LA DISCIPLINA ANTIELUSIVA SPECIFICA SUI TRASFERIMENTI
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LA DISCIPLINA ANTIELUSIVA SPECIFICA SUI TRASFERIMENTI
LA DISCIPLINA ANTIELUSIVA SPECIFICA SUI TRASFERIMENTI GRATUITI D'AZIENDA TRA ELUSIONE E PIANIFICAZIONE FISCALE di Beghin Mauro in Corriere tributario n. 24 /2005, pag. 1901 L'eliminazione della regola secondo la quale il trasferimento di complessi aziendali per atto gratuito "inter vivos" o "mortis causa" impone all'erede, al legatario o al donatario di subentrare nei valori fiscalmente riconosciuti formati in testa al dante causa sembra incidere significativamente sugli spazi di manovra del contribuente, che risultano più ampi, nel senso che vengono offerte maggiori opportunità di pianificazione per i trasferimenti con i quali si attua il passaggio generazionale delle aziende. Primo inquadramento della problematica L'art. 15 dello schema di decreto approvato dal Consiglio dei Ministri in data 18 marzo 2005 (cd. "correttivo IRES"), al momento di andare in stampa all'esame delle competenti Commissioni parlamentari, prevede, nel quadro delle norme di coordinamento, l'abrogazione dell'art. 16, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383, recante "Primi interventi per il rilancio dell'economia". Quest'ultima disposizione stabilisce che "in caso di trasferimento a titolo di successione per causa di morte o di donazione dell'azienda o del ramo di azienda, con prosecuzione dell'attività di impresa, i beni e le attività ceduti sono assunti ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa". Nonostante l'improvvido inserimento nel raggruppamento di norme espressamente dedicate alla soppressione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni, è evidente come il legislatore abbia qui inteso riferirsi, essenzialmente, ai settori dell'imposizione reddituale e dell'IRAP. E' proprio nell'ambito di questi ultimi, infatti, che si prospetta il problema della corretta trasmissione dei valori fiscalmente riconosciuti relativi ai beni immessi nel circuito imprenditoriale, dovendosi garantire che, anche a fronte di trasferimenti privi del carattere di onerosità ed aventi ad oggetto aziende o rami aziendali, non si verifichino "salti" o "duplicazioni" d'imposta. In questa prospettiva, la previsione dell'art. 54, comma 5, del T.U.I.R. (ora art. 58, comma 1) si rivela del tutto inadeguata. Infatti, quest'ultima disposizione, nel prevedere che "il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze" e che "l'azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa", poggia su un modello che prevede la trasmissione di valori fiscali riferiti, complessivamente, all'azienda, qui unitariamente intesa quale bene suscettibile di generare plusvalenze. Attraverso l'art. 54, in altre parole, il legislatore intende garantire una simmetria tra la cristallizzazione della plusvalenza in testa al dante causa e l'acquisto di valori fiscalmente spendibili, in capo all'avente causa, impedendo che la mancata tassazione del primo offra al secondo la possibilità di deduzioni ulteriori rispetto a quelle che si sarebbero potute ottenere prima del trasferimento dei beni. Movendo in questa prospettiva, si comprende perfettamente l'esigenza di imperniare la disposizione sul valore fiscalmente riconosciuto complessivamente ascrivibile all'azienda, tenendo conto che codesto valore rimane inalterato proprio in considerazione del fatto che il trasferimento a titolo gratuito dell'azienda dismette, ex lege, la connotazione di atto realizzativo di plusvalenze. In sintesi, la plusvalenza non concorre alla formazione del reddito d'impresa del de cuius o del donante e, parimenti, l'erede, il legatario, il donatario non acquisiscono valori fiscalmente spendibili superiori rispetto a quelli preesistenti al trasferimento del bene. Lo spettro di applicazione dell'art. 54, comma 5 (ora art. 58, comma 1), del T.U.I.R. non tiene conto delle problematiche elusive, trattandosi - come rilevato - di disposizione pienamente collocata sul piano sostanziale, volta ad assicurare la continuità dei valori (ergo, la simmetria) nel passaggio generazionale di aziende. Ben diverso è, invece, l'obiettivo che il legislatore si è prefisso nel promulgare l'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001. Invero, dall'esame