08.guarene - alba in vetrina

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08.guarene - alba in vetrina
Santa Claus beve Coca-Cola
I
DI
ANTONIO GUARENE
visto da Guarene
l Natale è alle porte. Molta
gente prepara il ceppo che
sarà bruciato nel camino. È
questa un’abitudine pre-cristiana diffusa in molte parti d’Europa. Il
ceppo verrà fatto bruciare lentamente proprio nei giorni in cui l’anno si
va consumando, giorni in cui il
tempo esaurito deve rinnovarsi. Una
volta si credeva che le ceneri contenessero dei poteri magici, rigeneratori, fecondatori, terapeutici e protettori. I carboni erano conservati gelosamente in casa contro i fulmini, gli
incendi, le malattie; si collocavano
anche sul tetto o si bruciavano nell’aia con i rami d’ulivo o con la
palma benedetta. Le ceneri venivano
sparse nei campi per far prosperare
le sementi, per salvare l’abitazione
dalle cattiverie del tempo, dalle alluvioni, dalla grandine e dalle frane.
A questo fuoco venivano attribuite
grandi virtù catartiche e vivificatrici.
Si potevano prevedere il numero dei
vitelli, degli agnelli, dei pulcini che
sarebbero nati; pronosticare i raccolti del frumento e delle uve per il
vino da quante erano le scintille del
ceppo. In alcune regioni era anche
segno di ospitalità: chiunque (oggi
non più, con i ceffi che girano) poteva entrare nella casa dove ardeva il
fuoco di Natale ed essere rifocillato.
Il Natale ha molte facce. È la festa
della natività di Cristo e dell’arrivo
di Babbo Natale; il presepe e l’albero
in una festa religiosa e laica. Un
momento di spiritualità familiare
contrapposta alla corsa pazza collettiva al consumo e allo spreco.
Ma com’è nata questa ricorrenza?
L’antropologa Martyne Pierrot nel
suo libro “Etnologia del Natale”, ci
risponde che la data del 25 dicembre
era una data qualsiasi per i cristiani
dei primi secoli. Più che alla nascita
di Cristo loro erano interessati alla
sua morte e alla sua resurrezione.
Fissata la Natività il 28 marzo, secondo un computo del 243 dopo
Cristo, il 25 dicembre fu scelto
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soltanto nel 336, alla fine del regno
di Costantino. Il romeno Eliade
Mircea, storico delle religioni, ha
dichiarato che il 25 dicembre è una
data sincretica essendo il giorno di
nascita di tutte le divinità orientali.
Per comprendere come il Natale sia
poi diventato la festa degli abeti, dei
doni e di Babbo Natale si deve
tornare al ’600, in Olanda, per
trovare il primo dipinto che rappresenti la festa di San Nicola, Santa
Claus, simbolo del grande evento.
San Nicola trasmigrò in America
sulle navi olandesi o dei popoli
nordici che trovarono là un’ospitale
patria tra il Seicento e il Settecento.
San Nicola fu promosso prima nume
tutelare di New York, poi eroe americano grazie all’opera dello scrittore
Washington Irving che nel 1809
pubblicò La storia di New York narrata da Dietrich Knickerboker, la
quale rese familiare il personaggio di
Santa Claus. Nel 1823 fu una poesia
di Clement Clarke Moore A visit
from St. Nicolas a diventare popolare, tanto da essere imparata a
memoria dagli americani. Il poemetto diede via libera a tutte le rappresentazioni grafiche di Santa Claus
che invasero pian piano le case, le
città, e il mondo. Apparve il costume
rosso del vecchio con la barba bianca, la pipa, gli stivaloni e la gerla
piena di doni. Nel 1865 gran parte
degli Stati americani imposero per
legge la sua festa. Santa Claus
divenne per tutti l’icona della generosità nazionale ma soprattutto uno
strumento portentoso di promozione
commerciale senza precedenti. I disegnatori lo trasformarono in un
accattivante modello comunicativo
che lo fece subito entrare nella società dell’immagine e nel Sancta
Sanctorum del mondo consumistico.
Nel 1930 la Coca-Cola per invadere
il mercato dei giovani sfruttò Santa
Claus per la sua pubblicità. È in
questo modo che il celeberrimo marchio adottò i tipici colori bianco-
rossi di Babbo Natale, ignobilmente
globalizzato.
In Italia la storia di Babbo Natale è
recente. Ha trovato parecchie difficoltà prima di imporsi e diventare il
simbolo privilegiato di molte industrie. Queste hanno sfruttato artatamente la crescita e il benessere della
famiglia imponendole il modello del
consumismo americano. Babbo
Natale è stato così glorificato a “dio
delle merci”. L’innocente e sognante
festa dei bambini è stata ormai surclassata dell’irrefrenabile corsa competitiva ai regali delle mamme e dei
papà, che approfittano di questa circostanza favorevole per celebrare
non tanto il Natale, quanto il loro
stato sociale ed economico.
Il presepe oggi, ha perso non poco
della sua valenza spirituale e della
sua magia.
Molta gente visita, nei luoghi della
fede, la grotta della Natività senza
nessuna devozione, con gli stessi
sentimenti che certi turisti dimostrano davanti alla “casa di Giulietta” a
Verona.
Chiunque parli del Natale non può
non fare i conti con il progressivo
indebolimento della sua reale presenza nella nostra realtà e nella nostra società. Da molto tempo ormai, il
nucleo religioso del Natale, che illumina il resto della festa, si è progressivamente ridotto e rimpicciolito;
una piccola fiammella soffocata
dalla luce accecante delle città nel
loro sfrenato tripudio regalistico. Un
fenomeno commerciale in continua
espansione che coinvolge ed esalta
soltanto la vanità esasperata della
gente sedotta dal nulla. Il Bambino
di Betlemme, intanto, resta solo e
sempre meno al centro del Natale
vero.
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