LE NEVI DEL KILIMANGIARO Tag

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il F i l m
LE NEVI DEL
KILIMANGIARO
Tag
di Robert Guédiguian
amore
amicizia
famiglia
solidarietà
paura
rabbia
vendetta
perdono
speranza
precarietà
giustizia
A causa di un furto
una famiglia unita e serena
è bruscamente costretta
Genere: Drammatico
Produzione: Francia 2011
Durata: 107’
a confrontarsi con una realtà
diversa da sé e con sentimenti
estranei al suo stile di vita.
Con:
Ariane Ascaride (Marie-Claire), Jean-Pierre Darroussin
(Michel), Gérard Meylan (Raoul), Maryline Canto (Denise),
Grégoire Leprince-Ringuet (Christophe), Anaïs Demoustier
(Flo), Adrien Jolivet (Gilles)
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LA DOMANDA
Dov’è la felicità?
Talvolta si è costretti, spesso con la forza, a uscire dalla propria “bolla perfetta”: una moglie innamorata, i figli e i nipoti con cui andare al mare la domenica mattina o gustarsi
un barbecue sotto il gazebo in cortile, un amico fidato su
cui poter sempre contare, una bella casa, un lavoro... Già,
un lavoro! Cosa succede quando viene a mancare? La bolla
scoppia? Dipende. In alcune realtà, come nel caso della famiglia di Michel – protagonista de Le nevi del Kilimangiaro –
il lavoro è importante, ma perderlo non è la fine di tutto:
restano la famiglia unita e gli amici. Il problema sorge quando la tua famiglia dipende esclusivamente da te e i conti a
fine mese non tornano mai; quando chiedi prestiti su prestiti ed il lavoro è la tua sola ancora di salvezza, perché hai sulle spalle anche i tuoi fratelli più piccoli, come capita all’ex
collega ventenne, Christophe.
Le nevi del Kilimangiaro – una favola contemporanea – ci
propone uno spaccato più che mai attuale in questo momento di crisi globale, dove avere un lavoro è un privilegio e non
più un diritto o un dovere; dove c’è chi riesce a vivere dignitosamente malgrado tutto (perché ha messo da parte un
po’ di soldi quando ancora ci si riusciva) e chi fatica a comprare il minimo indispensabile per vivere (e allora, perché
sia festa, basta un vaso di cioccolata per cena). Partendo da
questo sfondo e dal dettaglio di un licenziamento – quello del protagonista –, il film avrebbe potuto precipitare in
un esito drammatico; al contrario, il clima è quanto mai lieve rimanendo, invece, sedotti dalla voglia di vivere di due
coniugi operai che lottando negli anni Settanta sono andati “in paradiso”.
L’icona della loro gioia è la casa che hanno costruito: dentro ad essa è cresciuta la famiglia che hanno formato, educato all’onestà e alla generosità. Ma al cinema di Robert
Guédiguian piace eludere le mura domestiche; ama scendere in strada attraverso le finestre e le porte che la macchina
da presa mostra spalancate sul mondo e la società. Ed è pro178
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prio da quei varchi che il “brutto” del mondo entra anche
nel “bello” delle case, portando via con sé proprietà e certezze; cercando per strade malvagie, in realtà, una cittadinanza e una risoluzione non contemplate da altre misure
legali. Cosa capita quando questi mondi si toccano? Il regista francese è interessato proprio a questa “scintilla”, al
modo confuso e scorretto – ma sempre più esteso – di chi
ruba per sopravvivere.
I momenti più noir sono l’occasione per Christophe di
affermare l’esistenza di un’altra classe operaia (infelice)
che sconfessa quella che ha fatto la storia. Egli appartiene
ad una generazione che non ha conosciuto la lotta di classe e che per questo non sa nemmeno comprendere i gesti
di giustizia di Michel. Ciò che per l’ex sindacalista è il bene
supremo, conquistato con decenni di trattative, per il giovane rappresenta un tradimento e l’evidente fallimento di un
sistema sociale. In questo senso sono palpabili l’invidia e il
disprezzo con cui il giovane ladro giudica la vita e la famiglia di Michel.