di tale disposizione si può ben comprendere come, sul versante normativo, venga abbandonato il problema della simmetria tra le plusvalenze cristallizzate presso il dante causa e il costo fiscalmente riconosciuto dell'azienda presso l'avente causa. Nella prospettiva di osteggiare fenomeni elusivi, infatti, la preoccupazione del legislatore è nel senso di evitare che, pur a fronte di trasferimenti d'azienda avvenuti in un quadro di perfetta aderenza al modello indicato nell'art. 54 (ora art. 58 del T.U.I.R.), si generino i presupposti per l'aggiramento di divieti che possono considerarsi "strutturali" nel settore della tassazione dell'impresa. Di questo aspetto, peraltro, si avrà modo di dire infra. Neutralità dei trasferimenti delle aziendee ribaltamento dei valori fiscalmente riconosciuti ai singoli beni e diritti ceduti L'aspetto dal quale conviene muovere adesso è costituito dal rapporto tra il contenuto dell'art. 54, comma 5 (ora art. 58), del T.U.I.R. e quello dell'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001, che l'art. 15 del decreto approvato dal Consiglio dei ministri in data 18 marzo 2005 intende - a quanto risulta dallo schema esaminato - abrogare. Abbiamo già avuto modo· [1] di escludere che la disposizione promulgata nel corso del 2001 costituisca un correttivo "sostanziale" alla disciplina del Testo Unico delle imposte sui redditi. Anche se i due testi normativi presentano, da un punto di vista letterale, una significativa similitudine, si può immediatamente sottolineare la diversità delle previsioni quanto al comportamento richiesto al contribuente. Nel corpo dell'art. 54 (ora art. 58) è, infatti, prevista la continuità quanto al complessivo valore fiscale dell'azienda, senza considerare, pertanto, la composizione della stessa e, segnatamente, il costo fiscalmente riconosciuto attribuibile ai singoli cespiti o diritti che del complesso aziendale facciano parte. Nell'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001, per contro, il legislatore pone l'accento sul criterio analitico di ribaltamento dei valori fiscali: è stato in effetti previsto - e si noti, al riguardo, l'evidente scarto rispetto al contenuto dell'art. 54 - che "i beni e le attività ceduti" (non già "l'azienda") "sono assunti ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa". Si tratta di passaggio che merita di essere sottolineato, giacché, se da un parte il riferimento ai "beni e alle attività" evoca un modello di trasferimento intersoggetivo dei costi fiscalmente riconosciuti attento alle caratteristiche dei singoli beni, dall'altra il riferimento all'"azienda" è espressione dell'esigenza di garantire, su un piano generale e, dunque, per sintesi, la suddetta continuità. Le disposizioni qui sopra richiamate rispondono tuttavia ad una differente ratio: l'art. 54, comma 5 (ora art. 58, comma 1), del T.U.I.R. guarda al profilo della simmetria dell'operazione, che non deve garantire al contribuente salti d'imposta o esporlo alla duplicazione del prelievo; l'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001 punta, invece, a regolare il trasferimento di singoli valori fiscali, il quale non deve consentire, neppure da un punto di vista meramente cronologico (e si pensi, segnatamente, all'anticipazione di deduzioni connesse a costi che avrebbero comunque trovato riconoscimento fiscale) vantaggi rispetto alla situazione esistente presso il dante causa. Il riferimento all'art. 16 necessita, peraltro, di alcune puntualizzazioni. E' opportuno, infatti, rilevare come, attraverso questa disposizione, si sia inteso dar risalto al fatto che, in occasione di trasferimenti d'aziende connotati sul piano della gratuità, l'avente causa potrebbe porre in essere operazioni contabili che, pur nel rispetto del valore complessivamente attribuito al bene trasferito, sono in grado di generare i presupposti per una più agevole e/o più immediata spendita dei costi fiscalmente riconosciuti. Ciò è reso possibile dal fatto che, nelle scritture contabili dell'avente causa· [2] , i singoli beni e diritti trasferiti potrebbero essere assunti secondo dimensioni diverse rispetto a quelle d'origine, senza tuttavia modificare il valore fiscale complessivo dell'azienda. Si rifletta, per comodità, sul seguente esempio numerico. Si