Grafica Antica Antiquarius

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Grafica Antica Antiquarius
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Grafica Antica
Catalogo 46
Antiquarius
Grafica Antica
Catalogo 46
Antiquarius Srl
Corso del Rinascimento 63 - 00186 Roma
Telefono: ++39 06 68802941
Fax: ++39 06 97619193
Partita IVA IT09749601002
Orario della Galleria: 9:30-13:30 e 15:30-19:30
Chiuso la domenica e il lunedì mattina
sito web:www.antiquarius.it
e-mail: [email protected]
Scuola Tedesca XV secolo
Scene della Vita di Cristo
Xilografia, ultimo quarto del XV secolo, finemente colorata ad acquarello.
Bellissima prova, impressa su carta vergata priva di filigrana, con margini, pieghe di carta e piccoli restauri, perfettamente eseguiti, visibili al verso, per il resto
in ottimo stato di conservazione.
La composizione presenta al centro la figura di Cristo seduto su una pietra, con
i polsi legati e il capo coronato di spine e circondato dall’aureola. Intorno, 7 episodi della vita di Cristo, disposti su 3 lati, così che, rispettando la forte simbologia cristiana legata al numero 3, le illustrazioni sono 3 per ogni lato. Gli episodi,
ad eccezione di uno raffigurante la Circoncisione di Gesù, sono tutti ispirati al
ciclo della Passione di Cristo: Gesù nel giardino degli Ulivi; Gesù alla colonna;
Gesù deriso dai soldati; Gesù spogliato delle vesti; Gesù inchiodato alla croce; e
infine Gesù morente. La disposizione delle scene non segue un ordine cronologico, secondo un uso riscontrabile anche nell’iconografia cristiana più antica.
L’opera non è censita dalle bibliografie consultate.
Dimensioni 214x285.
I
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Scuola Fiorentina XV secolo
San Girolamo nel deserto
Bulino, circa 1500, privo di firma. Magnifica prova, impressa su carta vergata
coeva priva di filigrana, con margini, in eccellente stato di conservazione.
La composizione, attribuita in passato dal Bartsch a Gaspar Reverdy, dal
Passavant a Nicoletto da Modena, e da Hind al Robetta, viene recentemente
assegnata ad anonimo artista di Scuola Fiorentina di fine XV secolo. Come fa
giustamente notare Hind, l’opera mostra chiaramente gli influssi della grafica di
Antonio Pollaiolo, risultando stilisticamente molto simile ad un’altra incisione
di derivazione del maestro: il Combattimento tra due centauri (Hind D.I.6). Sono
numerose, infatti, le affinità stilistiche tra i due lavori, in particolare nella maniera di incidere gli arbusti e nelle ombreggiature. Hind sostiene che le due opere
sono entrambe di derivazione dal Pollaiolo e suggerisce come autore Lucantonio
degli Uberti, rintracciando nella sua Ultima Cena (Hind D.III.1) delle chiare somiglianze grafiche. Bellissimo esemplare di questa affascinante opera.
Timbro di collezione al verso non identificato
Bibliografia: Bartsch XIV, 472, 13 (Reverdino); Passavant 114; Hind, Robetta, 50;
Hind, Early Italian Engraving, p. 216, D.IV.3. Dimensioni 172x220.
II
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Albrecht Dürer
(Norimberga 1471 – 1528)
Stemma araldico con leone e gallo
Bulino, 1500 circa, monogrammato in lastra in basso a destra. Esemplare nella
prima variante di sette descritte dal Meder. Magnifica prova, ricca di toni,
impressa su carta vergata coeva con filigrana “alta corona” (Meder 20 tipica di
questa prima tiratura), completa della linea marginale, piccoli interventi di
restauro agli angoli, perfettamente eseguiti, in ottimo stato di conservazione.
Sebbene presentata dal Dürer a Re Cristiano di Danimarca nel 1521, e ricordi alla
lontana lo stemma nobiliare della famiglia Tetzel di Norimberga, l’opera sembra
un lavoro di pura fantasia. Heller sosteneva che rappresentasse una sorta di allegoria di devozione, fedeltà ed attenzione verso qualcuno. Insieme alla successiva opera del 1503, Stemma con il teschio, questo lavoro nasce con il preciso intento, da parte dell’autore, di mostrare il virtuosismo tecnico e l’abilità nell’uso del
bulino. Elementi stilistici inducono gli studiosi a datare questa lastra al 1500
circa, tuttavia sembra possibile che le due opere siano state realizzate nello stesso anno, nel 1503. Le due opere costituiscono un primo esempio di capriccio.
Capolavoro dell’arte ornamentale.
Bibliografia: Meder 97 a/g; Strauss, The intaglio prints of Albrecht Dürer, p. 96,31;
Panofsky 207; Salamon, Albrecht Dürer, Bulini, puntesecche, acqueforti, 25.
Dimensioni 120x185.
III
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Albrecht Dürer
(Norimberga 1471 – 1528)
San Girolamo nello studio
Bulino, 1514, monogrammato e datato in lastra in basso a destra. Bellissima
prova, nella seconda variante di sei descritte da Meder, prima dei graffi di lastra
nel soffitto e nella porta, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, rifilata al rame, piccoli restauri perfettamente eseguiti all’angolo inferiore destro e
nella parte superiore centrale, per il resto in ottimo stato di conservazione.
L’analisi di questa magnifica opera non può prescindere e non includere gli altri
due capolavori al bulino del Dürer: Il Cavaliere, la Morte ed il Diavolo (1513) e la
Melancolia I (1514). I tre grandi capolavori del maestro di Norimberga sono noti
anche con il nome di Meisterstiche (capolavori al bulino) ed esprimono la concezione filosofica che l’artista aveva dell’arte, della cultura e della religione. Dürer,
uomo di cultura, realizza il Cavaliere quale simbolo della “vita activa” e San
Girolamo quale espressione della “vita contemplativa”, entrambi dediti, anche se
in maniera opposta, ad una vita al servizio di Dio; infine, incide la Melancolia
quale espressione di una vita raziocinante che forse si potrebbe riassumere come
in “alternativa a Dio”. Nella prima, il cavaliere procede fiero, apparentemente
indomito, ma al suo fianco lo fissa il ghigno della morte, che leva verso di lui,
perché possa vederla, la clessidra che segna il suo tempo, e dietro di lui cammina mostruoso il diavolo. Le due tenebrose figure lo hanno seguito fuori della
caverna, seguono il suo passo, lo affiancano, e il magnifico destriero che cavalca
non potrà portarlo lontano da loro. Ritroviamo la clessidra sopra il capo di San
Girolamo, assorto nei suoi studi, mentre gli animali domestici e quelli feroci
sono acquietati sul pavimento davanti a lui. Il cavaliere e il Santo: due diverse
espressioni per esorcizzare la morte e l’angoscia della morte. La terza incisione
riguarda direttamente lui, Albrecht Dürer, rappresentato da quel personaggio
scomodamente rannicchiato su una pietra in un atteggiamento di sconforto e di
angoscia. Il Panofsky osserva come il contrasto troppo evidente tra i due lavori
del 1514, il San Girolamo e la Melancolia, è sicuramente voluto, quasi fossero complementari. La conferma è il fatto documentato, che l’artista vendeva i due fogli
sempre insieme e che i collezionisti ne discutevano tenendoli fianco a fianco.
Magnifica prova.
Bibliografia: Meder 59 b/f; Strauss, The intaglio prints of Albrecht Dürer, p. 212, 77;
Panofsky 167; Salamon, Albrecht Dürer, Bulini, puntesecche, acqueforti, 52.
Dimensioni 188x247.
IV
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Hieronimus Hopfer
(Ausburg 100 circa – Norimberga 1563)
San Girolamo nel deserto
Acquaforte su ferro, firmata in lastra al centro. Da un soggetto di Albrecht Dürer.
Esemplare nel primo stato di due, avanti il numero. Bellissima prova, impressa
su carta vergata coeva con filigrana ”piccolo stemma araldico”, rifilata al rame,
in ottimo stato di conservazione.
La composizione deriva dall’analoga incisione di Dürer, databile al 1496 circa,
realizzata al ritorno dal suo primo viaggio in Italia. In precedenza, l’iconografia
classica del Santo nel Nord Europa non contemplava la sua raffigurazione nel
deserto. San Girolamo trascorse quattro anni nel deserto siriano da eremita, praticando un rigoroso ascetismo e percuotendosi il petto per sfuggire alle tentazioni. La pietra con la quale si percuote è un’invenzione posteriore, mentre il
leone e il Crocifisso sono due degli elementi ricorrenti nell’iconografia.
Nell’incisione sono presenti alcune macchiette, soprattutto nei bordi, dovute
all’ossidazione della lastra di ferro. Contrariamente agli altri maestri del bulino
attivi a Norimberga, Hieronimus Hopfer era solito realizzare le proprie incisioni all’acquaforte e su lastra di ferro anziché di rame. Esemplari di primo stato
sono assolutamente rari.
Ex collezione G. Usslaub (Lugt 1221)
Bibliografia: Bartsch 19; Hollstein 22 I/II. Dimensioni 148x231.
V
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Vincenzo Caccianemici
(attivo a Bologna fino al 1542)
Diana cacciatrice
Bulino, circa 1540, monogrammato in lastra in basso al centro. Bellissima prova,
prima dei ritocchi a bulino, impressa su carta vergata coeva con filigrana “ancora nel cerchio”, rifilata alla linea marginale, restauro perfettamente eseguito
all’angolo superiore destro, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Il soggetto è ispirati ad un disegno perduto del Parmigianino. La stampa, inserita dal Bartsch tra le opere anonime, è stata in passato attribuita da Oberhuber
al Bonasone, fino alla recente attribuzione della Catelli al Caccianemici, poi successivamente confermata da altri studiosi. Vasari parla del Caccianemici come di
un nobiluomo bolognese che amava dipingere usando dei colori estremamente
buoni, e che realizzò alcuni dei disegni finiti in suo possesso. Caccianemici imitava la maniera del Parmigianino lavorando per puro piacere, facendo spesso
dono delle sue opere agli amici. La sua produzione a noi oggi nota consiste solo
in un’acquaforte, due bulini ed un disegno. Sebbene conosciuta in un solo stato,
Diana cacciatrice sembrerebbe avere più tirature; recentemente un’esemplare di
tiratura tarda è apparso nella vendita di Bassange. Rara ed affascinante opera.
Bibliografia: Patricia Emison, The Simpe Art, Printed Images in a n Age of
Magnificence, p. 52, 27; Massari, Giulio Bonasone, 16; Catelli Isola, p. 33, 9.
Dimensioni 380x260.
VI
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Enea Vico
(Parma 1523 – Ferrara 1567)
Virgilio punisce la cortigiana che l’aveva deriso
Bulino, 1542, datato e monogrammato in lastra in basso. Da un soggetto di Perin
del Vaga. Esemplare nel probabile secondo stato di due con l’indirizzo dell’editore Antonio Salamanca. Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, rifilata al rame o con sottili margini, in perfetto stato
di conservazione.
