IL TINTORETTO
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IL TINTORETTO
1202_Pojani, il Tintoretto, Pagina 1 di 3 IL TINTORETTO Jacopo Robusti, in arte Tintoretto, nacque a Venezia, patria della pittura tonale, nel 1518. Egli fu chiamato anche con tale soprannome poiché era figlio di un tintore di stoffe. Al tempo infatti usava attribuire ai bambini dei vezzeggiativi derivanti dall’attività dei genitori. A quindici anni fece domanda per entrare nella bottega del celebre Tiziano, domanda che fu tuttavia rifiutata: si racconta infatti che il maestro, dopo aver intravisto le doti del ragazzo, si sentì minacciato dalla sua bravura, e pertanto lo rifiutò. Per questa ragione, il ragazzo maturò la sua vena artistica tramite il contatto che aveva con la scuola di disegno fiorentino-romana, nonostante egli continuasse a vivere a Venezia. Sia per la tecnica sia per i soggetti, l’artista si ispirava a Michelangelo. Tuttavia, i nudi del Tintoretto dimostravano come egli ispirasse a modelli non reali, per lo più manichini. Da ciò ne conseguì che le sue realizzazioni di corpi umani erano fortemente schematizzate, esse talvolta sembravano più quelle di un automa che quelle di un uomo. Proprio per questo suo aspetto artistico fu criticato dal Vasari, che lo accusò di essere un disegnatore disordinato e superficiale. Vasari che tuttavia lodò le sue innovazioni stilistiche e la sua straordinaria produttività, che lo fecero precursore dell’arte Barocca. Ma il fatto che Il Tintoretto fosse in qualche modo condizionato dalla pittura tonale di Tiziano e dal disegno di Michelangelo non significa che egli debba essere debitore della propria arte a qualcun’altro. Infatti egli utilizza il colore per accendere di luce il disegno. Proprio questa è la nuova e straordinaria introduzione in campo artistico del Tintoretto. Ma il suo stile era caratterizzato anche da una straordinaria drammaticità e teatralità, a tratti quasi violenta, sia nella concezione drastica e dinamica delle figure, sia nel chiaro scuro, ma particolare attenzione va ai tagli obliqui delle scene. Nel pieno della sua vita l’artista entrò in possesso di una fiorente bottega, grazie alla quale ottenne numerose commissioni private per affreschi sulle facciate di diversi palazzi e per ritratti. Proprio i ritratti saranno la specialità del Tintoretto: in essi egli riusciva a caratterizzare la psicologia dei volti e la ricchezza delle vesti, grazie al giusto impiego della luce, che conferiva anche ai suoi soggetti una finezza ed una dignità assai elevate. L’artista riusciva a far vivere in ogni persona che rappresentava le sue caratteristiche psicologiche, oltre che fisiche. Il Tintoretto venne a mancare nel 1594 a causa di una febbre altissima, quando stava lavorando all’Ultima Cena per la chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia. Durante la sua vita egli non fu mai completamente apprezzato né dentro, né tanto meno fuori i propri confini: alla sua pittura era spesso preferita quella di Tiziano, più passionale; inoltre la sua imprecisione nel disegno non smise mai di essere criticata. Il Tintoretto godrà di grandissima fama solo nei secoli successivi. Opera > Miracolo di San Marco Data > 1548 Tecnica pittorica > Olio su tela Dimensioni > 415 x 541 cm Conservata a > Venezia, Scuola Grande di San Marco Tintoretto dipinse il suo capolavoro, ovvero il Miracolo di San Marco, in un periodo in cui il suo nome predominava in campo artistico in tutta Europa e in cui la corrente predominante era quella manieristica. Il dipinto rappresenta la liberazione di uno schiavo cristiano, avvenuta grazie all’apparizione miracolosa di San Marco. I personaggi principali sono tre: lo schiavo, rappresentato per terra di traverso, San Marco, che si trova nella parte superiore della composizione ed è orientato in senso opposto rispetto allo schiavo, e a completare il triangolo immaginario siede un