Meditazione (At 9,32-43) Dopo un versetto (At 9,31) che ci racconta

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Meditazione (At 9,32-43) Dopo un versetto (At 9,31) che ci racconta
Meditazione
(At 9,32-43)
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E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che
abitavano a Lidda. 33Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su una
barella perché era paralitico.34Pietro gli disse: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e
rifatti il letto». E subito si alzò. 35Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si
convertirono al Signore.
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A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità - nome che significa Gazzella - la quale
abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. 37Proprio in quei giorni ella si
ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. 38E, poiché Lidda
era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a
invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!».39Pietro allora si alzò e andò con loro. Appena
arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto,
che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra
loro. 40Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto al corpo, disse:
«Tabità, àlzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. 41Egli le diede la
mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva.
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La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore.43Pietro rimase a Giaffa
parecchi giorni, presso un certo Simone, conciatore di pelli.
Dopo un versetto (At 9,31) che ci racconta finalmente di un periodo di tranquillità
della comunità cristiana, eccoci ora di nuovo in cammino con Pietro, nella scia di Filippo,
che aveva evangelizzato la costa mediterranea.
Nel testo greco viene detto testualmente: «E avvenne che Pietro nel suo andare verso
tutti, arrivasse anche a visitare i santi che stavano a Lidda». Lod - dove oggi c’è l’aeroporto
internazionale di Tel Aviv - è il nome odierno che ha custodito il toponimo della città del I
secolo visitata da Pietro.
Con questa particolare sottolineatura - «Pietro nel suo andare verso tutti» - Luca già
prepara il nostro animo ad allargare i confini, a intravedere che non esiste persona a cui il
vangelo sia precluso, a cui non vada annunciata la buona notizia.
Sullo sfondo di questo brano ci sono i racconti di guarigione e risurrezione
dell’Antico Testamento, in particolare quelli di Elia (1Re 17,17-23) ed Eliseo (2Re 4,32ss),
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che converrebbe meditare per considerare nuovamente quanto l’operare di Gesù (Lc 7,1117; 8,41-56) e di Pietro sia tradizionale. L’azione taumaturgica dei profeti di Israele
continua dunque nella comunità dei discepoli di Gesù: fatto che dovrebbe far riflettere nell’intenzione di Luca - i giudei che sono ostili al movimento messianico di Gesù.
VISITATI VISITIAMO
Pietro è un uomo che ha sperimentato la visita benefica del Signore Gesù nella sua
casa a Cafarnao, e adesso visita le case di altri, ma non porta se stesso, porta Gesù. «Pietro
gli disse: “Enea, Gesù Cristo ti guarisce”». Il Signore Gesù era entrato nella casa di Pietro e
aveva detto a sua suocera: «Ti guarisco» (Lc 4,38-39): la storia della salvezza continua
perché c’è uno come Pietro che fa ciò che aveva fatto Gesù.
Il fatto che Pietro dica a Enea: «Alzati e rifatti il letto» può suonare strano, come
poteva sembrare strano che Gesù dicesse al paralitico: «Prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua»
(Lc 5,24), ma mostra una pedagogia di Gesù, di cui Pietro è seguace, indica una visita che
coinvolge, attiva, chiede compartecipazione; è sì un dono gratuito, ma mette in moto una
dinamica.
L’amore paternalista riempie di cose, però non responsabilizza, non provoca, non
mette in moto una risposta. Che differenza tra una società dei consumi e una società dove
si offrono opportunità di cui si chiede conto; che differenza tra un assistenzialismo che
crea dipendenza e un aiuto a diventare autonomi!
La gente di Lidda e del Saròn sa poi interpretare bene il segno di Pietro, perché
anch’essi si inseriscono in un processo di novità. Non si volgono verso Enea o Pietro, ma
verso il Signore: «Si convertirono» dice il testo. Dunque è gente che sa vedere bene: vedono
il segno e cambiano vita, è questo il vedere utile.
Ci sono tanti modi di vedere. La tomba di Gesù vuota l’abbiamo vista tutti, ma il
discepolo che Gesù ama e che ama Gesù vede la tomba vuota e comprende.
La notizia si diffonde anche a Giaffa (Joppe) - oggi un porticciolo di Tel Aviv raccontando che Pietro ha il dono di guarire; e quando una brava donna, Tabità, muore,
ecco che chiamano Pietro.
