Il Panforte di Siena: testimonianze del continuo

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Il Panforte di Siena: testimonianze del continuo
Il Panforte di Siena: testimonianze del continuo impegno per
affermare l’unicità delle proprie produzioni.
La volontà di affermare l’unicità delle proprie produzioni da parte degli
orgogliosi artigiani senesi emerge ben chiara e definita già a partire dal 1926, in
un documento di risposta ad un questionario stilato dalla Confederazione Generale
Fascista dell’Industria Italiana intenta ad indagare sulla necessità di modificare la
allora vigente legge in materia di proprietà industriale, al fine di intensificare ed
ampliare la tutela dei diritti connessi all’uso di marchi e segni distintivi sull’esempio
di un progetto di legge in corso nell’innovativa Francia. L’unione industriale della
Provincia di Siena, infatti, espresse subito il suo consenso ad un ampliamento del
concetto di marchio, in modo che sotto tale termine fosse compreso qualsiasi
segno distintivo atto a distinguere le merci di un produttore o commerciante e,
soprattutto, manifestò la sua convinzione nella necessità di dover essere più
specifici nel definirlo e nel dover disciplinare espressamente, nell’ambito della
legge in questione, anche i marchi collettivi, così come progettato dai cugini
d’oltralpe. Questo segnale di volontà di identificare e difendere la produzione del
più famoso dolce senese, che per la verità non era il primo, visto che già un anno
prima il Consiglio Generale dell’economia aveva progettato la costituzione di un
consorzio non andata a buon fine a causa dello spirito d’individualismo di qualche
azienda, aprì una lunga discussione sull’opportunità di trovare una soluzione
organizzativa che potesse tutelare non solo gli interessi dei singoli produttori, ma
anche quelli sociali e culturali legati alle tradizioni cittadine.
Pur essendo ancora lontana la globalizzazione dei mercati, già allora si
riscontravano problemi quali l’imitazione ingannevole del prodotto originale e
concorrenza più o meno lecita, ed il Panforte, che tra il 1925 ed il 1926 fece
fatturare all’industria cittadina tra gli 8 ed i 10 milioni di lire, rendendola così il
settore economico più importante della città nonostante la stagionalità delle
produzioni, veniva imitato dai dolciari delle altre province toscane, generando lo
scontento degli artigiani legittimi. Così, nel 1926, quando i marchi collettivi
ricevevano in Italia solo una tutela labile legata ad alcune leggi speciali come ad
esempio quella sui vini, fu accolto con entusiasmo dalla maggior parte dei
produttori e dell’opinione pubblica cittadina il tentativo di costituire un Consorzio
che riunisse le principali ditte produttrici di panforte, attraverso un regolamento
redatto ad opera de L’Unione Industriale Fascista della provincia di Siena.
Gli intenti del progetto del 1926, ben definiti dai primi 3 articoli, erano quelli
di semplificare ai singoli alcune fasi del processo produttivo come l’acquisto delle
materie prime e la vendita del prodotto sia in Italia che all’estero, attraverso
attività e reclame comuni, inoltre, il regolamento prevedeva già espressamente
l’intenzione di fornire ai consorziati marchi di origine e garanzia che identificassero
inequivocabilmente il dolce del XIII secolo e che potessero osteggiare il fenomeno
delle contraffazioni.
Innovativo,
quindi,
nell’anticipare
esigenze
tutt’altro che superate: “tutelare il buon nome e
la qualità del panforte di Siena e della sua marca
d’origine onde proteggerne e diffonderne lo
smercio,
assicurando
al
tempo
stesso
il
consumatore contro le mal riuscite imitazioni…”
(Art. 3) e nell’istituzione del segno distintivo a
favore
dei
produttori
senesi,
il
progetto
presentava tutti gli elementi necessari alla buona
Il logo del Consorzio era
stato fatto disegnare
dal pittore senese Vittorio Zani
riuscita delle operazioni di tutela e valorizzazione del panforte. Lo spirito
d’individualismo e l’acceso sentimento di concorrenza, riuscirono, però, ad
insediarsi tra i “aspiranti consorziati”, mandando a monte l’iniziativa.
Per qualche anno non si senti più parlare del Consorzio del Panforte di
Siena, fino a quando la crisi economica del 1929, investendo la più fiorente
industria cittadina, riaccese gli animi di quanti non si erano dati per vinti nella
battaglia contro i produttori fraudolenti. Se innegabilmente la recessione aveva
avuto la sua influenza negativa, era convinzione di molti che anche la sfrenata
concorrenza tra produttori non poteva giocare a favore del buon nome e della
serietà dell’intera industria. Fra i tanti, spicca dai documenti in nostro possesso la
lettera della ditta Parenti, che attivamente denunciava al Consiglio Provinciale
dell’Economia casi di prodotti fabbricati ad Empoli piuttosto che altrove e venduti
come Panforte di Siena, facendosi, in questo modo, portavoce di un’esigenza
comune di un’intera città.
