Le “declinazioni della qualità”
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Le “declinazioni della qualità”
Le “declinazioni della qualità”: una nota introduttiva Francesco Adornato Atteso, com’è stato rilevato, che le “ricerche scientifiche” sulla “qualità” hanno, per certi versi, superato le difficoltà definitorie emerse in passato a tale proposito (Jannarelli, 2004), preme qui, innanzitutto, sottolineare che qualsiasi sistema di qualità previsto a livello comunitario, essendo storicamente determinato, deve rispondere alle più generali finalità delle politiche dell’Ue, specie rispetto alle gravi sfide che l’umanità sta oggi affrontando e, in particolare: a) i mutamenti climatici, b) la salvaguardia delle biodiversità, c) la gestione delle risorse idriche. In questo quadro un’importante categoria generale di riferimento non può che essere costituita dalla “pluralità” delle agricolture, diversamente connotate per struttura aziendale, configurazione sociale, capacità e metodi produttivi, ecc., le quali svolgono ruoli diversi, ma tutti significativi nei diversi ambiti locali: la qualità di un prodotto è configurabile anche attraverso la specificità aziendale, specie in relazione al territorio. La sintesi che attraversa in modo orizzontale questa dimensione plurale è data dalla multifunzionalità dell’attività agricola, la quale, oltre a garantire la produzione alimentare, assicura una serie di servizi da cui traggono origine esternalità positive a favore dell’intera collettività: categoria, questa della multifunzionalità, che irradia la qualità stessa, al di là della sua multidimensionalità contenutistica (Jannarelli, ivi). Emerge, cioè, a livello più generale, un legame molto stretto tra attività agricola e qualità della vita, che ricomprende anche la qualità degli alimenti. Non a caso, i sistemi di certificazione nell’Unione europea – come sottolinea il Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli dell’ottobre 2008 – “vanno dal rispetto di norme di produzione obbligatorie, all’osservanza di ulteriori prescrizioni relative alla tutela ambientale, al benessere degli animali, alle qualità organolettiche, alla tutela dei lavoratori, al commercio equo e solidale, alle implicazioni dei cambiamenti climatici, a considerazioni etiche, religiose e culturali, ai metodi di produzione e all’origine”. In sostanza, come può rilevarsi, all’interno del processo economico la valutazione degli effetti (anche) della crescita del sistema produttivo agricolo e agroalimentare, in rapporto alla più complessiva qualità della vita delle persone, va oltre i tradizionali parametri che si limitavano a misurare la crescita economica. 1 È evidente che a maggiori ricchezze non necessariamente debba corrispondere un incremento di benessere individuale e collettivo: il caso di tanti modelli di sviluppo metropolitano ne è conferma esemplare. Peraltro, le tecniche che assicurano la qualità dei prodotti alimentari non possono prescindere non soltanto da parametri relativi alla sicurezza alimentare (principio di precauzione) ed a quella ambientale, ma nondimeno dal rispetto di principi di ordine etico, a partire da quello dell’equità delle scelte, sia all’interno dei rapporti tra Nord e Sud del mondo, sia per quanto riguarda le responsabilità verso le generazioni future. In sostanza, è indispensabile che il progresso tecnologico attinente all’elevazione progressiva dei requisiti di qualità sia inserito in un più complessivo processo di crescita etica e culturale della società, specie in considerazione della velocità con cui si susseguono le innovazioni, ben maggiore dei percorsi evolutivi della coscienza collettiva. Intervengono, qui, alcuni fenomeni che meritano di essere approfonditi, e sui quali si rinvia alle successive relazioni. Si pensi, innanzitutto, al rapporto tra tecnica e politica (legislativa), che emerge nei processi di controllo della qualità (oltre che, come si è detto, in quelli relativi alla sicurezza). Infatti, la produzione di massa di beni alimentari e la necessità di tutelare il consumatore, anche attraverso gli strumenti di certificazione della qualità, fanno assumere all’elemento tecnico-scientifico un ruolo centrale, altresì, nel sistema della qualità dei prodotti alimentari, al punto che si può forse riconoscere il passaggio dalla “natura delle cose”, come discrimen dell’agrarietà (di Ascarelliana memoria), al primato della tecnica in sé (Heidegger - Ellul - Severino). Va, tuttavia, osservato, anche per non “demonizzare” ruolo e funzione della tecnica, che la qualità dei prodotti