La sorellina 1 Valerio infilò la chiave nella serratura della porta, la
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La sorellina 1 Valerio infilò la chiave nella serratura della porta, la
Se in fondo al volume non è presente il catalogo, potete consultarlo su www.robinedizioni.it La sorellina 1 Edizione a cura di Silvia Roia © 2006 ROBIN EDIZIONI SRL Via Silla 35 - 00192 Roma Tel. 06.39.726.745 Fax 06.39.722.835 e-mail: [email protected] sito web: www.robinedizioni.it Valerio infilò la chiave nella serratura della porta, la girò, fece un passo e si trovò in quella casa che sembrava abitata, palpitante di vita, piena di oggetti personali. Che però non erano i suoi oggetti personali. Un vecchio tappeto consumato copriva il pavimento del corridoio. A sinistra si trovava uno specchio a figura intera che gli rimandò il suo sguardo smarrito e a destra un attaccapanni, costituito da supporti arrotolati in eleganti e antiquati riccioli. Alle pareti erano appesi due quadri, una natura morta e un paesaggio, con le loro cornici pesanti e austere. Valerio aprì una delle due porte alla fine del corridoio ed entrò nella camera da letto. Lo accolsero un imponente letto matrimoniale sovrastato da una testiera di legno scavato e sbalzato, un grande armadio con le ante a specchio, un vecchio comò, una vecchia poltrona e un altro tappeto, consumato quanto quello del corridoio e, alle pareti, altri due quadri. La seconda porta dava invece sulla cucina che serviva anche da sala da pranzo, con una grande credenza dai molti sportelli e cassetti, un tavolo e alcune sedie. In quella casa non abitava nessuno da molto tempo. Se qualcuno avesse aperto uno dei cassetti o degli sportelli, non avrebbe trovato nulla e nemmeno se avesse aperto l’armadio con le ante a specchio. È vero che Valerio aveva con sé ben poco. Abitava in quell’alloggio della periferia torinese da meno di un mese, dopo che Fiora aveva pagato per lui tre mesi di affitto anti- Alla Robin Edizioni srl sono riservati i diritti di sfruttamento e la proprietà esclusiva del marchio BdV 5 RICCARDO BORGOGNO IL BAMBINO SUL SOFFITTO cipato, come richiesto dal proprietario a titolo di deposito cauzionale. Non gli era rimasto quasi nulla della sua precedente vita, avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo, ricostruire tutto dal nulla. L’odore di chiuso indusse Valerio ad aprire la finestra. L’edifico sorgeva all’angolo di una piccola piazza con alcune panchine, un chiosco di bibite e gelati e una piccola edicola, quasi sepolta dalle riviste e dalle videocassette che faticava a ospitare. Due giovani erano in attesa alla fermata del tram. Al di là della piazza erano ammassate molte carcasse d’auto circondate da un reticolato. Al centro del recinto era fragorosamente in funzione una gru che stava sollevando un’auto con il cofano sfondato. All’orizzonte, il lungo profilo di cantieri edili e di fabbriche diroccate. Era una zona di antica industrializzazione, che tra pochi anni avrebbe avuto un aspetto completamente diverso, in sintonia con le Olimpiadi del 2006 e il Mercato Unico Europeo. Valerio richiuse la finestra, entrò nel bagno e provò a girare il rubinetto. Tentò, ma il rubinetto non si mosse. I tubi in cattivo stato contrastavano con l’aspetto generale del bagno, molto grande, una vasca incassata in uno zoccolo rivestito da piastrelle azzurre, che formava un gradino. Valerio impegnò più forza, riuscì a smuovere il rubinetto di alcuni millimetri, i tubi iniziarono a gorgogliare, ma solo un filo d’acqua cominciò a scorrere. Rinunciò, passò nella camera, si lasciò cadere sul letto e tirò un sospiro. Nella posizione in cui ora si trovava poteva vedere il bambino sul soffitto. Lui lo chiamava così e a poco a poco vi si era abituato. Si trattava di una costellazione di macchie di diverse sfumature dal bruno al giallastro, grandi e piccole, che assomigliavano a un volto umano. Il volto di un bambino. Non