L`haute couture? Semplicità in 3D

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L`haute couture? Semplicità in 3D
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Martedì 22 Settembre 2009 - Corriere della Sera - Moda
Storie di moda
Emergenti
MARCO DE VINCENZO
«L’haute couture?
Semplicità in 3D»
Dopo il successo alle sfilate di Parigi in gennaio, la vittoria
al concorso «Who’s on Next?» in luglio. Uno stile ricercato,
attento alle geometrie ma anche ai richiami classici
✹ di Benedetta de Micheli
Da piccolo disegnava scene sacre, fumetti, angeli. E
andò avanti così per un po’, con quella passione irresistibile per il barocco, fin verso i 15 anni. Ma fu allora
che capì: l’attrazione fatale, lui, Marco De Vincenzo,
messinese del ’78, secondo di due figli maschi di una
coppia che si occupa di pratiche automobilistiche, l’aveva invece per gli abiti, le geometrie
fashion, il glamour delle passerelle.
Sfondare nel mondo della moda: un pensiero fisso dalla quarta ginnasio in avanti. Quanto era difficile crederci a quei tempi per un ragazzo sconosciuto, senza l’aiuto di internet, lontano dai clamori delle cronache. Eppure è una storia che finisce (anzi incomincia) bene, perché Marco oggi
sta per debuttare a Milano Collezioni con una
ventina di capi femminili firmati da lui per il
prêt-à-porter. Una conquista ottenuta dopo aver
centrato alcuni obiettivi strategici: diploma allo
Ied di Roma, otto anni di lavoro da Fendi (di cui
De Vincenzo è attualmente consulente per gli accessori), poi, lo scorso gennaio, il debutto con
una propria collezione sulle passerelle dell’alta
moda di Parigi e, a luglio, la vittoria al concorso
«Who’s on Next?», manifestazione realizzata da
AltaRoma in collaborazione con Vogue Italia.
Essenziale, minimalista, molto femminile, ricercato, sperimentale, attento alle geometrie spesso
espresse in 3D, ma anche ai richiami classici: è lo
stile di Marco. Tanto jersey, seta e lane leggere tradotti in forme pulite, semplici, con gonne diritte e
strette, in toni mélange combinati con colori più
accesi. Le linee guida sono il déco, l’optical, oppure quelle della Grecia classica. Icone? «Prendo
spunto dalle mie amiche perché sono reali. Non
ho miti che m’inseguono. Punti di riferimento sì:
Gianni Versace, con la sua sensualità, il suo amore per la sperimentazione, e le linee affusolate di
Azzedine Alaia il quale, a dire il vero, ha molto in
comune con Versace».
Appassionato di viaggi, sushi e mercatini dell’usato, musicofilo sfegatato («mi piacciono tutti i generi di musica, da quella più commerciale a quel-
Originale
Marco
De Vincenzo:
«L’alta moda
vuol dire
libertà»
la elettronica»), lo stilista confessa alla fine di essere un irriducibile ottimista. E forse, vista la sua storia, non potrebbe essere altrimenti.
Non c’è niente che sia arrivato gratis nella vita di
Marco. Viso da ragazzino, occhi verdi dietro un
grosso paio di occhiali da vista, barba e baffi accennati, alla Gael Garçia Bernal-Che Guevara del
film «I diari della motocicletta», camicia e pantaloni rimboccati, scarpe da tennis, lo stilista si sta
godendo il lusso di un attimo di relax nella frenesia delle giornate che precedono le sfilate.
Senza tregua
Da un anno vive, lavora e crea, insieme con Emiliano, esperto di trucco, in un appartamento in affitto al sesto piano di un palazzo nel centro di Roma, a un tiro di schioppo da San Giovanni in Laterano. Inizio del lavoro alle 8, fine intorno a mezzanotte. Senza tregua.
La casa «è» lui: molto luminosa, minimale. Studio-salotto con pavimento bianco di marmo,
grande tavolo, libri («adoro leggere»), enorme pizza cinematografica appesa alla parete, manifesto
di ferro sulla Singer («trovati da un rigattiere,
amo il ferro!»), muri bianchissimi e un terrazzo
sui tetti. Già, minimale. Ma tutto si può dire della
vita di De Vincenzo tranne che sia semplice. Non
lo è oggi che è piena di progetti, sogni e programmi. E non lo era ieri, quando cominciò a muoversi nel campo della moda.
Sorride di quei tempi: «A Messina
c’era soltanto un negozio in centro
che di tanto in tanto metteva in vetrina l’abito di un grande stilista. Internet non esisteva ancora e la città mi
sembrava lontanissima da tutto. Bevevo letteralmente i programmi tv che parlavano di moda e osservavo... Ogni minimo dettaglio poteva diventare uno spunto
per creare qualcosa di nuovo». Poi la decisione di spostarsi a Roma subito dopo la
maturità. Oggi, però, se potesse tornare indietro andrebbe a Londra. Anzi: a un giovane che sogna di diventare stilista consiglierebbe la Central Saint Martins,
«scuola che ha fatto la differenza con
molti miei amici che hanno preso la
mia strada».
Nella capitale, il fatto di non poter contare su nessuno e nello stesso tempo la
determinazione di sfondare a tutti i costi costringono Marco De Vincenzo a ingegnarsi per trovare le strade giuste e la
risposta agli sforzi arriva con l’opportunità di lavorare da Fendi: «Per loro disegnavo soprattutto borse. Era la sera a casa
mia che mi concentravo sui vestiti, la mia
vera passione». Trascorrono così otto anni finché il giovane decide di fare il salto:
buttarsi allo sbaraglio con una collezione
propria («sentii che dovevo provarci, l’alta
moda è stata un pretesto»).
Tutto succede molto in fretta. È l’amico Angelo Sensini, pierre, a suggerirgli di scommettere sulla haute couture. Dove? A Parigi, naturalmente. Marco sfrutta i suoi risparmi per prepararsi all’avvenimento: con l’occhio fisso sul listi-
DETTAGLI
Il progetto Ore di discussione per ogni modello
La preparazione De Vincenzo s’ispira
anche ai metalli forati di Mathieu Mategot
Lo stile Déco, optical, ma anche
richiami alla Grecia classica
no prezzi crea una collezione
di 20 pezzi unici e conquista il
permesso di sfilare 10 minuti
fuori dal calendario ufficiale,
poi ottiene il posto dove presentare i modelli («il quartiere del
Marais»). E, quel che conta, trova
amici disposti a dargli una mano:
Angelo per l’ufficio stampa, Cécile come sarta, Corinne come direttrice di casting, Emiliano come
truccatore e parrucchiere. Sarà un
successo. Ma è soltanto l’inizio: il
resto (la vittoria al concorso «
Who’s on Next» e il permesso di partecipare alle sfilate di MilanoCollezioni) è già storia di oggi.
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