alimentari può essere frutto di processi produttivi a basso impatto ambientale, all’interno dei quali i profili tecnico-scientifici sono conformati dall’indirizzo normativo (l’agricoltura biologica ne è un classico esempio): l’innovazione giuridica nel diritto alimentare, in sostanza, si pone sia come reazione che come azione (Albisinni, 2009). Il tema della qualità dei prodotti alimentari introduce altri profili giuridici, che, dal loro contenuto originario, inducono alcune considerazioni extra moenia. Il primo, collocabile all’interno dei sistemi di qualità specifici dell’Ue, attiene al rapporto tra denominazione (di origine dei prodotti) e identità. A configurare l’identità (e, dunque, la denominazione) di un prodotto agricolo o alimentare non concorre solo (o primariamente) la tecnica produttiva, poiché essa è il risultato di un sapere diffuso, di una cultura sedimentata, di una identità collettiva. La tradizione, dunque, come risorsa e la differenza come valore: il diritto, attraverso la protezione ed il controllo delle indicazioni geografiche, sostanzialmente, non fa che “codificare” i segni di una storia condivisa. Ne discende, da qui, un’ulteriore considerazione: l’alimento come bene culturale. Il luogo conta sia come supporto fisico della produzione, a cui cede le proprietà delle sue caratteristiche fisiche e chimiche, sia come prossimità geografica nella quale si è 2 costruita, nel corso del tempo, una cultura produttiva comune, che si incarna in regole e tecniche di coltivazione, in varietà autoctone, frutto dell’ “interazione di fattori naturali e umani”. Ancora, il luogo conta come cultura di consumo, nella quale l’alimento specifico ha un significato preciso legato ad eventi sociali, ricorrenze e feste religiose. La produzione e il consumo dell’alimento sono parte di un insieme di relazioni, spesso informali, che costituiscono il tessuto della vita sociale comunitaria. Nasce da questa interazione, economica, sociale e culturale il prodotto alimentare tipico, che assume le sembianze del cultural marker, come lo sono i dialetti regionali, le produzioni artigianali, il folclore locale, i sistemi di paesaggio, di flora e fauna, le attività artistiche, la letteratura, i siti archeologici. Non a caso il recente reg. Ce n. 2074/2005 ha introdotto per la prima volta una “nozione europea” di prodotti tradizionali, ovvero quelli cui il legame con la tradizione produttiva locale ed il talento dell’uomo chiamato ad intervenire direttamente nel processo produttivo conferiscono condizioni e qualità peculiari. Tra questi prodotti rientrano, probabilmente, anche le specialità tradizionali garantite, definite da ultimo dal reg. Ce n. 509/2006 (e prima, con il nome di attestazioni di specificità, dal reg. Cee n. 2082/92), la cui rilevanza va collegata all’intento di favorire la diversificazione della produzione agricola, sia per accrescere il reddito degli agricoltori, sia per mantenere la popolazione rurale in tali zone. Peraltro, tutelare il valore culturale dei prodotti tradizionali significa tutelare la diversità culturale nella sua complessità: non a caso l’art. 151 del Trattato di Amsterdam fissa quale obiettivo dell’azione comunitaria non la promozione di una cultura unica (al pari della moneta) dei paesi europei, quanto, piuttosto, la promozione delle diverse culture presenti nel corpo sociale degli Stati membri. Tornando alle questioni intra moenia, un altro importante profilo attiene alla convivenza tra sicurezza / qualità (essendo i due elementi strettamente connessi, se non il primo è da ritenersi strutturalmente ricompreso nel secondo) e alimenti geneticamente manipolati. Il fenomeno Ogm è una rappresentazione emblematica di questa dinamica, poiché oscilla tra opportunità ed incognite e, nonostante la minuziosa disciplina comunitaria (che, peraltro, consente una soglia di tolleranza di contaminazione accidentale, in cui il livello degli Ogm non deve superare lo 0,9%), suscita interrogativi di diversa natura (politici, economici, etico-identitari…), oltre a quello della coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, la cui soluzione concreta risiede, in realtà, più nei processi di autoregolamentazione tra imprenditori che nelle disposizioni di legge. Non meno significativo, ancorché recente, è l’aspetto relativo al bioterrorismo, per quanto sembrino rilevare in prima battuta dinamiche legate alla sicurezza degli alimenti, prima ancora che alla loro qualità, insidiata e/o insidiabile, tuttavia, da agenti patogeni di origine chimica o biologica. 