Lezione Neri 14

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Lezione Neri 14
DINAMICHE DEI GRUPPI IN CONTESTI ISTITUZIONALI
LEZIONE DEL 14/10/2011
Prof. CLAUDIO NERI
IL PENSIERO DI GRUPPO
Abstract
In questa lezione, il Prof. Neri ci rende partecipi della sua esperienza terapeutica, da una
parte con un’esposizione concettuale relativa alle caratteristiche del “pensiero di gruppo”,
dall’altra con una condivisione illuminante sul caso clinico di un piccolo gruppo a finalità
analitica.
Dalle varie considerazioni emerge che il pensiero di gruppo corrisponde all’esperienza
di un certo numero di persone che sono riunite e che cercano di pensare insieme.
Esso non si identifica con il pensiero dei singoli individui, non costituisce la semplice
somma delle diverse idee espresse in gruppo e va al di là del setting fisico in cui i
soggetti si incontrano. Nel pensiero di gruppo è proprio il gruppo che diventa il soggetto
principale, l’agente di trasformazione e di sviluppo di parole, sogni e fantasie.
Il pensiero di gruppo si pone, quindi, oltre gli investimenti e le proiezioni degli
individui, come una realtà diversa dal pensare separatamente in gruppo. Si stabiliscono,
così, una sintonia e una collaborazione dinamica, uno sviluppo a ruota libera di idee, una
rete tra ciò che pensano gli individui e ciò che pensa il gruppo.
Secondo il prof. Neri, il pensiero di gruppo si sviluppa attraverso la costruzione, da parte
dei membri, di catene associative, che spesso non hanno un andamento lineare, ma
procedono a zig-zag.
Nel racconto della sua esperienza con il piccolo gruppo a finalità analitica di cinque
pazienti, il Prof. Neri illustra come le discussioni non direzionate, le connessioni, le catene
associative, la disposizione a stella e la sincronicità degli interventi e dei contenuti tra i
membri, in una dinamica simile a quello del problem solving, fanno nascere il pensiero di
gruppo.
Parole chiave: pensiero di gruppo, pensiero in gruppo, piccolo gruppo a finalità analitica,
catene associative
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1. PENSIERO IN GRUPPO e PENSIERO DI GRUPPO
Il pensiero di gruppo non equivale al pensiero in gruppo.
PENSIERO IN GRUPPO – la cui esistenza non può essere messa in discussione, emerge
dalle diverse discussioni, chiarimenti, precisazioni, che avvengono tra gli individui.
Si configura, dunque, come il risultato dell’unione dei pensieri di diversi soggetti che
interagiscono tra loro.
PENSIERO DI GRUPPO - comparabile al suono di un'orchestra, non dipendente quindi
solo dai singoli strumentisti, ma dalle caratteristiche del funzionamento dell'insieme1.
Può svilupparsi anche quando le persone non sono riunite in una stessa stanza dal
momento che il suo dispiegamento travalica le distanze fisiche.
Tuttavia la vicinanza fisica tra gli individui, favorita da vincoli affettivi e di amicizia, assolve
un’importante funzione: permette al pensiero di gruppo di acquisire un’immediatezza
sensoriale maggiore e qualitativamente differente rispetto al pensiero di un gruppo i cui
componenti pensano a distanza.
Anche se la distanza fisica è una discriminante, tutti i gruppi, sia quelli in cui i membri
lavorano insieme in uno stesso luogo, sia quelli in cui i membri non si incontrano, creano
un campo comune all’interno del quale si sviluppa un pensiero comune che si riferisce ad
una serie di oggetti di interesse e metodologie comuni.
Quando i membri che costituiscono il campo sono fisicamente presenti è a volte possibile
percepire l’oggetto di interesse con allucinatoria concretezza, ovvero come se fosse
fisicamente presente.
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Il prof. Neri propone altri due esempi per spiegare il pensiero di gruppo:
 Nel movimento artistico degli “impressionisti” (Monet, Manet, Cézanne e Degas) ciascun
artista adotta uno stile di pittura diverso, ma tutti possono essere collocati all'interno del
medesimo movimento poiché condividono problemi e assunti metodologici simili e si
influenzano reciprocamente.
