Introduzione Alcune premesse Il presente lavoro nasce dall`incontro
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Introduzione Alcune premesse Il presente lavoro nasce dall`incontro
Introduzione Alcune premesse Il presente lavoro nasce dall’incontro con la letteratura professionale anglosassone, avvenuto agli inizi del 2009 durante la preparazione dei materiali didattici per un progetto da assegnare agli studenti del corso di Pedagogia del patrimonio della Laurea magistrale in Management dei beni culturali dell’Università degli Studi di Macerata e che comprendeva la realizzazione di un percorso di visita presso una struttura museale cittadina. Nel corso di quelle ricerche emerse una manualistica professionale particolarmente interessante nella quale le espressioni «heritage interpretation», «heritage interpreter» e «museum interpreter» ricorrevano, in particolare nell’ambito degli studi sulla museum education anglosassone e soprattutto statunitense, in un senso specifico e alquanto tecnico ma che non trovava riscontri nella letteratura italiana sulla didattica museale e dei beni culturali. In quell’occasione dunque si rivelò il panorama vastissimo della teoria e della prassi interpretativa, intesa sia come forma di gestione del patrimonio ambientale e storicoculturale su base territoriale (la pianificazione interpretativa, o «interpretive planning») sia come forma di progettazione e realizzazione di servizi specifici per il pubblico all’interno di parchi, giardini botanici ma anche musei, dimore storiche, luoghi di battaglie, siti archeologici ecc. Dalla lettura della manualistica americana che ne seguì, e in particolare del manuale The interpreter’s training manual for museums di Mary Kay Cunningham1 – innovativo in quanto per la prima volta appositamente mirato alla formazione degli operatori museali – oltre che naturalmente dei lavori degli specialisti John A. Veverka2 e 1 M.K. Cunningham, The interpreter’s training manual for museums, Washington D.C., American Association of Museums, 2004 (trad. it. Manuale di formazione per interpreti museali, Ed. italiana e saggio introduttivo a cura di M. Brunelli, Macerata, eum, 2012). L’ed. consultata, e qui correntemente citata, è quella originale del 2004. 2 J.A. Veverka, Interpretive master planning: for parks, historic sites, forests, zoos, and related tourism sites, for self-guided interpretive services, for interpretive exhibits, for guided programs/tours, Helena Mt, Falcon Press, 1994 (l’edizione consultata, e qui correntemente citata, è l’edizione del 1998: Interpretive Master Planning. The essential planning guide for interpretive centers, parks, self-guided trails, historic sites, zoos, exhibits & programs, Tustin, Acorn Naturalist, 1998. Nel 2011 è uscita una 14 INTRODUZIONE Sam Ham3, è venuta la spinta ad esplorare e ad approfondire le origini, l’evoluzione e le attuali tendenze di sviluppo di quella che viene oggi universalmente riconosciuta come la pratica della Heritage Interpretation o “interpretazione del patrimonio”. Il presente lavoro intende pertanto offrire una riflessione storico-critica sulla interpretation, illustrando in che modo questa particolare attività, inizialmente nata e affermatasi come «nature guiding» per i visitatori dei parchi e delle riserve naturali nordamericani, si sia successivamente sviluppata ed estesa fino ad assumere una sua precisa identità disciplinare, basata su una chiara filosofia e su prassi e metodologie codificate che oggi toccano e interessano tutte le risorse del patrimonio ambientale, storico e culturale. Per tale motivo si è scelto – nel titolo del volume – di non tradurre volutamente in italiano tale espressione, proprio per sgombrare il campo dai molti, possibili, fraintendimenti e consentire invece a coloro che si avvicinano per la prima volta a questo argomento di entrare in contatto con un ambito disciplinare ancora relativamente poco noto ma che possiede una precisa storia, oltre a categorie teoriche e un lessico tecnico ormai consolidati, a cui si cercherà di introdurre gradualmente il lettore, prima da un punto di vista storico e poi a livello di metodo, di progettazione e di prassi performativa. Come si vedrà meglio più avanti4, in area nordamericana la nature guiding and interpretation inizia ad affermarsi fin dagli anni Venti nell’ambito dei parchi controllati dal National Park Service americano. Tuttavia la nascita e la formalizzazione di una prima «basic philosophy» e di una precisa metodologia basata sulle best practice in uso nei parchi americani si fanno tradizionalmente risalire al 1957, anno in cui Freeman Tilden diede alle stampe il libro Interpreting our heritage5 – opera che va considerata, da una parte, come il punto di arrivo di un lungo processo di gestazione e, dall’altra, come il punto di partenza di una nuova stagione di riflessione, di ricerca teorica e di internazionalizzazione di quell’insieme di metodologie della comunicazione, progettazione e gestione dei servizi per il pubblico che si sarebbe poi affermata in tutto il mondo con il nome di Heritage Interpretation. È a partire dal nuova edizione in due volumi, a cura della casa editrice scozzese MuseumEtc Ltd., ampliata e aggiornata (cfr. <http://museumsetc.com/>, consultato il 11.4.2013). 3 S. Ham, Environmental Interpretation. A practical guide for people with big ideas and small budgets, Golden, Fulcrum Publishing, c1992. Nel 2013 è uscito l’ultimo lavoro di Ham: presentato come una nuova edizione, in realtà si tratta di una nuova opera che rende conto dei progressi della ricerca interpretativa nell’ultimo ventennio: S. Ham, Interpretation. Making a difference on purpose, Golden, Fulcrum Publishing, 2013. 4 Cfr. il Cap. primo: Alle origini di una disciplina: dal nature guiding alla heritage interpretation. 5 F. Tilden, Interpreting our heritage, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1957. L’edizione consultata (e a cui si farà sempre riferimento per le citazioni) è la «Fourth edition expanded and updated» a cura di B. Craig e con premessa di R.E. Dickenson (Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 2007), comprendente ulteriori articoli e scritti inediti di Tilden. INTRODUZIONE 15 1957, dunque, che il termine (tecnico) di interpreter negli Stati Uniti indica un professionista che, avvalendosi di precise tecniche progettuali, comunicative e operative, ha il compito di individuare i significati (meaning) del patrimonio ambientale, storico e culturale al fine di presentarli ai visitatori. È colui che in qualche modo “traduce” la realtà – anche la più scientificamente complessa (che si tratti di biologia o di botanica, di storia dell’arte o di archeologia ecc.) – in un linguaggio accessibile e al tempo stesso coinvolgente, come spiega Sam Ham: Interpretation is simply an approach to communication. Most people think of it as the process through which a person translates one language into another […]. At its most basic level, that’s exactly what interpretation is, translating. […] interpretation involves translating the technical language of a […] science or related field into terms and ideas that people who aren’t scientists can readily understand. And it involves doing it in a way that’s entertaining and interesting to these people6. Da qui la scelta del termine interpreter il quale tuttavia – benché vanti ormai una lunga e specifica tradizione in ambito nordamericano e più in generale anglosassone, come vedremo – a causa dell’intrinseca polisemia che la parola interpretation porta con sé, suscita sempre una certa confusione sulla esatta identificazione di questo ruolo, soprattutto presso il grande pubblico, motivo per il quale ancora oggi questa pratica, come anche le figure professionali ad essa legate, stentano a trovare un chiaro riconoscimento e legittimazione, soprattutto al di fuori dei confini statunitensi7. Assai significativo al riguardo è il fatto che in passato si sia suggerito, da parte di alcuni interpreti, di distinguere gli specialisti della traduzione linguistica dagli interpreti del patrimonio adottando per questi ultimi la grafia interpretor8 – anche se tale proposta non è mai diventata operativa9. Se dunque, in linea di massima, si può affermare che lo heritage interpreter traduce informazioni e concetti complessi, sconosciuti o poco noti presentandoli in formati, linguaggi e modalità accessibili ai visitatori, tuttavia ciò non 6 Ham, Environmental Interpretation. A practical guide for people with big ideas and small budgets, cit., p. 3. 