Quando Pietro arriva, c’è un gran tumulto e lui fa uscire tutti: è evidente anche qui
che Luca insiste sul parallelismo tra il modo di operare di Gesù e quello di Pietro. Lc 8,51 e
At 9,40 insistono sulla necessità di far uscire tutti per restare soli con la morta: perché? Il
mago punta a compiere prodigi sempre e comunque: più prodigi più gloria. Gesù, e Pietro
sulla sua scia, vogliono invece capire se la richiesta di compiere un segno miracoloso viene
da Dio e per fare discernimento bisogna pregare: nella confusione questo è impossibile.
Nel contesto della preghiera, matura in Pietro una parola da dire: «Alzati!». Siccome
questa parola è sbocciata dentro il suo cuore e affiorata sulle sue labbra per ispirazione
dello Spirito Santo, è efficace, opera ciò che dice.
In questo contesto, la notizia della guarigione di Tabità si diffonde e molti credono.
La notizia vola di bocca in bocca ma, ancora una volta, va accolta: c’è un lavorio interiore
che porta a credere nel Signore. C’è chi crede perché vede e chi crede perché sente; chi
crede perché è testimone in prima persona e chi crede attraverso la mediazione di altri
testimoni.
Notiamo anche qui come Luca sia sempre attento alle figure femminili, a metterne in
risalto le qualità positive, morali e sociali (9,36.39), il loro ruolo nel diffondersi del vangelo,
discreto ma puntuale e costante (cf. At 12,12; 16,14; 18,27).
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Così, intanto, la corsa del vangelo è arrivata al Mare Nostrum, al Mediterraneo, e le
comunità dei discepoli già presenti escono dalla visita di Pietro rafforzate e cresciute nel
numero.
I viaggi di Pietro sono tre e tre sono i racconti, di lunghezza differente: quello di Enea
brevissimo, quello di Tabità un po’ più lungo e quello riguardante Cornelio
incomparabilmente più lungo. Diverse lunghezze narrative al servizio di episodi di
differente importanza: l’episodio principale, decisivo è quello di Cornelio. Se abbiamo
ricevuto la visita di Gesù e siamo diventati discepoli è proprio perché Pietro è andato a
casa di Cornelio.
Noi siamo pagani per nascita, per tradizione, per cultura, per religione: non
apparteniamo al popolo di Israele, al popolo eletto. Se oggi siamo qui a parlare di queste
cose è perché degli ebrei sono venuti a visitare le nostre case, a portarci la buona notizia,
hanno aperto il loro patrimonio e ci hanno fatti partecipi dei tesori che erano destinati a
loro, ma che Dio nella sua bontà ha deciso di destinare anche a noi e loro hanno
acconsentito. Il fatto che la Chiesa si sia aperta ai pagani, per la nostra storia, è
immensamente più importante della risurrezione di un morto!
LASCIARCI OSPITARE PER POTER OSPITARE
Prima di esplicitare tutto questo, riflettiamo tuttavia sul fatto che il capitolo 9 si
conclude con una nota interessante: Pietro, colui che porta la visita, è ora ospitato e sarà lui
a essere visitato. Un altro Simone, di professione conciatore, lo accoglie a casa sua: Pietro
portando la visita si fa ospite. Il brano inizia con il verbo «discendere» (da Gerusalemme; il
testo CEI traduce «si recò») e termina con il verbo «rimanere»: Pietro «rimase» a casa di
Simone. Ecco di nuovo il segno di un’evangelizzazione calma e capace di vivere tempi che
noi definiremmo «morti» e che, invece, sono preziosi perché il Signore possa avere lo
spazio di agire.
Una delle caratteristiche essenziali della povertà evangelica è proprio l’essere ospiti e
non padroni di casa. La posizione dell’ospite è sempre delicata, è una posizione di
debolezza. Pietro si fa ospite, però chi lo ospita viene ospitato da Dio, perché, portando la
visita del Signore, Pietro ospita tutti nella misericordia di Dio, nella casa del Padre. Il
mestiere che esercitava Simone infatti lo rendeva poco gradito: gli studiosi indicano nella
puzza che tale mestiere comporta una inevitabile emarginazione e nel fatto di aver a che
fare con dei cadaveri la contrazione di impurità.
Certe scelte, certe svolte di fondo, non si improvvisano nella Chiesa, ci sta dicendo
Luca: certo c’è un piano di Dio all’opera, che procede con infallibile determinatezza;
tuttavia nel suo incarnarsi storico richiede una serie di passettini, a prima vista secondari,
ma che creano i presupposti perché a un certo punto avvenga una grande novità.
