesione, includendo inoltre l’asportazione del callo periulcerativo, ove questo fosse presente. Finché rincorrono questi parametri clinici, lo sbrigliamento iniziale necessita di essere ripetuto. Per sbrigliamento di mantenimento, invece, s’intende il mantenimento di una situazione della ferita tale da garantire la continua e costante progressione verso la guarigione. L’intervento di sbrigliamento non è dettato solamente da evidenti 37 parametri clinici, ma anche dal bisogno di raggiungere una preparazione del letto di ferita ottimale. Quindi, lo sbrigliamento di mantenimento viene eseguito anche di fronte ad un fondo di lesione “buono” qualora la ferita non mostri segni evidenti di guarigione. 1.5.2.2 Preparare l'area intorno alla ferita Un problema da non sottovalutare è la cura del tessuto perilesionale, che, non di rado, può andare incontro a macerazione. Questo fenomeno può essere risolto asciugando accuratamente la cute circostante la ferita, dopo la pulizia, e proteggendola applicando un preparato per la pelle su tutto il perimetro della ferita. 38 2 Obiettivi della tesi Analisi retrospettiva L’obiettivo della tesi è di analizzare i dati relativi ad un gruppo di pazienti affetti da LDD ricoverati presso un reparto di lungodegenza dell’Arci-Ospedale Sant’Anna di Ferrara, ottenendo una sorta di “fotografia” panoramica di questa patologia. Tale analisi si basa sull’identificazione di alcuni parametri (valutando le schede di monitoraggio delle lesioni da decubito) che ho ritenuto importanti ai fini di questo studio: Tipo di lesione (scala NPAUP) Tipo di trattamento effettuato Evoluzione qualitativa della lesione (miglioramento/peggioramento) Durata del trattamento espresso in giorni (da inizio trattamento fino a guarigione o a dimissione del paziente) Numero totale di medicazioni 39 3 Materiali e metodi 3.1 Casi clinici In quest’analisi abbiamo deciso di includere pazienti ricoverati presso una lungodegenza dell’Arcispedale Sant’Anna, senza limiti di età o sesso, che presentassero la presenza o l’insorgenza di LDD durante la degenza in reparto, di qualsiasi dimensione e in qualsiasi sede. Sono invece stati esclusi pazienti che presentavano lesioni ulcerative su base vascolare (insufficienza venosa cronica, ischemie critiche). 40 3.1.1 Paziente 1 Donna di anni 69, ricoverata per esiti di emorragia cerebrale con afasia totale e emiplegia destra. Anamnesi patologica remota: ipertensione arteriosa, Fa in terapia con Tao e diabete di tipo 1. Braden score all’ingresso:12. All’ingresso in reparto la paziente presenta lesione al 3° stadio con deposito di fibrina sul fondo, i bordi e la cute perilesionale si presentano macerati. Viene trattata con sbrigliamento di tipo chirurgico (courettage a lama fredda del fondo e dei bordi della lesione) associato a utilizzo di medicazioni all’argento, pomate enzimatiche e collagenasi. A 66 giorni dall’inizio del trattamento si osserva una guarigione completa della ferita. Tabella 7: Paziente 1. Tipo 3° stadio Sede Regione malleolare destra Dimensione inizio trattamento 2x2,5 cm Dimensione fine trattamento Guarigione Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo Evoluzione qualitativa della lesione 3° stadio Risoluzione della ferita. Durata trattamento (gg) 66 Numero totale medicazioni effettuate 22 41 3.1.2 Paziente 2 Uomo di anni 78, ricoverato per esiti di Ictus cerebri con emiparesi con controllo del capo ma non del busto. Braden score: 12. Anamnesi patologica remota: ipertensione arteriosa e diabete di tipo 1. La lesione (insorta in reparto durante la degenza) evolve rapidamente fino ad un 2° stadio, fibrinosa, con bordi lesionali macerati. Viene trattata con idrocolloidi, alginati e schiuma di poliuretano. A 54 giorni dall’inizio del trattamento si osserva una guarigione completa della ferita. Tabella 8: Paziente 2. Tipo 2° stadio Sede Tallone destro Dimensione inizio trattamento 2,5x1,5 cm Dimensione fine trattamento Guarigione Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio Risoluzione della ferita. Durata