Tutelare l’industria del dolce senese non significava, infatti, limitarsi a
considerare gli interessi di un’unica classe produttiva, ma favorire, in un’economia
protezionista qual era quella dell’epoca fascista, lo sviluppo di industrie collaterali,
come quella degli imballaggi o delle materie prime e rendere giustizia ad una
popolazione da sempre fortemente legata alle proprie tradizioni, che non aveva
intenzione di assistere all’usurpazione di una ricetta gelosamente custodita e
tramandata.
Così le trattative furono riprese. Il consiglio provinciale dell’Economia pensò
questa volta di indagare situazioni simili di industrie tipiche di altre città per
vedere, se e come, esse stessero sviluppando forme associative per contrastare
crisi e concorrenza.
In realtà, molte industrie stavano dando vita ad associazioni, o in alcuni casi
a società, riunenti produttori del settore, ma lo scopo delle stesse, diverso da
situazione a situazione, era genericamente riconducibile all’intento di sviluppare
accordi per la determinazione del prezzo, di condizioni di vendita omogenee e
quindi di distribuzione della clientela. In altre parole, molte realtà stavano dando
vita a cartelli interaziendali, il cui scopo è intrinsecamente differente da quello dei
consorzi, e quindi, dalle finalità espresse nel progetto del 1926, per il quale tutela
e originalità erano priorità imprescindibili, tanto da farlo apparire più vicino alle
esigenze attuali che a quelle di ottanta anni fa! Nell’ottobre del 1929, durante il
10° convegno Senese per l’Esportazione, il dott. Cavallucci lanciò un grido
d’allarme affermando che l’aumento delle esportazioni del panforte era correlato
alla tutela dello stesso. Seppur limitata a soli tre mesi l’anno, la produzione dalle
antiche tradizioni superava mode e stagionalità dei gusti e costituiva una grande
ricchezza, per questo bisognava intervenire per arginare il varco dei confini della
mura cittadine, insomma, ne più ne meno di quello che accade attualmente per
tante produzioni.
La soluzione prospettata era sempre la stessa, ma la scia dei risultati
ottenuti e, soprattutto, la condizione economica vigente che stava flettendo la
remuneratività del settore, non poteva non influenzare le riaperte negoziazioni. Le
nuove soluzioni progettate comprendevano, quindi, anche l’equiparazione e la
vigilanza dei prezzi; in particolare, la maggioranza dei produttori riunitisi presso il
Consiglio dell’economia, aveva proposto la formazione in seno al Consorzio di un
ufficio unico di vendita, essenziale per il controllo su prezzi e qualità e perciò
presidio della tutela degli interessi cittadini. Come in precedenza accaduto, però, le
mediazioni si arenarono per colpa di una caparbia minoranza.
Le assemblee del 1931: elementi di grande attualità.
Le lamentele dei produttori, tuttavia, non cessarono, così come non si
sedarono i tentativi di imitazione: a Torino, ad esempio, si commercializzava il
“pansenese”; studi, ricerche e polemiche proseguirono ininterrottamente, fino al
1931.
Risale all’11 gennaio il verbale dell’assemblea in
nostro possesso, durante la quale si arrivò a redigere
un
nuovo
progetto
di
Statuto
e
regolamento
dell’auspicato consorzio. Esso è immutato nello scopo
rispetto a quando proposto nel precedente tentativo,
ma maggiormente dettagliato per quanto riguarda gli
adempimenti da rispettare affinché possa essere
A Torino, la ditta “Unica”
commercializzava
il
Pansenese,
ovvia
evocazione del Panforte.
totalmente garantita la qualità della produzione. E’ da
sottolineare, infatti, e permetteteci di ribadirlo, come
questa associazione di produttori, per quanto latente e
mai operativa, abbia da sempre messo in cima alla scala delle proprie priorità la
tutela dei consumatori, ai quali si voleva assicurare un prodotto che non fosse un
semplice dolce di cioccolato o di marzapane, bensì il “Panforte di Siena”, intrinseco
di tutte quelle caratteristiche percettive, sensoriali ed evocative che solo
l’originalità delle materie prime ed il rispetto della tecnica produttiva possono
garantire. Il legame tra prodotto e territorio, di cui tanto oggi si discute nel
tentativo di difendere produzioni non omologate, le cui distinte peculiarità
assicurano il rispetto della diversificazione produttiva e dell’ambiente, era ciò che i
dolciari senesi volevano gelosamente custodire.