Anche Mosè per poter liberare il suo popolo straniero in Egitto aveva dovuto fare
l’esperienza di essere straniero a Madian, lontano dalla casa dov’era stato cresciuto, dalla
sua cultura, dalla sua lingua. È molto importante vivere sulla propria pelle quanto
chiediamo agli altri. Se non abbiamo mai fatto l’esperienza di essere ospitati non sapremo
come trattare gli ospiti.
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Formazione
Carissimi Sacerdoti, Diaconi, Seminaristi, Religiosi e Religiose, Associazioni e Movimenti,
Fedeli tutti, cristiane e cristiani della nostra amata Arcidiocesi,
due grandi eventi di Chiesa hanno segnato e sparso semi di speranza nella nostra
Comunità ecclesiale: il Sinodo Diocesano e la riapertura della nostra Basilica Cattedrale, casa
madre e casa comune di tutti i fedeli dell’Arcidiocesi.
Si sta per aprire ora un terzo importate evento diocesano. Come già preannunziato in
varie occasioni, con la celebrazione della Dedicazione della Basilica Cattedrale è stata
aperta canonicamente la Visita Pastorale alle Comunità parrocchiali dell’intera Arcidiocesi
per tutto il tempo che il Signore vorrà che ancora rimanga con voi: è motivo di gioia e di
consolazione terminare il mio ministero di Pastore proprio in mezzo ai carissimi Sacerdoti
e fedeli.
Visita Pastorale di ascolto
“La Pace di Cristo sia con voi” è il motto con il quale mi presento a voi nella Visita
Pastorale, e vuol essere soprattutto un augurio affinché la pace che viene da Cristo
abbondi sulle Comunità ecclesiali, sulle Famiglie, su tutti i singoli componenti della nostra
Chiesa, specialmente i vostri Pastori.
Ancora una volta la Chiesa gaetana, attraverso la mia presenza nelle Parrocchie, si
vuol mettere in ascolto di ognuno di voi, interrogando con più attenzione le comunità, i
gruppi e i singoli, i preti, i religiosi, i laici e soprattutto i giovani così da avere
suggerimenti e nuove idee perché sempre più autenticamente possa essere annunziato il
Vangelo di Gesù.
Collocandoci tutti nella via dell’ascolto reciproco, veniamo a porci nel solco
dell’originaria e amorosa iniziativa di Dio che trasforma ogni incontro rendendolo fraterno
e arricchente. Così, quasi senza accorgerci, ci incamminiamo per il sentiero percorso da
Maria di Nazaret, creatura dell’ascolto: l’annunciazione ce la presenta come donna “in
ascolto”, condizione esistenziale di fondo che le permette di realizzare il progetto di Dio
nella sua vita. I credenti sono per essenza gli “uditori della Parola” (Karl Rahner), “quelli che
mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori”. Solo chi sa ascoltare, è fecondo e genera
opere buone.
Visita Pastorale di incoraggiamento e di verifica
È solo attraverso la sua ricezione che un Sinodo diocesano diviene efficace,
producendo il suo effetto sulla vita della Chiesa locale. Altrimenti, il suo insegnamento
rimane un testo inerte, per non dire lettera morta. Un Sinodo che non sia recepito è un
Sinodo che rimane senza effetto, osservava già il grande teologo Congar. Nella ricezione
delle norme e indicazioni, il nostro Sinodo diocesano diventerà quasi come la carne nelle
nostre comunità parrocchiali, realizzandosi particolarmente attraverso le molteplici
iniziative pastorali.
Il mio permanere in ogni comunità parrocchiale vorrà anche aiutare a scoprire nella
realtà locale i tre ambiti che qualificano la vita ecclesiale locale, quali l’annuncio della
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Parola di Dio, la Liturgia, la Carità, evocando in modo particolare l’importanza dell’antica
massima lex orandi lex credendi (Prospero di Aquitania): la nostra preghiera è pura
rivelazione della sostanza della nostra fede.