Il soggetto deriva da una leggenda popolare medievale narrata da Boccaccio,
secondo la quale Virgilio amava la figlia di un imperatore, che tuttavia si fece
beffe di lui, issandolo entro una cesta da una finestra ed esponendolo al ridicolo. Il poeta si vendicò con una magia, gettando la città nell’oscurità per diversi
giorni e facendo in modo che l’unica maniera di accendere una torcia fosse quella di metterla a contatto con il corpo nudo della giovane. Questa allegoria del
conflitto dei sessi è tipica del primo Rinascimento, ed è ripresa soprattutto nell’arte grafica dei maestri tedeschi. Tuttavia, è quasi sempre rappresentata la
scena del poeta nella cesta, mentre l’iconografia della cortigiana che brucia a
contatto della torcia è molto più inusuale. L’opera riprende un disegno di Perin
del Vaga ed appartiene al periodo romano del Vico. Il Bartsch non cita l’indirizzo del Salamanca e quindi, in maniera dubitativa, potrebbe trattarsi di un secondo stato, sebbene il Salamanca sia stato, assieme a Tommaso Barlacchi, l’editore
per il quale l’artista lavorava principalmente.
Magnifica prova di questo raro lavoro.
Ex collezione Brentano-Birkenstock (Lugt 345)
Luciana Simonetti (Lugt 3616)
Bibliografia: Bartsch 46. Dimensioni 275x183.
VII
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Hans Sebald Beham
(Norimberga 1500 – Francoforte 1550)
Adamo ed Eva
Bulino, 1543, datato e monogrammato in lastra in alto a sinistra. Da un soggetto
di Bartel Beham. Esemplare nel terzo stato di cinque. Magnifica prova, ricca di
toni, impressa su carta vergata coeva, rifilata al rame, traccia di piega verticale
nel mezzo, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Il tema della Tentazione è in assoluto uno dei più affascinanti e rappresentati dell’arte medievale. Nell’iconografia classica, Adamo ed Eva, nudi, sono rappresentati in piedi accanto ad un albero, di solito un melo, sul cui tronco è attorcigliato un serpente, ed Eva è raffigurata nell’atto di cogliere il frutto o col il frutto già colto nella mano. In quest’opera di Beham l’albero, che rappresenta Dio ed
il Demonio, assume la forma di uno scheletro che abbraccia Adamo ed Eva. Ciò
rappresenta una chiara contrapposizione alla classica simbologia dell’albero
della vita nel giardino dell’Eden , e traduce la visione Agostiniana del Peccato
Originale. Il tema era molto in voga negli ambienti letterari tedeschi del primo
‘500 e fu riassunto da Cornelio Agrippa nel libro De originali peccato, edito ad
Anversa nel 1529, che influenzò l’arte e le rappresentazioni del soggetto.
Secondo il pensiero di Agrippa, il serpente oltre a rappresentare il controllo sull’umana sessualità, simboleggerebbe l’organo sessuale maschile. Magnifica
prova di questa affascinante incisione.
Bibliografia: Pauli 7 III/V; Bartsch 6; Hollsetin 7; Gooddard, The World in miniature Engravings by the German Little Masters, p. 115, 27. Dimensioni 56x82.
VIII
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Niccolò Rossigliani detto Il Vicentino
(attivo a Vicenza 1540 - 50)
L’adorazione dei Magi
Chiaroscuro in due legni, monogrammato e datato in lastra in basso a sinistra.
Esemplare nel secondo stato di due con il monogramma di Andrea Andreani, e
la data 1605. Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, completa della linea marginale, in ottimo stato di conservazione.
La composizione riprende, seppure con notevoli differenze, un disegno del
Parmigianino. Secondo altri studiosi si tratterebbe di una nuova tavola, non
catalogata, eseguita dallo stesso Andreani (Mantova 1540 circa – 1623) in sostituzione di quella del Vicentino. Personalmente, ritengo che questa opera rappresenti il secondo stato della matrice. L’Andreani, celebratissimo in vita, fu
invece severamente giudicato in seguito. La critica più grave che gli viene mossa
è di aver fatto uso di alcuni chiaroscuri di Ugo da Carpi e dei suoi seguaci del
primo Cinquecento, apponendo la sua sigla alle matrici originali e ristampandole per la vendita.
Bibliografia: Bartsch, Chiroscuro Woodcuts, volume XII p.26, 2. Gori Gandellini,
Notizie degli intagliatori, p. 170, xxxi; A. Petrucci, Il “chiaroscuro” italiano, in
L’Italia letteraria,VIII(1932), n. Dimensioni 240x162.
IX
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Matthias Gerung
(Nördlingen circa 1500 – Lauingen 1570 )
San Giorgio
Xilografia, 1550, datata e monogrammata in tavola in basso. Magnifica prova,
impressa su carta vergata coeva con filigrana non leggibile, completa della parte
incisa, lieve piega di carta all’angolo superiore destro, per il resto in perfetto
stato di conservazione.
Matthias Gerung, nella vecchia letteratura Geron Mathias, è stato un pittore tedesco e incisore. Era probabilmente il figlio del violinista Matthias e allievo di Hans
Schaufelin, sebbene qualcuno dica di Hans Burgkmair . Oltre ad essere un pittore, è anche conosciuto come maestro nell’intaglio silografico, soprattutto per
l’illustrazione della Bibbia di Ottheinrich , che è uno dei più preziosi manoscritti miniati del mondo. Il Nagler gli attribuisce 23 lavori differenti, alcuni dei quali
multipli, per la maggior parte a carattere religioso, non citando quest’opera.
Sebbene priva della classica scena dell’uccisione del drago, questo lavoro sembrerebbe rappresentare San Giorgio, Santo - cavaliere che più di ogni altro ha
rappresentato l’ideologia cavalleresca, difensore degli innocenti e antagonista
vittorioso sul Male.
Bibliografia: Nagler, Die Monogrammisten, pp. 569/573, 1824.
Dimensioni 270x310.
X
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Scuola di Fontainebleau
Una Sibilla
Acquaforte bulino, priva di data e firma, circa 1550. Da un soggetto del
Primaticcio. Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana
“grappolo d’uva con lettere CB” (carta francese databile alla seconda metà del
XVI secolo), rifilata al rame, in ottimo stato di conservazione.
L’opera è tratta da un disegno di Francesco Primaticcio, per la prima volta tradotto a stampa da Antonio Fantuzzi, databile al periodo 1540 - 45. Rispetto
all’incisione del Fantuzzi, questa lastra è in controparte. Dal punto di vista stilistico, l’incisione è più statica e meno pittorica. Si avvicina, per aspetti tecnici, ad
alcune opere di Leon Davent (Zerner 64 e 65) che mostrano meno virtuosismo
nell’uso del bulino e che il Nagler attribuisce alla mano di Leonard Thiry.
Francesco Primaticcio detto il Bologna, era pittore, scultore e architetto (Bologna
1504 - Fontainebleau 1570). Nel 1531, fu chiamato da Francesco I a Fontainebleau
per collaborare alla decorazione del castello, cui soprintendeva Rosso
Fiorentino. Lo stile del Primaticcio, che risentì del contatto con il Rosso e della
pittura emiliana, diede un notevole contributo a quella particolare maniera
decorativa che trovò in Fontainebleau il suo centro di sviluppo e di irradiazione.
Alla morte del Rosso (1540), il pittore divenne soprintendente della fabbrica e
pittore di corte, assolvendo da allora soprattutto a funzioni direttive e progettuali. La sua opera è quasi completamente distrutta o alterata, ed è documentata da numerosi disegni e dai pochi quadri che gli sono attribuiti. Leonard Thiry,
pittore e disegnatore fiammingo, ha lavorato come assistente di Rosso
Fiorentino a Fontainebleau, e successivamente sotto Francesco Primaticcio. Non
è possibile identificare il suo contributo ai dipinti della galleria, ma era attivo
come disegnatore intorno al 1540. I suoi soggetti sono incisi da Leon Davent,
Renè Boivyn ed altri. Non descritta dalla bibliografie.
Bibliografia: Zerner, The School of Fontainebleau, 73; H. Zerner, The illustrated
Bartsch. Italian artists of the sixteenth century. School of Fontainebleau, 32, Reed &
Wallace, Italian etchers of the Renaissance and Baroque, p. 27; F. Herbet, Les graveurs
de l’Ecole de Fontainebleau, pp. 53-87, 53; Le Beau Style, Gravures Manieristes de la
collection Georg Baselitz, 104; Bartsch XVI, 2. Dimensioni 172x236.
XI
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Dirk Volkertsz Coornhert
(Amsterdam, 1522 – Gouda 1590)
Balaam e l’Angelo
Bulino, 1554, firmato in lastra in basso a sinistra. Da un soggetto di Maarten van
Heemskerck. Esemplare nel secondo stato di due, con l’indirizzo dell’editore
Theodor Galle in luogo di quello di Hieronimus Cock. Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva, irregolarmente rifilata al rame, leggere abrasioni perfettamente restaurate, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Il soggetto, inserito tra rovine classiche alla maniera di Heemskerck, raffigura il
racconto di Baalam e l’asina. L’episodio è narrato nella Bibbia, nel Libro dei
Numeri: il re di Moab manda un’ambasciata a Balaam per chiedergli di raggiungerlo e sostenerlo contro gli Israeliti, offrendogli grandi onori. Balaam accetta e
parte, ma durante il viaggio l’asina che sta cavalcando si arresta alla vista di un
angelo con la spada sguainata, che è però invisibile al suo padrone. L’uomo inizia così a percuotere la povera bestia, che ottiene all’improvviso di potere di parlare e chiedere ragione a Balaam del suo comportamento (le parole dell’asina, in
latino, si leggono nella parte inferiore della lastra), finché anche lui non vede
l’angelo. La visione portò alla conversione di Baalam. Nella Bibbia l’apparizione
dell’angelo viene considerata come la prefigurazione dell’apparizione di Cristo
e, pertanto, è spesso tema dell’arte religiosa nelle chiese romaniche e gotiche.
Maarten van Heemskerck (1498 - 1574) è stato un pittore olandese del periodo
detto rinascimento transalpino. La sua arte è stata influenzata dal viaggio in
Italia, dove resterà per 4 anni a Roma, dedicandosi soprattutto allo studio dell’antico, mediante l’esercizio del disegno. Ritornato in patria, continuerà a rappresentare nei suoi quadri le antiche rovine di Roma usate per ambientare soggetti anche eterogenei. Si dedica anche alla grafica, caratterizzata da un particolare manierismo appreso in Italia, che ricorda il Parmigianino ed il Pontormo.
Intuendo la grande potenzialità dell’incisione per la traduzione dei suoi disegni,
inizia la collaborazione con alcuni editori ed incisori quali Hieroniums Cock.
Sono note circa 600 incisioni derivanti dai suoi disegni. Dirck Volkertszoon
Coornhert nacque ad Amsterdam. Dopo aver viaggiato in Spagna e in Italia, si
stabilì ad Haarlem. Per molti anni Coornhert si guadagnò da vivere come incisore, realizzando opere pregevoli e annoverando artisti quali Hendrick Goltzius
fra i suoi allievi. Rara incisione.
Bibliografia: The New Hollstein 77 II/II; Riggs, Hieronimus Cock, 108-09; The
Illustrated Bartsch 55,10. Dimensioni 420x294.