Una volta redatto, le ditte produttrici furono nuovamente convocate a
discutere sul progetto di Statuto e regolamento dal consiglio provinciale
dell’economia, ai fini di apportare allo stesso le modifiche ritenute più opportune.
Neanche quel 17 gennaio del 1931, però, l’assemblea riuscì a trovare un accordo.
Ribadito che lo scopo era quello di garantire origine e qualità del prodotto, si
svilupparono
all’interno
dell’adunanza
due
correnti
di
pensiero;
se
tutti
concordavano sulla necessità di un programma minimo da attuare, riguardante
appunto la difesa della marca d’origine, un gruppo di produttori, scaltro ed
innovativo, pensava ad una soluzione che coprisse uno specchio più ampio.
Anticipando in un certo quale modo il Teorema di John Nash, essi ricercavano l’
equilibrio fra associati attraverso il rispetto di condizioni comuni che avrebbero
comportato maggiori vantaggi per tutti. In concreto, si pensò di circoscrivere la
produzione a due unici tipi di Panforte, il Nero ed il Margherita, abolendo, quindi,
tutti gli altri sottotipi al fine di affermare l’unicità del prodotto e di evitare
confusione nel consumatore; ancora, si propose di far pagare il diritto all’utilizzo
del marchio per avere la possibilità di costituire un fondo da utilizzare per la
pubblicità collettiva; si conveniva sull’assoluta necessità di rilasciare la possibilità di
apporre il segno distintivo esclusivamente sui prodotti privi di quanto non previsto
dalla ricetta originale e di materie prime surrogate delle originali e, ovviamente,
sulla determinazione di un prezzo unico.
Il consorzio, in via sperimentale, avrebbe avuto una durata
iniziale di un anno ed un Presidente estraneo all’industria del
panforte; altro punto fondamentale, come già accennato,
riguardava l’istituzione dell’ufficio unico di vendita con
involucri identici per il dolce di ogni produttore consorziato
Il tipico Panforte
nero
che avrebbe garantito la primaria condizione del rispetto
delle condizioni di vendita. Problemi pratici, quali lo spreco economico derivante
dall’inutilizzo delle grandi quantità di package presenti nei magazzini di ognuno, lo
scontento nel rinunciare a varianti individualmente create e la pigrizia nel fissare il
prezzo unico, erano i pretesti dietro i quali si celavano i soliti egoismi di pochi o,
addirittura di un’unica azienda, che si opposero con fervore alla costituzione
dell’ufficio unico di vendita e all’associazionismo in generale, facendo crollare
anche questa volta ogni vana possibilità di risoluzione. Le cose rimasero così
invariate tra malcontenti e antagonismi, e la polemica celata, fino a quando, nel
dicembre 1932, la stampa cittadina portò nuovamente la questione alla ribalta.
“La questione del Panforte di Siena”.
Quello che si sviluppò a partire da un articolo pubblicato su la “Rivoluzione
Fascista” del 29 dicembre del 1932 fu una vero e proprio scontro di opinioni
“suonate” nero su bianco.
L’interesse di un’industria, che più delle altre poteva dare un imput positivo
ad un’economia in fase di stagnazione, era troppo importante per essere
accantonato
in
silenzio.
Così,
l’articolo
di
Sauber,
che,
partendo
dalla
constatazione della presenza di tanti prodotti la cui scarsa qualità metteva a
repentaglio la reputazione dell’inimitabile Panforte di Siena, si scagliava contro l’
estraneità della provenienza di materie prime e del materiale collaterale utilizzate
dall’industria dolciaria cittadina. Quello che il giornalista criticava, era la totale
mancanza di un rafforzamento dei suddetti settori industriali, che sfruttando la
scia dell’andamento dell’attività principale, avrebbero potuto trovare in Siena, un
territorio fertile per sviluppare attività redditizie a favore di un prodotto che si
trovava costretto a ricorrere altrove per acquistare mandorle e zucchero e,
soprattutto, scatolame d’ogni tipo, carta stagnola e
quant’altro
occorreva
per
la
presentazione
del
prodotto. Il critico nello stesso articolo denunciava il
rischio che il Panforte si “volgarizzasse”, nel senso che
la mancanza di elementi oggettivi che legassero la
produzione all’area senese rendesse possibile e più
facile rispetto ad altri prodotti tipici, l’usurpazione e
l’insediamento in altri territori (anche qui si può
Sauber
criticava
la
carenza
di
aziende
produttrici di stagnola e
scatolame nel senese
ritrovare
un
elemento
di
grande
attualità
se
pensiamo
al
problema
dell’agropirateria che affligge soprattutto tanti prodotti italiani). Solerte fu la
risposta di quanti non la pensavano come lui, affermando con certezza che
seppur non strettamente legato a materie produttive originarie del luogo il metodo
di produzione legato alla tradizione che aveva consentito l’affermarsi della
rinomata reputazione, rendeva sicuramente inimitabile l’originale. E come dare
torto a quella che è la ragione che avrebbe portato 60 anni dopo il legislatore
comunitario ad istituire l’Indicazione Geografica Protetta?