era così, lo sapeva bene. Quelle macchie coprivano tutte le pareti ed erano frutto dell’umidità, della sporcizia e di chissà cos’altro. Chiunque poteva isolare alcune macchie dalle altre e dare loro un nome o una forma, in modo del tutto arbitrario. Chiunque, se osserva un oggetto a lungo, ha l’impressione che si muova. Come tendere a lungo l’orecchio nel più assoluto silenzio. Alla fine un rumore lo senti, lontano e flebile, ma lo senti. E allora Valerio, quando aveva deciso che quello era il volto di un bambino, con la fantasia aveva riempito le lacune, aveva unito i punti fino a formare il contorno, aveva aggiunto i dettagli. Se si fosse sforzato, nei giorni seguenti sarebbe riuscito anche a dargli un colore. Forse per sentirsi meno solo, forse per pensare che qualcuno in casa lo aspettava. Solo un mese prima era in un’altra stanza, su un altro letto e quella stanza aveva una porta di metallo chiusa a chiave dall’esterno e una finestra chiusa da sbarre. Era una cella del carcere giudiziario di Ivrea, dove doveva finire di scontare una pena di sette anni. La cella ospitava due brande affiancate, una delle quali era libera, ma non lo sarebbe stata per molto, i nuovi arrivi erano quasi quotidiani. Presto anche la branda di Valerio sarebbe stata libera, perché aveva finito la pena. Sette anni meno lo sconto per “buona condotta”. Solo da un anno era a Ivrea, perché aveva chiesto e ottenuto il riavvicinamento a Torino. Le finestre di Ivrea erano grandi e lasciavano entrare molta aria e luce, ma in altre carceri le finestre erano piccole e collocate in alto, le chiamavano “bocche di lupo”. Valerio era stato in celle sotterranee perennemente umide e umidi erano anche i materassi e le coperte. Per non parlare delle estati in cui la cella era un forno, l’aria immobile e incandescente. Chi conosceva Valerio credeva che non ce l’avrebbe mai fatta, gli mancavano tutte le caratteristiche indispensabili per sopravvivere in carcere che poi si riassumono in due, essere 6 7 RICCARDO BORGOGNO IL BAMBINO SUL SOFFITTO un “duro” o avere conoscenze nella malavita. Ma poi un detenuto gli aveva chiesto di scrivere una lettera per suo figlio, un altro gli aveva chiesto di scrivere un’istanza per la libertà provvisoria, un altro ancora gli aveva chiesto una lettera per la fidanzata. Tutti erano stati soddisfatti del risultato, soprattutto quello che aveva ottenuto la liberà provvisoria, un ragazzo condannato per furto d’auto che l’avvocato aveva abbandonato dopo la sentenza di primo grado perché non poteva pagarlo, e da quel momento Valerio non aveva avuto più niente di cui preoccuparsi. All’ora di apertura mattutina delle celle, davanti alla sua c’era già la coda di coloro che chiedevano la sua opera; caso mai ad arrabbiarsi era il suo compagno di cella, un uomo con grossi baffi e grossi tatuaggi, perché Valerio non chiedeva niente in cambio. “A quest’ora dovremmo avere la cella strapiena di forme di formaggio, lattine di birra, stecche di sigarette e ogni ben di Dio!” Ma poi si era calmato, rassegnato al fatto che Valerio era “un bravo ragazzo” ma “non ci sapeva fare”. Poi finalmente la guardia l’aveva chiamato, era sceso in magazzino con i suoi pochi vestiti in un sacco di plastica, aveva ritirato i suoi effetti personali, tra cui sessantamila e cinquecento lire ormai fuori corso nell’epoca dell’euro, aveva firmato un foglio in cui dichiarava di essere in buona salute e si era trovato in piedi, sullo stradone, sotto il sole, mentre il cancello si chiudeva alle sue spalle. Il telefono squillò. Il problema era sapere dove si trovava. Valerio balzò dal letto e girò lo sguardo dappertutto. Non vide l’apparecchio e nemmeno il filo, né la presa. Lo squillo continuava. Si affacciò sul corridoio e infine vide la presa. Solo che nessun telefono vi era attaccato. E allora si ricordò del cellulare. Aprì il cassetto del comodino, lo prese e disse “Pronto” in