XII
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Giulio Bonasone
(Bologna 1501 circa – 1576 circa)
Sacra Famiglia Canigiani
Bulino, circa 1560, firmato in lastra in basso a destra. Da un soggetto di Raffaello.
Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana “corona sormontata da una stella”, rifilata al rame su tre lati, con margini in altro.
La stampa è tratta dal disegno preparatorio per il dipinto di Raffaello raffigurante la Sacra Famiglia eseguito nel 1506 per Domenico Canigiani, ora conservato alla Pinacoteca di Monaco. L’ipotesi è confermata da restauri recenti del dipinto, che hanno riportato alla luce gli angeli nel cielo. L’incisione è databile al 1560,
in base alla complessa qualità del sistema grafico articolato attraverso gradazioni equilibrate di penombre e riflessi. Scarse le notizie biografiche sul Bonasone;
i termini cronologici della sua attività sono il 1531 e il 1574, date che figurano
nelle sue stampe. Dal nome degli editori - calcografi che a un certo punto sono
romani (Salamanca, Barlacchi, Lafréry), si può dedurre che fu a lungo a Roma,
ma certo ritornò a Bologna, dato che nel 1556 vi è citato come membro della
compagnia delle Arti. L’attività di disegnatore e incisore del Bonasone è caratterizzata da un acceso desiderio di appropriarsi di tutto ciò che lo circonda con
risultati ineguali e spesso contraddittori: nessuno fu così vario, incoerente eppure mosso da grandi aspirazioni come lui. Egli si dimena, tra una riproduzione e
l’altra, per dar vita ad un suo mondo, cioè per “inventare”, ma il più delle volte
non riesce che a “imitare” e finisce col dichiararlo, facendo dell’imitazione il suo
ideale. Rara opera.
Bibliografia: Bartsch, XV, p. 128, 65; Massari, Giulio Bonasone, 126; Raphael Invenit,
p. 107, X, 1. A. Petrucci, Giulo Bonasone, in Dizionario Biografico degli Italiani.
Dimensioni 243x397.
XIII
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Andrea Meldolla detto Schiavone
(Zara circa 1510 – Venezia 1563)
Ecce Homo
Xilografia, circa 1560, priva di firma. Bellissima prova, ricca di toni, impressa su
carta vergata coeva priva di filigrana, completa della linea marginale, piccoli fori
di tarlo perfettamente restaurati, per il resto in ottimo stato di conservazione.
L’opera è sconosciuta alle bibliografie e può essere riconducibile ai lavori di
scuola veneta di metà XVI secolo. Tiziano, intuendo la grande potenzialità della
silografia nella traduzione dei suoi disegni e delle visioni più audaci, affidò ad
un gruppo di artisti - composto tra gli altri da Domenico Campagnola, Nicolò
Boldrini, Giovanni Britto e Giuseppe Scolari - la realizzazione di questi “disegni
intagliati in legno”. Andrea Meldolla, già allievo e traduttore al bulino del
Parmigianino, è autore certo di tre silografie, diverse per loro nello stile esecutorio. Il Cristo Deriso e la Sepoltura di Cristo presentano eleganze di modi ed una
chiarezza lineare che derivano dall’influsso esercitato dall’arte del Salviati, mentre lo Sposalizio mistico di Santa Caterina mostra il vigore di alcune silografie giovanili di Domenico Campagnola. Il tema del Cristo di fronte a Pilato è il più ricorrente nel catalogo maturo del Meldolla; ne esistono, infatti, quattro versioni pittoriche diverse, divise fra le Gallerie dell’Accademia di Venezia, il Museo nazionale di Stoccolma, le Royal Collections di Hampton Court e il Kunsthistorisches
Museum di Vienna. A questa serie si può idealmente affiancare il Cristo davanti
a Erode del Museo di Capodimonte. Il Meldolla rinforzò qui l’impianto chiaroscurale, insistendo su uno sfondo buio e su tonalità brunite appena ravvivate da
accensioni luministiche preziose e sottilmente calibrate, proprio come in questo
lavoro silografico. Il Richardson fa notare come le incisioni del Meldolla , sebbene siano basate su composizioni di altri artisti, siano interpretazioni libere o
copie creative. Rarissima ed interessante opera, attribuibile allo Schiavone.
Bibliografia: Muraro & Rosand, Tiziano e la Xilografia Veneziana del Cinquecento,
pp. 140/143; Richardosn 1980, pp. 104/108; Da Tiziano a El Greco, pp. 23-25, 130137, 300-313; Bortolotti, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73.
Dimensioni 190x281.
XIV
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Cerchia di Andrea Meldolla detto Schiavone
(Zara circa 1510 – Venezia 1563)
San Filippo
Acquaforte, priva di data e firma, circa 1560 - 70. Da un soggetto del
Parmigianino. Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, rifilata alla linea marginale, lievissima gora d’acqua, per il resto in ottimo
stato di conservazione.
L’opera, incisa nello stile dello Schiavone, fa parte della serie di 13 incisioni raffiguranti Cristo e gli Apostoli (Bartsch 36-50; Richardsn 38-49) relative ad un
popolare modello sviluppato dal Parmigianino e già tradotto a stampa dal
Maestro FP. Nelle figure dei santi interpretate dal Meldolla tuttavia è chiara l’influenza esercitata dai lavori a chiaroscuro di Domenico Beccafumi. Questo lavoro, non terminato, non raggiunge l’incredibile livello pittorico dell’analoga
opera dello Schiavone. Andrea Meldolla deve il suo soprannome alla terra d’origine, la Slovenia. Non si hanno notizie sulla sua formazione, ma la produzione grafica e pittorica rimanda all’arte del Parmigianino. Autore di opere di soggetto profano, soprattutto mitologico, Meldolla occupa un posto importante
nella storia dell’incisione, soprattutto per il suo magistrale uso della puntasecca. Rarissima.
Bibliografia: Bartsch 43; Richardson 43. Dimensioni 124x221.
XV
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Philip Galle
(Haarlem 1537 – 1613)
Allegoria della Musica
Bulino, circa 1560, firmato in lastra in alto a sinistra. Da un soggetto di Frans
Floris. Esemplare nel primo stato di due, edito da Hieronimus Cock. Magnifica
prova, impressa su carta vergata coeva, con filigrana “due colonne intrecciate
con corona e scritta Edmon Denise” (simile a Briquet 4434), rifilata al rame,
restauro perfettamente eseguito nell’angolo inferiore destro, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Frans Floris, più correttamente Frans de Vriendt, detto Floris (1517 – 1570) fu
uno dei maggiori esponenti del Manierismo italiano in Olanda. Il tema dell’allegoria della musica viene affrontato da Floris dopo il ritorno dal viaggio in Italia
(1542-46), come dimostra la stessa composizione. Philip Galle era incisore ed editore, pupillo di Dirck Volkertszoon Coornhert. Dopo un inizio di carriera nella
sua città natale dove incide perlopiù lavori da Marten van Heemskerck, si trasferisci ad Anversa, dove lavora tra il 1557 ed il 1563 alle dipendenze di
Hieronimus Cock. Dal 1563 diviene un editore indipendente, incidendo o stampando opere da Stradano, Marten de Vos ed altri. L’opera viene datata al 1560
circa, in quanto relativa al periodo nel quale il Galle lavorava alla bottega del
Cock. Bellissimo esemplare.
Bibliografia: Sellink/Leesberg, The New Hollstein, 390 I/II. Dimensioni 345x260.
XVI
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Jost Amman
(Zurigo 1539 – Norimberga 1591)
Torneo a cavallo in Vienna
Xilografia, 1565, datata e monogrammata in tavola in alto a destra. Bellissima
prova, omogenea, impressa su carta vergata coeva con filigrana “scudo con
croce di Basilea”, con sottili margini, in ottimo stato di conservazione.
Scena raffigurante un torneo di cavalieri con lancia e spada in una piazza di
Vienna. Jost Amman può essere considerato come uno dei maestri dell’incisione
silografica, ed è celebrato per le sue opere, principalmente realizzate per illustrazioni di libri. Nativo di Zurigo, si trasferisce nel 1560 a Norimberga dove
apprende l’arte incisoria alla bottega di Virgil Solis, e dove risiede per il resto
della vita. La sua opera grafica a stampa è assolutamente impressionante e consiste in circa 1.500 lavori. Le sue silografie sono accurate e dettagliate, e forniscono uno specchio della vita sociale del tempo. Bellissima prova.
Bibliografia: Andersen I, 69; Hollstein 1549a. Dimensioni 350x204.
XVII
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Ferdinando Bertelli
(attivo a Venezia 1561 -71)
La Deposizione
Acquaforte e bulino, circa 1566/68, monogrammata in lastra in basso a destra.
Da un soggetto di Battista Franco. Esemplare nel primo stato di due, avanti la
cancellazione del monogramma del Bertelli. Magnifica prova, impressa su carta
vergata coeva priva di filigrana, con sottili margini o rifilata al rame, piccoli
interventi di restauro perfettamente eseguiti all’angolo inferiore destro e nel
margine inferiore, per il resto in ottimo stato di conservazione.
L’opera deriva dall’incisione di Battista Franco, rispetto alla quale è in controparte, ed è assolutamente rara. Attribuita erroneamente a Domenico Zenoi, il cui
nome appare in basso al centro quale editore della lastra, probabilmente per il
fatto che negli esemplari di secondo stato il monogramma del Bertelli è abraso.
Ferrando o Ferdinando Bertelli è membro della famiglia di editori, incisore e
mercanti di Venezia, dove insieme al probabile fratello Donato aveva una libreria in San Marco. Sebbene meglio conosciuto come editore di mappe per
Gastaldi, Forlani e Camocio, iniziò la sua attività producendo ed incidendo lavori da Tiziano, Farinati, Giulio Romano, Battista del Moro, Battista Franco ed altri,
avvalendosi anche della collaborazione di incisori quali Mario Cartaro, Giulio
Sanuto, Giovan Battista cavalieri e anche Domenico Zenoi. Non è chiara la relazione tra tutti i personaggi citati, che spesso si alternavano nei ruoli, e spesso è
assolutamente impossibile sapere chi sia l’autore della lastra e chi l’editore.
Domenico Zenoi ottenne il privilegio per la stampa, della durata quindicennale,
dal Senato della Repubblica il 5 dicembre 1566. Tuttavia gli fu revocato il 9 settembre 1568 dal comitato degli Esecutori contro la Bestemmia, per aver pubblicato
delle stampe oscene. La datazione dell’opera pertanto è da ricondurre al periodo tra il 1566 ed il 1568. Rarissimo primo stato.
Bibliografia: Bartsch (Franco) vol. XVI, p. 125, 17; Bury, The Print in Italy, p. 236;
www.britishmuseum.org/research/search_the_collection_database/search_obj
ect_image.aspx. Dimensioni 160x220.
XVIII
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Donato Bertelli
(attivo a Venezia tra il 1558 ed il 1592)
Imagines XXIIII Cesaru Aiulio ad Alexandrum Severuusque ab antiquis marmoribus
excerptae nuper impressa
Suite completa di 25 incisione al bulino, 1573, firmata e datata nel frontespizio.
Prima rarissima edizione dell’opera, che ebbe la sua stesura definitiva nel 1575.