del trattamento (gg) 54 Numero totale di medicazioni effettuate 19 42 3.1.3 Paziente 3 Donna di anni 52, ricoverata per tetraplegia secondaria a sclerosi multipla. Anamnesi patologica remota: esiti di intervento chirurgico di osteosintesi con chiodo endomidollare e cerchiaggio esterno per frattura scomposta dell’estremo distale diafisi femorale destra riscontrata in seguito a caduta durante manovre di mobilizzazione. Braden score: 14. La lesione è fibrinosa, i margini sono regolari e la cute perilesionale si presenta arrossata. Viene eseguito trattamento con creme a base di enzimi, pomata connettivina e schiuma di poliuretano, creme ed olii idratanti. A 56 giorni dall’inizio del trattamento si osserva una guarigione completa della ferita. Tabella 9: Paziente 3. Tipo (stadio) 2° Sede Tallone destro Dimensione inizio trattamento 2x2 cm Dimensione fine trattamento Guarigione Tipo di trattamento Medicazioni convenzionali secondo protocollo effettuato Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio Risoluzione della ferita. Durata del trattamento (gg) 56 Numero totale di medicazioni effettuate 16 43 3.1.4 Paziente 4 Uomo di 33 anni, ricoverato per tetraplegia completa. Anamnesi patologica remota: silente. Braden score 11. All’ingresso la lesione è classificabile con 2° stadio NPUAP. Figure 3 - 4: Metatarso al 2° stadio all'ingresso del paziente in reparto. 44 Si osserva evoluzione del quadro fino ad un 3° stadio NPUAP. Figura 5: Peggioramento del metatarso al 3° stadio. Tale lesione è stata trattata inizialmente con Idrogel, collagenasi, garze antibatteriche/batteriostatiche e schiuma di poliuretano. In seguito a peggioramento della ferita si utilizzano alginati, idrogel, garze antibatteriche/batteriostatiche e pomata enzimatica, fino ad un miglioramento della lesione. Figura 6: Lesione del metatarso in miglioramento. 45 A 161 giorni dall’inizio del trattamento il paziente viene dimesso con la lesione classificabile come 1°stadio NPUAP. Tabella 10: Paziente 4. Tipo (stadio) 3° Sede Metatarso sinistra Dimensione inizio trattamento 1x1 Profondità 2 cm. Dimensione fine trattamento 1x1 Tipo di effettuato trattamento Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 3° stadio1°stadio Durata trattamento (gg) 161 Numero totale di medicazioni effettuate 38 46 3.1.5 Paziente 5 Uomo di anni 46 ricoverato per frattura metafisi distale del femore dx. Anamnesi patologica remota: tetraplegia incompleta Braden score:14. Il paziente presentava due LDD: una al tallone dx, fibrinosa ed essudante con margini macerati e cute perilesionale arrossata; l’altra al gluteo sx, fibrinosa ed essudante con margini e cute perilesionale macerati. Il tallone viene trattato con collagenasi, idrogel, connettivina garze grasse e schiuma di poliuretano. Il gluteo viene trattato con collagene, garze antibatteriche/batteriostatiche, idrogel, connettivina crema e schiuma di poliuretano. Durante la degenza la lesione cambia da un III a un IV stadio (dimensioni massime raggiunte 5x4 cm e 5cm di profondità). A 66 giorni dall’inizio del trattamento il paziente viene dimesso con la lesione al tallone dx classificabile come 2° stadio NPUAP, mentre il gluteo sx come 3°stadio NPUAP. 47 Tabella 11: Paziente 5 lesione al tallone dx. Tipo 4° stadio. Sede Tallone dx. Dimensione inizio trattamento 3x4 Dimensione fine trattamento 2x3 Paziente dimesso. Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 3° stadio 2° stadio Durata trattamento (gg) 66 Numero totale di medicazioni effettuate 18 Tabella 12: Paziente 5 lesione al gluteo sx. Tipo 3° stadio. Sede Gluteo sx. Dimensione inizio trattamento 2x2 Dimensione fine trattamento 2x2 Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 3° stadio 3° stadio. Paziente dimesso. Durata trattamento (gg) 66 Numero totale di medicazioni effettuate 18 48 3.1.6 Paziente 6 Donna di anni 69 ricoverato per riacutizzazione sclerosi multipla. Anamnesi patologica remota: silente. Braden score:16. La lesione al metatarso Dx è detersa, poco essudante. I bordi sono lineari