the tale of tomorrow
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the tale of tomorrow
wu)magazine_portfolio THE TALE OF TOMORROW IL LIBRO RECENTEMENTE PUBBLICATO DA GESTALTEN È UN OMAGGIO PER IMMAGINI E TESTO ALLE COSTRUZIONI UTOPISTICHE DEGLI ANNI CINQUANTA, SESSANTA E SETTANTA, VERI E PROPRI MANIFESTI DEL MODERNISMO. CORAGGIOSE E RIVOLUZIONARIE, QUESTE ARCHITETTURE DALLA FORTE PERSONALITÀ NON SONO MAI PASSATE DI MODA. E, ANZI, POTREBBERO ISPIRARCI ANCORA OGGI CON LA LORO SPINTA OTTIMISTA TESTO DI DI MARZIA NICOLINI FOTO DAL LIBRO THE TALE OF TOMORROW, COPYRIGHT GESTALTEN 2016 NATIONAL ASSEMBLY BUILDING OF BANGLADESH DI LOUIS KAHN E MUZHARUL ISLAM, FOTO DI RAYMOND MEIER SHEATS GOLDSTEIN RESIDENCE DI JOHN LAUTNER, FOTO DI ROGER STRAUS III / ESTO LE SCHOUX DE CRETEIL DI GÉRARD GRANDVAL, FOTO DI DACIAN GROZA 14.15 wu)magazine_portfolio RAMOT POLIN DI ZVI HECKER, PHOTO CREDIT AKG-IMAGES/ ISRAEL TALBY PALAIS BULLES DI ANTTI LOVAG, FOTO DI KEN SPARKES JOYCE RESIDENCE DI HERB GREENE, PHOTO CREDIT J. PAUL GETTY TRUST. GETTY RESEARCH INSTITUTE, LOS ANGELES 16.17 wu)magazine_portfolio Sofia Borges scrittrice, architetto, designer, curatore e consulente di tendenze, ha base a Los Angeles, la sua città. È membro della facoltà di architettura della Southern California University. Per Gestalten ha scritto moltissimi libri di architettura: tra i più celebri troviamo Hide and Seek, Liquid Spaces, The New Nomads, Rock the Shack, Oasis, The Chamber of Curiosity. Collabora regolarmente con riviste di settore come Mark Magazine ed è inoltre contributing curator di victionary. Il suo sito è www.sofia-borges.com SOFIA BORGES / ARCHITETTURE VISIONARIE Da dove nasce l’ispirazione per questo volume? Insieme a Robert Klanten ragionavamo sull’argomento da tempo, affascinati dal periodo più eccitante, sperimentale e idealista dell’architettura. Lo spirito e l’entusiasmo degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta sono andati progressivamente spegnendosi nel corso degli ultimi decenni. Abbiamo voluto offrire uno sguardo ravvicinato a quest’epoca e ai progetti che ha partorito. Ricordando ai lettori quello che c’è stato e quello che, perché no, potrebbe ancora avvenire. L’epoca retro-futuristica è sicuramente tra le più spettacolari visivamente nella storia dell’architettura. Come mai strutture tanto radicali sono state concepite durante questi anni? Questo periodo ha saputo combinare innovazioni formali e strutturali con mutamenti sociali d’avanguardia. Quello che davvero distingue questa fase storica dalle altre è che la gente non sognava soltanto: traduceva in realtà, in questo caso architetturale, le proprie visioni. I confini sono stati spinti in là e ancora in là, mettendo in discussione qualsiasi paradigma. Per esempio, alcuni progettisti e designer hanno cominciato a porre domande nuove riguardo a dimensioni, funzioni, volumetrie. La casa di per sé è stata discussa e contestata. Un interrogarsi insaziabile che si è tradotto in enormi progressi nella progettazione degli edifici. Cambiamenti sociali e architettonici si contagiavano a vicenda. Inoltre gli architetti erano sostenuti 18. nelle loro idee, per quanto folli o innovative. Se l’uomo poteva andare sulla Luna, perché l’architettura doveva restare indietro? Tutto era possibile. Questi edifici utopistici inseguivano un obiettivo? Uno e nessuno. Ogni edificio realizzato in questi decenni affrontava problemi distinti: alcuni sono nati come icone, altri no; alcuni hanno ridefinito i modelli abitativi sociali su larga scala, altri erano semplici ville private. La potenza di queste costruzioni stava nelle loro personalità tanto spiccate. Una forma di espressione pura. Ne hai selezionate moltissime, ma c’è un’architettura che ti ha emozionata in particolare? Che domanda difficile! Me ne piacciono moltissime. Posso scegliere quelle che forse meglio di tutte rappresentano gli aspetti chiave del movimento dell’architettura utopica: Prairie House di Herb Greene, emblema dell’architettura immersa nel contesto naturale; State Capitol Bank di Robert Roloff, un edificio ricco di humour che, inaspettatamente, ospita una banca; Sheats Goldstein Residence di John Lautner, che scelgo in quanto losangelina, una casa che incarna alla perfezione lo spirito della California del sud, senza confini tra interno ed esterno. Ancora, Palais Bulles di Antti Lovag, edificio manifesto dalle curve morbide e voluttuose; l’iconica sinagoga nel deserto Negev di Zvi Hecker; la Zizkov Television Tower di Václav Aulicky, un grattacielo di rottura all’interno di una pittoresca città medievale; Casa de Vidro di Lina Bo Bardi, senza tempo e curata nel singolo dettaglio... E poi è la sola casa del libro ideata da una donna, una vera pioniera! Steel House di Robert Bruno, prestato all’architettura, ma senza tradire il suo approccio da scultore; infine Walden 7 di Ricardo Bofill, coraggioso esempio di un progetto residenziale su larga scala impregnato del concetto di dignità popolare. Hai scoperto qualche curiosità facendo ricerca per il libro? Ci puoi raccontare qualcosa? Ho realizzato più che altro che le mie conoscenze erano parecchio sovrapposte. La verità è che c’è stata una grande commistione di saperi. John Lautner ha fatto il suo apprendistato presso Frank Lloyd Wright, Bruce Goff è stato il mentore di Herb Greene, Bertrand Goldberg ha lavorato per Mies van der Rohe, e così via. Poi è stato splendido notare l’impegno e il talento personale di ciascuno di questi grandi protagonisti: Le Corbusier era un pittore, Oscar Niemeyer è stato un attivista comunista, tanto da essere esiliato dal suo Paese, il Brasile, Lina Bo Bardi è stata anche curatrice e designer di prodotto... Una sensibilità particolare culminata in pensieri architettonici elevati. E inevitabilmente utopistici. Che sentimenti speri possa suscitare questo libro? Mi auguro che i lettori possano sentirsi ispirati da questo brillante passato. Sarebbe bello se The Tale of Tomorrow li motivasse a recuperare un po’ di quell’ottimismo e di quello spirito audace.