Magnifiche prove, ricche di toni e con i graffi di lastra tipici delle primissime
tirature, impresse su carta vergata coeva, rifilate al rame ed applicate su antico
supporto cartaceo, in ottimo stato di conservazione. Raccolte entro legatura in
cartonato del secolo scorso.
Donato Bertelli era stampatore, editore calcografico e cartografico, mercante di
stampe a Venezia in Merzaria, “all’insegna di S. Marco”. Noto certamente a
Padova dal momento che si sottoscrisse “Donatus Bertellius patavinus”, nel
1558 si firmava “Donato de Piero”, in seguito più comunemente “Donato Bertelli
libraro”. I limiti dell’attività del Bertelli, comunemente fissati tra il 1563 e il 1574,
possono essere dilatati, sulla scorta delle carte da lui edite, al 1558 - 1592.
Nell’anno 1559 frequentava la bottega di Ferdinando Bertelli, col quale non sono
chiari i rapporti di parentela; da lui ereditò i rami sostituendovi il suo nome, e
in data 1 aprile 1571 fu iscritto alla matricola dell’Arte degli stampatori. Suo successore “alla Libraria di S. Marco” fu Andrea, attivo fra il 1594 e il 1601, che non
sempre utilizzò i vecchi rami di Donato.
Le Imagines XXIIII Caesarum, raccolta di incisioni a bulino varianti da 23 a 25,
secondo gli esemplari, erano uscite separatamente e pubblicate poi in edizione
definitiva solo nel 1575. Composta da frontespizio inciso e da 24 ritratti degli
imperatori romani, è ritenuta di grandissima rarità. Sconosciuta al Cicognara, è
apparentemente censita nelle raccolte pubbliche italiane in un solo esemplare,
conservato alla Biblioteca Ambrosiana, composto da soli 23 rami. Il Morelli, nella
Pinelliana, ne registra un esemplare con data 1585, definendolo libro raro.
Raccolta di grandissima rarità.
Bibliografia: J. Morelli, A Catalogue of the Magnificent and Celebrated Library of
Maffei Pinelli, Late of Venice; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon,III, p. 486; Ch.
Le Blanc, Manuel de l’amateur d’estampes, I, p. 307; F. C. Francis, Short-title catalogue of books printed in Italy… now in the British Museum; Bury, The Print in Italy,
p.221. Dimensioni 147x198 circa ognuna.
XIX
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Etienne Duperac
(Bordeaux 1525 circa – Parigi 1604)
I Vestigi dell’Antichità di Roma Raccolti et Ritratti in Perspettiva con ogni diligentia
da Stefano Dv Perac Parisino
Suite completa di 41 incisioni ad acquaforte e bulino, 1575, firmate in lastra nel
secondo foglio, nella dedicatoria a Giacomo Buoncompagni. Esemplari nella
prima edizione, edita a Roma da Lorenzo Vaccari. Magnifiche prove, ricche di
toni, impresse su carta vergata coeva, rifilate al rame ed applicate su supporto
cartaceo, rilegate in album del XVII secolo.
Etienne Duperac, nativo di Bordeaux o Parigi, si trasferisce presto a Venezia,
dove apprende l’arte dell’incisione realizzando vari soggetti da Tiziano, principalmente per l’editore Giovanni Francesco Camocio. Arriva a Roma nel 1559
dove si dedica allo studio dell’architettura e delle antichità, con particolare
attenzione alle opere di Michelangelo. A Roma conosce Onofrio Panvinio,
archeologo ed antiquario, che lo influenza e lo introduce allo studio delle antichità romane. Come tutti gli artisti provenienti dal Nord Europa, rimane affascinato dalla maestosità delle rovine romane, decidendo di studiarle e raffigurarle. Le precedenti rappresentazioni dei monumenti di Roma, ad esempio quelle eseguite da Hieronimus Cock intorno al 1550, erano pittoriche ed arricchite da
elementi di fantasia. La notevole importanza delle vedute di Roma del Duperac
sta nel fatto che furono rappresentate con assoluta precisione archeologica e
topografica, tanto da essere oggi studiate con grande attenzione dagli studiosi di
archeologia, poiché spesso rappresentano monumenti e siti oggi andati perduti.
Gli esemplari della prima edizione delle vedute del Duperac, sono assolutamente rari. Magnifico set, omogeneo ed in eccellente stato di conservazione.
Bibliografia: Robert Dusmenil, Peintre Graveur Francais, vol. VIII, pp. 92-99, 1-40;
Reed & Wallace, Italian Etchers of the Renaissance & Barocque, p. 83,84. Dimensioni
375x213 circa ognuna.
XX
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Scuola Italiana XVI secolo
Marte e Venere
Bulino, 1575 circa, datato in lastra in basso a destra. Da un disegno di Rosso
Fiorentino. Esemplare nel secondo stato di due con l’indirizzo di Pietro de’
Nobili e Paolo Graziano. Bellissima prova impressa su carta vergata coeva priva
di filigrana, con sottili margini, leggere tracce di pieghe di carta, per il resto in
ottimo stato di conservazione.
La composizione è basata su un disegno di Rosso Fiorentino oggi conservato al
Louvre. Il Vasari sostiene che il disegno fu realizzato a Venezia dopo il 1527,
quando a seguito del Sacco di Roma Rosso si trasferisce nella residenza veneziana dell’Aretino, per il quale realizza l’opera, probabilmente come dono a
Francesco I di Francia. Il disegno fu quindi inviato in Francia, alla corte di
Francesco I, dove venne tradotto a stampa per la prima volta. L’incisione è attribuita da gran parte degli studiosi a Gian Giacomo Caraglio, mentre da altri a
Renè Boyvin o a Leon Davent. Recentemente, Eugene Carrol rigetta l’attribuzione al Caraglio conferendo un’azzardata paternità al tedesco Iacob Bink, mentre
David Acton suggerisce una più credibile attribuzione a Pierre Milan. Il presente esemplare, edito a Roma dalla tipografia di Antoine de Lafrery, è probabilmente tratto dall’incisione, rispetto alla quale è in controparte, risultando nella
stessa direzione del disegno del Rosso. Probabilmente l’opera è leggermente
anteriore alla data 1575 riportata in lastra, e non è assolutamente certo nemmeno il fatto che sia stata realizzata a Roma, dove è pubblicata. Il copioso scambio
di lastre del tempo tra editori romani e veneziani infatti, in mancanza di dati
certi, non consente spesso di stabilire l’origine del rame. Difficile stabilire l’autore dell’incisione che, sebbene si avvicini allo stile di Domenico del Barbiere,
rimane per tutti gli studiosi di incerta attribuzione. Raro ed affascinante foglio.
Bibliografia: Carrol, Rosso Fiorentino Drawings, Prints and Decorative Arts, pp. 17679, 58; Bartsch 51; Archer in The Illustarted Bartsch, pp. 181-2, 051, C1; David
Acton in The French Renaissance in Prints, pp. 303 – 307, 73. Dimensioni 338x410.
XXI
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Adriaen Huybrechts
(Anversa 1550 circa – 1614)
Combattimento di cani in Olanda
Acquaforte e bulino, 1578, firmata in lastra in basso al centro. Magnifica prova,
ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana non leggibile, rifilata
al rame, in perfetto stato di conservazione.
Adriaen Huybrecht o Huberti era editore ed incisore in Anversa, amico di
Cristopher Plantin e di Gerard de Jode. L’opera raffigura una piazza di una città
olandese in stato d’assedio, e sullo sfondo un’ accampamento con delle truppe
di soldati. Al centro della piazza, una grande scena raffigurante il combattimento tra cani, seguita da una numerosa folla, ed intorno diverse scene di combattimenti tra soldati.
Il lavoro è sconosciuto al Wurzbach e al Nagler ed è pubblicata nel libro di
Daniel Horst che raffigura le stampe di propaganda di guerra nelle rivolta in
Olanda dal 1566 al 1584. L’opera, sebbene sia senza attribuzione e rimanga anonima, è incisa nello stile di Peeter van der Borcht, uno dei più geniali, ma allo
stesso tempo sconosciuti, artisti fiamminghi del XVI secolo. La scarsità delle sue
incisioni è probabilmente la ragione principale per cui è stato in gran parte
trascurato dagli studiosi, e solo recentemente catalogato nel New Hollstein.
Tuttavia, ancora incerta è la totalità della sua produzione e molte delle stampe
sopravvivono in uno o due impressioni solamente. Alcune delle sue opere furono realizzate per far circolare idee religiose o messaggi di ribellione. Come incisore era al servizio di Christophe Plantin, di Adriaen Huybrechts e di Johan
Baptiste Vrients. Rara ed interessante.
Bibliografia: Daniel R. Horst, De Opstand in zwart-wit, 86. Dimensioni 470x405.
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Andrea Andreani
(Mantova 1546 – 1623)
Il ratto delle Sabine
Chiaroscuro a quattro legni, 1585, firmato e datato in basso al centro. Magnifica
prova, impressa su carta vergata coeva, con sottili margini, restauri perfettamente eseguiti agli angoli, pieghe di carta visibili, perlopiù al verso, per il resto
in buono stato di conservazione.
L’opera è il foglio centrale della composizione che l’Andreani realizza a Firenze,
ispirandosi alla celebre scultura manierista del Gianbologna (Jean Boulogne
1529-1608) nella Loggia dei Lanzi. Andrea Andreani nacque a Mantova e le sue
prime opere incisorie sono datate 1584, data in cui si stabilì a Roma, entrando
probabilmente in contatto con l’attivo gruppo di incisori che lavoravano nella
capitale. Con Il ratto delle Sabine, noto anche come Romano che rapisce una Sabina,
come sottolinea il Petrucci “volle fare cosa degna di meraviglia, incidendo tre
volte, da tre punti di vista differenti; prima con tre legni per i contorni, le mezzetinte e i lumi, e poi, accresciutene le dimensioni, con due legni. Più complicato si fa ancora l’intaglio del piedistallo, che vediamo eseguito a quattro legni e
stampato su sei fogli”. Andreani utilizzò l’incisione di riproduzione a chiaroscuro, molto di moda al tempo, ottenendo ottimi risultati: amava stampare con
più legni sovrapposti in maniera complementare, in un modo che partecipa più
del camaieu nordico “a contorni chiusi” che non del chiaroscuro di Ugo da Carpi
“a contorni aperti”. La sua opera grafica comprende circa quaranta lavori. La
tecnica del chiaroscuro è particolarmente difficile nell’ esecuzione, ed è per questo che ha trovato nella storia dell’arte grafica pochi seguaci. L’artista mantovano ne è certamente fra i maggiori esponenti.
Bibliografia: Bartsch, Chiaroscuro Woodcuts, volume XII p.149, VI, 4. Gori
Gandellini, Notizie degli intagliatori, p. 170, xxxi; A. Petrucci, Il “chiaroscuro” italiano, in L’Italia letteraria, VIII(1932), n. 23, p. 4. Dimensioni 330x485.
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Jan Harmensz Muller
(Amsterdam 1571 – 1628)
La lotta tra Ulisse e Iro
Bulino, 1589, firmato e datato in lastra in basso a destra. Da un soggetto di
Cornelis van Haarlem. Esemplare nel primo stato di tre, con l’indirizzo di
Hendrick Goltzius. Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata
coeva, con filigrana “aquila coronata con stemma di Strasburgo e lettere WR”
(The New Hollstein, Muller Dynasty, p. 280, 10a, descritta come tipica di questa
incisione), rifilata al rame, traccia di piega orizzontale visibile al verso, per il
resto in eccellente stato di conservazione.