e la cute perilesionale si presenta arrossata. Viene eseguito trattamento con collagenasi, idrogel, connettivina garze grasse, garze antibatteriche/batteriostatiche e schiuma di poliuretano. A 108 giorni dall’inizio del trattamento con la lesione risulta guarita. Tabella 13: Paziente 6. Tipo 2° stadio. Sede Metatarso Dimensione inizio trattamento 2,5x1,5 cm Dimensione fine trattamento 0 cm Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio Risoluzione della ferita. Durata trattamento (gg) 108 Numero totale di medicazioni effettuate 17 49 3.1.7 Paziente 7 Uomo di anni 76 ricoverato per deficit motori in esiti di emorragia sotto durale in seguito a trauma. Anamnesi patologica remota: iperteso, FA in tao. Braden score:13 La lesione al malleolo Dx è detersa e presenta fibrina. I bordi sono lineari e la cute perilesionale è integra. Viene eseguito trattamento con collagenasi, idrogel, connettivina garze grasse, katoxyn e schiuma di poliuretano. Tabella 14: Paziente 7 Tipo 3° stadio Sede Malleolo dx. Dimensione inizio trattamento 2,5x1,5 cm Dimensione fine trattamento Risolta. Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo Evoluzione qualitativa della lesione 3° stadio Risoluzione della ferita. Durata trattamento (gg) 59 Numero totale di medicazioni effettuate 17 50 3.1.8 Paziente 8 Uomo di anni 68 ricoverato per ictus in vasculopatia carotidea. Anamnesi patologica remota: diabete di tipo 1. Braden score:10 La lesione al tallone Dx presenta escara. I bordi sono lineari e la cute perilesionale si presenta arrossata. Viene eseguito trattamento con idrogel, connettivina crema, crema allo zinco e schiuma di poliuretano. Tabella 15: Paziente 8. Tipo 2° stadio. Sede Tallone dx Dimensione inizio trattamento 5x4 cm Dimensione fine trattamento Risolta. Tipo di effettuato trattamento Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio Risoluzione della ferita. Durata trattamento (gg) 53 Numero totale Di medicazioni effettuate 6 51 3.1.9 Paziente 9 Uomo di anni 36, ricoverato per tetraplegia. Anamnesi patologica remota: obesità. Braden score:11 Il paziente presenta due lesioni: una al gluteo dx e una al gluteo sx. Entrambe presentano fibrina sul fondo della lesione, bordi lineari e cute perilesionale arrossata. Viene eseguito trattamento con idrogel, collagenasi, connettivina crema, crema allo zinco e schiuma di poliuretano. Tabella 16: Paziente 9 lesione gluteo dx. Tipo 2° stadio Sede Gluteo Dx. Dimensione inizio trattamento 1,5x1,5 cm Dimensione fine trattamento Risolta Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio Risoluzione della ferita Durata trattamento (gg) 32 Numero totale di medicazioni effettuate 14 52 Tabella 17: Paziente 9 lesione gluteo sx. Tipo 2° stadio. Sede Gluteo sx. Dimensione inizio trattamento 1x1 cm Dimensione fine trattamento Risolta. Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo. Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio Risoluzione della ferita. Durata trattamento (gg) 32 Numero totale di medicazioni effettuate 14 53 3.1.10 Paziente 10 Uomo di anni 32 trasferito da un reparto di rianimazione con diagnosi all’ingresso di tetraplegia post traumatica. Anamnesi patologica remota: silente Braden score: 11 Il paziente entro in reparto presentando una lesione al tallone dx e sx al 2° stadio NPUAP. Le lesioni presentano ampia raccolta sierosa sottocutanea. I bordi sono lineari e la cute perilesionale si presenta integra. Le dimensioni iniziali della lesione erano di 3x4 cm. Figure 6 - 7: Lesioni tallone dx e sx con ampia raccolta sierosa sottocutanea. 54 Le condizioni delle lesioni subiscono un peggioramento. A 37 giorni dall’inizio del trattamento le lesioni, prive di tunnellizzazioni o sottominature, presentano una porzione necrotica diventando un 3°stadio NPUAP. Figura 8: Lesione in peggioramento. Il trattamento effettuato sin dal principio è stato con idrogel, connettivina garze e schiuma di poliuretano. Si procede poi al courettage della fibrina e del tessuto necrotico. A 44 giorni, non si assiste ad un miglioramento delle ferite; aumentano, infatti, la quantità di essudato, fibrina e necrosi e la profondità delle lesioni. Le medicazioni utilizzate sono idrogel, garze antibatteriche/batteriostatiche e schiuma di poliuretano. 