3 A seguito dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno, infatti, pubblicato, il 12 giugno 2002, una legge sul bioterrorismo, di cui riportiamo qui, sinteticamente ma significativamente, le quattro parti relative agli scambi commerciali con i Paesi terzi: - la sezione 303, che stabilisce le modalità della consegna dei prodotti alimentari sospetti; - la sezione 305, concernente l’immatricolazione degli stabilimenti agroalimentari; - la sezione 306, relativa alle regole sulla tenuta e l’ispezione dei registri di qualità; - la sezione 307, che definisce la notifica delle spedizioni dei prodotti alimentari verso gli Usa. La stessa Unione europea, peraltro, ha previsto, nel giugno 2003, misure relative alla preparazione e reazione agli attacchi da agenti biologici e chimici [COM (2003) 320 def.], stabilendo misure di reazione multisettoriale, come la sanità degli animali, dei vegetali, delle acque e dell’ambiente (M. Lewandowski-Arbitre, 2006,). Le “declinazioni” della qualità fanno emergere, a proposito degli Ogm, un’ulteriore problematica, quella della autoregolamentazione, ovvero del ruolo dei privati (imprenditori agricoli e loro rappresentanze) nella messa in opera delle politiche pubbliche (agricole), mettendo in evidenza il ruolo del contratto rispetto alla legge. Nel caso della coesistenza tra coltivazioni, accordi negoziali tra privati (com’è avvenuto nell’esperienza della Regione Marche) hanno consentito di superare l’anelasticità applicativa di cui alla legge statale n. 5/05, non a caso “censurata” dalla Corte costituzionale. Nell’ambito del sistema e della qualità, gli operatori del settore interessato (come è avvenuto nel settore merceologico delle patate e dei succhi di frutta, ad es.) possono definire norme di commercializzazione attraverso forme negoziali di autoregolamentazione, con vantaggi sugli oneri amministrativi e sulla risoluzione delle controversie. Si tratta, insomma, anche qui, di un’ulteriore esemplificazione, sia pure in ambito agricolo, del declino della legge, da un lato, e dell’emersione del diritto negoziato, dall’altro, all’interno, peraltro, di un contesto di intervento pubblico, sempre più fondato sul principio di sussidiarietà, i cui rimandi sono rinvenibili nell’articolo 118 della Costituzione italiana, come novellata (titolo V, parte II) dalla legge costituzionale n. 3/01, e nel Trattato di Roma che adotta una Costituzione per l’Europa (art. 9). Se la sussidiarietà è strumento di attuazione delle politiche, occorre necessariamente esaminarne il contenuto, sia in ambito comunitario che nazionale. Per quanto, secondo alcune opinioni in dottrina “la Communauté a longtemps disposé d’une competence marginale en matière de qualité…” (Ngo, 2006), viene, comunque, riconosciuto che alle politiche di promozione della qualità delle produzioni, la riforma di “medio termine” del 2002 della Politica agricola comune ha attribuito un ruolo importante, prevedendo specifiche misure e conseguenti risorse finanziarie (A. Carbone – A. Sorrentino, 2005), tanto nel “primo pilastro” (politiche dei mercati) che nel secondo (politiche di sviluppo rurale). Si tratta, nel primo caso, di una misura redistributiva, ancorché rimessa alla facoltà degli Stati membri, i quali, ai sensi dell’art. 69 del reg. 1782/2003 (riconfermata dal 4 reg. n.73/2009) hanno la possibilità di scorporare dal massimale nazionale una quota fino al 10% da destinare a pagamenti supplementari destinati, oltre che per finalità ambientali, per migliorare la qualità e la commercializzazione dei prodotti agricoli. L’applicazione italiana di tali misure è stata severamente criticata, poiché ritenuta redistribuzione di risorse rispetto ad un più selettivo percorso di ri-orientamento della nostra agricoltura al mercato (F. De Filippis, 2004). Su un altro versante, si sottolinea come la misura della consulenza aziendale, o audit ex art. 13 del citato regolamento n. 1783 (riconfermata dal reg. n. 73/2009), al di là delle precise finalità a cui è destinata “potrebbe anche costituire un incentivo al superamento dei requisiti obbligatori, verso una conduzione dell’azienda in linea con le aspettative dei consumatori in tema di qualità agroalimentare” (A. Carbone – A. Sorrentino, cit., 30). La stessa misura, relativa alla salvaguardia del benessere degli animali, pur prevista tra quelle ambientali, andrebbe, secondo i citati Aa., nella direzione della differenziazione delle produzioni agro-alimentari, accogliendo le aspettative maturate dai consumatori su questo terreno. Quanto alle politiche del secondo pilastro, si tratta sostanzialmente di