Il soggetto è narrato nell’ Odissea. Iro è il soprannome di Arneo, il vecchio accattone di Itaca che schernì e insultò Ulisse quando entrò nella reggia travestito da
mendicante, venendo poi ucciso dallo stesso Ulisse con un pugno. L’opera viene
interpretata nel classico stile manierista del Corneliszoon, perfettamente eseguita dal Muller, che fu senza dubbio il suo miglior traduttore. Cornelis
Corneliszoon van Haarlem (Haarlem, 1562 - 1638) fu un pittore e artista olandese, tra i più noti esponenti del Manierismo dei Paesi Bassi, membro della scuola
del Manierismo di Haarlem, che fu influenzata soprattutto dalle opere di
Bartholomeus Spranger. Egli dipinse numerosi ritratti, alternati a opere raffiguranti episodi mitologici e biblici. Inizialmente Corneliszoon realizzò opere a
grandi dimensioni, con nudi eccezionalmente grotteschi, quasi innaturali.
Fantastico esemplare di questo manifesto manierista.
Bibliografia: Bartsch 30; Hollstein 52; Filedt Kok, The New Hollstein, 30 I/III.
Dimensioni 330x424.
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Aegidius Sadeler
(Anversa 1570 circa – Praga 1629)
Cristo porta la Croce
Bulino, 1590 circa, firmato in lastra in basso. Da un soggetto di Albrecht Dürer.
Esemplare nel primo stato di due, avanti l’indirizzo di Hubertus Caijmox e la
data 1590. Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con
filigrana “stemma con grappolo d’uva”, rifilata al rame o con sottili margini, in
ottimo stato di conservazione.
Aegidius Sadeler, noto anche con il nome di italianizzato di Egidio o come
Gilles, era pittore, incisore e un importante manierista, sicuramente l’esponente
più importante della dinastia dei Sadeler. Dopo essersi trasferito a Colonia
durante l’infanzia (circa 1579), e poi a Monaco di Baviera (circa 1588), si reca in
Italia, lavorando a Roma (1593), Verona e probabilmente Venezia (1595-1597).
Dopo un viaggio a Napoli, si trasferisce a Praga nel 1597, dove trascorse il resto
della sua vita, per lo più impiegato alla corte dell’imperatore Rodolfo II, con
Bartholomäus Spranger, di cui divenne il migliore traduttore.
Opera giovanile di Aegidius Sadeler, relativo al periodo trascorso tra Monaco e
Norimberga. Bellissimo foglio, raro negli esemplari di primo stato.
Bibliografia: Hollstein 50 I/II; Wurzbach 30. Dimensioni 353x453.
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Jan Saenredam
(Zaandam 1565 circa – Assendelft 1607)
Vanitas
Bulino, 1592, datato in lastra in basso a sinistra. Da un soggetto di Hendrick
Goltzius. Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana “stemma con croce di Basilea” (The New Hollstein, Muller Dinasty, p. 299,
7), rifilata al rame, piccolo restauro perfettamente eseguito nella parte centrale,
per il resto in ottimo stato id conservazione.
L’opera raffigura un giovane uomo e la morte, raffigurata con il mantello e seduta sopra un sepolcro dove si legge l’epitaffio Fui, non sum: Es, non Eris. Vanitas,
termine latino che significa vacuità, è un concetto effimero che si riferisce alla
volubilità delle cose terrene. Tale concetto è espresso attraverso una simbologia
riferita ad oggetti, per lo più domestici e di uso quotidiano. Elemento sicuro che
caratterizza le rappresentazioni di vanitas è il teschio, ovvero il memento mori,
che ricorda il destino dell’uomo. Altri elementi caratteristici sono la clessidra,
l’orologio ed il cedro che rappresentano il trascorrere del tempo; la coppa, le
brocche o la ciotola rovesciate identificano la vacuità; la corona, lo scettro, i
gioielli ed i denari rappresentano il potere ed i possessi terreni che la morte porta
via; la spada, infine, ricorda che nulla possono le armi contro il destino.
Magnifica prova.
Bibliografia: Bartsch 123; Hollstein 111. Dimensioni 175x252.
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Hendrick Goltzius
(Mulbrecht 2558 – Haarlem 1617)
La Circoncisione
Bulino, 1594, firmata e datata in lastra in basso al centro. Esemplare nel terzo
stato di cinque, avanti l’indirizzo di Visscher. Magnifica prova, caratterizzata dai
toni argentei, impressa su carta vergata coeva, con filigrana “stemma coronato
con aquila bicipite”, rifilata al rame, in eccellente stato di conservazione.
Questo lavoro, molto celebrato, appartiene alla serie della Vita della Vergine, eseguita nello stile, e liberamente ispirata dalla grafica, di Albrecht Dürer. Il Van
Mander racconta che Goltzius stesso tolse il monogramma da una sua prova e la
scurì affumicandola, ingannando alcuni appassionati e spacciando il suo lavoro
per un Dürer originale. La composizione segue quella raffigurata nella silografia del maestro di Norimberga (Bartsch 86), ma è ambientata nella chiesa di San
Bavo di Haarlem. Il Goltzius la esegue imitando fedelmente lo stile del Dürer
nell’uso del bulino, tanto che l’opera è ricca dei chiaroscuri di luce tipici dei bulini del tedesco. Un vezzo dell’artista fu quello di inserirsi nella composizione: il
suo autoritratto è infatti rappresentato dalla figura che si affaccia sulla destra,
sotto l’arco. Si tratta del primo ritratto in assoluto del Goltzius e dimostra l’approccio significativo avuto nella realizzazione della lastra. Magnifica prova di
questa importante incisione.
Ex collezione E. Schultz (Lugt 906) ed un altro timbro non conosciuto.
Bibliografia: Bartsch 18; Hollstein 12 III/V; The Illustrated Bartsch 018 III/V;
Strauss, Hendrick Goltzius, 322 III/V. DImensioni 350x465.
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Antoine Dubois
(attivo fine XVI secolo)
Sacra Famiglia con Angeli
Bulino, databile alla fine del XVI secolo, firmato in lastra in basso a sinistra. Da
un soggetto di Bartholomäus Spranger. Magnifica prova, ricca di toni, impressa
su carta vergata coeva priva di filigrana, rifilata al rame, piccolo restauro nella
parte superiore perfettamente eseguito, per il resto in ottimo stato di conservazione.
L’opera deriva da un disegno del pittore manierista Bartholomäus Spranger
(Anversa, 1546 – Praga, 1611) ed è relativa al periodo fiammingo dell’artista,
prima che si trasferisse a Praga alla corte dell’imperatore Rodolfo II. Una prima
versione a stampa del disegno dello Spranger è nota per mano di Johannes
Sadeler I, incisa nel 1581 e dedicata a Wolfgang Rumpf. L’opera di Antoine
Dubois è in controparte rispetto a quella del Sadeler, e risulta più fedele nell’interpretazione manierista del disegno originale. Nessuna notizia biografica siamo
stati in grado di trovare riguardo questo incisore Antoine Dubois o Du Bois,
apparentemente assente da tutte le biografie. La datazione dell’opera la possiamo determinare tramite lo stile grafico e la tipologia della carta sulla quale è
impressa. Hollstein e Wurzbach descrivono una copia in reverso dell’incisione
di Johannes Sadeler, con l’indirizzo di Hondius, dalle misure simili al presente
lavoro. Bellissima impressione di questo raro foglio.
Bibliografia: Hollstein (Sadeler) 300; Wurzbach 48. Dimensioni 178x247.
XXVIII
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Aegidius Sadeler
(Anversa 1570 circa – Praga 1629)
Angelica e Medoro
Bulino, 1595 circa, firmato in lastra in basso a destra. Da un soggetto di Carlo
Caliari. Esemplare con l’indirizzo dell’editore Donato Rascicotti, nell’unico stato
descritto da Hollstein. Bellissima prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana “scudo con lettera M e stella”, rifilata al rame in ottimo stato di conservazione.
L’opera è relativa al periodo veneto del Sadeler, trascorso tra Verona e Venezia,
ed è quindi databile tra il 1594 ed il 1597. Il soggetto è ripreso dal dipinto di
Carlo Caliari, detto Carletto, figlio minore di Paolo Caliari, meglio conosciuto
con l’appellativo de “il Veronese”. Il dipinto, nel migliore stile del padre, è datato al 1584 circa ed è conservato a Padova in una collezione privata. La composizione del Sadeler differisce leggermente dal dipinto, ed è realizzata nel classico
stile dell’artista fiammingo, con l’inserimento del paesaggio sullo sfondo, di
gusto tipicamente nordico. Il tema di Angelica e Medoro rappresenta una scena
assai popolare nella pittura italiana tardo rinascimentale e barocca. Medoro,
seguace del condottiero saraceno Dardinello, è ferito in battaglia e Angelica lo
soccorre guarendolo con un succo d’erba, innamorandosi poi di lui. La scena raffigurata rappresenta i due intenti ad incidere il proprio nome nella corteccia di
un albero. Ottimo esemplare di questa rara incisione.
Bibliografia: Hollstein 103; Wurzbach 77. Dimensioni 422x318.
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Hieronymus Wierix
(Anversa 1553 – 1619)
Melencolia I
Bulino, 1602, firmato e datato in lastra in basso. Esemplare nel primo stato di
due, avanti l’indirizzo di Danker Dankerts. Bellissima prova, impressa su carta
vergata coeva priva di filigrana, con sottili margini, in perfetto stato di conservazione.
Copia molto fedele dell’omonima e celebre incisione di Albrecht Dürer, questo
lavoro viene realizzato dal Wierix a distanza di quasi 90 anni dall’originale. La
presenza del monogramma del Maestro di Norimberga, fa supporre ad un
omaggio per lui e dimostra la grande influenza dell’opera a distanza di un secolo circa dalla sua esecuzione. La composizione è assolutamente fedele all’originale. Di notte o in una relativa oscurità, illuminata da un arcobaleno e una cometa, una figura femminile alata e pensosa è seduta su una terrazza di pietra. Sullo
sfondo, una massa d’acqua sopra la quale volteggia un pipistrello che sorregge
un cartiglio esplicativo che contiene il titolo. Attorniato da un’impressionante e
apparentemente disordinata serie d’oggetti, la figura alata trova quali compagni
nella sua notturna solitudine, un cane addormentato e un cherubino alato.
Hieronimus Wierix, esponente della nota famiglia di incisori ed artisti di
Anversa, inizia la sua attività presso Christoph Plantin, maggiore editore dell’epoca nelle Fiandre, dove diviene un esperto incisore. La sua prima opera indipendente è datata 1577 ed è successiva al periodo che trascorse in prigione per
le sue idee ribelli verso la Spagna cattolica.
La migliore derivazione della Melelcolia I di Dürer.
Bibliografia: Bartsch 74a; The Illustrated Bartsch, 074, C1 I/II; Alvin 1576.
Dimensioni 186x237.