 All’inizio del secolo, un gruppo di matematici francesi elaborò un metodo di lavoro simile a
quello che oggi noi utilizziamo a lezione per la creazione delle dispense; infatti ogni
piccolo gruppo aveva una mansione differente e lavorava su una parte del progetto
che poi veniva integrato per creare il prodotto finale. Per la presentazione del lavoro
complessivo, essi avevano creato, inoltre, un personaggio, una figura che rappresentava la
personificazione del lavoro nel suo insieme. Questa prassi è oggi largamente utilizzata
anche in contesti aziendali come quello della "Google", all'interno della quale si strutturano
piccoli gruppi, la cui autonomia garantisce efficienza, rapidità, creatività e produttività.
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2. LE CARATTERISTICHE DEL PENSIERO DI GRUPPO
 Una delle caratteristiche del pensiero di gruppo è la virtualità.
“Nella nostra vita noi siamo impegnati nel fare, nel prendere decisioni, nell’attuarle con una
consistente accelerazione e pressione; tutto quello che riguarda l’essere va, invece, sullo
sfondo”, ossia non vi è il tempo per pensare cosa si vuole e cosa si è.
In un gruppo analitico, la pressione sul fare e produrre viene, per un momento, interrotta o
ridotta, cosicché l'agire viene sospeso in favore del pensiero che può ora rivolgersi alle
sensazioni, agli stati d’animo e alle fantasie che i membri del gruppo provano e
sperimentano.
"Cerca di scegliere attentamente Harren quando le grandi scelte debbono essere fatte, quando io
ero giovane ho dovuto scegliere fra la vita dell'essere e la vita del fare e io sono saltato su
quest'ultima come una trota salta sulla mosca, ma ogni azione che ho compiuto ti lega alle sue
conseguenze e fa che tu debba agire ancora e ancora, poi molto raramente se tu arrivi in uno
spazio e in un tempo come questo, tra un atto e un altro, dove ti puoi fermare e semplicemente
essere e interrogarti dopotutto su chi sei" [cit. libro “TerraMare”].
Il pensiero di gruppo è considerevolmente diverso dal pensiero che si sviluppa in un
analisi individuale. Nel gruppo terapeutico è infatti possibile notare delle catene
associative differenti da quelle che emergono in un’analisi individuale: mentre nella
seconda esse sono caratterizzate da una certa linearità, nel primo sono ramificate e
sembrano generarsi senza logica, come se i membri del gruppo rispondessero agli stimoli
forniti da colui che parla in maniera confusionaria e illogica.
I suoi nessi consequenziali non sono facilmente rintracciabili e il terapeuta deve
partecipare a questo "zig-zag", aiutare i pazienti a sviluppare i discorsi interrotti o silenti.
Alcune ramificazioni, rappresentative dello sforzo complessivo dei partecipanti nel dare
forma a ciò che si sta vivendo nel gruppo, possono restare silenti per una o più sedute;
esse sono tuttavia attive sullo sfondo e possono essere riattivate in un momento
successivo della terapia. In altri casi, queste “ramificazioni silenti”, anche se non si
esprimono direttamente, possono elicitarne altre, portandole a manifestarsi.
Anche le ramificazioni che sembrano completamente assenti, poiché da esse non affiora
nessuna associazione o nessun significato, direttamente o indirettamente, possono
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suggerire qualcosa al terapeuta, proprio a causa della loro assenza; esse divengono allora
necessarie per arrivare ad una comprensione, a un livello di costruzione ipotetica, di ciò
che sta avvenendo nel gruppo.
Appare dunque evidente come la catena associativa non assomigli a un filo che si dipana,
ma piuttosto alla traiettoria di una scimmia che salta a zig-zag da un ramo ad un altro.
Va precisato che, sebbene proceda a zig-zag, il pensiero di gruppo mantiene una
coerenza interna; i diversi interventi dei soggetti che costituiscono il gruppo sono infatti
tenuti insieme da una situazione comune (un problema, un’angoscia, una paura) alla quale
implicitamente si riferiscono.
È proprio questo livello implicito di riferimento che rende anche possibile il passaggio, a
volte apparentemente sconnesso, da un discorso a un altro; tutti i partecipanti
percepiscono la presenza di una determinata situazione comune, ad esempio
un’angoscia, che tiene insieme e permea la seduta, e questa potrà essere nominata, per
poi comprenderne il contenuto solo retrospettivamente.