Spaesati da tanto rancore, lui e la moglie Marie-Claire
provano a lasciarsi travolgere dalle emozioni negative come
capita a Christophe o al cognato Raoul. Sentono che altrimenti non avrebbero la lucidità e la serenità che consente di
affrontare le tempeste dell’esistenza. Si ritrovano improvvisamente abbandonati dai figli e dai parenti che non concordano con le loro scelte, come una barchetta di carta che finisce nell’acqua di scolo del ciglio della strada. Un meraviglioso gioco di carta che appare come un monito: «Custodisci il
tuo cuore più d’ogni altra cosa, poiché da esso procedono le
sorgenti della vita» (Pr 4,23).
L’ESPLORAZIONE
Più giusto della legge
Ispirandosi ad un testo letterario dai valori universali – il
poema Les pauvres gens di Victor Hugo –, il regista Robert
Guédiguian filma la sua ultima versione del dramma sociale.
Lo fa a partire dalla vita quotidiana di una coppia aperta e
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accogliente che cerca di vivere i valori in cui crede. Ambientato nel quartiere Estaque di Marsiglia – dove il regista è
nato nel 1953 –, il film racconta il mondo dei lavoratori utilizzando una schiera consolidata di attori, prima fra tutti la
moglie Ariane Ascaride (Marie-Claire). Pur narrando della
crescente disoccupazione e della costante perdita di dignità,
la messa in scena rimane leggera come la canzone di Pascal
Danel, Les neiges du Kilimandjaro, citata nell’omonimo titolo del film.
Guédiguian tenta – riuscendoci egregiamente – di evidenziare le differenze che ci sono oggi all’interno del mondo operaio, cercando strade di riconciliazione tra due generazioni profondamente diverse. Le nevi del Kilimangiaro
«mette a confronto», spiega, infatti, Ariane Ascaride, «due
generazioni: quella dei giovani e quella degli adulti. Al giorno d’oggi i giovani sono pieni di paure: hanno paura di non
trovare lavoro, di perderlo... e spesso i genitori sono troppo protettivi e non si preoccupano più di trasmettere i valori fondamentali. Il film vuole raccontare il bisogno di tornare
a trasmettere quei valori». Ritrovare la solidarietà e la fratellanza che hanno generato la coscienza di classe sociale, promuovendo una cultura della sicurezza nel lavoro e del rispetto dei diritti, per imporre oggi un’attenzione ai più deboli,
che meno possono contare sugli ammortizzatori sociali, e ai
più giovani che in Francia rappresentano una fetta considerevole della povertà.
Christophe insinua, pertanto, il dubbio che oggi per essere giusti non basta essere un sindacalista integro o tantomeno un operaio che crede nei supereroi! L’immagine di Spiderman nell’armadietto di Michel, accanto a foto di lotte
sindacali, dice la provocazione di altre risorse che oggi scarseggiano. «Certi giorni si fa fatica a vivere come un eroe!»,
dice, in questo senso, Marie-Claire a Michel quando viene a
scoprire che tra i lavoratori estratti a sorte per la cassa integrazione c’è anche suo marito. Come rappresentante sindacale il marito avrebbe potuto, infatti, impedire che il suo
nome venisse contemplato nell’estrazione. Impossibile: dare
a tutti le stesse opportunità è l’unica e la migliore giustizia che Michel sa intravedere. È la filosofia di vita che ha
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conquistato in prima linea in tanti anni di lavoro, scioperi e
battaglie. Christhophe, invece, uno Spiderman un po’ meno
poetico dei giorni nostri, lo provoca costringendolo a capire che la giustizia è davvero tale solo se al servizio di tutti.
«Una società può avere successo», afferma, infatti, il regista, «solo se s’intende come collettività! Bisogna cambiare
perché il mondo cambia, bisogna adattarsi, ma non bisogna mai abbandonare i valori fondamentali, bisogna sempre conservare i principi essenziali». Sostantivi come “altruismo”, “giustizia”, “gratuità” – come chiede arrabbiato il
detenuto – vanno quindi reinterpretati in base alle nuove
indigenze, vagliando e distinguendo i diversi casi che si pongono. La parità da sola non basta a salvare la Repubblica:
«La famiglia», spiega Guédiguian, «è il punto di partenza di
ogni forma di solidarietà, è alla base della democrazia, ma
deve essere in grado di aprirsi; deve essere una famiglia senza porte e senza chiavi, pronta ad accogliere sempre l’altro».
Manca in Europa una luce calda che sappia rischiarare i cuori; di essa il film (anche in termini estetici con le tonalità della fotografia) si fa testimone credibile e appassionato.