7 Su queste problematiche si veda meglio, nel cap. terzo, il paragrafo: L’interpretazione del patrimonio: una definizione in progress. 8 Cfr. G.J. Cherem, The professional interpretor: agent for an awakening giant, «Journal of Interpretation», vol. 2, n. 1, August 1977, pp. 3-16. Ancora nel 1994 John A. Veverka valutava l’ipotesi di adottare la grafia interpretor (cfr. Interpretive master planning. The essential planning guide, cit., cfr. p. 1 e n., e passim. 9 L. Beck, T. Cable, Resolving the interpreter’s identity problem, «Legacy», vol. 6, n. 5, 1995, pp. 28-29 e L. Beck, T. Cable, Interpretation for the 21st Century. Fifteen guiding principles for interpreting nature and culture, 2nd ed., Champaign, Sagamore Publishing, 2002, p. 5 (1st ed. 1998; ora in terza edizione con il titolo The gifts of interpretation. Fifteen guiding principles for interpreting nature and culture, Urbana, Sagamore Publishing, 2011. L’edizione correntemente consultata e di seguito citata è la seconda edizione del 2002). 16 INTRODUZIONE deve indurre a credere che l’approccio interpretativo si riduca a una banale forma di divulgazione. Al contrario “interpretare per i visitatori” implica un ben più elevato livello di concettualizzazione teorica, un’accurata progettazione dell’esposizione delle informazioni (delivery) e una contestuale selezione delle tecniche e metodi della performance interpretativa, come ricorda John A. Veverka: Any form of communication that we may have with visitors usually involves two basic communication styles. We present the materials we want the visitor to know in an informational style, or in an interpretive style. The difference between the two styles is not what we present but how we present it. Informational styles simply dispense the facts, the way a field guide lists and describes species, for example. But the interpretive style reveals a story or larger message, relying on Tilden’s Principles to help the visitor relate to that message10. Dalla definizione di Veverka si evince dunque che l’interpretazione consiste in un particolare approccio alla comunicazione che è ben differente dal semplice trasmettere informazioni (informational style) giacché implica l’impiego di specifiche metodologie («to reveal a story or a larger message»11; «to help the visitor relate to that message»)12 che sono finalizzate al raggiungimento di precisi obiettivi: da una parte, accrescere nei visitatori la conoscenza e la comprensione intellettuale del significato più profondo di un sito culturale («a larger message»); dall’altra, promuovere l’interiorizzazione e la condivisione di quei significati («relate to that message»). Nell’incisiva definizione appena vista sono infatti sintetizzati i fondamenti della teoria e della prassi dell’interpretazione così come essa si è venuta sviluppando nel corso degli ultimi cinquant’anni – come sarà meglio e più ampiamente illustrato nel prosieguo del presente lavoro. Come premessa generale va detto che nell’area europea l’interpretazione ha iniziato a diffondersi a partire tra gli anni Settanta e Ottanta in Gran Bretagna (periodo significativamente soprannominato interpretation boom)13 e, nel decennio successivo, anche in Francia, Spagna e Italia – seppur con risultati ed esiti diversi e tutti di grande interesse, tanto sul versante della riflessione metodologica che dell’applicazione pratica14. Rispetto alla realtà statunitense e anglosassone, in generale nei paesi europei la heritage interpretation oggi è una disciplina relativamente poco conosciuta e soprattutto ancora limitata ad ambiti piuttosto specialistici. Da questo punto di vista risulta paradigmatico 10 Veverka, Interpretive Master Planning. The essential planning guide, cit., p. 19. veda nel cap. terzo il paragrafo: La comunicazione tematica: «The story’s the thing». 12 Sempre nel cap. terzo, cfr. il paragrafo: «Provoke, relate, reveal». I Tilden’s Tips. 13 Sull’interpretation boom cfr. meglio infra, nel cap. secondo, il paragrafo dedicato alla Gran Bretagna. 14 Per una prima riflessione sull’interpretazione nei maggiori paesi dell’Europa continentale cfr., nel cap. secondo, il paragrafo: L’interpretazione in Europa. 11 Si INTRODUZIONE 17 il caso dell’Italia dove questa pratica, introdotta sin dai primi anni Novanta, viene oggi impiegata con successo principalmente nel contesto dei parchi nazionali e nelle aree naturalistiche, ovvero come interpretazione ambientale. Tuttavia negli ultimi anni si è assistito ad una crescente diffusione dell’interpretazione anche in altri settori, ad esempio degli ecomusei – istituzioni che, per la stessa riflessione teorica che le innerva, si sono rivelate particolarmente pronte a riconoscersi nella filosofia e nelle metodologie dell’interpretazione15. La realtà italiana, oggi assai dinamica, riflette peraltro una tendenza più ampia a livello europeo e che si è concretizzata in un generalizzato revival delle tematiche connesse all’interpretazione proprio sulla spinta di un’attenta riflessione sulla valorizzazione del patrimonio culturale dell’Europa sotto diverse prospettive: dell’educazione alla cittadinanza e all’identità europea attraverso il patrimonio; della consapevolezza del patrimonio e della diversità culturale europei, vista come una delle competenze chiave dell’apprendimento permanente; o ancora dell’accesso al patrimonio e alla vita culturale inteso come un diritto inalienabile dei cittadini europei; infine della promozione di un turismo culturale in quanto importante fattore di sviluppo economico ma in un’ottica di sostenibilità16. Non è errato affermare che da questa crescente attenzione nei confronti delle prassi e delle politiche connesse all’heritage sia scaturita la decisione, da parte degli interpreti che da tempo operano in Europa, di dare vita finalmente ad un’associazione che, collegando all’interno di un’unica rete – che va sotto il nome di Interpret Europe – i professionisti di varie nazioni (dalla Slovenia alla Danimarca, dall’Inghilterra alla Grecia ecc.), si prefigge l’obiettivo di diffondere la pratica professionale e la ricerca nel campo della heritage interpretation in Europa17. Alla ricerca dei fondamenti educativi della heritage interpretation: dalla comunicazione al progetto pedagogico Come visto, l’interpretazione è stata definita come un particolare «approccio alla comunicazione» (Ham), o ancora come uno specifico «stile di comunicazione» (Veverka). 15 Sulle connessioni tra l’interpretazione statunitense e gli ecomusei cfr., nel cap. secondo, il paragrafo: Contaminazioni: l’interpretazione tra heritage boom e “nuove museologie”. 