55 Figura 9 -10: Lesioni talloni dx e sx progredite al 3° stadio. A 53 giorni dall’inizio del trattamento, il progredire della necrosi tissutale ha comportato un’importante aumento delle dimensioni delle ferite (6x5 cm per 1,5 cm di profondità). 56 Figura 11-12: Progressione dell’ulcera necrotica. Si decide pertanto, sotto prescrizione medica di applicare NPWT. Si lascia agire continuamente il sistema provvedendo a cambi di medicazioni ogni 72 ore ed alla sostituzione del serbatoio degli essudati al raggiungimento del livello di guardia, per un periodo di circa 20 giorni ottenendo un netto miglioramento delle lesioni. 57 Figura 13 -14: Lesioni talloni dx e sx a 4 giorni dall'inizio del trattamento con NPWT. 58 Figura 15: Lesione a 8 giorni dall'inizio del trattamento con NPWT con buona granulazione del fondo. 59 Figure 16 - 17: Tallone dx e sx a 12 giorni dall'inizio del trattamento con NPWT. 60 Figure 18 -19: Lesioni al termine del trattamento. 61 Tabella 18: Paziente 10 lesione tallone dx. Tipo 2° stadio Sede Tallone dx Dimensione inizio trattamento 3x3 cm Dimensione fine trattamento 1x1 cm Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo e NPWT. Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio 1° stadio Durata trattamento (gg) 192 Numero totale di medicazioni effettuate 42 Tabella 19: Paziente 10 lesione tallone sx. Tipo 2° stadio Sede Tallone sx Dimensione inizio trattamento 3x3 cm Dimensione fine trattamento 1x1 cm Tipo di trattamento effettuato Medicazioni convenzionali secondo protocollo e NPWT Evoluzione qualitativa della lesione 2° stadio 1° stadio Durata trattamento (gg) 192 Numero totale di medicazioni effettuate 42 62 4 Risultati Tabella riassuntiva dei dati: Dimensione inizio trattamento Dimensione fine trattamento Paziente Tipo Sede Paziente 1 3° stadio Malleolo dx 2x2,5 Guarigione Paziente 2 2° stadio Tallone Dx 2,5x1,5 Guarigione Paziente 3 2° stadio Tallone Dx 2x2 Guarigione Paziente 4 3° stadio Metatarso sx 1x1x2 1x1 Paziente 5 4° stadio Tallone dx 3x4 2x3 Paziente 5 3° stadio Gluteo Sx 2x2 2x2 Paziente 6 2° stadio Metatarso dx 2,5x1,5 Guarigione Paziente 7 3° stadio Malleolo dx 2,5x1,5 Guarigione Paziente 8 2° stadio Tallone Dx 5x4 Guarigione Paziente 9 2° stadio Gluteo Dx 1,5x1,5 Guarigione Paziente 9 2° stadio Gluteo Sx 1x1 Guarigione Paziente 10 2° stadio Tallone Dx 3x3 1x1 Paziente 10 2° stadio Tallone sx 3x3 1x1 Tipo trattamento Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo Medicazioni convenzionali secondo protocollo e NPWT Medicazioni convenzionali secondo protocollo e NPWT Numero totale di medicazioni Evoluzione qualitativa della lesione Durata trattamento (gg) 3°stadio Guarigione 66 22 2°stadio Guarigione 54 19 2°stadio Guarigione 56 16 3° stadio 1° stadio 161 38 3° stadio 2° stadio 66 18 3° stadio 3° stadio 66 20 2°stadio Guarigione 108 17 3°stadio Guarigione 57 17 2°stadio Guarigione 53 15 2°stadio Guarigione 32 14 2°stadio Guarigione 32 14 2°Stadio 1° Stadio 192 42 2°Stadio 1° Stadio 192 42 63 5 Conclusioni: Durante l’analisi dei dati in oggetto si sono riscontrate alcune “difficoltà tecniche” tra le quali la non completa compilazione della “scheda di monitoraggio delle lesioni da decubito”; infatti in alcune schede, mancavano informazioni relative l’evoluzione della lesione, la data della medicazione e/o il tipo di trattamento effettuato, pertanto è stato necessario analizzare i diari infermieristici nelle varie cartelle, per completare la compilazione dei dati. Un'altra problematica significativa riscontrata, è determinata dal fatto che non sempre le lesioni venivano valutate e medicate dallo stesso operatore e che non sempre è stato seguito il “protocollo per la prevenzione ed il trattamento delle lesioni da pressione” predisposto dalla direzione medica di presidio. Dall’analisi di questi