28 - Marinai d`Italia

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28 - Marinai d`Italia
Storie
KURSK
Una tragedia marinara
dei nostri giorni
di Paolo Pagnottella
Irina Korobkova, moglie di uno degli ufficiali
imbarcati sul Kursk
Nella foto, un gruppo di ufficiali
attende l’arrivo dei familiari delle vittime
Ntv channel: un gruppo di ufficiali e sottufficiali
del Kursk in posa per una foto nel maggio 2000
Kamelia Brazhkina, madre del comandante
della nona sezione del Kursk, Alexander Brazhkin
Il comandante del Kursk Gennady Lyachin
in una foto, risalente al 1995
20 agosto 2001 - Iniziano le operazioni di
salvataggio; scendono i sommozzatori norvegesi
6-8-2001 - Si immergono tre piccoli batiscafi
Bester nel tentativo di raggiungere il sommergibile
I resti del Comandante del Kursk, Capitano di Vascello Lyacin, sono identificati
solamente nel marzo successivo. Nelle
tasche di un giovane Ufficiale è ritrovato
un taccuino di appunti: scritti al buio,
mentre l’ossigeno si sta esaurendo, rimangono un’agghiacciante testimonianza delle ultime ore di quei poveri ventitré
marinai, sopravvissuti all’esplosione e
all’allagamento degli altri otto compartimenti, che hanno avuto la sorte di potersi rifugiare nel compartimento poppiero
(che però si sta progressivamente allagando). Nelle tasche è rinvenuta anche
una lettera alla giovane moglie Olga,
sposata tre mesi prima; bene ha fatto la
Marina russa a non divulgarne il testo.
Nell’aprile del 2002 lo scafo è rimorchiato da otto navi a Snezhonogorsk per essere demolito e bonificato; la falsa torre,
con lo scudo simbolo dell’unità, è annunciato che sarà conservata per farne il
monumento alla memoria dello sfortunato equipaggio, così come richiesto dai
familiari degli scomparsi e dalla pubblica opinione.
Giace invece, ancor oggi, in una discarica rottami nel porto di Murmansk.
Non è giusto.
n
8-10-2001 - Agganciato alla chiglia della colossale
nave-piattaforma Giant-4, il Kursk torna
alla base nella baia di Rosliakovo 14 mesi dopo
quel maledetto 12 agosto 2000.
Comincia il recupero dei cadaveri
La torretta del Kursk è in una discarica di materiali
ferrosi alla periferia della città di Murmansk.
L’ha ritrovata, il 17-3-2011, Tatyana Abramova,
figlia e nipote di sommergibilisti, dopo mesi di
ricerche e aiutata da una tv della penisola di Kola
otto ottobre di dieci anni fa tornava alla superficie ed era rimorchiato nel porto di
Rosliakovo, nei pressi di Murmansk, lo scafo di un sottomarino divenuto, nel frattempo, un simbolo. Il Kursk, varato appena nel 1994, appartenente alla classe di
sottomarini lanciamissili balistici e a propulsione nucleare detta, in gergo NATO, “Oscar
II”; era affondato il 12 agosto del 2000 intrappolando a bordo tutti i 118 uomini dell’equipaggio. La commissione d’inchiesta ufficiale ha terminato i suoi lavori attribuendo definitivamente la causa del sinistro allo scoppio interno di un siluro, di modello antiquato e
privo di manutenzione, anche se permangono ancor oggi molte circostanze ed evidenze
che fanno pensare anche ad altre cause (collisione con altro battello, fuoco amico accidentale ecc.).
L’
Il battello, un gigante del mare e orgoglio della Marina russa, lungo 154 metri con un dislocamento di quattordici
mila tonnellate circa, ferito a morte e
invaso dall’acqua, era sprofondato su
un fondale di circa 110 metri nel mare
di Barents.
Tutti noi sommergibilisti abbiamo vissuto
e partecipato spiritualmente a quella
tragedia, certamente sconvolgente e
toccante; quando fu tirato in secco, si
rese possibile recuperare, all’interno del
relitto, 114 corpi (degli altri quattro non si
rinvenne traccia) e, con essi, i drammatici e commoventi biglietti d’addio dei
marinai sopravvissuti per varie ore e riuniti nel compartimento numero nove,
quello poppiero.
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La vicenda registra una ridda d’informazioni false, che contribuirono allora (ma
ancor oggi), a creare un alone di mistero
intorno alla vicenda; per esempio, la Marina russa annuncia il sinistro, attribuendolo a un guasto tecnico, il giorno 14
agosto, datandolo il giorno prima, ma noi
in Occidente già sapevamo che era occorso addirittura il 12. I soccorritori russi riportano di essere in “contatto radio”
con l’equipaggio che ha, nel frattempo,
provveduto a spegnere i reattori nucleari (ne aveva due); non è così, i marinai intrappolati nello scafo hanno solo un
martello a disposizione e sono già morti
il 13 mentre i reattori sono stati disalimentati dal sistema automatico di bordo.
Addirittura, martedì 15 agosto le fonti ufficiali russe riportano che a bordo non ci
sono morti e che l’offerta di soccorso da
parte occidentale (USA, Gran Bretagna,
Norvegia, anche Italia) non è accolta
perché i mezzi di soccorso russi non sono inferiori a quelli della NATO. Noi, invece, sapevamo con certezza che la
Marina russa non disponeva dei sofisticati sistemi necessari a prestare soccorso a un sottomarino sinistrato in acque profonde.
Solo il 16 agosto il governo russo, preso
atto della impossibilità di qualsiasi tipo di
intervento efficace da parte dei mezzi a
sua disposizione, si decide ad accettare
l’offerta di Norvegia e Gran Bretagna; da
giorni i marinai dall’interno del battello
non danno più segnali sullo scafo. Il 21
agosto un minisommergibile britannico
LR5, specializzato in questo tipo di operazioni, scende sullo scafo, lo aggancia;
i sub norvegesi riescono facilmente ad
aprire un portello e constatano che il
battello è totalmente allagato. Nessun
superstite. Perché non sono stati chiamati subito? L’1 dicembre 2001 il Presidente Putin destituisce l’Ammiraglio comandante la Flotta del Nord, il suo vice e
altri tre ammiragli.
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