Nella pratica liturgica si ricordi che le diverse celebrazioni hanno da essere sempre
dignitose e composte con la partecipazione di tutta l’assemblea, sia nelle preghiere che nel
canto con un cuore solo e una voce sola. Tale partecipazione realizza il coro quando aiuta
l’assemblea con un canto unanime, non con esecuzioni “a solo” o quasi private. Come
pure la lettura della sacra Scrittura deve essere accompagnata dalla preghiera, affinchè si
stabilisca un dialogo tra Dio e l’uomo: “Quando preghiamo parliamo con lui; lui ascoltiamo
quando ascoltiamo gli ammaestramenti divini” (sant’Ambrogio). Con questo stile Gesù
pregava il Padre. Dallo stile di Lui hanno imparato a pregare i suoi Apostoli e ogni suo
discepolo “sicut ipse Christus… ita eius discipuli”. Sia allora l’atteggiamento e la pratica di
Cristo Gesù a guidare e ispirare quelli dei suoi discepoli.
I Consigli pastorali parrocchiali e i Consigli per gli Affari economici siano davvero
operativi e collaborino alla corresponsabilità pastorale del Parroco in modo che egli possa
più dedicarsi al ministero della Penitenza e alla Direzione spirituale.
Inoltre nella Visita alla Veneranda Chiesa di Gaeta, che vive attraverso le sue diverse
Comunità parrocchiali, vorrò toccare con mano i molteplici elementi di criticità
riconducibili a:
• disoccupazione e precarietà economica, soprattutto a livello giovanile;
• nuove forme di impoverimento delle classi sociali medie;
• crescita di conflittualità nelle nostre famiglie;
• crescente uso di droga;
• abuso di alcol anche in giovanissima età;
• forme esageratamente statiche di religiosità popolare, che resistono al rinnovamento
evangelico;
• scarsa partecipazione alla vita ecclesiale.
Visita Pastorale e attenzione alla famiglia
Sono sotto gli occhi di tutti le fragilità della famiglia nel nostro tempo: i fallimenti
sempre più frequenti potrebbero addirittura far pensare che la famiglia sia in fase di
declino ineludibile.
Ma la famiglia ci richiama ancora al “mistero grande” che essa racchiude, alla realtà
teologica che essa rappresenta. Gli sposi cristiani infatti sono – per dirla con le parole del
Vescovo Tonino Bello – un’icona vivente della Trinità: attraverso la loro vita si può
contemplare il volto di Dio e comprendere di più chi è Dio e quale sia la sua natura
profonda. Ogni famiglia è in grado di esprimere quella ricchezza di amore che circola
all’interno della Trinità: è in grado di rendere presente sacramentalmente l’amore di Dio
nella storia degli uomini.
È una cosa stupenda! Dobbiamo guardare con questa fede alla famiglia, intuendo il
mistero profondo che c’è dentro ogni vicenda familiare: un mistero spesso nascosto e reso
indecifrabile dalla povertà umana, ma comunque presente per la grazia di Dio. La famiglia
è un segno che Dio ha posto tra gli uomini per parlare di Sé attraverso una testimonianza
umana; è un dono che Dio suscita nella comunità per la crescita di tutti.
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Credere nella famiglia
Possiamo ancora “credere nella famiglia” perché ogni storia di vero amore è una storia
abitata da Dio, è una “vera storia sacra”: Dio si è compromesso con gli sposi nel sacramento
e, dal momento che egli è un Dio fedele, non li abbandona più, nemmeno quando la loro
vicenda diventa difficile, nemmeno quando incontra il fallimento umano di un progetto.
Allora nonostante impoverimenti e dissesti dobbiamo avere occhi penetranti e capaci
di riconoscere i segni della presenza e della salvezza di Dio in ogni storia familiare.
Corriamo tante volte il pericolo di credere nelle famiglie solo se realizzano il “vangelo del
matrimonio”. Invece siamo mandati a tutte le famiglie, siamo chiamati a credere che in ogni
persona e in ogni famiglia c’è una scintilla del mistero di Dio, che si realizza al di là della
loro consapevolezza e della loro coscienza. La povertà e gli errori umani non sono mai così
gravi da essere irreparabili perché l’amore di Dio è capace di trasformare persino la valle
di Acor – che è la valle della maledizione – in “Porta di Speranza” (cfr. Osea 2,17).
Maturare questa “fede nella famiglia” significa oggi considerare la pastorale familiare
una dimensione indispensabile per edificare una Chiesa che, pure nell’esperienza della
povertà e della precarietà, abbia il volto di una famiglia, sogno sempre grande di Dio.