16 Sulla riflessione europea sulla Heritage Education cfr., in questa introduzione, il paragrafo: Tra Heritage education e Heritage interpretation: due percorsi, un approdo comune; sul valore del patrimonio per la società (Carta di Faro, 2005), come sulle “carte” emanate dall’Icomos relativamente al turismo culturale, si veda nel cap. secondo il paragrafo: Gli organismi internazionali nel dibattito attuale sull’interpretazione: dall’Unesco all’Icomos. 17 Cfr. il nuovo sito dell’associazione: <http://interpret-europe.net> (consultato il 10.4.2013). Sull’associazione si veda meglio infra, nel cap. secondo, il paragrafo: Un nuovo inizio: nasce Interpret Europe. 18 INTRODUZIONE Pur condividendo tali definizioni, comprensibilmente focalizzate sulla componente comunicativa dell’interpretazione, nel presente lavoro si proporrà una nuova prospettiva di lettura che mira a dimostrare – attraverso un’attenta analisi del percorso storico da una parte, e delle prassi consolidate dall’altra – come nella heritage interpretation si possano rintracciare alcune caratteristiche peculiari che la rendono particolarmente interessante non solo sotto il profilo dell’apprendimento informale che essa è in grado di attivare ma anche per il complesso progetto pedagogico, oltre che per il manifesto agire educativo, che sottendono tale pratica18. Per progetto pedagogico si intende la matrice di ogni azione educativa, consistente in quel sistema di valori e di significati (principi assiologici) che informano le finalità (principi teleologici) e, a discesa, determinano gli obiettivi dell’azione stessa. Ciò che emerge da un’analisi condotta sotto tale prospettiva pedagogica è che le finalità e gli obiettivi che l’interpretazione che si prefigge non riguardano solo una mera acquisizione di informazioni, dati e fatti da parte dei visitatori (acquisizione di un “sapere”), quanto piuttosto l’interiorizzazione di nuovi valori, capaci di innescare l’assunzione di nuovi atteggiamenti e comportamenti. In altre parole, dopo la fase della comprensione del significato (propria della sfera cognitiva), la prassi interpretativa punta infatti a coinvolgere, anche da un punto di vista emotivo (sfera emozionale) i visitatori al fine di sensibilizzarli riguardo alle problematiche del patrimonio. È infatti il coinvolgimento emozionale, assieme a quello cognitivo, a costituire la premessa per la realizzazione degli obiettivi che attengono alla sfera comportamentale: stimolare e consolidare l’adozione di comportamenti responsabili nei confronti del patrimonio stesso. In particolare la letteratura sull’interpretazione da sempre sottolinea l’importanza di promuovere nei visitatori una cittadinanza responsabile, una «citizenship» che ben si riassume nel motto, ben noto nella comunità degli interpreti: «through interpretation, understanding; through understanding, appreciation; through appreciation, protection»19. A tale scopo, la prassi interpretativa ha elaborato una vera e propria tassonomia degli obiettivi di apprendimento che sono stati per l’appunto suddivisi in obiettivi cognitivi (nozioni, idee e concetti che si desidera trasmettere ai visitatori), obiettivi emozionali (modalità e livelli di coinvolgimento dei visita18 Cfr. il Cap. quarto: La dimensione educativa della heritage interpretation nel paradigma della complessità. 19 Tilden, Interpreting our heritage, cit., p. 65. Sul motto del National Park Service si veda meglio, nel Cap. secondo: Dalla legittimazione all’internazionalizzazione della professione e della ricerca. Sull’interpretazione come agente di promozione della cittadinanza responsabile nei confronti del patrimonio, particolarmente ambientale ma non solo, cfr. D.L. Uzzell, Interpreting Our Heritage. A theoretical interpretation, in D.L. Uzzell, R. Ballantyne (edd.), Contemporary Issues in Heritage and Environmental Interpretation: Problems and Prospects, London, The Stationery Office, 1998, pp. 11-25. INTRODUZIONE 19 tori che si intende realizzare) e di comportamento (attitudini e comportamenti che ci si prefigge di sviluppare, o modificare, nei visitatori, in direzione del rispetto per il patrimonio)20. Questa tassonomia se, da una parte, guida l’interprete nella progettazione di servizi, programmi e media interpretativi per il pubblico, d’altro canto rivela l’autentica intenzionalità educativa, e quindi il connesso progetto educativo, che sottendono a quest’attività. Dal punto di vista dei processi di apprendimento attivati, tale tripartizione degli obiettivi denota un passaggio graduale da un “sapere” a un “saper fare”, fino a un “saper essere” ovvero a un “saper scegliere” nuovi comportamenti e atteggiamenti, correggendo o abbandonando vecchi schemi mentali. Questa selezione e progressione degli obiettivi della Heritage Interpretation ci ricorda in qualche modo il percorso dell’apprendimento – letto in termini batesoniani21 – che, partendo dall’apprendimento di tipo zero (acquisizione di specifiche informazioni e conoscenze), passa attraverso il proto-appredimento (comprensione e acquisizione di nuove abilità e nuove condotte) per arrivare quindi allo stadio successivo del deutero-apprendimento (imparare ad imparare), un apprendimento di ordine logico superiore che, attraverso esperienze e stimoli nuovi, dà il via a nuove modalità di essere, agire e relazionarsi nei vari contesti (nuovi abiti mentali). Nel caso dell’interpretazione, il deuteroapprendimento si tradurrebbe in una fidelizzazione dei visitatori, invogliati a frequentare maggiormente i luoghi dell’heritage per approfondire le tematiche esplorare e per rinnovare le sensazioni e le emozioni sperimentate. In tale ottica si potrebbe affermare che l’ultimo stadio dell’apprendimento, il cosiddetto apprendimento di terzo livello, nel caso dell’azione interpretativa potrebbe coinciderebbe con l’acquisizione della capacità da parte dei visitatori e dei cittadini di abbandonare vecchi stereotipi, ristrutturare i propri schemi mentali e arrivare a comprendere (e adattarsi a) la complessità, le problematiche e le necessità del patrimonio ambientale e culturale. Per raggiungere i suddetti obiettivi l’interprete mette in atto un vero e proprio agire educativo basato cioè su precise strategie didattiche principalmente incentrate su una forte circolarità relazionale tra interprete/visitatori. Questa circolarità può realizzarsi con varie modalità ovvero attraverso: l’interazione dialogica e la learning conversation22 (“conversazione 20 Cfr. la “Tassonomia degli obiettivi di apprendimento” elaborata da John A. Veverka nel suo manuale del 1994 Interpretive Master Planning. The essential planning guide, cit. (su cui cfr. meglio infra, nel cap. terzo, il paragrafo: Conoscenze, emozioni, comportamenti: la Tassonomia degli obiettivi dell’interpretazione). 21 Sui vari livelli dell’apprendimento teorizzati da Gregory Bateson cfr.: Id., Verso un’ecologia della mente (1972), Milano, Adelphi, 1997, in particolare le pp. 313-338 e Mente e natura (1979), Milano, Adelphi, 1999. 