vecchio, padrone dello schiavo. Quest’opera è un tipico esempio della complessità compositiva del Tintoretto, che decide di rappresentare numerosi personaggi all’interno della scena. Essi sono colti in atteggiamenti concitati mentre eseguono torsioni manieristiche. Lo schiavo è accusato di aver adorato le spoglie dell’evangelista senza il permesso del padrone, che era pagano. Il padrone reagisce quindi comandando il martirio dello schiavo, che viene punito da altri servitori del padrone. Ma proprio grazie all’intervento di San Marco, quando gli attrezzi vengono scagliati verso lo schiavo, essi si spezzano. Si può notare infatti uno dei carnefici che si rivolge al vecchio padrone impugnando uno strumento che si è miracolosamente spezzato. La folla reagisce diversamente agli avvenimenti: la parte sinistra si sporge per osservare meglio; al contrario la parte destra si ritrae, inorridita ma al tempo stesso meravigliata per l’evento. L’ambientazione è influenzata dall’architettura di Sebastiano Serlio, architetto italiano del periodo che contribuì alla diffusione della cultura manierista. Proprio poiché è soggetta al manierismo, l’ambientazione risulta imprecisa: essa non rappresenta nessun luogo particolare. La scena si svolge sotto una sorta di pergola, che si trova tra un edificio colonnato e delle rovine. Lo sfondo è una piazza sulla quale si affaccia un rigoglioso giardino, che si trova dietro ad una loggia classica. Per quanto riguarda la luce, essa non appare naturale, poiché a quella proveniente dal cielo se ne aggiunge una violenta che appartiene al Santo, proveniente dalla destra del quadro. Qui tutta la composizione è caratterizzata da ombre marcate e da colori violenti, che si trovano su uno sfondo luminoso: l’effetto che si forma dona quella grande teatralità all’immagine tipica del Tintoretto. Invece il colore, a seconda di come è utilizzato, svolge funzioni diverse, donando anche all’insieme effetti diversi. Nei primi piani la sua violenza e la sua pastosità conferiscono volume e sodezza ai corpi; invece sullo sfondo esso diventa più sbiadito ed incerto, donando un senso di sfondamento prospettico. Il dipinto è frutto di un compromesso tra la pittura veneziana, quella manieristica e quella personale del Tintoretto. 1202_Pojani, il Tintoretto, Pagina 2 di 3 Opera > Ritrovamento del corpo di san Marco Data > 1562-1566 Tecnica pittorica > Olio su tela Dimensioni > 405 x 405 cm Conservata a > Milano, Pinacoteca di Brera Quest’opera del Tintoretto rappresenta il ritrovamento del corpo di San Marco presso la città di Alessandria d’Egitto, luogo di sepoltura del Santo, ad opera di alcuni Veneziani che volevano riportare le spoglie del loro Santo nella loro città. L’evento è suddiviso in tre parti. Per primo, sulla sinistra, c’è l’apparizione miracolosa di San Marco che ferma la profanazione accompagnato da un gesto del braccio, slanciato in avanti. Poi, sulla destra, c’è una donna in piedi, a cui un indemoniato si aggrappa, a sua volta tenuto fermo da un uomo. Il fatto che l’indemoniato si agiti in questo modo è segno del miracolo di San Marco. Infine la figura al centro inginocchiata è Tommaso Rangone, committente dell’opera. Qui il punto di fuga della prospettiva è dato dall’entrata al sepolcro violato dai veneziani; da quel punto al punto in cui è ambientata la scena, si può notare il susseguirsi di sepolcri pensili. I colori sono cupi e smorzati su una tonalità bruna, la scena appare movimentata grazie all’utilizzo delle luci soprannaturali. I movimenti dei corpi appaiono catturati in un istante preciso durante il loro movimento. Ciò dona alla scena un grande dinamismo. Proprio quest’inquietudine emotiva è presupposto per il nuovo clima spirituale che è in atto grazie alla Controriforma. Opera > Susanna e i Vecchioni Data > 1557 Tecnica pittorica > Olio su tela Dimensioni > 147 x 194 cm Conservata a > Vienna, Kunsthistorisches Museum