Noi tutti Chiesa siamo chiamati da una parte a proporre il lieto annuncio di Dio
sull’amore umano e sul progetto cristiano di famiglia; dall’altra dobbiamo sforzarci ad
accompagnare le persone nel loro cammino per far scoprire sempre la luce del mistero di
Dio che si fa carne e si compromette in ogni storia umana.
Una Chiesa vicina alle famiglie
La Chiesa deve unire all’annuncio del Vangelo del matrimonio e della famiglia una
vicinanza vera e concreta: la sua azione pastorale deve rivolgersi a tutte le coppie per
essere loro vicine e così crescere insieme. L’orizzonte è amplissimo, ma corrisponde alla
realtà stessa della comunità cristiana, che vive a contatto con tutte le famiglie e con le
variegate situazioni nelle quali oggi si vive la relazione uomo-donna. La comunità
cristiana è chiamata a creare incontri e rapporti, a dare affetto e amore: a questo tutti i
credenti possono contribuire, partendo dalla loro stessa esperienza. Al centro rimane la
“normalità della vita”, la proposta del matrimonio, l’educazione all’amore con
atteggiamenti che sanno chinarsi su ogni situazione di famiglia o su chi, pur nella
vedovanza, continua a vivere una forte comunione col proprio coniuge, e non in ultimo
sulle povertà materiali e morali, e sugli anziani. Un accompagnamento particolare e
delicato sia riservato ai giovani che scoprono l’amore, che vogliono costruire un amore
vero e che spesso fretta, inesperienza e poca educazione sciupano, quel miracolo che è
l’Amore con la lettera maiuscolo, che solo Dio poteva inventare e donare all’umanità!
Ecco allora che la comunità cristiana si scopre famiglia di famiglie, edificata dal
ministero della vita che genera ed educa, sostenuta dal ministero di santificazione e
crescita degli sposi: la Chiesa vive tra le case e si ritrova in tante chiese domestiche e si
edifica con l’amore degli sposi, si illumina degli occhi dei bambini, si sorregge
dall’esperienza degli anziani: con tutti condivide gioie e speranze, partecipa delle
disgrazie e dei lutti, si fa carico delle incomprensioni e separazioni perché per tutti vuole
rimanere sempre madre attenta, vigile e consolante.
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Evangelizzare la famiglia per evangelizzare in famiglia
L’educazione alla vita di fede è una caratteristica peculiare della famiglia cristiana.
Evangelizzare il modo di vivere dei genitori significa, allora, sostenerli nel loro ministero
di evangelizzare i figli. Il risveglio della fede dei genitori propizia il risveglio della fede dei
figli attraverso la testimonianza dei principi del Vangelo.
La catechesi per l’iniziazione cristiana, a partire da quella battesimale, deve
configurarsi sempre più come incontro salutare con i genitori, con la famiglia e con quanti
hanno cura del bambino che ancora viene accompagnato in Parrocchia manifestando un
atto di fiducia e il desiderio, quanto meno, di un “bene” da accogliere. All’Ufficio
Catechistico, che ringrazio per il generoso lavoro profuso quest’anno incontrando e riprendendo gli itinerari di formazione dei molti catechisti della nostra Chiesa diocesana, il
compito di curare questo aspetto fondamentale del ministero collaborando con l’Ufficio di
pastorale familiare per una catechesi sempre più integrata e rispondente a questo stile.
La ricchezza del Convegno diocesano
La grazia sovrabbondante che il Signore riversa sulla sua Chiesa è presente in
maniera speciale nella nostra Arcidiocesi. Nel Convegno dello scorso giugno, arricchito
dalla presenza del prof. Zamagni, sono state evidenziate dai delegati delle varie Comunità
e Aggregazioni laicali diversi elementi di positività che caratterizzano il nostro territorio:
• il senso di appartenenza alla propria comunità;
• all’interno dei nuclei familiari l’attenzione e cura delle fasce più deboli, come gli
anziani e i disabili;
• il buon radicamento alle tradizioni, soprattutto verso quelle che hanno saputo
innovarsi e crescere;
• la parrocchia e le sue strutture come significativi punti di riferimento e di
aggregazione.
A partire dalle conclusioni elaborate nei gruppi di studio del Convegno come Chiesa
diocesana siamo oggi chiamati dal Signore:
• a tessere maggiori rapporti tra presbiteri e le famiglie;
• a valorizzare la Consulta per le aggregazioni laicali, per evitare frammentazioni o
doppioni;
• a vivere la sinodalità, come stile di lavoro comune;
• ad avere attenzione premurosa alle sofferenze delle persone.
