Bibliografia di divinità minori (demoni) aventi i caratteri dei

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di divinità minori (demoni) aventi i caratteri dei geni della vegetazione (Taurt) del
panteon egiziano. Tale interpretazione tien conto anche dell'espressione omerica (~
171) 7tOÀUS(~LOV "Apyot;, che va appunto tradotta (I Argo (= Peloponneso) ricca di demoni Dipsioi l). Rappresentazioni di questi demoni, i quali, come in Egitto, avrebbero
la funzione di presiedere, caratterizzandoli, ai singoli mesi dell'anno, si troverebbero
in alcune figure antropomorfiche o teriomorfe incise su anelli, avori e sigilli dell'età
micenea ed anche postmicenea, raffigurazioni le quali a volte sembrano offrire una valida
spiegazione ai nomi di mese (e di festività) della Grecia classica.
Lo studio del Richardson spiega invece la genesi grafica del labirinto -la cui
raffigurazione più antica è quella comparente sul rovescio della tavoletta di Pilo
Cn 1287 - partendo non da una croce o svastica, come aveva tentato la Heller, bensl
dal motivo stilizzato dell'ascia. La ragione di questa scelta è dovuta al fatto che croci
e svastiche sono molto rare nel mondo egeo, mentre il simbolo dell'ascia (contrassegno
dell'arte dei carpentieri, dei costruttori di edifici) è frequentissimo. Tale nuova ipotesi
troverebbe una sorprendente conferma nell'etimo di À(l(~UpLV&Ot;, il quale, come sostenuto da una fitta schiera di studiosi, deriva appunto da M~puç (I bipenne l), solo che
questi inserivano tra i due termini un • tertium comparationis', cioè À(l(~UpLV.&Ot; come
designazione del Palazzo di Creta, sede del culto dell'ascia e più tardi divenuto celebre
per l'intrico dei suoi corridoi e stanze. Invece il motivo più antico del labirinto è puramente geometrico e non ha nulla a che vedere con la pianta del Palazzo di Minosse né
con il Minotauro. Di più esso trova una conferma nei disegni di labirinto trovati su
alcune pietre preistoriche in Irlanda e Cornovaglia, disegni che possono apparire come
(I biglietti da visita l) di qualche artefice tardo-minoico o miceneo capitato in quelle
regioni.
Il volume si chiude con un ricco indice delle parole micenee studiate nei singoli
articoli.
MARIO DORIA
Religione mic:enea in Magna Grec:ia.
"Santuari di Magna Grecia" (Atti del IV Convegno di Studi sulla Magna Grecia,
Taranto, 1964). Napoli, 1965.
Nell'ambito di un convegno dedicato ai santuari della Magna Grecia, e caratterizzato da un fecondo scambio di idee fra storici, archeologi, linguisti e filologi, G.
Pugliese Carratelli ha svolto una relazione su (I Culti e dottrine religiose in Magna Grecia»
(p. 19-45 degli Atti; cf. anche (I La parola del passato l), XX, 1965, p. 5-27), esponendo
una teoria nuova e interessante sulla genesi dei culti italioti.
Già in passato molti autori avevano osservato l'originalità dei culti coloniali rispetto
a quelli della madrepatria, e li avevano spiegati ora col confluire di tradizioni religiose
provenienti da varie metropoli, la cui contaminazione avrebbe prodotto gli aspetti
nuovi che si notano in terra italica, ora con la sopravvivenza di elementi indigeni in
veste greca. Nessuna delle due teorie può considerarsi soddisfacente. Sebbene la collaborazione fra gli stati greci nell'attività coloniale sia un fatto certo e ben documentato,
molte delle ipotesi formulate dai moderni per spiegare l'origine di singoli culti risultano
arbitrarie o palesemente false; e l'accoglimento di culti indigeni da parte dei coloni appare molto improbabile, tanto più se il fenomeno viene attribuito ai secoli VIII e
VII, cioè a un'epoca in cui gli Elleni erano già consci della propria superiorità
culturale sugli altri popoli, e avevano alle spalle tradizioni antiche e profondamente
radicate.
Il Pugliese Carratelli spiega invece le caratteristiche peculiari dei culti italioti
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facendo appello ai dati, ormai abbondanti, sulla presenza di Greci in Italia nella tarda
età del bronzo. In Magna Grecia sopravviverebbero dunque tradizioni risalenti alla
civiltà micenea, che per molto tempo apparvero ai moderni come singolari, e di origine
barbara, per il fatto che nella madrepatria esse erano invece scomparse, ovvero le tracce
della loro sopravvivenza non erano cosi appariscenti da imporsi all'attenzione degli
studiosi.