immagini che l'imprenditore Alfa intenda donare al figlio Beta, che prosegue l'attività del padre, un'azienda così composta· [3] : all'attivo, "immobili", "crediti", "beni di magazzino" e "attrezzature" rispettivamente per 1.000, 500, 500 e 200; al passivo, "debiti a breve termine" e "debiti verso istituti di credito" rispettivamente pari a 200 e 300. Si immagini altresì che gli elementi dell'attivo esprimano i seguenti valori correnti: "immobili", 1.550; "crediti", 100; "beni di magazzino", 500; "attrezzature", 100. Orbene, movendo da tale situazione e ragionando sulla previsione di cui all'art. 54, comma 5 (ora art. 58, comma 1), del T.U.I.R., si deve concludere nel senso che la neutralità della donazione è garantita, sul versante dell'imposta reddituale, se il valore fiscale dell'azienda siccome determinato in capo al donante Alfa (e pari, nel caso prospettato, a 1.700) viene assunto dal donatario Beta. L'art. 54, peraltro, non interferisce sulle modalità di ribaltamento dei valori fiscali dei singoli beni e diritti, dimodoché nulla impedirebbe al donatario di recuperare i citati valori sulla base della seguente scansione, la quale tenga conto, in qualche modo, dei sopra indicati valori di mercato: "immobili", 1.550; "crediti", 100; "beni di magazzino", 500; "attrezzature", 50. E' evidente come, nel caso di specie, il valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda presso il donatario Beta sia pari a 1.700 e possa, pertanto, reputarsi inalterato rispetto a quello determinato dal donante Alfa. Sono soddisfatti, in questi termini, i requisiti richiesti dal comma 5 dell'art. 54 (ora art. 58, comma 1) del T.U.I.R. Risultano, tuttavia, radicalmente modificati i valori fiscalmente riconosciuti di alcuni elementi dell'attivo, che segnano ora consistenti incrementi (come, ad esempio, per gli immobili), ora diminuzioni (ciò che si è verificato per i crediti e le attrezzature). Attraverso codesta manovra contabile (la quale, lo si sottolinea, non è testualmente osteggiata dall'art. 54, comma 5 - ora art. 58, comma 1 -, del T.U.I.R.), il donatario si trova nella condizione di godere di un incremento di valore fiscale dell'immobile, spendibile in occasione di eventuali atti di realizzo successivi al perfezionamento della donazione; parimenti, lo stesso donatario ha ottenuto evidenti effetti di svalutazione dei crediti e delle attrezzature, diminuiti (sia sul versante contabile, sia su quello fiscale) per tenere conto dei valori correnti sul mercato. E' questo l'assetto elusivo che l'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001 intende osteggiare. La previsione secondo la quale "i beni e le attività ceduti sono assunti ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa" impedisce, infatti, pur nella sua laconicità, di aggirare (con puntuale riferimento al caso prospettato) disposizioni sistematiche in tema di rivalutazioni di beni plusvalenti, di svalutazione dei crediti commerciali e di attrezzature. Alcune riflessioni intorno alle ragionidella richiamata abrogazione Si è fatto riferimento, in più occasioni (cfr. supra), al fatto che la disciplina di cui all'art. 54, comma 5, del T.U.I.R., nel testo rimasto in vigore fino alla data del 31 dicembre 2003, è ora collocata nel corpo dell'art. 58, comma 1, dello stesso D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, risultante a seguito delle modifiche apportate con D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. V'è da dire che quest'ultimo decreto legislativo, il quale ha dato attuazione alla legge 7 aprile 2003, n. 80, recante delega per la riforma del sistema tributario dello Stato, è significativamente intervenuto, tra i tanti, nel settore della tassazione delle operazioni straordinarie dell'impresa, eliminando l'imposta sostitutiva del 19% introdotta nel quadro della "Riforma Visco" per la tassazione delle plusvalenze emerse nell'ambito della riorganizzazione delle attività produttive. Orbene, l'eliminazione dell'imposta sostitutiva più in alto citata ha ricondotto le plusvalenze generate in occasione della cessione onerosa delle aziende nell'alveo della tassazione ordinaria, con conseguente applicazione delle aliquote IRE progressive e con conferma della facoltà di optare, in presenza dei presupposti delineati ex lege, per la