Nel piccolo gruppo a finalità analitica, in certi momenti, il discorso si sviluppa “a ruota
libera”: una parola provoca un pensiero, un pensiero una parola (anacrusi).
Il risultato complessivo è quindi un ricco articolarsi di immagini, emozioni ed idee.
Le persone portano nella seduta dei sogni, dei racconti, vari elementi.
A un certo punto, nel discorso del gruppo, si può avvertire una sorta di intensificazione, un
salto di intensità.
Per meglio comprendere quest'apparente illogicità delle catene associative, il professore porta
l'esempio di quanto è accaduto in una recente seduta di gruppo da lui condotta, dove emergono
due temi ricorrenti:

la vergogna per i propri genitori

la sensazione che la propria vita sia dominata dall'angoscia di un'imminente catastrofe.
Il gruppo è composto da sette membri più il terapeuta, ma durante questa seduta due membri sono
assenti. Un partecipante racconta al gruppo un episodio: era in barca con la sua famiglia quando si
rese conto che nell'imbarcazione c’erano solo due salvagenti, di cui uno deteriorato; allora decise
di dare quello in miglior stato al figlio più grande, mosso dalla convinzione che, in caso di incidente,
il più grande sarebbe stato in grado di salvare il più piccolo.
Successivamente, nella seduta, al terapista viene in mente un'immagine tratta dal Decamerone nel
quale Boccaccio giudica la peste un problema sociale, poiché spinge le persone, affettivamente
legate tra loro, a evitarsi al fine di non contrarre la malattia.
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L'assenza di due membri, il vissuto espresso da uno dei partecipanti e l'immagine portata dal
terapista, pur sembrando scollegate tra loro, condividono in realtà un nucleo comune rintracciabile
proprio nel secondo tema ricorrente nella seduta.
La connessione tra questi diversi elementi, in qualche modo presente nella seduta, diviene chiara
ed esplicita grazie alle diverse associazioni e all’intensificazione emotiva data dalle immagini.
 Procedendo con la spiegazione, il professore cita un'altra caratteristica del piccolo
gruppo a finalità analitica, ovvero la possibilità che al suo interno possano essere
espresse idee anche molto contrastanti tra loro.
A sostegno di tale caratteristica vengono riportati degli esempi relativi alla medesima seduta:

il primo riguarda il tema ricorrente della vergogna verso i propri genitori e vede protagonista
una partecipante che condivide con il gruppo l'esperienza di essere stata ripetutamente
picchiata dai suoi genitori quando era piccola. Ella constata che il gruppo appare capace di
accogliere il suo vissuto, credendole.
Secondo Neri questo fatto è una caratteristica dei gruppi terapeutici che riescono ad
accogliere pensieri che in altri contesti verrebbero negati;

un altro pensiero discordante, emerso nella seduta, è relativo alle considerazioni in merito
all'assenza dei due membri: parte del gruppo si mostra accogliente e comprensivo tentando
di trovare delle ragionevoli spiegazioni, mentre un'altra parte reagisce in modo
disinteressato2.
 Un’altra caratteristica del pensiero di gruppo, su cui pone l’accento Foulkes, è la
poliedricità.
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Studentessa: <<Nelle sedute successive del gruppo, si renderanno poi partecipi le persone del
gruppo di quello che è accaduto nelle sedute precedenti?>>
Prof. Neri: <<Il processo di gruppo non è un processo sequenziale, cumulativo.
Ogni seduta è un nuovo inizio. È un processo creativo con una comunicazione su molteplici livelli.
Può anche accadere che se ne parli, ma non è la procedura consueta.
La forma e il modo con cui si rendono partecipi è da vedere.>>
Studentessa:<<Non c’è una sua intenzionalità nel riferire?>>
Prof. Neri: << E’ opportuno che ogni seduta sia parte di un processo, ma è anche possibile che
qualcosa possa inizi da qualche altra parte. Il pensiero, infatti, non passa solo attraverso
comunicazioni verbali, ma anche dalle espressioni, dalle voci.
Ci troviamo all’interno di un processo in cui le vie non sono lineari e predeterminate e questo è
importante perché permette di arrivare a situazioni creative e innovative rispetto alle sequenze
narrative o di causa-effetto.