dati si è visto come il grado di lesione maggiormente rappresentato secondo la NPUAP sia il 2° stadio. Fondamentalmente in tutti i dieci i casi elencati si è visto un miglioramento della ferita tranne ad eccezione di un paziente che non ha riportato un miglioramento nonostante i trattamenti e di 2 casi in cui i pazienti sono stati dimessi prima di ottenere la risoluzione della ferita. La sede più frequente d’insorgenza delle Lesioni da decubito è il tallone (6 casi), seguito dalla regione glutea (3 casi). Mediamente l’intervallo di tempo tra una medicazione e quella successiva è di 3 giorni. Sono state utilizzate svariate tecniche terapeutiche e materiali nel trattamento di queste lesioni. Tra i materiali più utilizzati si identificano le schiume di poliuretano e gli idrogeli. Sarebbe stato interessante elaborare un analisi dei costi complessivi dei trattamenti effettuati in questi casi, analisi impossibile da completare per la mancanza di informazioni riguardo la quantità di materiale utilizzato per singola medicazione. Dall’analisi delle schede si evince che la NPWT ha portato a risultati più vantaggiosi in tempi più rapidi. La gestione con NPWT ha inoltre ridotto in maniera importante la necessità di debridement chirurgici seriati, soprattutto nelle prime fasi di terapia. Data l’ampiezza e la profondità delle ferite trattate, la presenza di immobilità causata dalla tetraplegia del paziente, è verosimile ipotizzare che i tempi di chiusura di queste ferite, in assenza della NPWT, sarebbero stati certamente superiori, con necessità di 64 consulenze da parte di chirurghi plastici, terapie di supporto di una certa rilevanza ed eventuali esposizione a rischi di peggioramento e complicanze. Alla luce degli studi condotti e delle evidenze dimostrate nel corso della presente trattazione, è stato possibile verificare che la NPWT ha conquistato il mercato delle medicazioni avanzate introducendo importantissimi miglioramenti nella cura delle ferite difficili e delle lesioni da decubito, avversario tutt’oggi temibile da tutti gli operatori sanitari. Non di minore importanza è il fattore motivazionale del paziente spesso scoraggiato al momento della diagnosi di questa lesione difficile e rassegnato sia a trattamenti con tempi notevolmente lunghi sia dalla sua nuova condizione di salute che ha cambiato radicalmente la sua vita. L’unico aspetto che non siamo riusciti a valutare sul paziente trattato con NPWT è la percezione del dolore dovuto purtroppo alla mielolesione che lo ha colpito. Volendo confrontare i nostri dati con la letteratura internazionale, secondo la Review del 2011 della Cochrane Collaboration intitolata “Topical Negative Pressure for treating Chronic Wounds” si evince come non ci sono ancora metanalisi complete a causa del limitato numero di studi randomizzati controllati. Tuttavia secondo MC Callon et all. in uno studio del 2000, è stato dimostrato come la NPWT abbia notevolmente ridotto il tempo di guarigione delle ferite. Anthony S. et all. nel 2004, hanno confermato quanto riportato nel precedente studio citato, evidenziando come l’utilizzo della NPWT determini una netta diminuzione dell’essudato delle ferite e una maggiore riduzione della carica batterica; evidenze già confermate da Argenta LC. Et all in un vasto studio pubblicato sull’ Annal Plastic Surgery nel 1997 54 55 56. Concludendo la valutazione della medicazione con NPWT ha dimostrato ottimi risultati in termini di controllo della carica batterica, gestione dell’essudato e gestione globale delle ferite. Deve essere quindi considerata come una componente fondamentale della gestione globale della lesione da decubito, che può aiutarci ad affrontare questa condizione che ancora oggi colpisce la maggior parte dei nostri pazienti. 65 Bibliografia 1. A.B. Ackerman, P. D. (1993). Neoplasms with follicolar differentiation, Lea & Fabiger. Philadelphia: Lea & Fabiger. 2. Ackerman:, A. (1978). Histologic Diagnosis of infiammatory skin diseases. 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