Mete pastorali per il prossimo anno
Di seguito vorrei presentare alcune mete che sento di proporre alla nostra amata
Chiesa gaetana per il prossimo anno pastorale.
Preparazione alla vita matrimoniale.
All’Ufficio di pastorale familiare, che ringrazio per il generoso impegno profuso in
quest’ultimo anno, do incarico affinché, facendo seguito alle richieste manifestate da
diverse comunità parrocchiali e rinnovate nel nostro Convegno diocesano dello scorso
giugno, possa essere elaborato uno strumento comune per i corsi di formazione alla vita
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matrimoniale: tale itinerario potrà costituire un valido aiuto per tutte le comunità e un
segno del cammino unitario, che nel Sinodo abbiamo auspicato.
Gruppi famiglie
In ogni comunità si costituiscano gruppi famiglie nei quali sperimentare modalità nuove
che possano meglio coniugare la necessaria formazione e il servizio pastorale. In questo
contesto un’attenzione particolare dovrà essere rivolta alle famiglie in crisi: è ormai improrogabile ripensare in maniera più organica la vicinanza alle situazioni particolari dei
battezzati separati, dei battezzati divorziati, dei battezzati divorziati e risposati o
conviventi, e alla più ampia condizione delle persone battezzate che convivono. Anche per
le famiglie provenienti da altri Paesi non manchi una attenta cura pastorale.
Il Consultorio diocesano
La costituzione di un nuovo Consultorio diocesano è quanto mai necessaria in quanto
“segno pubblico della Chiesa e luogo nel quale, in modo esplicito, la promozione e la salvaguardia
dei valori del matrimonio, della famiglia, della vita, della sessualità e dell’amore avvengono
conformemente alla fede e alla morale evangeliche, autenticamente interpretate e proposte dal
magistero della Chiesa” (DPF 251). Il Consultorio costituisce una testimonianza originale e
concreta “che il messaggio cristiano non è contro l’uomo, ma per è per l’uomo, per la sua vita, per
il suo amore, nella pienezza della loro verità: la fede cristiana, infatti, costituisce l’unica risposta
pienamente valida ai problemi e alle speranze che la vita pone ad ogni uomo, ed è fonte di autentica
felicità” (DPF 251). All’Ufficio di pastorale familiare affido il compito di coordinare la
costituzione e l’attività di questo importante segno di speranza per la nostra Chiesa locale.
L’aiuto alle famiglie in difficoltà
L’Ufficio di Pastorale familiare abbia un’attenzione particolare nel sostegno alle famiglie in
difficoltà e in collaborazione con la nostra Caritas diocesana metta in atto iniziative capaci
di fornire loro sostegno e speranza.
Tali mete pastorali potranno essere raggiunte imparando a valorizzare le preziose
risorse presenti nella nostra amata Arcidiocesi e nelle comunità parrocchiali:
• i sacerdoti, le congregazioni religiose femminili e maschili, i diaconi permanenti;
• il Consiglio pastorale diocesano e i Consigli pastorali parrocchiali;
• i componenti dei diversi Uffici e Servizi diocesani che stanno crescendo nella
collaborazione e nella comunione;
• gli operatori pastorali parrocchiali, lievito prezioso da condividere;
• le Aggregazioni laicali, con tutta la ricchezza della loro esperienza, carismi e
peculiarità;
• le tante persone di buona volontà, che aspettano il “sapore dell’invito” per andare a
lavorare nella vigna del Signore.
La realtà più importante di oggi è questa: non portiamo una perlina in più, ma
impariamo a dare importanza al filo assolutamente indispensabile perché vi sia la
collana stessa! Questo filo sorregge e valorizza anche le perline scheggiate, quelle fragili o
meno lucenti, perché tutti, come perline, più o meno belle, siamo uniti e sostenuti da quel
filo che è Cristo Gesù.
La più bella, più esemplare e più santa tra le famiglie, ossia quella di Gesù, Maria e
Giuseppe risplenda sempre dinanzi ai nostri occhi, riscaldi i nostri cuori e rafforzi i nostri
propositi di volerla sempre più imitare.
Nel salutare voi tutti e ogni famiglia sentitemi vicino nella gioia e nei momenti di
difficoltà. Con ogni benedizione!
Gaeta, 1 ottobre 2014
Memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino
+ Fabio Bernardo
Arcivescovo