LA PROSPETTIVA
Ritrovare l’amore
dentro e fuori la coppia
«Il coraggio è sorvegliare attentamente la propria macchina per filare e tessere, perché nessun filo si spezzi, e quindi preparare un ordine sociale più vasto e più fraterno in
cui la macchina sarà al servizio comune dei lavoratori liberati». Dopo essersi auto-licenziato Michel recita questo “mantra” quasi a ribadire che non smetterà mai di avere fiducia
in quello per cui ha lottato durante la sua vita lavorativa.
Egli è un uomo, prima che un lavoratore, con un comportamento inappuntabile che lo porta ad essere coerente –
anche fuori dal cantiere – con i valori in cui crede. Eppure un
po’ come nella parabola del “buon samaritano” (Lc 10,2537) è significativo che a “farsi prossimo” a quel malcapitato – Christophe in questo caso – sia uno straniero, un sama181
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ritano appunto. Ci si sarebbe aspettati che a fermarsi fossero il sacerdote o il levita, come il giovane operaio si aspetta
che sia il collega sindacalista, quasi arrivato alla pensione, a
distinguere le situazioni personali e a farsene carico in qualche modo inventando nuove soluzioni. Rimuginando sulle
parole dure del giovane, Michel capisce di aver tradito la
dignità del collega. Si rende conto che era più preoccupato
di trovare una soluzione inattaccabile che un provvedimento davvero equo.
Pur disoccupato, percepisce comunque di non avere scusanti di fronte alle rimostranze del giovane; coglie una sorta di anacronismo e d’inadeguatezza del suo modello di giustizia sociale. Si ritrova nudo e indegno davanti a una generazione, dunque, abbandonata dai padri, in cui s’include. Si
coglie tanto impreparato da arrivare a picchiare Christophe
in prigione. Diventa violento non soltanto per la rabbia delle sue offese, quanto per se stesso, poiché non è stato in
grado di comprendere i segni di un tempo nuovo, bisognoso di lotte e scelte diverse. Nei giorni a seguire, lasciando-
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si trasportare dalla routine della disoccupazione e cercando
di capire le ragioni della realtà familiare del giovane, Michel
saprà decifrare in modo più autentico la valenza e l’origine
del suo atto violento.
Il manrovescio in commissariato è il simbolo di una rottura di classe ma anche di un fondamentale passaggio di coppia. Esso rappresenta il punto di svolta, dove la comprensione per le circostanze avverse può far emergere quella
cifra che in ogni persona è presente, ma di cui non si è sempre consapevoli fino in fondo. E che tale meccanismo perverso vale tanto per Michel che arriva ad essere violento,
quanto per il giovane collega che impara a delinquere. Da
quell’istante – nella naturale esperienza dell’irriconoscibilità
– Michel e Marie Claire iniziano un cammino individuale. Il
minor dialogo si accompagna alla ricerca personale del senso di quanto accaduto.
Per decenni la vita di Marie Claire è stata quella di moglie
e madre, contribuendo al bilancio familiare con lavoretti di
assistenza agli anziani. La sua professione avrebbe dovuto
essere un’altra, ma nella consapevolezza e nella serenità ha
preferito scegliere la famiglia. In questo tempo di dubbi e
domande si dà il “permesso” di fare scelte di solidarietà e
concedersi del tempo per se stessa, senza chiedere o condividere con il marito. Aiuta i due fratellini di Christophe
senza farsi notare troppo, toccando con mano l’asprezza di
alcune situazioni (esemplare il dialogo al porto con la madre
di Christophe).
Contro ogni sua precedente abitudine, mette piede tutta sola ripetutamente in un caffè dove ordina bevande a lei
inconsuete. Di certo, se “il Metaxa” non allevia le fatiche
della società, per Marie Claire rappresenta comunque il simbolo di una sana solitudine che le consente di afferrare grintosa le priorità del momento. Il caffè è il luogo dell’anima
in cui come madre trova le parole per farsi vicina alla figlia
che sospetta un tradimento del giovane marito lontano per
lavoro. Non è semplice spiegare – ma lei ci prova lo stesso!
– che le scelte fatte per amore sono quelle che portano in
sé una carica di speranza capace di risollevare situazioni che
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altrimenti, valutate soltanto in termini economici o professionali, potrebbero sembrare delle strade senza via di uscita.