fretta. “Finalmente, dov’eri?” “Ciao, Fiora. Ero qui, a casa, sono appena arrivato.” Sua sorella gli aveva regalato quel telefonino e gli aveva pazientemente spiegato che ormai quei giocattoli sono di uso corrente, ce li hanno tutti, non come sei anni prima quando erano uno status symbol. Valerio era molto abitudinario e per questo lei lo aveva sempre preso in giro fin da quando erano piccoli. Valerio aveva fatto fatica ad abituarsi prima alle tessere telefoniche al posto dei gettoni, poi all’estensione dei prefissi telefonici a tutti i numeri e infine al passaggio dalla lira all’euro. Fiora lo sapeva, per questo gli aveva regalato un telefonino senza aspettare che se lo comprasse. Sua sorella gli aveva pagato l’avvocato ed era stata l’unica ad andarlo a trovare in carcere, gli scriveva lunghe lettere e gli portava pietanze cucinate da lei. “Ti ho chiamato diverse volte, perché non rispondevi?” “Diverse volte? Non so. Ah sì, avevo lasciato il telefonino a casa, sono rientrato poco fa.” “Valerio, il telefonino devi portartelo sempre dietro, altrimenti a cosa ti serve?” Risatina nell’apparecchio. “O almeno, quando lo riprendi, guarda se qualcuno ti ha chiamato. Ti ho spiegato come si fa, no?” Valerio disse di sì molte volte e lei lo interruppe per passare a un altro argomento. “Allora domani ci vai? Guarda che mi sono data un sacco da fare per trovarti quel lavoro.” “Ci vado, ci vado.” 8 9 2 Lo studio pubblicitario “Caleidoscopio” si trovava in un salone all’ultimo piano di un palazzo vicino alla stazione di Porta Susa, che Valerio aveva raggiunto in tram. Un lucer- RICCARDO BORGOGNO IL BAMBINO SUL SOFFITTO nario inondava il locale di luce. Un uomo con un paio di baffetti e un’enorme massa di capelli ricci e una donna con capelli, blusa e pantaloni neri, entrambi giovani, erano intenti a disegnare con pennarelli su lunghi ripiani poggiati su cavalletti. Poi c’erano due computer di cui uno collegato a uno scanner, un modem e una stampante, accanto a una scatola piena di floppy e cd-rom. L’uomo e la donna sollevarono la testa dal lavoro, i pennarelli a mezz’aria, e guardarono incuriositi il nuovo arrivato. Sotto i loro sguardi incrociati Valerio si bloccò, si guardò intorno e tentò un sorriso che, senza vederlo, gli sembrò insulso. “Scusate...” riuscì a dire. “C’è il dottor Flavio Aglione?” “Dottore?” chiese il giovane, tentando di trattenere una risatina che fece ondeggiare la massa di riccioli. Erano enormi anche i jeans, il cui cavallo si trovava quasi all’altezza delle ginocchia. “Giorgio!” lo rimbrottò la ragazza e subito indicò una porta di cui Valerio non aveva notato l’esistenza. “Il titolare, intendi... è là dentro.” Valerio non si decideva a dirigersi verso la porta chiusa, la ragazza si alzò forse per guidarlo, ma non fu necessario, la porta si aprì e uscì un uomo basso e grasso. Oltre alla pancia, la prima cosa che si notava era la chioma, bianca ma ancora folta, che quasi costituiva un caldo copricapo. I suoi occhietti piccoli e rotondi saettarono per la stanza, come per cercare di scoprire cosa avesse interrotto l’attività, e si fermarono su Valerio. “Il signor Aglione? Sono Valerio Galvano... mia sorella Fiora mi ha detto...” La bocca di Flavio Aglione si distese in un sorriso e i piedi si mossero rapidi verso di lui. Intanto strofinò la mano sulla pancia per poi tenderla. Fiora era la segretaria amministrativa di uno studio di architetti e ingegneri associati, che aveva commissionato allo studio “Caleidoscopio” i suoi biglietti da visita e le sue lettere intestate, il che aveva permesso a Fiora di sapere che il ”Caleidoscopio” cercava un copywriter. “Valerio Galvano, ma certo!” Valerio e Aglione si strinsero la mano, Aglione non la mollò e la usò per trascinarlo nella sua tana. Sedettero ai due lati di una piccola scrivania sovraccarica di fogli, con un telefono e un fax. L’uomo aveva un pesante paio di occhiali appesi a un cordoncino rosso, praticamente