22 La learning conversation a cui si fa qui riferimento è una forma di apprendimento esperienziale che rientra nella experiential learning theory (ELT) elaborata da David Kolb (D.A. Kolb, Experiential 20 INTRODUZIONE di apprendimento”)23; l’uso della metodologia della ricerca (enquiry-based learning); l’osservazione riflessiva stimolata da domande aperte (le “buone domande”); il coinvolgimento attivo dei visitatori in esperienze di tipo immersivo, emozionale e multisensoriale. Un apparato di tecniche che, di fatto, rientrano nell’ampio panorama del cosiddetto apprendimento esperienziale24. Come si vedrà meglio nel corso del lavoro, in tutte queste strategie – e in particolare nella forte attenzione alla dimensione dialogica e partecipativa e nella circolarità dell’azione-interazione-comunicazione tra interprete e visitatore – si riconoscono elementi che sono tipici della relazione educativa ovvero di quella particolare forma di comunicazione umana che si sviluppa tra due poli (“io-tu” oppure “uno-molti”) seguendo una precisa intenzionalità educativa: favorire la crescita complessiva di ogni singolo individuo in termini di conoscenze ma anche di competenze sociali, di sistemi valoriali, di autonomia e libertà di pensiero. La specifica “circolarità” dell’azione dell’interprete del patrimonio si manifesta nell’uso di metodologie comunicative di vario tipo, come detto tutte altamente coinvolgenti e per molti versi assai vicine alle strategie educative proprie della didattica attiva25. Oltre a ciò, l’interprete si avvale di tecniche specificamente messe a punto dalla prassi interpretativa come la cosiddetta comunicazione tematica (fondata su temi e messaggi)26 o come il processo T.I.U., che prevede la costruzione di percorsi di significato basati su idee e valori intellettualmente ed emotivamente condivisi: i cosiddetti concetti “tangibili”, “intangibili” e “universali”27. learning. Experience as the source of learning and development, Englewood Cliffs NJ, Prentice-Hall, 1984). Secondo tale modello, attraverso la conversazione il discente costruisce significati e trasforma le proprie esperienze in nuova conoscenza (D.A. Kolb, A.C. Baker, P.J. Jensen, Conversation as experiential learning, in A.C. Baker, P.J. Jensen, D.A. Kolb, Conversational learning. An experiential approach to knowledge creation, Westport-London, Quorum Books, 2002, pp. 51-66). 23 Per tradurre l’espressione learning conversation si proporrà, da qui in avanti, la formula “conversazione di apprendimento”, ritenuta da chi scrive più adatta (rispetto a “conversazione formativa”) al carattere informale dell’apprendimento innescato da questo tipo di processo esperienziale e, allo stesso tempo, più intuitiva e significativa rispetto alla traduzione: “conversazione apprenditiva”. Sulla conversazione d’apprendimento nella prassi interpretativa si veda meglio infra, nel cap. quarto, il paragrafo: L’interpretazione come ‘conversazione di apprendimento’. 24 Sulla dimensione relazionale e narrativa dell’apprendimento veicolato dall’interpretazione si veda, nel cap. quarto, il paragrafo: Orientamento al visitatore e apprendimento costruttivista; sulle differenze/analogie tra interpretazione e didattica si veda, sempre nel cap. quarto, il paragrafo: L’interprete del patrimonio: guida, comunicatore o educatore? 25 Sulla specificità di queste tecniche cfr. in particolare, nel cap. terzo, il paragrafo dedicato ai Metodi e tecniche dell’interpretazione. 26 Sulla teoria e tecnica della “comunicazione tematica” cfr., nel cap. terzo, il paragrafo: La comunicazione tematica: «The story’s the thing». 27 Sui concetti tangibili, intangibili e universali si veda meglio infra, nel cap. terzo, il paragrafo: Le basi del processo interpretativo. INTRODUZIONE 21 Sono queste caratteristiche a fare della comunicazione interpretativa uno strumento particolarmente efficace oltre che flessibile e potenzialmente in grado di rispondere alle diversificate esigenze del pubblico contemporaneo del turismo culturale. Una lunga tradizione e una diffusione ormai internazionale hanno dimostrato che l’attività interpretativa, seppur nata e principalmente applicata nei contesti naturalistici, si presta essere impiegata come uno strumento di comunicazione capace di adattarsi alle caratteristiche dei diversi pubblici come dei vari “siti culturali” in cui può trovare applicazione: dalla riserva naturale al sito archeologico, dal percorso urbano al giardino botanico, dalla dimora storica all’area paesaggistica ecc.28 Per questi motivi la prassi interpretativa trova sempre più spesso applicazione anche all’interno delle istituzioni museali che, oggi, vanno orientandosi in senso educativo e socio-culturale, in un’ottica di democratizzazione, condivisione e soprattutto di (ri)costruzione partecipativa del sapere che – seguendo le intuizioni più felici della riflessione museologica contemporanea, dalle nuove museologie29 fino alla pedagogia critica del museo postmoderno30 – offre una nuova idea orientativa e regolativa dell’intera gestione museale, dall’analisi del pubblico alla progettazione dei servizi, dalla didattica alla comunicazione, dalla tutela al marketing ecc. In realtà, all’origine del presente lavoro sta la constatazione di come, ad un’attenta analisi della letteratura sulla heritage interpretation, tra gli studiosi e i professionisti di questa disciplina paia ancora stentare ad affermarsi l’idea che essa possa essere collegata all’ambito dell’educazione incentrata sul patrimonio culturale. Tale difficoltà si fonda principalmente sull’accezione di education su cui viene impostato il confronto tra interpretazione ed educazione. La contrapposizione diviene molto forte laddove si dia per scontata 28 La bibliografia, principalmente anglosassone, sulla heritage interpretation e i suoi vari ambiti di applicazione è molto vasta e si rimanda perciò ad alcune bibliografie dedicate: Bibliography of interpretive resources, numero monografico di «Journal of Interpretation Research», vol. 8, n. 2, 2003; J. Sureda, Documentos bibliográficos para el desarrollo de programas municipales de interpretación ambiental y del patrimonio, Barcelona, Editorial Graó, 2003 (Monografías de educación ambiental. Serie Documentación, 3); National Museum of Australia Library, Interpretation in Museums. A select bibliography, November 2007, <http://library.nma.gov.au/libero/docs/Libopac/bibliographies_files/ Interpretationbibliography.htm> (consultato il 10.12.2010). 29 Basti qui pensare alle correnti che hanno avuto un forte impatto sulla riflessione e sulla prassi museologica contemporanea, come la nouvelle muséologie francese o la new museology anglosassone, o ancora la “museologia critica” (D. Poulot, Musei e museologia, Milano, Jaca Book, 2008, p. 88; J.P. Lorente, Nuevas tendencias en la teoria museológica: a vueltas con la Museología crítica, «Museos. Es», n. 2, 2006, pp. 231-243). Sul rapporto tra la heritage interpretation e la riflessione museologica, in particolare dagli anni Ottanta in poi, si veda meglio, nel cap. secondo, i paragrafi: L’interpretazione in Europa: Francia e Contaminazioni: l’interpretazione tra heritage boom e “nuove museologie”. 30 Cfr. E. Hooper-Greenhill (ed.), The educational role of the museum (1994), 2nd ed., New York, Routledge, 1999; in particolare i saggi: Education, communication and interpretation: towards a critical pedagogy in museums (cap. 1, pp. 3-27) e Museum learners as active postmodernists: contextualising constructivism (cap. 5, pp. 67-72). 