Un merito, però, alla provocazione di Sauber va riconosciuto, e cioè quello
di riaccendere l’interesse cittadino su una questione ancora aperta.
Tanti furono, infatti, gli articoli scritti quotidianamente per tutto il mese di
gennaio e gli interventi sentiti; tanto da far ravvivare nel Consiglio Provinciale
dell’economia Corporativa la speranza che finalmente si potesse giungere alla
firma di questo tanto combattuto accordo associativo.
L’indagine del Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa
L’antenato dell’odierna Camera di commercio industria ed artigianato, in
realtà nel corso degli anni da noi raccontati non mollò mai il pensiero di tutelare il
settore di cui noi ci occupiamo, dal 1931 al 1932 si occupò di studiare una
soluzione che considerasse tutti gli interessi e che consentisse di apporre questa
malaugurata firma. In particolare, nel corso del 1932 continuò a svolgere indagini
riguardo agli accordi consorziali già presente. Tra i documenti dell’Archivio di Stato
che abbiamo consultato spiccano richieste di informazioni indirizzate a consigli
provinciali di altre città, quale quella di Cremona, per la quale si vociferava la
presenza di un disciplinare di produzione e vendita per i produttori di Torrone. I
responsi non erano sempre favorevoli, anzi, al contrario non risultano in questo
caso indizzi di risposta, ma quello che vogliamo sottolineare ancora una volta è la
grande mobilitazione che l’intera città riuscì a creare
intorno alla questione.
lll
Tornando al 1933, dopo la polemica che trovò
spazio sulla stampa e dopo i più o meno fruttuosi tentativi
La città di Siena si è
sempre mobilitata per
tutelare
le
proprie
tradizioni
di trovare all’esterno linee guida da seguire, l’idea dell’Ente istituzionale cittadino
fu quella di indirizzare la ricerca all’interno dello stesso ambito di applicazione dei
risultati. Il consiglio provinciale dell’economia corporativa stilò un questionario
indirizzato alle aziende produttrici di Panforte, con l’intento di conoscere
chiaramente ciò che ognuna pensava in merito alla necessità di tutela del
prodotto. L’ente a servizio dell’industrie cittadine si preoccupava di indagare sulle
esigenze del proprio target per far si che il servizio reso fosse il più soddisfacente
possibile. Ovviamente le domande non erano affinate secondo le più moderne
modalità di ricerche di mercato, perlopiù tutte a risposta aperta, chiedevano
esplicitamente agli intervistati se ritenevano necessaria una disciplina dei
produttori, quale forma di tutela potessero suggerire, come si dovesse applicare il
marchio consortile, come regolare il prezzo, la vendita, ed il confezionamento e via
dicendo, vanno comunque annoverate come un vero e proprio tentativo di
orientamento al mercato! Le risposte in nostro possesso purtroppo sono poche per
poter tirare delle conclusioni generali al riguardo,anche se probabilmente l’intero
campione di riferimento non sarà stato così significativo ed esauriente nelle sue
risposte da poter far parlare di elementi nuovi rispetto ai tentativi del passato ne,
tanto meno, fu provvidenziale per la sottoscrizione dell’accordo mai raggiunto.
Conclusioni
Quello che vogliamo evidenziare, in quanto profondi sostenitori della tutela
e della valorizzazione di beni che rappresentano valori, tradizioni, gusti, storie,
differenze e territori da far rispettare ad un mondo ormai caratterizzato da
un’omologazione che mette a repentaglio la sua stessa salubrità, a causa proprio
della tendenza ad eliminare ogni confine, era stato in qualche modo annunciato in
riferimento al Panforte ottanta anni fa.
Lungimiranti, quindi, i produttori senesi nel capire l’importanza di tutelare
l’immagine legata ad una tradizione secolare, un po’ meno abili, sul lato pratico,
ma comunque meritevoli nel sostenere l’unicità di una produzione che
inevitabilmente può essere legata esclusivamente alla sua città, pena la perdita di
quelle qualità che la caratterizzano e la rendono unica, e che presto, finalmente,
dovrebbero veder realizzato il proprio sogno.