inutile poiché gli occhiali erano già sostenuti dalla pancia. Il colletto della camicia era allentato su una cravattona cosparsa di Topolino, Paperino, Pippo e Orazio. “Mi ha detto Fiora che sai scrivere bene e questo a noi serve molto.” Veniva subito al dunque e questo Valerio lo apprezzò. “Oggigiorno è facilissimo trovare esperti di computer, Internet, grafica, virus e antivirus, ma nessuno sa più mettere giù una mezza pagina. Ecco qua, ad esempio...” e cominciò a frugare tra i fogli sparsi. Infine tirò fuori una serie di fotografie, ognuna delle quali era unita con un fermaglio a un rettangolo di carta con su scritte le parole che avrebbero dovuto illustrarla e presentarla. “Vedi queste foto? Sono articoli sanitari, dobbiamo fare un catalogo. Le foto le abbiamo, ci mancano le didascalie, le parole insomma. Ho provato a scriverle io, ma...” e si chinò in avanti abbassando la voce e indicando i rettangoli uniti alle foto, “sinceramente fanno pena. Già a scuola i temi non li ho mai saputi fare.” Aglione porse a Valerio il mazzo di foto e pezzi di carta uniti dai fermagli. 10 11 RICCARDO BORGOGNO IL BAMBINO SUL SOFFITTO “Vedi cosa riesci a scrivere tu. Quello che ho scritto io ti può servire per capire cosa è e a cosa serve ogni articolo. Aggiungici un pezzo per l’introduzione.” Il colpo di clacson bloccò Valerio già diretto alla fermata del tram, lo indusse a voltarsi e Fiora era lì. Prima anco- ra di vederla, quando sentì lo squillo del clacson e riconobbe la Punto, capì che era lei. Aprì la portiera dalla parte del passeggero, entrò, sedette e si trovò a guardare se stesso negli occhiali a specchio con montatura di metallo della sorella. “Allora?” chiese lei. Il tailleur sartoriale, giacca bianca con quattro bottoni e ampia gonna nera, unito agli eleganti occhiali, formavano l’immagine della segretaria efficiente e soprattutto seria. “Allora cosa?” Fiora si tolse gli occhiali e Valerio poté vedere l’espressione imbronciata di lei. “Allora com’è andata? Devi sempre farti pregare? Quando fai così ti prenderei a schiaffi.” Fiora era un tipo pratico, preciso e razionale, certe cose la mandavano in bestia e Valerio lo sapeva. Per questo si divertiva a stuzzicarla. Ma sapeva anche che sua sorella lo amava e lo coccolava fin da quando era piccolo. Lei aveva fatto ragioneria alle superiori ed Economia e Commercio all’università. Lui invece aveva fatto il liceo classico, dove aveva sempre studiato il minimo indispensabile per andare avanti, magari dopo essere stato rimandato a settembre. “È intelligente ma non si applica” sentenziavano gli insegnanti ed era vero. Valerio alla Divina Commedia e ai Promessi Sposi preferiva Emilio Salgari, non solo il ciclo di Sandokan e dei Tigrotti della Malesia e quello del Corsaro Nero e dei suoi numerosi parenti, ma anche tutti gli altri romanzi che nessuno legge più, come Capitan Tempesta, La città del re lebbroso o La perla sanguinosa. Per non parlare dei fumetti. Fiora lo rimproverava quando lui perdeva il suo tempo immerso nei fumetti o al cinema a guardare “La cavalcata dei resuscitati ciechi”, “Occhi bianchi sul pianeta Terra” o 12 13 Uscirono insieme dall’ufficio e il capo gli presentò i suoi nuovi colleghi. La brunetta dark si chiamava Simonetta, il riccioluto Giorgio. Entrambi si alzarono per stringergli la mano, lei aggiunse un “Ciao, Valerio.” “Poi ci sono Tommaso, che è un fotografo, adesso è fuori per un servizio e Carla che è in ferie, rientra tra una settimana.” Aglione gli indicò un computer libero su uno dei tavoli. “Per scrivere puoi usare quel computer, c’è il programma Word, è collegato alla stampante.” “Veramente io pensavo di scrivere a casa e portarvi il lavoro... lo discutiamo e se non va bene lo correggo...” “A casa? Se hai il computer a casa non c’è problema.” “No, non ho il computer a casa. Scriverei a mano.” “A mano? Ma... ma...” Si intromise Giorgio: “Scusa, Valerio, tu sai scrivere con