tassazione separata. La scelta normativa così effettuata consente, pertanto, di sottolineare l'ancor più consistente divario tra operazioni di riorganizzazione caratterizzate sul piano dell'onerosità ed operazioni le quali poggiano, per contro, su un assetto gratuito, nel quadro di trasferimenti inter vivos o mortis causa. Mutano significativamente, per questa via, gli strumenti di pianificazione fiscale, che in qualche modo si adattano alle caratteristiche soggettive ed ai rapporti intercorrenti tra chi dispone dell'azienda e chi la riceve. Senza troppo dilungarsi sul punto, ci preme in questa sede rilevare come, se nei rapporti tra parti indipendenti la scelta normativa di tassazione ordinaria della plusvalenza può spingere alla ricerca degli assetti che possano garantire l'ingresso nel regime di participation exemption (parziale o totale, come disciplinata dagli artt. 58, comma 2, e 87, del T.U.I.R.), tra parti dipendenti l'opportunità di trasferire aziende in assetto di cristallizzazione delle plusvalenza esce rafforzata alla luce della ormai prossima abrogazione dell'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001. L'eliminazione della regola più in alto descritta, secondo la quale il trasferimento di complessi aziendali per atto gratuito inter vivos o mortis causa impone all'erede, al legatario o al donatario di subentrare nei valori fiscalmente riconosciuti formati in testa al dante causa, sembra incidere significativamente sugli spazi di manovra del contribuente: spazi che risultano, come tra poco diremo, più ampi. Queste prime osservazioni, che certo non trascurano il fondamento economico delle disposizioni fiscali, impongono, pertanto, una più attenta riflessione sulle ragioni che potrebbero aver indotto il legislatore ad abrogare la disposizione antielusiva di cui all'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001. Ci sembra che, al riguardo, l'evoluzione della disciplina siccome prospettata dall'art. 15 dello schema di decreto correttivo approvato il 18 marzo scorso vada nel senso di offrire più consistenti opportunità di pianificazione ai trasferimenti con i quali si attua il passaggio generazionale delle aziende. Ancorché l'art. 58, comma 1, del vigente T.U.I.R. non indichi tra i presupposti soggettivi della cristallizzazione delle plusvalenze l'esistenza di un rapporto di parentela, affinità o coniugio tra dante causa ed avente causa, va qui ricordato come, nel testo dell'art. 54, comma 5, del T.U.I.R. (rimasto in vigore sino al 31 dicembre 2003), tale requisito fosse invece espressamente richiesto. Il fatto che esso non sia stato riprodotto nel testo oggi in vigore non incide, a nostro sommesso avviso, sulla ratio della disposizione, la quale, nel momento in cui è stata formulata per la prima volta nel quadro del Testo Unico delle imposte sui redditi, ha manifestato, per l'appunto, intento agevolativo nei confronti del passaggio generazionale delle aziende. Movendo da questa impostazione, si può concludere nel senso che l'art. 58 cit. costituisce, in un sistema che ha ormai ricondotto il trasferimento a titolo oneroso di aziende nel novero delle operazioni generatrici di plusvalenze imponibili ad aliquota ordinaria, un importante tassello di pianificazione fiscale "familiare". Le aziende possono essere gratuitamente trasferite anche nella prospettiva della composizione di interessi civilistici tra parti legate da particolari vincoli (parentela, affinità ecc.) o nel quadro della successione generazionale; e ciò senza che tali trasferimenti impongano il versamento dell'imposta su plusvalenze non monetizzate. Per questa via, è dato ulteriore riconoscimento al principio della tutela e del rafforzamento dell'apparato produttivo, che trova agganci sia sul versante costituzionale, sia nella legge delega n. 825/1971 (sulla quale poggiavano i decreti istitutivi dell'IREF, IRPEF ed ILOR), non contraddetta, sul punto, dalla legge delega emanata nel quadro della "Riforma Tremonti". Possibilità di contrastare la ripartizione dei valori fiscalmente riconosciuti sui beni aziendali Il risultato al quale siamo pervenuti supra potrebbe apparire contraddetto in una prospettiva di attenzione al sistema dell'imposizione reddituale laddove all'eliminazione della disciplina antielusiva specifica si contrapponesse