22 INTRODUZIONE un’accezione limitata di education intesa «in the narrower sense of teaching at school or college» (come ha scritto nel 2009 Michael Glen, oggi presidente del Supervisory Committee dell’associazione internazionale Interpret Europe31), intesa cioè come quell’insieme di attività didattiche altamente formalizzate, legate al contesto dell’educazione scolastica e quindi esclusivamente indirizzate al pubblico degli studenti. In tal senso, questa oscillazione/contrapposizione tra dimensione interpretativa e dimensione educativa è sempre stata molto forte fin dalla nascita di una riflessione sulla interpretation, anche se pare essersi acuita principalmente tra gli anni Settanta e Ottanta quando, cioè, è apparsa sulla scena internazionale la environmental education che – espropriando di fatto la environmental interpretation di un ruolo, di un ambito e di finalità che fino ad allora le erano stati propri – ha in qualche modo costretto quest’ultima a rivendicare e riaffermare con forza la propria specificità ed autonomia rispetto ad essa32. Da ciò è seguita una sistematica azione di riflessione (e di metariflessione) da parte degli interpreti sui processi e sui contenuti della propria pratica professionale, che li ha condotti a evidenziare ed enfatizzare le differenze più eclatanti tra interpretation e education – nel senso sopra inteso di “educazione formale” – e che possono essere sintetizzati in tre elementi principali: 1. diversità del pubblico di riferimento: pubblico generico, non omogeneo e “volontario” (spontaneo), nel caso dell’interpretazione; pubblico scolastico, omogeneo ed “obbligato” (non spontaneo), nel caso dell’educazione ambientale33; 2. diversità dei contesti: contesto informale, nel primo caso; contesto formale e strutturato, nell’altro; 3. diversità delle finalità e degli obiettivi: obiettivi ricreativi, collegati alla gestione del tempo libero, del tempo familiare, del viaggio e della vacanza ecc., da una parte; obiettivi di istruzione e rigorosamente organizzati all’interno del tempo scolastico, dall’altra. Queste fondamentali differenze tra le due attività fanno sì che tanto nei musei come anche nelle università anglosassoni esistano servizi, dipartimenti, ruoli professionali e corsi di formazione denominati Education and Interpretation oppure Learning and Interpretation, proprio a indicare il divario – ma al tempo stesso la stretta complementarità – tra le modalità, le strategie e gli 31 M. Glen, Interpretación: ¿profesión, disciplina, arte o ciencia?, «Boletin de interpretación», n. 21, Septiembre 2009, pp. 28-33 (il testo inglese originale è accessibile sul sito di Interpret Europe: <http:// www.interpret-europe.net/uploads/media/Glen2009-Boletin-article_en.pdf>, consultato il 15.2.2013). 32 Sulle ragioni storiche del dibattito sulla contrapposizione tra education e interpretation si veda meglio, nel cap. quarto, il paragrafo: Il confronto tra interpretazione ed educazione: alla ricerca di un’identità. 33 Sulla differenza tra questi due pubblici si veda meglio, nel cap. terzo, il paragrafo: Per chi interpretare: pubblico volontario e pubblico obbligato. INTRODUZIONE 23 obiettivi che caratterizzano i servizi interpretativi indirizzati al pubblico nella sua generalità e totalità (i «public education program»), rispetto ai servizi educativi strettamente mirati al pubblico scolastico (gli «school program»). Tra heritage education e heritage interpretation: due percorsi, un approdo comune In realtà un possibile punto d’incontro tra la dimensione interpretativa e la dimensione educativa dei servizi offerti ai visitatori dei siti culturali è rappresentato dalla prospettiva teorica offerta dalla disciplina che prende il nome di heritage education e che si è sviluppata seguendo un percorso completamente differente – e per molti versi antitetico – rispetto alla interpretazione del patrimonio. In Europa continentale la heritage education si afferma a partire dagli anni Ottanta quando il Consiglio d’Europa decide di dare impulso a una serie di innovative metodologie didattiche incentrate sul patrimonio culturale che erano state introdotte nell’insegnamento scolastico, dapprima in ambito francese e poi gradualmente estese anche ad altre realtà europee: dalle originarie classi europee del patrimonio (CEP, istituzionalizzate dal Consiglio nel 1989) si svilupparono successivamente anche le giornate europee del patrimonio (GEP, nel 1991 istituite dal Consiglio congiuntamente alla Commissione Europea) e prese, infine, il via una serie di importanti progetti transnazionali34. Tutte queste iniziative si caratterizzavano per avere come oggetto lo studio e la comprensione del patrimonio culturale d’Europa, e come finalità quella di educare le giovani generazioni – attraverso la collaborazione tra scuole di diversi paesi – alla conoscenza reciproca e alla coltivazione dell’idea dello scambio e del confronto, nell’ottica della costruzione dei nuovi cittadini europei, consapevoli delle diversità culturali, tolleranti e capaci di convivere democraticamente35. 34 Council of Europe, European Heritage Classes. Colloquy, Château de Maisons-Laffitte (France), 7-9 October 1992: proceedings, Strasbourg Cedex, Council of Europe publishing, 1995, <http:// www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/resources/Publications/Pat_PC_34_en.pdf>. Sulle giornate europee del patrimonio cfr. M. Kneubühler, Handbook on the European heritage days. A practical guide, Strasbourg and Brussels, Council of Europe and European Commission, 2009, <http://www. ehd.coe.int/> (siti consultati il 15.2.2013). Sui progetti promossi nelle scuole dal Consiglio (Rhin sans frontieres, 1989-1990; The city beneath the city, 1995-1996; EOSO/ERAL-Europe from one street to the other, 2002-2004) cfr. L. Branchesi (ed.), Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, Roma, Armando, 2006; sulle CEP cfr., in partic. il contributo della Branchesi: La pedagogia del patrimonio e la sua valutazione: ambiti della ricerca, metodologie, risultati e prospettive (ivi, pp. 29-58). 35 Council of Europe, Cultural heritage and its educational implications: a factor for tolerance, good citizenship and social integration. Proceedings. Seminar, Brussels (Belgium), 28-30 August 1995 (Cultural heritage, N. 36), Strasbourg, Council of Europe Publishing, 1998. In particolare cfr. il documento preparato in occasione dell’anno europeo della cittadinanza attraverso l’educazione: T. Cope- 24 INTRODUZIONE L’importanza e il carattere innovativo di tali iniziative furono definitivamente riconosciuti e legittimati dalla Recommendation n. R(98)5 of the Committee of ministers to member states concerning heritage education36 in cui il Consiglio d’Europa così definiva la pédagogie du patrimoine, in italiano tradotta come “Pedagogia del patrimonio”37: 1. CAMPO DI APPLICAZIONE E DEFINIZIONI. Ai fini di questa raccomandazione si intende: […] Per “pedagogia del patrimonio” una modalità di insegnamento basata sul patrimonio culturale, che includa metodi di insegnamento attivi, una proposta curriculare trasversale, un partenariato fra i settori educativo e culturale, e che impieghi la più ampia varietà di modi di comunicazione e di espressione. […] 2. REALIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ DI PEDAGOGIA DEL PATRIMONIO. L’educazione al patrimonio, per sua natura interdisciplinare, dovrebbe essere promossa nell’ambito delle discipline scolastiche ad ogni livello e per ogni tipo di insegnamento38. Dal 1998 ad oggi nell’ambito della Heritage Education sono stati sviluppati vari progetti per la scuola primaria e secondaria che hanno proposto nuovi modelli di insegnamento e strutturato nuovi percorsi transdisciplinari finalizzati a formare le nuove generazioni alla conoscenza dell’importanza storica, culturale e identitaria del patrimonio ambientale e culturale europeo. Tra i progetti che l’Unione Europea ha finanziato dal 2000 ad oggi, basti citare l’esempio di HEREDUC-Heritage Education che, raccogliendo l’esperienza di cinque paesi partner, ha prodotto un manuale di formazione per gli insegnanti teso a diffondere nella scuola primaria e secondaria le buone pratiche educative incentrate sul patrimonio culturale europeo39; e, più recentemente, del progetto AQUEDUCT-Acquiring Key Competen- land, European democratic citizenship, heritage education and identity, Strasbourg, Council of Europe, March 2006, <http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/heritage/completed/education/DGIV_PAT_ Heritage_ED(2005)3_EN.pdf> (consultato il 15.2.2013); e Id., Pedagogia del patrimonio e cittadinanza democratica, in Branchesi (ed.), Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, cit., pp. 65-84. 