Occupazione femminile, in Italia ancora tante discriminazioni

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Occupazione femminile, in Italia ancora tante discriminazioni
Occupazione femminile, in Italia ancora tante discriminazioni
Calano di 45 mila unità le occupate nei primi 9 mesi del 2011. Lo rende noto l’Istat, nel corso de
“Gli Stati generali sul lavoro delle donne in Italia”, convocati oggi al Cnel. Secondo due ricerche
presentate da Bankitalia e Isfol, aumenta il divario tra salari maschili e femminili e non
diminuisce il carico familiare sulle donne. Per CNA Impresa Donna: “L’incremento
dell’occupazione femminile, anche attraverso l’impresa, resta il volano fondamentale per riattivare
l’economia italiana”.
Le donne occupate in Italia sono ancora poche e continuano a diminuire: 45 mila in meno nei primi
9 mesi del 2011. Percepiscono salari più bassi dei loro colleghi uomini e lasciano il lavoro per
dedicarsi alla famiglia e ai figli nel 40% dei casi. E’ un quadro a tinte fosche quello dipinto oggi al
Cnel - in occasione de “Gli Stati generali sul lavoro delle donne in Italia” - che punta il dito su
un sistema, quello italiano, che non fornisce servizi di conciliazione e alla famiglia, sfavorendo così
il lavoro femminile.
“Uno scenario, questo, che occorre correggere al più presto – spiega Paola Sansoni, Presidente di
CNA Impresa Donna – perché non fa male solo alle donne ma anche e soprattutto al Paese”.
“L’Italia oggi è a un bivio - aggiunge l’imprenditrice – far ripartire l’economia non è solo
un’opzione possibile ma una necessità, per evitare di entrare in un tunnel senza uscita. Favorire il
lavoro femminile è perciò indispensabile”.
“Una chiave di ingresso nel mercato del lavoro - aggiunge la Sansoni - è proprio l’attività
autonoma, fare impresa, un terreno su cui la creatività e la capacità organizzativa femminile si
esprime al massimo”. Ecco perchè, spiega la Presidente di CNA Impresa Donna “occorre rimuovere
tutti gli ostacoli che impediscono alle donne di lavorare e fare impresa, potenziando il welfare e
facilitando la conciliazione lavoro-famiglia ma anche, ad esempio, rimuovendo odiose
discriminazioni come quelle, che ancora esistono, per l’accesso al credito femminile”. Una misura,
questa, “a costo zero - conclude - ma utilissima a chi potrebbe restituire una marcia in più alla
nostra economia”.
Le difficoltà delle donne a entrare e restare nel mercato del lavoro sono state efficacemente descritte
nel corso dell’appuntamento organizzato oggi al Cnel. Uno dei punti dolenti del rapporto donnelavoro, secondo Roberta Zizza, economista della Banca d'Italia, è il differenziale tra remunerazione
maschile e femminile. “Il differenziale grezzo – ha spiegato - è circa del 6% (dal minimo del 4,9%
del 2000 al massimo del 7,7% del 2002)”. Una differenza che aumenta anche in base all’incarico
lavorativo.
Ma non basta. “In Italia - ha aggiunto l’economista - la ripartizione dei carichi domestici e di cura
è ancora molto sbilanciata a sfavore delle donne. Secondo l’Istat, infatti, le donne svolgevano nel
2008-2009 il 76% del lavoro familiare (la quota era del 78% nel 2002 e dell'85% nel 1989).
L'esperta di Palazzo Koch ha evidenziato, inoltre, come "l'Italia sia l'unico paese occidentale in cui
le donne lavorano, considerando lavoro retribuito e lavoro domestico, significativamente più degli
uomini”. Di più. Una ricerca Isfol ha messo in evidenza anche come la giornata lavorativa delle
donne sia più lunga di quella degli uomini.
"La giornata media lavorativa degli occupati con almeno un figlio, tenendo conto del lavoro
retribuito, del lavoro familiare e degli spostamenti da casa al lavoro, è di circa 15 ore – ha spiegato
il responsabile del servizio statistico, Marco Centra, che ha presentato lo studio. La maggior parte
del tempo dei padri, circa 10 ore su 24, è dedicato al lavoro retribuito, mentre il tempo delle madri è
diviso tra lavoro familiare, 8 ore e 35 minuti, e lavoro retribuito, 7 ore e 9 minuti".
Altro punto critico è la conciliazione lavoro-famiglia. In base a uno studio dell'Isfol condotto su un
campione rappresentativo delle donne italiane in età compresa tra i 25 e i 45 anni, infatti, alla base
della bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro c'é la famiglia: il 40,8% delle ex
lavoratrici dichiara di aver interrotto l'attività lavorativa per prendersi cura dei figli e circa il 5,6%
per dedicarsi totalmente alla famiglia o ad accudire persone non autosufficienti". Un dato, questo,
confermato anche da Linda Laura Sabbadini, capo dipartimento delle statistiche sociali ed
ambientali dell'Istat: "Tra le madri il 30% interrompe il lavoro per motivi familiari - dice - contro il
3% dei padri".
Le donne, a causa di un sistema sociale che non aiuta a conciliare vita familiare e lavorativa,
insomma, non entrano nel mercato del lavoro o ne escono dopo il primo figlio o per assistere parenti
anziani. Alla luce delle ricerche presentate nel corso degli Stati generali sul lavoro, tra le donne in
età compresa tra i 25 e i 45 anni, dopo la nascita di un bambino il tasso di occupazione femminile
passa bruscamente dal 63% al 50%, per crollare ulteriormente dopo la nascita del secondo,
evidenziando come il ruolo femminile nel mondo del lavoro sia sacrificabile alla cura dei figli e
all'attività domestica.