Se ne parlerà, ma non in un modo diretto>>.
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Nel gruppo avviene un processo simile a quello che accade quando un raggio di luce
passa attraverso un prisma. Pensiamo a una situazione di paura in cui può succedere che
un membro metta in evidenza tale emozione, un altro esprima la propria angoscia, un altro
ancora si soffermi sulla rabbia o sulla sensazione di ritirarsi.
L'esempio chiarisce come un contenuto (un'idea o un’emozione), entrando in un gruppo, si
articoli in tutte le sue sfaccettature; pertanto, è importante che in un gruppo riescano a
coesistere idee opposte, che siano compresenti soluzioni diverse e che ogni membro
possa essere in grado di ribaltare l’opinione comune o del terapeuta3.
Hannah Arendt ribadisce l’incredibile ricchezza del discorso umano di cui nessuno ha
l’ultima parola o ne possiede la verità assoluta.
 Il pensiero di gruppo è inoltre caratterizzato dall’alternarsi tra pensieri
argomentativi, pensieri per immagini e pensieri prettamente emotivi ed
affettivi.
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Per avvalorare l’idea che in un gruppo possano essere espresse e contenute idee, emozioni e
posizioni tanto diverse tra loro da essere opposte, Neri riporta il concetto che Gordon Lawrence
ha espresso per superare l'immagine dell'"universo" con quella di "poliverso".
Il professore racconta l'esperienza di una seduta di gruppo in cui entra un nuovo membro.
Quest'ultimo dice di sentirsi confuso e spaesato per la nuova esperienza e chiede agli altri membri
di condividere le sensazioni e le emozioni provate quando loro stessi erano entrati per la prima
volta nel gruppo.
Le risposte degli altri esprimono molteplici sensazioni e rappresentazioni ed è importante che,
come all'interno di un "poliverso", tutte possano essere accettate e avere un loro statuto.
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3. IL RESOCONTO CLINICO SU ALCUNE SEDUTE DI UN GRUPPO TERAPUTICO
Il Prof. Neri espone una sequenza clinica che fornisce un’illustrazione delle caratteristiche
del pensiero del piccolo gruppo a finalità analitica riportando anche un resoconto dei
pensieri che si sono presentati alla sua mente durante le sedute.
Il gruppo è formato dal Prof. e da cinque pazienti (Marcello, Loredana, Fabiana, Antonia e
Gabriella) di età compresa fra i 25 e i 50 anni; la sintomatologia, la posizione sociale e
professionale e la sfera degli interessi dei membri sono eterogenee. Il gruppo è al terzo
anno di lavoro analitico; le sedute sono due a settimana e ognuna dura circa due ore.
Nelle sedute riportate dal professore, l’interesse dei presenti ruota intorno a due giovani
donne, Loredana e Fabiana, e alle loro storie parallele.
Loredana, che prima di iniziare il gruppo era rimasta incinta altre volte, ma aveva sempre
abortito entro il terzo mese, ha intrapreso l’analisi proprio a causa delle precedenti
interruzioni della gravidanza, ed è ora nuovamente incinta.
Fabiana, più giovane di Loredana, è entrata in vivace risonanza emotiva e fantasmatica
con la sua gravidanza; in precedenza Fabiana aveva manifestato un netto rifiuto del
matrimonio e della maternità ma, partecipando agli eventi che hanno per protagonista
Loredana, la sua avversione si è un po’ incrinata e si è affacciata la fantasia di avere
anche lei un bambino.
Fabiana è gelosa perché Loredana è incinta, tuttavia, il suo vero problema è che la sua
sopravvivenza è messa a rischio dalla gravidanza di Loredana.
Fabiana è sospesa tra creatività e auto-distruttività; ella dipende, in grande misura, dalla
continuità dell’interessamento del gruppo nei suoi confronti che le permette di mantenere
un sufficiente investimento su se stessa.
Finora, è stata Fabiana ad essere al centro dell’attenzione; i membri del gruppo hanno
seguito con assiduo e intenso interesse i suoi sviluppi e le sue ricadute.
L’attenzione che adesso viene rivolta alla gravidanza di Loredana, invece, distoglie in
parte l’interesse da Fabiana e dalle sue vicende, ed ella si sente in pericolo (Cfr. Neri,
2000 e 2003a).