36 Il testo originale della Rec (98)5E del 17 Marzo 1998 è accessibile sul sito del Consiglio d’Europa: <https://wcd.coe.int/wcd/ViewDoc.jsp?id=469639> (consultato il 15.2.2013). 37 Sulla difficoltà di tradurre in italiano espressioni quali heritage education e pédagogie du patrimoine, e sulla scelta di adottare l’espressione «Pedagogia del patrimonio» al posto di “didattica dei beni culturali” (ritenuta troppo incentrata sulle tecniche e strategie didattiche) e di “educazione al patrimonio” (troppo generica), cfr. L. Branchesi, La “Pedagogia del Patrimonio” in Europa, in M. Costantino (ed.), Mnemosyne a scuola. Per una didattica dai beni culturali, Milano, Franco Angeli, 2001, pp. 107-123. 38 La citazione è tratta dal testo integrale, in lingua italiana, presente in L. Branchesi, L. Giampietro, La Raccomandazione N°R (98)5 sulla pedagogia del patrimonio: uno studio di caso, in Branchesi (ed.), Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, cit., pp. 175-184, in partic. pp. 180-184. 39 Il progetto HEREDUC-Heritage Education (Programma Socrates-Comenius 2.1) si è svolto nel biennio 2002-2004 e ha visto la partecipazione di Belgio, Germania, Francia, Italia, Olanda. Il progetto ha avuto come risultato un sito web multilingue (<http://www.hereduc.net>, consultato il 15.2.2013) e un manuale, anch’esso multilingue, che è liberamente scaricabile in pdf dal sito stesso: Patrimonio culturale in classe. Manuale pratico per gli insegnanti, a cura di V. De Troyer, Antwerp, Apeldom, 2005. INTRODUZIONE 25 cies through Heritage Education40, finalizzato a promuovere presso gli insegnanti una didattica basata sul patrimonio e specificamente orientata all’acquisizione delle «competenze chiave trasversali per l’apprendimento permanente» (imparare a imparare; competenze sociali e civiche; spirito di iniziativa e di imprenditorialità; consapevolezza ed espressione culturali), il cui possesso è ritenuto essenziale per affrontare le sfide della società della conoscenza, oltre che per raggiungere gli obiettivi di sviluppo fissati dalla Comunità Europea per il 202041. Pur riconoscendo l’importanza del ruolo della scuola nell’educazione delle giovani generazioni alla conoscenza del patrimonio culturale europeo, tuttavia gli operatori e i teorici della “pedagogia del patrimonio” hanno presto rilevato come la preziosa esperienza maturata nel settore educativo formale potesse utilmente essere impiegata per ampliare la heritage education fino a ricomprendervi anche altri pubblici e altri contesti educativi, non formali e informali. È assai significativo che, nel 2006, Marisa Dalai Emiliani concludesse la propria introduzione al volume curato da Lida Branchesi Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, proprio affermando che: Dopo tanta prioritaria attenzione alle realtà scolastiche, ineludibile diventa ora l’estensione della pedagogia del patrimonio ai pubblici adulti, nella prospettiva dell’educazione permanente e ricorrente42. Nelle parole della Dalai Emiliani si coglie chiaramente il riferimento al nuovo paradigma del lifelong learning il quale, a partire dal 2000 – sia nella riflessione pedagogica come nelle politiche educative nazionali e internazionali – non soltanto ha definitivamente fatto “esplodere” il concetto di education, frammentandolo in una molteplicità di livelli, dimensioni e attori, ma ha finito per rimodellare anche il significato, l’ambito e le finalità della stessa heritage education. È emblematico che oggi, a distanza di quindici anni dalla Raccomandazione R. 5/98, i documenti italiani abbiano 40 Cfr. il sito del Progetto multilaterale Comenius: <http://the-aqueduct.eu/> e il manuale prodotto dal lavoro condotto negli anni 2010-2011, accessibile in lingua italiana nello stesso sito: J. Van Lakerveld, I. Gussen (edd.), Aqueduct. Acquisire competenze chiave attraverso l’educazione al patrimonio culturale, Bilzen, Lies Kerkhofs-Landcommanderij Alden Biesen, 2011, <http://the-aqueduct.eu/ download/Aqueduct-Manual_IT.pdf> (consultato il 15.2.2013). 41 Sulle otto competenze chiave – individuate dalla Commissione Europea nel 2005 e nel 2006 ratificate dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea − si veda l’allegato alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per lapprendimento permanente (2006/962/EC); e la pubblicazione: Commissione Europea, Competenze chiave per l’apprendimento permanente. Un quadro di riferimento europeo, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2007. 42 M. Dalai Emiliani, Il patrimonio culturale per l’educazione in Italia e in Europa, in Branchesi (ed.), Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, cit., pp. 15-17, citazione a p. 17. 26 INTRODUZIONE definitivamente abbandonato l’espressione “pedagogia del patrimonio” per accogliere quella di “educazione al patrimonio” – più inclusiva e allargata anche a contesti altri rispetto a quello scolastico. Questa graduale apertura alla dimensione extrascolastica dell’apprendimento basato e incentrato sul patrimonio culturale è ulteriormente sottolineata dal volume Per l’educazione al patrimonio culturale. 22 tesi, nel quale gli autori – tra i massimi esperti italiani nel settore – facendo riferimento alla Tesi n. 2 relativa a L’educazione al patrimonio e i suoi destinatari si esprimono come segue: Poiché il rapporto tra individui e patrimonio è continuo nella realtà quotidiana, anche se spesso inconsapevole, l’educazione che lo riguarda si svolge in una pluralità di ambienti secondo specifiche modalità, principalmente nella scuola, nell’università, presso le istituzioni culturali e sul territorio. L’educazione al patrimonio non è destinata solo al pubblico scolastico, ma a tutte le persone, in quanto le sue finalità sono rivolte allo sviluppo di conoscenze, abilità e comportamenti che si possono manifestare lungo tutta la vita dell’individuo. Pertanto il processo educativo non può concludersi al termine del ciclo d’istruzione, ma deve proseguire in contesti diversi – professionali, turistici, associativi… – al fine di favorire e sostenere l’assunzione di una sempre maggiore consapevolezza nel rapporto individuo-cittadino-patrimonio43. Aggiungendo, subito dopo che: Rivolgendosi a tutte le persone lungo l’intero arco della vita, l’educazione al patrimonio ha come destinatari diversi pubblici: adulti, bambini, giovani, anziani, disabili fisici e psichici, cittadini di altre culture, turisti, professionisti in aggiornamento, gruppi familiari, partecipanti a programmi di reinserimento sociale… Essa deve tener conto della loro pluralità di connotazioni ed esigenze operando tramite progetti differenziati per obiettivi e modalità di svolgimento, utilizzando la più grande varietà di forme di comunicazione ed espressione. In questa nuova visione lifelong (che guarda all’apprendimento come a una dimensione permanente e costitutiva della stessa esistenza) e learner-centred (orientata ai visitatori intesi come learner dotati di propri interessi, motivazioni, stili di apprendimento ecc.), l’educazione al patrimonio abbandona la sfera esclusivamente formale per aprirsi all’informalità dell’apprendere dei luoghi extrascolastici, da una parte; dall’altra, questo stesso processo implica il pieno riconoscimento del ruolo educativo dei luoghi del patrimonio e delle istituzioni culturali, capaci di attivare uno «sviluppo di conoscenze, abilità e comportamenti» inquadrabili nella cornice di una «sempre maggiore consapevolezza nel rapporto individuo-cittadino-patrimonio». Sotto tale prospettiva, sembrano decisamente sfumare, al punto quasi da annullarsi, i limiti e i confini tra (heritage) education e (heritage) interpretation. 