Il punto di svolta del film – anche nella realtà? – arriva
dalla decisione di Michel e della moglie di farsi carico della famiglia dell’aggressore, dimostrando che gesti ed atteggiamenti di speranza sono possibili anche in tempi difficili. I gesti dei due coniugi, che senza saperlo si assomigliano,
sembrano un autorevole commento contemporaneo alle
parole che san Paolo scrisse ai Galati: «Fratelli, qualora uno
venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere
anche tu in tentazione. Portate i pesi gli uni degli altri, così
adempirete la legge di Cristo».
I due si ritrovano mossi dal sentimento d’amore che li
accomuna da una vita: anche se per strade separate, entrambi arrivano alla medesima decisione. Certo, Marie Claire ci
arriva un po’ prima, confermando la totale aderenza della rivisitazione al poema di Hugo. Per fondare la sua idea
di pietas incondizionata anche lo scrittore francese scelse,
infatti, una famiglia. E parimenti a Guédiguian, alla perdita di tempo delle chiacchiere, il “timone” materno preferiva mettere di fronte i fatti compiuti, scatenando un senso di
rassicurante ironia. Sulla via della speranza la famiglia e la
donna assumono, quindi, da parte dei due intellettuali francesi l’investitura di attori protagonisti.
LA RIE-VOCAZIONE
La speranza di una terra promessa
Mentre Michel cammina a fianco del suo amico Raoul,
ammettendo che vorrebbe ritirare la denuncia contro Christophe, su un edificio campeggia la scritta: «La speranza è
costruita con quelli che lottano». Per cosa hanno lottato
Michel e Raoul in tutta la vita, se adesso non si riconoscono
più nelle loro azioni? Per che cosa vale veramente la pena
lottare? E cosa alimenta davvero la speranza?
Di certo non la rabbia (Raoul) o la paura (Denise) che rendono depressi e soli o svuotati e incapaci di ripartire. «Lascia
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stare l’ira e abbandona il furore; non mostrarti acceso solo
per fare il male», dice il Salmo 37 sollecitando a considerare che i frutti buoni vengono piuttosto dall’indignazione. Le
diverse reazioni impongono l’obbligo alle due coppie così
unite di rimanere comunque sole per un periodo. Nessuno
di loro può avere il controllo su come gli altri reagiranno o
imporre idee e scelte. Possono però – come fanno Michel e
Marie Claire – stare, con il loro comportamento, nella solitudine e continuare a fare la differenza. Il contagio – a cui non
sono immuni nemmeno Raoul e Denise – vive della pazienza e del sostenere lo sguardo di chi osserva disincantato dalla finestra.
«Il viaggio non era una buona idea. Io voglio stare bene
qui...», dice Marie Claire parlando della sorte del regalo ricevuto per l’anniversario. La Tanzania – come pure il titolo del
film – è un simbolo dell’utopia che distrae da quanto di più
assordante i protagonisti hanno accanto. I due coniugi scelgono di continuare a credere nell’altro da sé, nello spendersi
anche quando gli indizi porterebbero a ripiegarsi su se stessi; di perdonare dove si vorrebbe vendetta. Anche quando i
figli li scambiano per dei vecchi pazzi, perché con i soldi del
viaggio possono rendere meno gravosa la pena di Christophe o quando gli stessi impongono di scegliere tra i nipoti
e i due ragazzini soli al mondo. Lì, nella solidità e nella fermezza di Michel e Marie Claire (che sa andare anche contro
l’idiozia del proprio sangue), c’è la lotta di chi spera.
L’elettroshock dell’aggressione li ha portati al desiderio
di affidarsi a una barchetta di carta che scorre lungo il fiume della vita: legati tra discese e salite, onde e mulinelli,
per arrivare alla pace del mare che si mescola nell’Infinito.
Si può lasciarsi trasportare dalla corrente a patto però che
ci sia un punto fermo nel cuore. Su questo i due coniugi si
trovano preparati e le parole che si sono dedicati durante la
festa dell’anniversario diventano una promessa con cui confrontarsi. A loro sanno attingere anche Raoul e Denise che
nell’amicizia con essi trovano delle solide stampelle per tornare a uscire di casa.