Nel dipinto viene raffigurata Susanna, la cui storia è raccontata nel Libro di Daniele della Bibbia. Susanna era la moglie di un ricco babilonese. Ella, per la sua bellezza, non passava inosservata agli occhi della gente. Un giorno, convinta di essere sola, si lasciò andare al momento del bagno. Tuttavia, dei vecchi giudici si fecero avanti per possederla, ma poiché Susanna non voleva accettarli, fu accusata da essi di essersi intrattenuta in segreto con una amante. Il marito crebbe alla versione dei giudici, che risultava sicuramente più affidabile e veritiera, grazie al loro mestiere. Per questo motivo venne condannata a morte e, solo successivamente, l’intervento del profeta Daniele fece emergere la squallida menzogna, causando la condanna dei giudici. Nella composizione c’è una novità nel soggetto: il realismo. Realismo che si concretizza nell’atteggiamento e nella postura della donna, che appare informale: ella infatti si sta preparando ad un momento privato, il lavaggio del proprio corpo. Il suo corpo è illuminato da una luce a sé stante, che rimbalza nei suoi capelli, nella sua schiena, nelle frange dell’asciugamano, nei gioielli e negli accessori da bagno ed occupa un ruolo di protagonista. Questa luce accende i colori di un vivezza improvvisa, che proietta la scena in un mondo di favola. Infatti il giardino che la circonda è anch’esso favoloso, esso è dominato da elementi verdi che generano un effetto di grande armonia, a cui si contrappone l’acqua della fonte in cui Susanna si sta immergendo. Tintoretto rappresenta un’ambientazione da favola in quanto non si preoccupa della realtà, bensì delle emozioni e dei sentimenti che prova chi osserva le sue opere. La prospettiva è data dalla siepe dietro la quale i due vecchi sono nascosti; in particolare, il vecchio più lontano, al centro dell’immagine, è stato dipinto da diverse pennellate veloci. 1202_Pojani, il Tintoretto, Pagina 3 di 3 Opera > Ultima cena Data > 1594 Tecnica pittorica > Olio su tela Dimensioni > 365 x 568 cm Conservata a > Basilica di San Giorgio Maggiore, Venezia Questa tela è l’ultima opera dell’artista prima della sua morte per malattia. In quest’opera il Tintoretto riprende un tema trattato in numerosi altri dipinti, l’Ultima Cena. Tuttavia, tale tema è trattato in modo differente rispetto a come lo trattano gli altri artisti del presente e del passato. La scena avviene all’interno di un’osteria popolare dall’atmosfera cupa e misteriosa, in cui il tavolo è scorciato dalla prospettiva, e non parallelo al piano, come accade per esempio nell’omonima opera di Leonardo da Vinci. La luce è la protagonista assoluta. Essa esprime tramite, i contrasti con l’ombra, la crisi spirituale e religiosa che il pittore passò negli ultimi anni della vita. Le sue fonti sono diverse. La prima è una lampada ad olio, da cui due fiamme sprigionano bagliori che percorrono in modo irregolare l’ambiente, invece le altre fonti sono i corpi degli Apostoli, che emanano una luce che non è un’aureola, ma piuttosto una fonte autonoma e fortissima, che aumenta con l’avvicinamento graduale verso Gesù e che conferisce a chi la emette un rilievo di sicura soprannaturalità. Ognuna di queste luci fa talvolta fa trasparire un personaggio dall’ombra, talvolta lo fa scomparire in essa; qui colori e disegno sono elementi secondati: infatti il colore è spesso così impastato da sembrare monocromo, invece il disegno si perde nell’incertezza di uno spazio senza più dimensioni reali. A queste luminescenze si contrappongono quelle incorporee degli angeli, che appaino come dei veri e proprio fantasmi luminosi, che rendono il clima dell’imminente tragedia. Essi sono presenze di puro spirito, rappresentate con pura luce. Anche in questo caso il pittore realizza una sorta di teatro, che è soggetto ad un grande realismo, fatto di atmosfere e di odori che ciascuno poteva ritrovare in una taverna veneziana del tempo.