il computer, vero?” “Giorgio!” lo rimbrottò la sua collega. “Sì, l’ho visto fare, l’ho già fatto...” “Se hai dei problemi,” disse Simonetta, “ti aiuto io.” Valerio tornò a rivolgersi al capo: “Magari a casa butto giù una bozza a mano, poi la rielaboro e la correggo qui con il computer. Se a lei va bene...” “Perfetto, perfetto.” RICCARDO BORGOGNO IL BAMBINO SUL SOFFITTO “Il mondo dei robot”. Come se non bastasse, Valerio alla televisione non perdeva un episodio di “Spazio 1999”, “Ai confini della realtà” e “Agente speciale”, quella serie che sembrava di spionaggio, ma era piena di humour e cose buffe e strane. Valerio era riuscito a fare ammettere a Fiora che i due protagonisti, un uomo vestito di nero con la bombetta e l’ombrello e una ragazza magrissima con i capelli lunghi e la minigonna, erano simpatici anche a lei. Vera Inghilterra anni ’60. E poi c’era quella cosa che era cominciata quando Valerio aveva quattordici anni ed era durata fino al giorno in cui era entrato in carcere. Una cosa che gli faceva molta paura, che le prime volte lo aveva lasciato tremante e piangente. Poi si era fatto forza, si era detto e ripetuto che quella cosa non era pericolosa, non poteva fargli male e allora era riuscito a sopportarla. Ma sempre con un po’ d’ansia ed era sempre un grande sollievo quando finiva. Fino alla volta successiva. Valerio vedeva delle persone che non c’erano. Sapeva di essere sveglio, sapeva dove si trovava, riconosceva la sua stanza, gli oggetti noti, capiva che ora era. Ma in mezzo agli oggetti noti, in mezzo alla stanza, vedeva una persona che non c’era, che non poteva esserci. Per un po’ di tempo aveva pensato che fosse uno scherzo della sua fantasia, perché lui aveva tanta, troppa fantasia. Ma la persona che vedeva non assomigliava a nessuno dei personaggi dei romanzi di Salgari e nemmeno dei fumetti. Poteva essere un uomo o una donna, un giovane o un vecchio, che lo guardava, gli faceva dei gesti, sembrava che volesse parlargli, apriva e chiudeva la bocca, ma Valerio non sentiva niente. E all’improvviso quella persona non c’era più. Fiora forse qualcosa aveva sospettato, ma lui non le aveva mai detto niente. Ogni tanto lei gli chiedeva se anda- va tutto bene, lui rispondeva di sì, che andava tutto bene, o almeno tirava avanti. Sua sorella non gli credeva del tutto, lo scrutava perplessa, ma lui non aggiungeva altro e lei si arrendeva. Valerio non sapeva perché quella cosa fosse cessata in carcere. Forse il carcere non era il posto adatto per questo genere di fenomeni, forse la detenzione era la scossa, lo choc di cui la sua mente aveva bisogno, chissà. Fatto sta che non era più successo e lui se ne era quasi dimenticato, costretto a pensare a problemi più concreti e impellenti. Sua sorella sosteneva che dopo il liceo classico avrebbe potuto insegnare, ma lui aveva cercato di spiegarle che non era possibile, insegnare avrebbe voluto dire parlare, comunicare, stare molto in mezzo alla gente e lui in mezzo alla gente non ci sapeva stare. Lezioni di ripetizione sì, insegnare a una sola persona per volta ci riusciva, anzi gli veniva bene e poi altri lavori che si fanno da soli, come infilare volantini pubblicitari nelle cassette delle lettere o consegnare cataloghi del Postalmarket. Tutti lavori precari, a breve, brevissimo termine. Era avvenuto proprio durante uno di quei lavori precari. Fattorino, per la precisione. Gli davano un motorino e un walkie talkie che restituiva la sera. L’agenzia di consegne era fuori mano e Fiora lo portava di mattina in auto, mentre di sera lui tornava a casa in pullman. Il titolare era un tipo grande e grosso, che al momento dell’assunzione gli aveva fatto firmare una specie di contratto con la cifra del compenso in bianco. Mentre firmava, Valerio l’aveva sentito commentare con la segretaria: “Adesso che alla Fiat c’è di nuovo cassa integrazione, ne vedremo arrivare tanti a pregarci di farli lavorare.” 14 15