Questa teoria (che trova anche un appoggio nella diffusa e documentata opinione
secondo cui gli ambienti coloniali in genere sono più conservatori delle metropoli) è
fondata su numerosi dati, uno dei quali (la particolare diffusione dei santuari extramurani
in Magna Grecia) era stato messo in evidenza dal Pugliese Carratelli già in « La parola del
passato 'l XVII, 1962, p. 241-246. Presso varie città italiote il culto principale (o uno dei
principali) ha la sua sede in un santuario non solo extraurbano, ma, talvolta, anche molte
distante dall'abitato: cf. il santuario di Hera Lacinia, per Crotone; quello di Persefone,
per Locri; quello di Artemis, per Reggio; lo Heraion alla foce del Silaro per Posidonia,
inoltre l'Athenaion di Velia, su cui ha attirato l'attenzione Pietro Ebner, in «La parola
del passato », XIX, 1965, p. 72-76. Scartata, anche in questo caso, l'ipotesi che i coloni
abbiano reso omaggio a divinità indigene (attribuendo loro addirittura un primato nei
confronti delle proprie), deve ritenersi che i santuari extramurani si colleghino a insediamenti greci più antichi, dunque probabilmente micenei, le cui basi (di solito su promontori o alle foci di un fiume) erano state scelte con criteri diversi da quelli che poi
prevalsero per le grandi colonie, sorte, dall'VIII secolo in poi, lungo tratti di costa più
aperta. Il fatto che le colonie più recenti accettino i vecchi santuari come centri della
propria vita religiosa suggerisce la continuità fra la « precolonizzazione 'l micenea e lo
sviluppo coloniale dei secoli VIII e VII.
Inoltre, fra gli aspetti più notevoli della religione italiota è la prevalenza dei culti
catactonii; e questo medesimo aspetto si è ora rivelato come proprio della religione micenea, almeno per quella parte di essa che ci appare nei documenti di Pilo. Quivi
appaiono Posidone Hippios e una Demetra ippomorfa (è nota l'associazione tra il cavallo
e le divinità catactonie); Trisheros e i fciv<x)(ec; (defunti divinizzati); e i Dipsioi, cioè
gli assetati, quindi i morti.
Negli atti del Convegno sono pubblicati anche i numerosi interventi seguiti alla
relazione. Georges Vallet (77-78) ha fatto delle riserve sul termine « precolonizzazione 'l;
esso sarebbe giustificato solo nel caso che la continuità fra gl'insediamenti micenei e quelli
più tardi fosse già accertata, mentre finora mancano dati archeologici per l'epoca intermedia. E. Manni (p. 78-79) ha notato che le affinità fra i culti greci della madrepatria, dell'Italia e della Sicilia potrebbero talvolta risalire a un sostrato comune, premiceneo.
Altri studiosi, come F. Sartori (p. 66-69); E. Lepore (p. 85-88; cf. anche « La parola
del passato 'l, XX, 1965, p. 94-112); B. d'Agostino (p. 91-92); P . E. Arias (p. 99100); C. Corbato (p. 100-101) hanno espresso la loro sostanziale adesione alle tesi del
relatore, talvolta presentando dati o suggerimenti intesi a mostrare la possibilità che la
deficienza della documentazione archeologica per l'età postmicenea non sia cosi assoluta come sembra. D'altronde il Pugliese Carratelli aveva già notato, e ha ribadito nella
conclusione (p. 255-260) che la ricerca archeologica è solita ispirarsi agli orientamenti
additati dalla ricerca storica: dunque, una volta che il problema della continuità sia stato
posto, è lecito sperare che i futuri scavi forniscano i materiali sufficienti per una soluzione.
È impossibile dare un resoconto completo del ricco e interessante volume; vanno
ricordate almeno la seconda relazione introduttiva (VV. Hermann, Santuari di Magna
Grecia e della madrepatria, p. 47-57; cf. !'intervento di Paola Zancani Montuoro, p. 202213, e la conclusione di VV. Hermann, p. 253-255) e le rassegne archeologiche dei soprintendenti M. Napoli, D. Adamesteanu, G. Foti, A. Stazio (p. 105-179, 247-253).
FILIPPO CÀSSOLA