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Jan Saenredam
(Zaandam 1565 circa – Assendelft 1607)
Il profeta Elia e la vedova di Sarepta
Bulino, 1604, firmato e datato in lastra in basso a destra. Da un soggetto di
Abraham Bloemart. Esemplare nel terzo stato di cinque, con l’indirizzo di
Johannes Janssonius. Bella prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana
“grappolo d’uva”, rifilata al rame, in ottimo stato di conservazione.
Il soggetto racconta la storia del profeta Elia che, recatosi a causa della siccità
nella città di Sarepta, incontra una vedova che raccoglieva la legna e che gli
diede da bere e da mangiare. Il figlio della donna era malato ed Elia lo guarì
invocando in Signore. Alle volte l’iconografia mostra due legni intersecati a formare una croce.
Abraham Bloemaert (Gorinchem 1564 – Utrecht 1651) è stato un pittore olandese seguace della scuola manierista. Formatosi in Francia ed Italia, al ritorno ad
Amsterdam, la sua carriera subì un’impennata sia dal punto di vista del successo sia dell’apprezzamento, grazie anche ad una maggiore duttilità che lo condusse ad un percorso artistico variegato, che dal manierismo, passando per l’accademismo, lo portò ad accogliere elementi caravaggeschi. Non mancarono
anche accenti idealistici a influenzare le sue tematiche preferite, mitologiche e
bibliche, oltre a quelle a sfondo storico e allegorico. Buon esemplare di questa
rara incisione.
Bibliografia: Bartsch 19 III/V. Dimensioni 320x447.
XXXI
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Jacques CALLOT
(Nancy 1592-1635)
La Guerra dell’Amore
Coppia di incisioni ad acquaforte e bulino, 1615, firmate e datate in lastra in
basso. Esemplari nel secondo stato di tre, classificati dal Lieure come molto rari.
Bellissime prove, impresse su carta vergata coeva con filigrana con “orso”,
(Lieure 16, indicata come tipica di questi lavori), rifilate al rame o con sottili margini, in ottimo stato di conservazione.
Le opere raffigurano la festa del carnevale organizzata in piazza Santa Croce a
Firenze nel febbraio del 1615. Traducono il genio artistico di Giulio Parigi, architetto di corte dei Medici, ideatore e organizzatore delle feste e degli sfarzosi
eventi di corte, e furono pubblicate con i versi del poeta Andrea Salvadori in
Guerra d’amore Festa del Serenissimo Gran Duca di Toscana, Cosimo Secundo, fatta in
Firenze il Carnevale del 1615. Il tema della festa era la competizione tra Cosimo II
e Lorenzo de’ Medici, che interpretano i due attori principali. I protagonisti sono
raffigurati all’interno di un’arena temporanea allestita nella piazza, dove si svolge un combattimento tra le due fazioni. La storia è accompagnata dalla disputa
tra Venere e Marte, con il trionfo di Venere che intona un canto in onore della
pace e dell’amore. Sebbene basata su disegni preparatori di Giulio Parigi, le due
composizioni furono studiate e preparate da Callot attraverso propri disegni
preparatori. Le numerose figure presenti nelle due lastre in seguito fornirono l’ispirazione e furono riprese per i Balli di Sfessania (Lieure 379-402) e nei Tre
Pantaloni (Lieure 288-290). Rare ed importanti opere.
Bibliografia: G. G. Bertelà & A. P. Tofani. Feste e Apparati Medicei da Cosimo I a
Cosimo II pp. 142-149 & 226; Lieure 170, 171; H. Diane Russell. Jacques Callot
prints & Related Drawings pp. 60-62, 49-52; Reed & Wallace, Italian Etchers of the
Renaissance & Barocque pp. 222, 112. Dimensioni 300x224.
XXXII
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La Fiera dell’Impruneta
Acquaforte, 1620, datata e firmata in basso. Lastra incisa a Firenze, esemplare
nello stato finale, con l’aggiunta dei due stemmi in basso. Bellissima prova, ricca
di toni, impressa su due fogli di carta vergata coeva con filigrana “scudo con
leone rampante”, con sottili margini, lievissime abrasioni, in ottimo stato di conservazione.
Dedicata a Cosimo I de’ Medici, è ritenuta uno dei capolavori dell’artista di
Nancy. L’incisione si riferisce ai festeggiamenti in occasione della Festa di San
Luca, il 18 di ottobre, nel villaggio di Impruneta, alla quale Callot ebbe modo di
XXXIII
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partecipare nel 1619. Sulla vasta spianata antistante la Chiesa di S. Maria
dell’Impruneta, si teneva la fiera per ricordare la scoperta di una Madonna miracolosa che si credeva dipinta dall’evangelista Luca. Callot inserisce oltre 1.300
figure fra uomini ed animali; molte di dimensioni ridottissime, ma tutte atteggiate in modo chiaro e determinato. Infinita è la varietà di gesti, azioni, mestieri, occupazioni ed abiti rappresentati. Il successo raccolto da questa opera fu talmente rilevante che, una volta ritornato a Nancy, l’autore si decise ad intraprendere un’altra volta il considerevole lavoro dando alla luce una seconda lastra.
Bibliografia: Lieure 361 VI/VI; Mostra Nancy, p. 245, 235. Dimensioni 650x423.
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Francesco Brizio
(Bologna 1575 – 1623)
Riposo dalla fuga in Egitto
Acquaforte e bulino, 1623 circa, firmata in lastra in basso a destra. Da un soggetto di Antonio Allegri. Esemplare nel terzo stato finale con la dedica a Battista
Agucchi. Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva con filigrana del
“giglio”, con piccoli margini, in eccellente stato di conservazione.
Questa bellissima opera è basata sul dipinto di Antonio Allegri da Correggio
denominato la Madonna della scodella. La datazione della stampa è abbastanza
complessa; lo stato definitivo della lastra reca la dedica a Battista Agucchi (15701632), membro di una nota famiglia di Bologna e rappresentante del Papa a
Venezia tra il 1624 e il 1632. Questo indicherebbe che, a meno di errori delle date
a noi pervenute, l’opera fu realizzata nel 1624, in contrasto con la presunta data
di morte del Brizio (1623). L’ipotesi più probabile è che la lastra venne realizzata nel 1623, e che la dedica fu apposta più tardi. A supporto di tale tesi sono i
due stati antecedenti della lastra: il primo più esattamente può essere definito
come una prova di stampa. Francesco Brizio nacque a Bologna intorno al 1575.
Discepolo pittorico di Bartolomeo Passarotti, fu successivamente al fianco dei
Carracci. Dopo aver insegnato nell’Accademia degli Indifferenti aprì una scuola
nella casa dei signori Sampieri, dove svolse attività didattica, rivolgendosi non
solo ai pittori, ma anche alla migliore società bolognese. Secondo la cronologia
esposta nella Felsina pittrice, ancora per tutto il tempo della collaborazione con
Agostino Carracci, vale a dire fino alla morte di quest’ultimo (1602), il Brizio
avrebbe svolto attività prevalentemente incisoria, traducendo a stampa opere
dei Carracci, Reni e altri artisti bolognesi. Bellissima prova.
Ex collezione C. Jusky (Lugt 1403c), Coussin 1704 (sconosciuto al Lugt) oltre ad
un timbro a secco in alto sempre non inserito nel Lugt.
Bibliografia: Bartsch 4 II/II; The Illustrated Bartsch 011, III/III; Le Blanc 4.
Dimensioni 315x498.
XXXIV
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Ottavio Leoni detto “Padovanino”
(Roma 1578 circa – 1630)
Ritratto di un Cavaliere di Malta con due studi di teste
Acquaforte e bulino, 1625, firmata e datata in lastra negli esemplari di secondo
stato. Magnifica prova del raro primo stato di due, avanti lettera, impressa su
carta vergata coeva, rifilata al rame, in eccellente stato di conservazione.
Celebre per i suoi ritratti di tutta l’aristocrazia romana degli inizi del XVII secolo, il Leoni, romano di nascita, deve il suo soprannome alla città natale del padre,
anch’egli pittore di ritratti. Controversa la paternità del volto effigiato: secondo
il Mariette, grande appassionato di disegni ed incisioni del Leoni, si tratterebbe
di Mario Nuzzi detto “Mario de’ Fiori”, mentre più ragionevolmente si tratta del
suo amico Tommaso Salini, ipotesi confermata dalla leggenda aggiunta nella
prova del secondo stato. Ai lati del ritratto principale, un curioso accostamento
di due testine incise al bulino, ad avvalorare il fatto che la lastra non gli fu commissionata, ma venne realizzata in tutta libertà. Nel 1603 il Leoni venne coinvolto in un’azione diffamatoria ai danni di Caravaggio dal pittore Giovanni
Baglione. Testimone al processo fu proprio Tommaso Salini, che dichiarò invece
di aver ricevuto delle strofe che criticavano Baglione scritte da Orazio
Gentileschi e da “Ottavio Padovano’”.
Bibliografia: Bartsch 7 I/II; Petrucci, Il Caravaggio acquafortista, pp. 35/46.
Dimensioni 111x140.
XXXV
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Nicholas de Son
(Reims, attivo 1620-1630)
Le Somptueux Frontispiece De L’eglise Notre Dame De Reims
Acquaforte e bulino, 1625, datata e firmata in lastra. Magnifica prova, ricca di
toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana “grappolo d’uva” (simile a
Lieure 52), con sottili margini, in ottimo stato di conservazione.
La Cattedrale Metropolitana di Nostra Signora di Reims è uno dei più alti esempi di arte gotica in Europa. Al suo interno si svolsero le incoronazioni di tutti i
re di Francia, a partire dal 987, quando vi fu incoronato il conte di Parigi Ugo
Capeto, iniziatore della dinastia dei Capetingi, fino al 1825, quando si celebrò
l’incoronazione di Carlo X. Nicholas de Son o Desson era nativo di Reims e fu
allievo ed imitatore di Jacques Callot. Pochissime e discordanti sono le notizie
sulla sua vita. Oltre a questa incisione, datata al 1625, sono note alcune opere
datate 1628.
Il capolavoro dell’artista.
Bibliografia: Le Blanc, 15. Dimensioni 300x440.
XXXVI
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Harmensz van Rijn detto Rembrandt
(Leida 1606 - Amsterdam 1669)
L’angelo appare ai pastori
Acquaforte, puntasecca e bulino, 1634, firmato e datato in lastra in basso a
destra. Esemplare nel terzo stato finale, con le ombre sull’albero aggiunte.
Bellissima prova, impressa su carta vergata priva di filigrana, con margini, lievissime bruniture della carta, per il resto in perfetto stato di conservazione.
Questa bellissima opera di Rembrandt rappresenta la prima scena notturna
interpretata dall’artista con l’uso dell’acquaforte. Questa tecnica gli consentiva
di sfruttare nuove potenzialità rispetto al passato, ottenendo un intenso contrasto tonale che sarà più evidente e caratterizzerà le opere incise nel periodo 1640
- 50. In questo tipo di lavori, l’artista con l’uso dell’acquaforte e della puntasecca crea delle tonalità di nero vellutate, a emulare la tecnica del mezzo tinto, che
peraltro non risulta mai usata.