misure dirette all’implementazione della domanda, riguardando esse azioni promozionali e informative di prodotti agroalimentari (ex artt. 32-33, reg. n. 1698/2005) riservate a gruppi di produttori che aderiscono a sistemi di qualità. Riguardo, poi, alla dimensione nazionale degli interventi all’interno del secondo pilastro, i piani di sviluppo rurale (regionale) 2007-2013 dedicano al miglioramento della qualità della produzione e dei prodotti agricoli uno specifico sottotitolo all’interno dell’Asse I del reg. n. 1698/2005, art. 20 (miglioramento della competitività del sistema agricolo e forestale). In particolare, due sono le misure di intervento privilegiato: la Misura 134, diretta ad incentivare gli agricoltori a partecipare a sistemi di qualità alimentare certificati e la Misura 133, diretta a sostenere le associazioni dei produttori per attività di informazione e promozione, riguardo ai prodotti di qualità, per una somma complessiva di 341,4 miliardi di euro, fatta eccezione per la Provincia Autonoma di Trento (A. Fugaro, 2008): cifra che arriva a 402,3 milioni se si aggiungono le risorse previste dalla Misura 131 “sostegno all’adeguamento alle norme comunitarie”. Tuttavia, come è stato osservato, questa politica di promozione così insistita, “può essere interpretata come un prendere atto che l’intervento di regolamentazione [attraverso i “segni di qualità”], perlomeno nelle forme e nelle modalità con le quali è stato fino ad oggi realizzato, è pervenuto a conseguire solo parzialmente i suoi obiettivi” (Carbone – Sorrentino, cit.). Peraltro, l’orizzonte dei “segni distintivi” non sembra essere dei più incoraggianti, se, come è stato sottolineato, “l’allargamento delle maglie della qualità – che non può non conseguire da un approccio più flessibile al sistema, così come prospettato dalla Commissione nella Comunicazione sulla qualità dei prodotti agroalimentari – potrebbe confliggere con i principi generali dell’etichettatura degli alimenti [come] già si verifica quando si consente, per le IGP, che il limite geografico – entro cui deve avvenire 5 almeno una delle fasi produttive (unico legame materiale con il territorio) – sia individuato dal solo disciplinare, e non dal nome geografico utilizzato come segno distintivo” (Trapè, 2009). Se così è, come implementare l’efficacia della politica europea verso la qualità ? A tale proposito, vi sono risposte specifico-settoriali, da un lato ed un’impostazione sistemica dall’altro. In primo luogo, si può convenire sull’esigenza di riorganizzare alcuni dei sistemi di qualità esistenti, nel rapporto, ad es., tra decifrabilità e sovraffollamento delle informazioni. Attenti economisti agrari, ad es., ritengono “fortemente auspicabile introdurre alcune limitazioni all’esistenza di denominazioni d’origine nel caso di una loro scarsa utilizzazione prolungata nel tempo” (Carbone – Sorrentino, cit.). Una proliferazione “disaggregata” di sistemi di qualità, senza riscontro nei consumatori, potrebbe tanto vanificare l’informazione che si vuole promuovere, quanto creare forti criticità al sistema nel suo complesso, al punto da richiedere strumenti di controllo e coordinamento ai diversi livelli di intervento. Tuttavia, più in generale, la riscrittura del sistema delle qualità deve essere affrontata in una dimensione, appunto, coesa, ricomprendendovi i soggetti istituzionali, i meccanismi che ne regolano la cooperazione, le tecniche giuridiche e le stesse tecniche della comunicazione informativa, gli strumenti sanzionatori e le forme di controllo. Solo così potremo superare le asimmetrie, le tensioni, le problematiche che coinvolgono il percorso e la filiera agroalimentare della qualità. Riferimenti bibliografici F. Albisinni, Strumentario di diritto alimentare europeo, Torino, 2009; A. Carbone - A. Sorrentino, La politica europea per la qualità e la nuova Pac, in Quest. Agr., 2005/5; F. De Filippis, I pagamenti per la qualità un’occasione da non perdere, in Campagna Amica, 2004/12; A. Fugaro, La nuova politica di sviluppo rurale 2007-2013, Milano, 2008; M. Lewandowski-Arbitre, Droit communitaire de la sécurité des aliments, Parigi, 2006; A. Jannarelli, La qualità dei prodotti agricoli: considerazioni introduttive ad un approccio sistemico, in Dir. giur. Agr. amb., 2004/1; M.A. Ngo, La qualité et la sécurité des produits agroalimentaires. Approche juridique, Parigi, 2006; E. Severino, Nascere, Milano, 2004; A.I. Trapè, Qualità e competitività nelle produzioni agroalimentari. Le indicazioni geografiche tra esigenze di coerenza ed efficacia, in AIM, n. 3/08. 6