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Il bambino nella pancia e il Tamagotchi
All’inizio della prima delle sedute a cui il prof. Neri fa riferimento, Loredana racconta di
aver visto sullo schermo dell’ecografia l’esserino che vive dentro di lei.
Loredana: «Ciò che mi ha colpito maggiormente, è che il bambino si muova rapidamente.
Il piccolo, addirittura, ad un certo punto si è messo a pancia in giù».
Il gruppo consente la condivisione reale delle esperienze di vita sperimentate dai suoi
membri difficilmente condivisibili all’esterno, in cui si entra prevalentemente in contatto con
una grande quantità di fatti.
Nel corso della stessa seduta, Antonia, una partecipante sempre particolarmente attenta
agli stati d’animo di Fabiana, nota l’apparizione del Tamagotchi, un piccolo pendaglio
rosso, a forma di cuore, che Fabiana porta alla cintura; su una delle due facce del
pendaglio è inserito un piccolo riquadro rettangolare, un monitor.
Fabiana spiega: «Il mio Tamagotchi non è un cucciolo di cane o di gatto, ma è un piccolo
dinosauro. Ha otto giorni e pesa settanta chili. Deve essere nutrito, coccolato, pulito,
messo a dormire. Quando ha bisogno di qualcosa dà un segnale di avvertimento
emettendo un piccolo suono. Se non ci si prende cura di lui in modo adeguato e continuo,
il dinosauro muore. Finora non mi ha dato quasi nessun fastidio. Le operazioni da
compiere sono poche; basta provare una dopo l’altra (nutrire, coccolare, pulire la cacca,
metterlo a dormire) e vedere se una tra queste funziona.
Il Tamagotchi può essere spento. Quando sono al lavoro, ad esempio, lo spengo.
Anche adesso, prima di venire alla seduta, ho chiuso l’interruttore».
Dicendo questo, Fabiana stacca il Tamagotchi dalla cinta e lo mostra agli altri, ma non lo
dà loro in mano. Poi lo accende, e il cucciolo di dinosauro emette un pigolio.
Fabiana preme rapidamente alcuni minuscoli pulsanti a lato del monitor, poi spegne il
Tamagotchi e lo appende di nuovo alla cintura.
Vedendo comparire il Tamagotchi proprio nella seduta in cui Loredana parla al gruppo
dell’ecografia del suo bambino, al Prof. Neri vengono in mente alcuni pensieri.
Prima di tutto, pensa che il comportamento di Fabiana sia espressione di rivalità.
Subito dopo, riflette sul fatto che si tratti piuttosto di un assoluto bisogno di Fabiana di
distogliere l’attenzione dall’embrione, per riportarla su se stessa.
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Queste considerazioni gli fanno capire meglio la condizione di Fabiana, ma gli dicono poco
su ciò che ella esprime per conto del gruppo. Pensa che centrare un’interpretazione su
Fabiana e/o sulla relazione tra le due donne (Fabiana e Loredana) significherebbe
tralasciare ciò che sta accadendo nel “gruppo come un tutto”.
La relazione a due all’interno del gruppo, tra il terapeuta e un membro del gruppo, inibisce il
pensiero di gruppo in quanto il referente per ogni partecipante diventa il solo terapeuta e
incentiva la rivalità e la divisione tra i membri del gruppo.
È importante, quindi, andare al di là del problema individuale e individuare l’aspetto
collettivo da elaborare.
Nella sua mente avanza l’ipotesi che, al di là dei temi manifesti della seduta, i membri del
gruppo stiano convergendo verso una comune fantasia ancora non ben definita, relativa a
ciò che sta crescendo e che è in evoluzione4.
Questa fantasia è espressa sia dall’embrione, sia dal Tamagotchi. Il convergere verso
questa fantasia è probabilmente accompagnato da un’intensa ambivalenza e da una
tensione fra creatività e distruttività.
Il Prof., dunque, decide per il momento di rimanere in silenzio e aspettare gli sviluppi.
Morte del Tamagotchi
Fabiana viene alle tre sedute successive portando sempre il Tamagotchi.
I membri del gruppo si limitano a qualche rapida domanda di circostanza (“Come sta
andando con il Tamagotchi?”, “È cresciuto?”) e Fabiana risponde sullo stesso tono.