La composizione descrive con toni melodrammatici il timore suscitato nei pastori dalla comparsa dell’angelo; le figure insolitamente piccole nel rapporto d’insieme, contribuiscono a dare uno slancio barocco alla composizione. L’opera è
assolutamente complessa e ricercata, come poche incisioni di Rembrandt.
Solitamente quando le sue stampe presentano un alto livello di finitura, derivano da un prototipo dipinto o disegnato, tuttavia, nessun’altra variante di questo
soggetto è a noi nota. Una delle più ricercate opere di Rembrandt.
Bibliografia: White & Boon 44 III/III; Martin Royalton-Kisch in Rembrandt,
Dipinti, Incisioni e riflessi sul ‘600 e ‘700 italiano, p. 105, 21. Dimensioni 218x262.
XXXVII
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Harmensz van Rijn detto Rembrandt
(Leida 1606 - Amsterdam 1669)
Cristo caccia i mercanti dal Tempio
Acquaforte originale 1635, datata e firmata in lastra in basso a destra. Esemplare
di primo stato, avanti il ritocco delle ombre. Eccezionale prova, ricca di toni,
impressa su carta vergata con parziale filigrana “scudo sormontato da corona”,
comunque databile alla metà del XVII secolo, con margini di circa un centimetro, leggerissima ossidazione nella parte sinistra, per il resto in ottimo stato di
conservazione.
Il Rembrandt esegue dello stesso soggetto, nel 1626, un dipinto ad olio, rispetto
al quale tuttavia, l’incisione è totalmente differente. È noto che le stampe del
maestro sono spesso piene di riferimenti ad altre preesistenti e spesso si è erroneamente sostenuto che l’artista imitasse per mancanza di immaginazione. Al
contrario sembra evidente, ad esempio, che Rembrandt non avesse alcun bisogno di cercare modi diversi per rappresentare questa composizione di Cristo che
caccia i mercanti dal tempio. Appare chiaro che l’artista prenda l’incisione di
Albrecht Dürer, la silografia della Piccola Passione, e ne faccia parte della sua
opera. Lo scopo era citare, non copiare, un’artista del passato che egli ammirava, e dimostrare di saper rappresentare con molta maggiore drammaticità e realismo il terrore suscitato dalla furia di Gesù. Magnifica prova.
Bibliografia: Bartsch, Nowell Ustike 69 I/VII, B-B 35b I/III; White & Boon 69
I/II. Dimensioni 168x138.
XXXVIII
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Marco Sanmartino
(Napoli 1615 circa - ?)
Famiglia di satiri
Acquaforte, priva di firma. Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, con ampi margini, in perfetto stato di conservazione.
Marco Sanmartino o Sammartino fu un pittore napoletano vissuto nella seconda
metà del XVII secolo, secondo il Bartsch attivo verso il 1680. Il Malvasia lo cita
con il nome di Sanmarchi veneziano, quasi certamente per il soggiorno dell’artista
nella città lagunare. Del Sanmartino pittore sono noti ed apprezzati soprattutto
i paesaggi con piccole figure, elogiati per il loro rispetto alla veridicità dei luoghi, accortezza e cura nei dettagli. Queste qualità divengono, nell’opera grafica,
un uso equilibrato del contrasto luminoso fra figure in primo piano e fondali con
rocce, casolari e quinte arboree, secondo una tradizione figurativa che da
Antonio Tempesta si era tramandata fino a Filippo Liagno. L’attività incisoria del
Sanmartino si colloca in un preciso rapporto storico, formale e stilistico con quella di Filippo Napoletano. Opera molto rara.
Ex collezione F.H. (Lugt 3373)
Bibliografia: Bartsch, XXI, 16; Alba Costamagna, Incisori Napoletani del’600, p.
165. Dimensioni 145x118.
XXXIX
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Giuseppe Diamantini
(Fossombrone 1621 – 1705)
Saturno, Venere ed Eros
Acquaforte, circa 1690, firmata in lastra in basso a destra. Bellissima prova, dai
tipici toni delicati, impressa su carta vergata coeva con filigrana “aquila bifronte”, con sottili margini, leggere tracce di colore e piccole ossidazioni, per il resto
in buono stato di conservazione.
Pittore modesto e convenzionale, il Diamantini si distinse invece nel disegno e
nell’incisione. Il suo catalogo di opere grafiche consta di circa 50 lavori, molti dei
quali dedicati alle favole mitologiche. Il segno caratteristico del Diamantini è il
tratteggio rapido e intrecciato, talvolta punteggiato per rendere meglio la morbidezza dei corpi e il senso di indefinito. Nei suoi lavori si coglie l’influenza di
Giulio Carpioni - del quale fu allievo e grazie al quale l’artista si adegua al gusto
più decorativo della pittura veneta contemporanea - nei colori chiari, nei soggetti idilliaci e elegiaci ed nell’accentuato preziosismo grafico. Nessuna delle
incisioni del Diamantini è datata, ma è probabile che siano tutte eseguite a
Venezia nell’ultimo ventennio del XVII secolo, dove risiede fino al 1698 anno in
cui torna nella sua Fossombrone. Le sue opere a stampa derivano quasi esclusivamente da propri disegni, mentre altre sono tratte da disegni del veneziano
Paolo Pagani e raffigurano la festosità del mondo mitologico, riassunto come in
una favola pagana.
Ex collezione Fransz Josef von Enzenberg (Lugt 845)
Bibliografia: Bartsch vol. 21, 37; A. Calabi, Le acqueforti di G. D., in Die graphischen Künste, I (1936), pp. 25-40; P. Bellini, in The illustrated Bartsch, XLVII, New
York 1984, pp. 385-424. Dimensioni 204x294.
XL
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Giuseppe Diamantini
(Fossombrone 1621 – 1705)
Mercurio rapisce una giovane donna
Acquaforte, circa 1690. Bellissima prova, dai tipici toni delicati, impressa su carta
vergata coeva con filigrana non leggibile, irregolarmente rifilata al rame, leggere tracce di colore e piccole ossidazioni, per il resto in buono stato di conservazione.
In questa opera, come in tutte le sue acqueforti, il Diamantini si firma come
“inventore” e mai come “incisore”, tanto da far nascere il sospetto che possa
essere altri l’autore di queste incisioni. Tuttavia, la spiccata coerenza stilistica e
tecnica che lega insieme queste opere, e l’assenza di indicazioni di altri artisti
come incisori, inducono a scartare questa ipotesi, anche per quanto riguarda un
possibile intervento dei suoi stessi stampatori, Pagano e Balano. Queste acqueforti, svelte e nervose, venivano con tutta probabilità incise direttamente sulla
lastra, senza particolari disegni preparatori e con una sorprendente trascuratezza nei particolari, quasi mai avvertibile per l’armonia dell’insieme. È del resto
probabile, come ipotizza il Calabi (1936), che il Diamantini eseguisse le sue
acqueforti in pochissimo tempo e senza mai correggerle e, se per caso il risultato ottenuto non era buono, ne stampava solo poche prove. Ciò, del resto, spiegherebbe in modo convincente la rarità di certe sue opere.
Ex collezione Fransz Josef von Enzenberg (Lugt 845)
Bibliografia: Bartsch vol. 21, 29; A. Calabi, Le acqueforti di G. D., in Die graphischen
I (1936), pp. 25-40; P. Bellini, in The illustrated Bartsch, XLVII, New York 1984,
pp. 385-424. Dimensioni 192x245.
Künste,
XLI
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Giambattista Tiepolo
(Venezia 1696 – Madrid 1770)
L’astrologo e il giovane soldato
Acquaforte, circa 1743, firmata in lastra in basso a destra. Della serie I Capricci.
Magnifica prova, particolarmente argentea, impressa su carta vergata coeva
priva di filigrana, con margini, in perfetto stato di conservazione.
Succi descrive così l’opera: “Il luminoso scudo con la testa di Medusa risplende
di luce abbagliante, si staglia sui neri setosi delle figure assorte nel bruciante
meriggio. Una serpe, simbolo di sapienza magica, si avvolge a un bastone in
primo piano, accentuando l’effetto ermetico della scena”. Curiosa è la storia di
questa serie denominata Vari Capricci inventati ed incisi dal celebre Gio. Battista
Tiepolo: i rami vennero sottratti al Tiepolo da un suo amico, il Conte Antonio
Maria Zanetti, celebre incisore e collezionista veneziano, che li pubblicò per la
prima volta inserendoli nella terza edizione della sua Raccolta di Chiaroscuri, nel
1743. Alla morte di Giambattista, vennero pubblicati per la prima volta separatamente nel 1785, probabilmente a cura dell’inglese John Strange, che acquisto i
rami l’anno precedente dagli eredi di Zanetti. Giovanni Battista Tiepolo fu uno
dei maggiori esponenti della pittura veneziana di tutti i tempi. All’inizio della
sua attività pittorica fu influenzato principalmente dal Piazzetta e da Sebastiano
Ricci. L’esordio dell’attività incisoria del Tiepolo risale alla fine degli anni trenta
del ’700, e comprende le serie dei Capricci, composta da dieci acqueforti, e degli
Scherzi di fantasia, 23 acqueforti incise intorno al 1750. Bellissimo esemplare.
Bibliografia: Rizzi, L’opera grafica dei Tiepolo, 37; De Vesme 11. Succi, Da
Carlevarijs ai Tiepolo, 465. Dimensioni 172x135.
XLII
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Giovanni Domenico Tiepolo
(Venezia 1727 -1804)
Un vescovo
Acquaforte, circa 1758, priva di firma. Esemplare nel primo stato di due.
Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana non
leggibile, con pieni margini, in eccellente stato di conservazione.
L’opera appartiene alla celebre Raccolta di Teste numero trenta dipinte dal sig. Gio.
Batta Tiepolo Pittore Veneto al serviggio di S. M. C. Morto in Madrid l’anno 1770
Incise da Gio. Domenico suo Figlio. Fu iniziata da Giandomenico nel 1757, come
documentato da alcune lettere di Anton Maria Zanetti. I fogli erano noti solo agli
amici più stretti del Tiepolo e furono pubblicate solo nel periodo successivo al
rientro dell’autore da Madrid (1770), quando la serie fu completata ed edita tra
il 1773 ed il 1774. I ritratti incisi dal Tiepolo raffigurano filosofi, saggi levantini,
barbuti personaggi e sono magistralmente realizzati con uno stile che passa disinvoltamente da quello di Rembrandt a quello di Castiglione. Eccellente esemplare.
Bibliografia: Rizzi, L’opera grafica dei Tiepolo, 177; De Vesme 137. Succi, Da
Carlevarijs ai Tiepolo, 116, I/II. Dimensioni 172x135.
XLIII
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Teodoro Viero
(Bassano 1740 – Venezia 1819)
Esercito posto in ordinanza di battaglia
Spoglio del Campo nemico
Coppia di incisioni all’acquaforte e bulino, finemente colorate a mano in epoca,
circa 1766, firmate in lastra in basso a destra. Da due dipinti di Francesco
Simonini. Magnifiche prove, impresse su due fogli reali di carta vergata coeva,
con pieni margini, leggere abrasioni al recto, piccole ossidazioni, per il resto in
ottimo stato di conservazione.