la possibilità di osteggiare le operazioni più in alto descritte facendo leva sulla clausola generale di cui all'art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. Si tratta di un problema sul quale è opportuno quanto meno avviare la riflessione, tenendo conto dei limiti imposti dalla collocazione editoriale di questo articolo. Infatti, la disposizione da ultimo richiamata, nel tracciare, al terzo comma, l'elenco delle operazioni suscettibili di essere sindacate sul versante dell'elusione tributaria, contempla espressamente, alla lett. b), i "conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende". Le operazioni concernenti l'azienda rientrano dunque, senza ombra di dubbio, nel quadro delle fattispecie da tenere - come suol dirsi - "sotto osservazione". Non può tuttavia passare inosservato il fatto che, stante la prevista abrogazione del più volte richiamato art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001, non tutti i trasferimenti aventi ad oggetto "complessi produttivi" potranno ricadere nello spettro applicativo della "clausola generale" più in alto riprodotta. Infatti, se non sussistono dubbi circa la possibilità che la donazione o la successione testamentaria aventi ad oggetto aziende rientrino nella nozione di "negozio avente ad oggetto il trasferimento o il godimento" di tali beni, risulta più difficile ricondurre nell'area delle operazioni sindacabili ex art. 37-bis la fattispecie della successione legittima. Quest'ultima, infatti, non trova la propria disciplina nel quadro di una manifestazione di volontà simile a quella che connota la successione testamentaria, bensì nella legge, con effetti che possono prodursi - come tutti sanno - in totale assenza di determinazioni a suo tempo assunte, al riguardo, dal de cuius. In altre parole - e più chiaramente - se da un lato la disciplina antielusiva specifica viene abrogata dall'art. 15 del decreto 18 marzo 2005 e se, dall'altro, la disciplina generale antilusiva è testualmente limitata ai "negozi" aventi ad oggetto aziende, ne discende che laddove la fonte del trasferimento sia costituita dalla legge e non già dalla volontà del soggetto giuridico, tale clausola generale parrebbe inapplicabile. Accogliendo codesta interpretazione, si dovrebbe ulteriormente concludere nel senso che la scelta normativa di allargare le possibilità di pianificazione fiscale sul versante dei passaggi generazionali delle aziende sarebbe agganciata ad una disciplina antielusiva ingiustificatamente asimmetrica, con evidente disparità di trattamento tra soggetti che abbiano assunto la qualifica di erede o di legatario nel quadro della successione testamentaria e quelli che, per contro, abbiano acquisito la stessa qualifica nel solco di una successione legittima: ai primi potrebbe, infatti, applicarsi l'art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973; i secondi, invece, non ricadrebbero nello spettro applicativo di quest'ultimo articolo. Da qui un auspicio: che alle disposizioni di coordinamento previste nel citato schema di decreto correttivo possano affiancarsi disposizioni di coordinamento della disciplina generale antielusiva. Note: 1 Sia consentito di rinviare, anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici, a Beghin, "Il trasferimento d'azienda "mortis causa" o per atto gratuito tra vecchie e nuove disposizioni", in Corr. Trib. n. 25/2002, pag. 2217. 2 Si apprezzi, al riguardo, come l'art. 16, comma 2, della legge n. 383/2001 individui, tra i presupposti dell'applicazione della disposizione antielusiva, la continuazione dell'attività d'impresa. Da ciò si desume che, in presenza di soggetti i quali acquisiscano l'azienda senza utilizzarla nell'esercizio dell'attività dalla quale il dante causa traeva il proprio reddito (d'impresa), il problema dell'elusione non si pone, perché manca presso l'avente causa quell'apparato di scritture contabili che consente, sulla base delle valutazioni che abbiamo effettuato sopra, di ribaltare sui singoli beni e diritti facenti parte dell'azienda costi fiscalmente riconosciuti in misura diversa rispetto alla ripartizione dei costi esistente presso il dante causa. 3 Si assuma, per semplicità, che i valori civilistici esposti nel testo corrispondano ai costi fiscalmente riconosciuti dei beni e dei diritti.