La cautela del gruppo è dovuta, probabilmente, alle perplessità sul fatto che Fabiana stia
crescendo un “dinosauro virtuale”, e non un bambino in carne ed ossa o una bambola.
I membri del gruppo non sanno dove porterà la bizzarra trovata di Fabiana, preferiscono
aspettare e non interferire.
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Studente: <<La mia domanda voleva riferirsi al suo articolo che parla del processo che avviene
nella trasformazione da K e nell’evoluzione in O>>.
Prof. Neri: << L’evoluzione in O si può accostare al rischio e all’angoscia; per trasformazione in K
intendo il fatto di dare forma prima della fine della seduta e di tematizzarla per non lasciarla troppo
aperta tra una seduta e l’altra>>.
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Mantenendo il silenzio a sua volta Neri si pone “in gestazione” di un’ipotesi per ora appena
delineata: l’ipotesi che nel gruppo stia avvenendo un’elaborazione di ciò che evolve e
cresce.
Alla quarta seduta Fabiana arriva senza il Tamagotchi, spiega che il dinosauro ha avuto
una crisi irrefrenabile.
Fabiana: «Ogni minuto aveva bisogno di qualcosa. Stava sempre male. Non ce l’ho più
fatta. Ho premuto, ripetutamente, sempre lo stesso pulsante, finché l’ho ucciso».
Lutto, caos, aborto (catena associativa)
Ora che il “piccolo” di Fabiana è morto, i membri del gruppo mostrano l’intensità della loro
partecipazione alle vicende del Tamagotchi. La catena associativa inizia con il tema della
cura dovuta ai morti e quindi col tema del lutto.
Gabriella: «Il Tamagotchi è un oggetto virtuale, un oggetto privo di sostanza. Il rituale del
prendersi cura di un oggetto virtuale è simile allo spolverare e rimettere a posto tutti i giorni
le foto dei genitori o dei coniugi defunti».
Marcello salta dai riti dovuti ai defunti (spolverare le loro foto) al dilagare del disordine.
Il tema disordine-ordine era presente anche nelle parole di Gabriella («spolverare e
rimettere a posto»), ma era del tutto secondario.
Marcello (rivolgendosi a Gabriella, come se questa avesse parlato di se stessa e non del
Tamagotchi): «Come stanno andando i tuoi rituali di fare ordine?».
Gabriella (rispondendo in modo sintonico): «A casa mia, sotto un ordine apparente vi è
una realtà di caos».
Loredana, con un salto ancora più iperbolico, stabilisce una connessione tra i discorsi sul
caos e la violenta soppressione del Tamagotchi. Ella, infatti, intuisce che il movente
essenziale del gesto assassino di Fabiana possa essere stato il bisogno di semplificare,
fare ordine a qualunque costo. È un insight che probabilmente si fonda sulla
comprensione di ciò che è accaduto a Loredana stessa in occasione dei suoi numerosi
aborti che, infatti, erano stati preceduti dal crescente sentimento di non poter controllare la
situazione.
Loredana (esprimendosi in modo sintetico e riportando il discorso su Fabiana e sulla morte
del Tamagotchi): «La più ordinata tra noi è Fabiana».
Antonia sposta l’attenzione su un nuovo oggetto, venendo in questo modo in aiuto di
Fabiana che potrebbe essere messa sotto accusa per l’uccisione dell’embrione10
Tamagotchi. Nel gesto di Antonia vi è, però, anche un’intenzione più costruttiva che va al
di là di una manovra difensiva e diversiva; propone, infatti, un mezzo più adeguato del
gioco del cucciolo virtuale (Tamagotchi) attraverso cui Fabiana può esprimere e far
crescere se stessa: la scrittura di un diario.
Antonia (rivolgendosi al Prof.Neri): «Ha visto il diario di Fabiana?».
Fabiana (seguendo l’indicazione di Antonia) prende dallo zainetto il diario e lo mostra al
terapeuta. È un diario di piccolo formato, le lettere sono nitide e precise, gli appunti
formano blocchi perfettamente regolari. È impossibile distinguere le parti stampate da
quelle scritte da Fabiana con una biro nera.