43 A. Bortolotti, M. Calidoni, S. Mascheroni, I. Mattozzi, Per l’educazione al patrimonio culturale. 22 tesi, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 25. INTRODUZIONE 27 Come si vedrà, il possibile scioglimento di una supposta dicotomia tra dimensione educativa e dimensione interpretativa – che, alla luce delle precedenti considerazioni, parrebbe sempre meno sostenibile – potrebbe venire proprio da una rilettura generale, in chiave pedagogica, della storia, della teoria e delle metodologie che questa particolare disciplina ha sviluppato nel corso degli ultimi cinquant’anni. Sulla natura propriamente educativa della interpretazione del patrimonio, infatti, esistono ancora orientamenti assai diversi. Mentre nella letteratura anglosassone (soprattutto britannica) sullo heritage tourism i termini interpretation ed education sono spesso utilizzati quasi come sinonimi44, dalla rilettura degli autori e della storia della letteratura nordamericana sulla heritage interpretation appare evidente come quest’ultima tenda ad essere vista ancora oggi come un’attività propedeutica, oppure complementare e integrativa, ma comunque diversa rispetto alla education se non nettamente contrapposta ad essa. Questa differente percezione della education, da parte degli operatori del turismo, dei servizi per i visitatori, degli addetti alla gestione dei siti culturali e ambientali ecc. trova spiegazione nella stessa complessità che caratterizza tutto l’ambito dell’agire educativo, dei suoi saperi come delle sue pratiche. In sé il termine education è caratterizzato, infatti, da una polisemia particolarmente ampia e tale da permettere al vocabolo inglese – forse ancor più rispetto all’omologo in lingua italiana, anch’esso peraltro caratterizzato da una molteplicità di sfumature semantiche – di spaziare dal significato principale di atto e processo del “ricevere e/o impartire un’istruzione” (l’azione educativa in senso stretto), a quello di “teoria e pratica dell’insegnamento” (sinonimo di pedagogy o teaching), o ancora di “formazione” e “addestramento” (nel senso di training), per finire con il significato di education intesa come “cultura” (knowledge) ovvero come la “acquisizione di conoscenza” che di quell’atto e processo del dare/ricevere un’istruzione è il risultato (learning)45. Alla luce della evidente polisemia cui si è accennato sopra, ben si comprende, pertanto, come il termine education possa assumere significati differenti a seconda dei contesti in cui viene impiegato. Molto spesso, ad esempio, nei contesti cosiddetti informali dell’apprendimento – quali possono essere appunto i parchi, i musei, i siti culturali in generale – il termine education viene normalmente associato all’istruzione 44 A partire da: D. Light, Heritage as informal education, in D.T. Herbert (ed.), Heritage, tourism and society, London, Mansell, 1995, pp. 117-145: R.C. Prentice, Tourism and heritage attractions, London, Routledge, 1993; D.J. Timothy, S.W. Boyd, Heritage e turismo (2004), ed. it. a cura di R. Bonadei, Milano, Hoepli, 2007, cfr. il cap. sull’interpretazione: pp. 157-186. 45 Cfr. P. Crispiani, C. Giaconi, Hermes 2008. Glossario pedagogico professionale, Azzano S. Paolo, Edizioni Junior, 2007, p. 88. Per un primo orientamento cfr. la breve ma chiara disamina dei contesti d’uso del termine “educazione” in S. Tramma, Che cos’è l’educazione informale, Roma, Carocci, 2010, pp. 15-19. 28 INTRODUZIONE scolastica (schooling e instruction) ossia a tutte quelle attività condotte specificamente per il pubblico scolastico e caratterizzate perciò da una stretta connessione con i percorsi curricolari, dall’impiego di metodologie didattiche teacher-centred e coadiuvate dai sussidi didattici tradizionali (manuali e libri scolastici), infine caratterizzate da una limitata libertà e dell’autonomia di scelta dei soggetti in apprendimento (gli studenti). Tale accezione semantica di education fa sì che, con le espressioni environmental education (“educazione ambientale”), museum education (“didattica museale”) o heritage education (“pedagogia del patrimonio”) si finisca per indicare esclusivamente le attività educative indirizzate al pubblico scolastico e programmate con le istituzioni scolastiche come, ad esempio: cicli di lezioni, conferenze, attività e laboratori condotti parte in aula e parte all’esterno di essa (come viaggi, visite e uscite nei parchi, nei musei, o nei siti culturali appositamente individuati ecc.). Se si mantiene questo orizzonte teorico di riferimento, si può ben comprendere come una tale idea di education possa risultare, di per sé, la più lontana ed antitetica possibile rispetto a quelle che sono le basi stesse della heritage interpretation, la quale nasce nel e per l’outdoors, e si sviluppa inizialmente come environmental interpretation proprio esaltando l’apprendimento esperienziale a diretto contatto con la realtà e con il patrimonio ambientale, storico e culturale – pertanto in netta e totale contrapposizione con il mondo della scuola e dell’apprendimento formale46. Tuttavia, al di là delle numerose e diversificate accezioni teoriche e pratiche che il termine educazione può avere, preme rilevare come, nell’ultimo trentennio in particolare, l’avvento del paradigma dell’apprendimento lungo tutto il corso della vita (o lifelong learning)47 abbia offerto nuovi strumenti per la rilettura dell’educativo e della sua pervasività – dilatandolo fino a declinarlo nelle tre dimensioni della formal, non formal e informal education. Questo paradigma non solo è stato in grado di rendere conto della complessità dell’azione educativa (education) e dei percorsi di apprendimento che ne conseguono (learning), ma ha permesso di riconoscere e apprezzare l’importanza che nella vita di un individuo rivestono le tante opportunità, sedi, modalità e tempi con i quali l’apprendimento può realizzarsi. Proprio a tale paradigma si farà pertanto riferimento, nel prosieguo del presente lavoro, sia in quanto principale modello di riferimento concettuale e operativo, sia come categoria pedagogica di lettura e analisi della teoria e 46 Sulle origini e sullo sviluppo della heritage interpretation si veda, in particolare, il Cap. primo: Alle origini di una disciplina: dal nature guiding alla heritage interpretation. 47 Su cui veda, più avanti, nel cap. quarto, il paragrafo: Categorie pedagogiche per l’interpretazione: dall’approccio informal e lifelong al Sistema Formativo Integrato. INTRODUZIONE 29 della prassi della heritage interpretation alla ricerca dei fondamenti squisitamente “educativi” di questa pratica professionale48. Sotto questa prospettiva, la rilettura degli scritti più significativi di alcuni dei maestri fondatori come anche la ricostruzione dello sviluppo storico, della diffusione e dei campi di applicazione della heritage interpretation, permettono infatti di estrapolare quegli elementi che la caratterizzano come una education vera e propria, nel senso più ampio, “forte” e pedagogicamente fondato del termine. Nei capitoli successivi si dimostrerà dunque come la interpretazione del patrimonio si configuri propriamente come: a. un’attività caratterizzata da una chiara intenzionalità educativa in quanto intenzionalmente strutturata e mirata al raggiungimento di finalità educative che si concretizzano in precisi obiettivi di apprendimento: promuovere nei visitatori la comprensione del significato del patrimonio culturale (obiettivi cognitivi) assieme a un profondo senso di condivisione e responsabilità verso ciò di cui si è riconosciuto il valore (obiettivi emozionali), con la conseguente adozione di comportamenti di tutela verso il patrimonio e di supporto verso le sue istituzioni (obiettivi di