Francesco Simonini (Parma 1686 – Firenze dopo il 1755) giunse a Venezia verso il
1730 divenendo il pittore prediletto del Maresciallo Von der Schulenburg, per
trent’anni comandante in capo delle forze di terra della Serenissima, che lo incarica di ritrarre le più importanti battaglie della campagne contro i Turchi in una
serie di tele, oggi in parte conservate al Niedersächsisches Landesmuseum di
Hannover. A documentare quest’attività di “cronista di guerra” sono i numerosi
disegni eseguiti dal pittore durante le campagne militari contro i turchi in
Dalmazia e durante la difesa di Corfù. Teodoro Viero, allievo del Golinetto, venne
a Venezia nel 1755 per perfezionarsi nell’arte dell’intaglio, ed aprì un negozio di
stampe che ebbe fortuna. Di lui si ricordano particolarmente dodici teste dal
Piazzetta, e queste celebri battaglie dal Simonini. A proposito di questi rami, così
scrive il Gradenigo 1749: “Teodoro Viero, incisore in rame a Venezia formò un’opera da stamparsi in rame di dodici capricciose teste dell’immortale pittore veneziano Gio. Batta Piazzetta. Egli anche compì oramai il gran lavoro di quattro rami
che esprimono : il primo 1 Esercito posto in ordinanza di battaglia ; il 2 la Battaglia
formale; 3 il Riposo de Soldati dopo la vittoria medesima; 4 lo Spoglio del Campo nemico; altre volte su quadri dipinti dal celebre defonto Francesco Simonini, il tutto
dispensato alla di lui Casa nella Contrada di S. Leone a prezzi discreti”. Una
domanda di privilegio privativo presentata dal Viero il 18 febbraio 1766, ci fornisce ulteriori particolari su questi suoi lavori. Scriveva che “da undeci anni abitante in Venezia, dopo l’assidua Scuola del celebre Pitteri dal medesimo frequentata, si trova ora in istato di produrre al Pubblico quattro Battaglie del celebre
Francesco Simonini da esso travagliate per tre anni di tempo, di una grandezza,
e di una fattura non comune, e che è affatto nuova nella Dominante, come dal
confronto si può chiaramente vedere”, così che il Senato, mentre il 31 maggio
1766 gli concedeva il privilegio per le quattro stampe delle Battaglie riconosciute anche dai Riformatori dello Studio di Padova effettivamente “di fattura non
comune e affatto nuova”, si riservava per le altre di decidere quando gliene sarebbe stato presentato almeno un saggio. Rare e affascinanti opere.
Bibliografia: Rodolfo Gallo, in Ateneo Veneto, L’incisione nel ‘700 a Venezia e
Bassano, pp. 184-186; G. Sestieri, I pittori di battaglie, pp. 464 -465. Dimensioni
760x530 ognuna.
XLIV
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Giovan Battista Piranesi
(Mogliano Veneto 1720 – Roma 1778)
Veduta del sotterraneo Fondamento del Mausoleo che fu eretto da Elio Adriano Imp.re
Acquaforte e bulino, 1756 circa, firmata in lastra in basso a destra. Dalla serie Le
Antichità Romane, prima edizione del 1756 edita da Bouchard e Gravier. Meravigliosa
prova, ricca di toni, impressa a inchiostro nero su carta vergata coeva con la tipica filigrana del “doppio cerchio e giglio con lettere CB” (Robison 33), con pieni margini,
esemplare in barbe ed in perfetto stato di conservazione.
Henry Focillon , nel suo saggio del 1918, suppone che il Piranesi prepari ed incida le
tavole per l’opera tra il 1750 ed il 1756, tuttavia, elementi architettonici fanno risalire
alcune al 1746. In realtà le tavole più antiche utilizzate nella raccolta risalgono probabilmente ad anni ancora precedenti, come sembra suggerire sia l’estrema complessità
dell’opera, legata ad un lunghissimo lavoro di preparazione e ricerca, sia l’oscillazione
stilistica riscontrabile comparando le varie tavole. Ad ogni modo, la grandiosità delle
Antichità Romane del Piranesi non sta solamente nel grande lavoro grafico prodotto
dall’artista: l’opera risulta infatti fondamentale come innovazione metodologica nel settore dell’archeologia a lei contemporanea, con l’utilizzo di scritti che sono essenziali per
comprendere il pensiero dell’autore e l’innovazione del metodo piranesiano. Si può
quindi sostenere, come giustamente fa notare il Focillon, che l’artista veneziano fondi
l’archeologia moderna. Questa innovazione comporta, però, un enorme stacco e una
grande divergenza con il pensiero e la cultura ufficiale ed accademica del periodo - di
derivazione anglosassone - causando enormi polemiche di cui Piranesi fu bersaglio, e
il fiorire di una negativa aneddotica intorno alla sua persona, il cui scopo era quello di
ristabilire l’egemonia minacciata della cultura ”classica”. Il principale pensiero espresso nelle Antichità Romane consiste nel documentare e conservare in effige un patrimonio monumentale che andava di giorno in giorno sgretolandosi, linea di condotta che
andava contro l’atteggiamento culturale di amatori ed antiquari, il cui piacere era puramente estetico, non disdegnando all’occorrenza, l’asporto di frammenti anche vistosi di
antichità a titolo di puro collezionismo o alla stregua di souvenir. La principale novità
della sua impostazione, consiste nell’unificare in un solo momento le operazioni di
scavo, di rilievo, le indagini strutturali e la misurazione con lo studio delle fonti letterarie, a cui egli fa riferimento diretto. Questo momento di unificazione è rappresentato
dallo studio topografico, che unito alla tecnica di rilievo, alla conoscenza dei materiali
e delle tecniche antiche, allo scavo ed al sopralluogo dava luce all’archeologia, ovvero
lo studio della storia antica.
L’opera in questione rappresenta uno dei fogli più ricercati dell’autore, che con l’abilità
dell’uso dell’acquaforte riesce a trasformare il muro di pietre in materia viva e lucente.
Bibliografia: Focillon 341, Wilton Ely 474. Dimensioni 450x700.
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Giovan Battista Piranesi
(Mogliano Veneto 1720 – Roma 1778)
Catalogo delle opere date finora alla luce da Giovanni Battista Piranesi
Acquaforte e bulino, circa 1761, firmata in lastra in alto a sinistra. Esemplare nel
probabile secondo stato di ventisette, databile al 1761, prima della dedica a
Joseph Smith. Magnifica prova, impressa ad inchiostro bruno su carta vergata
coeva con filigrana “cerchio e giglio”, con ampi margini, leggere ossidazioni e
pieghe di carta visibili al verso, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Abitudine comune di molti editori nel XVIII secolo, era redigere e dare alle stampe cataloghi o listini - prezzi delle opere grafiche che offrivano in vendita, allo
scopo pubblicitario di promulgarle, facilitarne le ordinazioni, ricevere sottoscrizioni. Piranesi non si limitò soltanto a realizzare un semplice catalogo scritto, ma
addirittura ne illustrò uno, meglio conosciuto come catalogo inciso, che pubblicò
per la prima volta nel 1761. L’occasione per la stampa del catalogo fu quella della
nuova sede di Palazzo Tomati, dove andò a stabilirsi nel 1761. Il primo catalogo
conteneva l’elenco delle 59 vedute della serie Vedute di Roma, la lista dei libri
pubblicati e delle altre stampe realizzate; tale catalogo venne di volta in volta
aggiornato con l’aggiunta del nuovo materiale in vendita, producendo un notevole numero di stati differenti, di cui ben 27 sono ora noti. Il catalogo inciso
costituisce un elemento fondamentale per la datazione delle opere del Piranesi,
strumento insostituibile di studio e ricerca, la cui analisi degli stati permette di
datare approssimativamente anche tutte le opere tarde dell’artista. Nella realizzazione di quest’opera, che a ragione viene considerata come l’ennesimo capolavoro, Piranesi studia soprattutto l’aspetto decorativo che la stessa doveva
assumere. La tecnica usata è la stessa che ritroviamo in alcuni suoi libri; su uno
sfondo architettonico egli da vita ad un effetto trompe oeil, disegnando degli
spilli che fermano alcuni cartigli contenenti titoli delle sue opere. Il primo piano
è costituito da rovine e frammenti scultorei, mentre lo spazio bianco era volutamente inserito per aggiungere in seguito altre voci. Gli esemplari del catalogo
sono notevolmente più rari delle altre incisioni del Piranesi, probabilmente per
la tiratura limitata, ma anche per il fatto che i cataloghi venivano considerati
materiale pubblicitario quindi effimero, e non da conservarsi. Alcuni di questi,
recano incise dediche ad amici e protettori dell’artista, mentre su altri sovente si
trovano annotazioni a penna con voci pubblicate da poco aggiunte a mano, spesso autografa.
Esemplare di straordinaria bellezza. Rarissimo.
Bibliografia: Hind p. 6, Focillon 1, ii/xxvii. Dimensioni: 405x295.
XLVI
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Giovan Battista Piranesi
(Mogliano Veneto 1720 – Roma 1778)
Veduta del Campidoglio di fianco
Acquaforte e bulino, 1757 circa, firmata in basso a destra. Terzo stato di sei.
Bibliografia: Wilton Ely 189; Focillon 747; Hind 39 III/VI. Dimensioni 690x400.
Tempio detto volgarmente di Giano
Acquaforte e bulino, 1771, firmata in lastra in basso al centro. Primo stato di
quattro.
Bibliografia: Wilton Ely 229; Focillon 825; Hind 96 I/IV. Dimensioni 705x475.
Veduta del Palazzo Farnese
Acquaforte e bulino, 1773, firmata in lastra in basso a sinistra. Primo stato di
tre.
Bibliografia: Wilton Ely 240; Focillon 828; Hind 107 I/III. Dimensioni 660x415.
Veduta della Piazza del Campidoglio
Acquaforte e bulino 1774, firmata in basso a sinistra. Primo stato di tre.
Bibliografia: Wilton Ely 244; Focillon 746; Hind 111 I/III. Dimensioni 690x440.
Le 4 incisioni sono parte della serie le Vedute di Roma. L’opera consiste in 135
lastre prodotte individualmente da Piranesi per almeno 30 anni, dal 1745 circa,
fino alla data della sua morte. All’opera sono aggiunte poi 2 vedute realizzate
dal figlio Francesco. Per la prima volta furono edite dall’editore Giovanni
Bouchard nel 1751 (34 lastre), successivamente dallo stesso Piranesi, editore a
Palazzo Tomati in Roma (scritta che appare su molte tavole), fino alla stesura
definitiva composta da 137 lastre. Dopo la morte dell’autore, le lastre furono ereditate dal figlio Francesco, che ne curò la pubblicazione prima nella capitale, e
poi a Parigi. Le lastre furono quindi acquisite dalla Calcografia Camerale, oggi
Calcografia Nazionale, dove sono tuttora conservate. Le opere che proponiamo
fanno parte di un album nella stesura definitiva, stampato a Roma tra il 1770 ed
il 1780. Magnifiche prove, impresse su carta vergata coeva, con filigrana (ove
presente) “doppio cerchio e giglio con lettere CB”, con pieni margini, in perfetto stato di conservazione. Esemplari privi della consueta piega centrale, con i
fori di legaccio all’estremità del margine sinistro, di primissima qualità.
XLVII - L
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