Le due coppie giungono ad un atteggiamento spirituale
– prima che pratico – che cambia la loro prospettiva sul mon185
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do e che li rende capaci di amare e desiderare una terra promessa anche per Christophe e per i suoi due fratellini. Ogni
essere umano coltiva in sé la speranza di poter ricominciare
un percorso di vita, senza rimanere, per sempre, prigioniero dei propri errori. Ogni persona sogna di poter tornare a
sollevare lo sguardo verso il futuro, per scoprirvi ancora una
prospettiva di fiducia e d’impegno.
LA CONSEGNA
Con la povera gente, sempre
Le nevi del Kilimangiaro ci consegna almeno due delle ragioni per cui la società occidentale è in forte affanno. Innanzitutto le scelte politiche e i meccanismi posti in essere non
riescono più a difendere “les pauvres” che – a fin di bene! –
arrivano a compiere gesti estremi. In secondo luogo, ma non
in maniera meno drammatica, vi è la destabilizzante irriconoscibilità che aumenta tra le generazioni: chi ha generato
non riconosce in termini valoriali il suo frutto e chi ha ricevuto la vita non comprende – e per questo boicotta anche violentemente – le scelte dei padri.
Per affrontare una situazione così compromessa servono atti semplici e quotidiani, quasi nascosti – «Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la
tua destra, perché la tua elemosina resti segreta» (Mt 6,3) –,
che costruiscono nuove reti di solidarietà e legami sociali.
Al contempo non possono mancare le manovre economiche, capaci di ristrutturare il tessuto sociale e l’elaborazione
di strategie politiche di grande coraggio e profezia. Scelte
capaci, quindi, di arrivare presto e seriamente alle necessità
del popolo, come ben riesce il film di Guédiguian.
A suo modo e secondo il suo orizzonte culturale di riferimento, il regista sembra dire quanto cinquant’anni fa i padri
conciliari si sentirono ugualmente di ribadire scrivendo: «Le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei
discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che
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non trovi eco nel loro cuore» (dal proemio della costituzione pastorale Gaudium et spes).
Guédiguian, che in passato sosteneva che «un film popolare è quello che rivela alla gente la grandezza che c’è in
loro», oggi – nelle note ufficiali dell’opera – replica: «E ne
sono convinto più che mai. Per me, queste persone sono la
speranza. Possiamo chiamarli “Santi” o “Giusti”, comunque
queste persone ci sono, esistono. La speranza risiede nella
riconciliazione di tutta la “povera gente”. E ovviamente, io
immagino, come epilogo del mio film, che quando uscirà di
prigione, Christophe ritroverà Michel, Marie-Claire, Raoul e
Denise e che ricominceranno a combattere. Insieme».
«
il d i a l o g o
Marie ---- È la tua vita, tocca a te decidere.
Claire Sei tu che sai quello che è importante!
Flo -------- Il mio lavoro è... poi non lo so,
c’è il mutuo della casa c’è... vorresti che facessi come te? Che mi
sacrificassi come hai fatto tu per
papà?
Marie ----Parli dei miei studi da infermiera?
Claire Ma io ho fatto una scelta, altri ne
avrebbero fatta un’altra, ma io ho
fatto quella! Io amo la mia vita,
l’ho sempre amata, l’amo ancora... perché l’ho passata con tuo
padre, con voi, nel mondo dove
sono nata. Ho voluto io tutto
questo!
»
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«
il d i a l o g o
Michel ----Mi domandavo che cosa avremmo pensato di noi seduti così,
qua, sulla terrazza con un bicchiere in mano al tramonto.
Marie -----Ma chi?
Claire
Michel ----Noi. Che cosa avremmo pensato
di noi? Te l’immagini trent’anni
fa, passare per la strada, alzare la
testa e vedere due ultracinquantenni: l’aria bella placida, che sorseggiano una cosa sputando noccioli appoggiati alla balaustra.
Che cosa avremmo pensato Claire?
Marie ----- Che eravamo due piccoli borghesi!
Claire
Michel ----Siamo dei borghesi: andiamo al
mare tutte le domeniche, possediamo una casa, guardiamo la
televisione...
Marie -----Siamo borghesi, ma non troppo.
Claire No! Io credo che ci saremmo detti: “Hanno l’aria felice”. Ci saremmo detti: “Per avere l’aria così
felice non devono aver fatto mai
soffrire nessuno. Non sono mai
stati indifferenti verso gli altri”.
Michel ----Anche in questo momento? Siamo ancora felici?
Marie -----Era la sola cosa da fare Michel!
Claire
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