comportamento); b. un’attività che, sviluppandosi principalmente al di fuori dei percorsi dell’educazione scolastica (carattere informale) ed essendo destinata a un pubblico generico (e non più solo scolastico), si avvale di una comunicazione di tipo non-trasmissivo e mai monodirezionale, e soprattutto mai incentrata sull’autorità di uno specialista (la “guida”) che trasmette un messaggio a un ricevente passivo (il pubblico), ma piuttosto guarda ai visitatori come a soggetti da coinvolgere attivamente nel processo di apprendimento (didattica learner-centred). Nella prospettiva proposta in questa sede, l’interpretazione del patrimonio si prospetta dunque come una forma di educazione al patrimonio nel senso indicato già da Dalai Emiliani, ovvero come un’attività destinata non solo al pubblico scolastico ma «a tutte le persone, in quanto le sue finalità sono rivolte allo sviluppo di conoscenze, abilità e comportamenti che si possono manifestare lungo tutta la vita dell’individuo»49. Nel ripercorrere lo sviluppo dell’interpretazione e soprattutto la progressiva definizione del ruolo e delle competenze dello interpreter, quest’ultima figura emergerà sempre più come un vero e proprio facilitatore di processi di apprendimento di grande complessità all’interno dei setting apprenditivi più diversificati, da quello naturalistico-ambientale a quello ecomuseale o terri48 Si veda, in generale, l’intero Cap. quarto: La dimensione educativa della heritage interpretation nel paradigma della complessità. 49 Bortolotti, Calidoni, Mascheroni, Mattozzi, Per l’educazione al patrimonio culturale. 22 tesi, cit., p. 25. 30 INTRODUZIONE toriale, fino all’ambito museale in senso stretto. In particolare è nelle attività guidate in prima persona dall’interprete (personal interpretation)50 che si evidenzia la chiara visione user-centred all’interno della quale l’interprete, avvalendosi di metodiche conversazionali ma anche di varie tecniche animative (come la narrazione, la drammatizzazione, il role-playing ecc.)51, propone al proprio pubblico una serie di stimoli che incoraggiano l’osservazione e la riflessione, il dialogo e la discussione di gruppo. Il vero fine dell’interpretazione è infatti stimolare ogni visitatore a costruire una lettura personale e significativa del patrimonio culturale, al tempo stesso valorizzandone il più possibile la soggettività e la libertà nell’apprendimento. Sotto questo aspetto si vedrà quale importante influsso – tanto nell’elaborazione degli originari fondamenti dell’interpretazione come nello sviluppo dei nodi teorici e delle metodologie interpretative più recenti – abbiano avuto le varie teorie pedagogiche, a partire dalla progressive education e dall’attivismo pedagogico, all’orientamento socio-culturale e costruttivista, per finire con i più recenti approcci esperienziali, conversazionali e narrativi. In questo quadro complessivo di rilettura, da una prospettiva squisitamente pedagogica, delle origini e dello sviluppo della teoria e della pratica interpretative sarà più agevole riscoprire e rivalutare i fondamenti più autenticamente educativi che la heritage interpretation condivide con la heritage education. Prima di sviluppare un robusto apparato di metodologie comunicative (e che qui definiremo un vero e proprio agire educativo), e prima ancora di individuare specifici obiettivi di apprendimento (orizzonte teleologico o dell’intenzionalità educativa), i padri della heritage interpretation hanno fin dall’inizio avviato un’importante riflessione sui valori di riferimento (orizzonte assiologico) su cui impostare la propria missione e la propria azione. Da tale riflessione si evince una evidente centralità dell’elemento umano (antropologia pedagogica) che ha fatto sì che gli interpreti del patrimonio – così come gli educatori del patrimonio – si siano da sempre interrogati su quale tipo di uomo intendessero formare, e a quali valori e ideali formarlo: se formare un visitatore colto e competente nelle tematiche e/o problematiche del patrimonio; o se, piuttosto, formare un cittadino consapevole e dunque rispettoso del proprio patrimonio culturale e ambientale; o se, infine, formare la persona nella sua interezza – al tempo stesso il visitatore, il cittadino e l’individuo, con la propria storia ed esperienza umana, la propria autonomia e libertà. In virtù di tali premesse, il presente lavoro intende portare all’attenzione dei pedagogisti, degli specialisti dell’educazione al patrimonio, dei museologi, delle guide e degli educatori che operano nei siti e nelle istituzioni culturali 50 Cfr., 51 Al tazione. nel cap. terzo, il paragrafo: Interpretazione personale e non personale. riguardo si veda meglio, sempre nel cap. terzo, il paragrafo: Metodi e tecniche dell’interpre- INTRODUZIONE 31 la specificità degli strumenti messi a punto da questa disciplina. Tali strumenti – ben noti in ambito nordamericano e in generale nel mondo anglosassone – solo nell’ultimo quindicennio sono comparsi sulla scena italiana, dove tuttavia risultano applicati quasi esclusivamente nell’ambito dei parchi e delle aree protette sia per la progettazione di singoli servizi per i visitatori sia come strumento di gestione del territorio finalizzata a uno sviluppo sostenibile dello heritage tourism (interpretive planning). L’aspetto su cui si concentrerà il presente lavoro è quello più propriamente attinente alla dimensione relazionale, dell’accoglienza e del contatto con i visitatori – in altre parole di una vera e propria dimensione educativa in cui è possibile rintracciare una profonda sintonia con l’odierna visione della heritage education sopra delineata. Per meglio permettere ai lettori di avvicinarsi alla teoria e alla prassi della heritage interpretation il presente lavoro ne ricostruisce la storia a partire dalle origini tardo-ottocentesche, iniziando con l’analizzare la temperie culturale in cui si sviluppa la prima filosofia dell’interpretazione nel pensiero dei fondatori della disciplina (Capitolo primo: Alle origini di una disciplina). Successivamente, si analizzeranno le principali fasi di diffusione dell’interpretazione al di fuori degli Stati Uniti fino agli sviluppi più recenti (Capitolo secondo: Dalla legittimazione all’internazionalizzazione della professione e della ricerca). Il Capitolo terzo (Una teoria e una prassi consolidate) passa ad analizzare i fondamenti della prassi e delle metodologie interpretative così come emergono dalla manualistica corrente di stampo anglosassone. Un ultimo capitolo è dedicato, infine, alla disamina delle caratteristiche educative della disciplina e del ruolo dell’interprete alla luce dei più recenti indirizzi sia nell’ambito della ricerca teorico-pedagogica sia nei campi più specifici della didattica museale e dell’educazione al patrimonio (Capitolo quarto: La dimensione educativa della heritage interpretation nel paradigma della complessità). L’obiettivo è riaffermare la natura e le finalità profondamente e autenticamente educative che stanno alla base di questa affascinante disciplina, recuperando ed avvalorando la definizione che lo stesso Freeman Tilden ne aveva dato nel 1957, ossia quella di un’attività educativa, che mira a rivelare significati e relazioni attraverso l’uso di oggetti originali, offrendo esperienze di prima mano e con l’ausilio di vari mezzi esemplificativi, anziché con il comunicare meri fatti e informazioni52. 52 «An educational activity which aims to reveal meaning and relationships through the use of original objects, by firsthand experience and by illustrative media, rather than simply to communicate factual information» (Tilden, Interpreting our heritage, cit., p. 33). Traduzione mia.