Creazione e caos
Scorrendo il diario si notano alcuni versi. Nel leggerli al terapeuta vengono in mente, in
rapida successione, parecchie idee che fanno riferimento al Tamagotchi, alla gravidanza
di Loredana e a quanto stia succedendo nel gruppo.
Pensa prima di tutto che lo “sviluppo di un embrione” sia crescita di qualcosa che è “al di
là delle possibilità di controllo”.
Riflette anche sul fatto che lo sviluppo di un embrione (proprio come lo sviluppo di un
embrione del Sé) possa essere stato percepito da Fabiana e dagli altri membri del gruppo,
forse erroneamente, come un “accrescimento del caos”.
La sopravvivenza di un embrione e il suo prendere forma dipendono, dunque, dalla
capacità – dell’individuo e del gruppo in cui è inserito – di non entrare troppo in angoscia.
Questa capacità, a sua volta, è correlata alla possibilità di trovare forme non troppo
violente per mettersi in rapporto con “ciò che non può essere controllato”.
Questa rapida serie di pensieri porta il Prof.Neri alla decisione di comunicare al gruppo il
contenuto dei versi che Fabiana ha trascritto nel suo diario.
Dr. Neri (leggendo a voce alta): «Quando ebbe spartito in ordine quella congerie/ e
organizzato in membra i frammenti, quel dio, chiunque fosse,/ primariamente …».
Fabiana: «I versi scritti nel mio diario sono il tema che io e gli altri partecipanti al
laboratorio di teatro-danza gestuale, che io frequento da qualche mese, ci siamo dati per
lo spettacolo che stiamo preparando».
Fabiana rivela che il problema di dare ordine ad una “congerie” e organizzare in “membra i
frammenti” è al centro dei suoi pensieri da tempo.
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La proposta del problema di dare forma al caos come compito per i partecipanti al teatrodanza gestuale (e implicitamente per i membri del gruppo terapeutico), pone l’impegno
dell’“organizzare in membra”, non come una questione di un singolo, ma di una comunità
o di un “gruppo di lavoro”.
La proposta di Fabiana, in effetti, è molto generale e abbraccia la condizione di Loredana
e quella degli altri membri del gruppo.
Il Prof. Neri pensa infatti che ogni membro del gruppo abbia un embrione di sé cui dare
forma. Queste riflessioni non vengono però comunicate perché la lettura dei versi di Ovidio
gli sembra già una adeguata comunicazione su questi punti.
Il gruppo, partendo dalla morte del Tamagotchi, arriva dunque a formulare un pensiero:
“dare forma ad una congerie, ad un embrione”.
Questo
pensiero,
che
si è
sviluppato
attraverso
percorsi discontinui, illumina
retrospettivamente ciò che è accaduto.
È un esempio di pensiero creativo che, operando su sistemi di elementi e con mezzi
diversi, affronta ripetutamente e da differenti punti di vista uno stesso problema
producendo successive trasformazioni che aprono la strada all’invenzione di un piccolo
rito adeguato, quello messo in scena da Fabiana con l’uccisione del Tamagotchi.
Una gravidanza è sempre accompagnata da sentimenti ambivalenti da parte della donna
che rimane incinta. L’embrione modifica il suo corpo. La sua vita non sarà mai più quella di
prima.
Loredana, rimanendo incinta, ha già superato in grande misura la sua ambivalenza.
Per mandare avanti la gravidanza – il progetto creativo – è necessario affrontare
l’ambivalenza residua. L’ambivalenza – nella sua radice – è compresenza di distruttività e
creatività. La distruttività si accompagna ad ogni impresa creativa.
Il gruppo, nel suo insieme, si assume il compito di gestire le spinte distruttive 5.
Col passare del tempo diventa chiaro che la distruttività non può essere continuamente
repressa, ma deve essere affrontata.
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Studente: <<Dunque, lei non ha parlato al gruppo di questa sensazione o tendenza alla
catastrofe di cui ci parla qui a lezione?>>
Prof. Neri: <<Ne ho parlato e ho detto che mi sembrava possibile vedere questa situazione di
rottura, di solidarietà, come qualcosa di cui si parla come situazione già vissuta, in cui le persone
percepiscono un pericolo imminente, a causa del quale non è possibile mantenere il legame
sociale, ma è necessario salvarsi.
Bisogna capire la situazione ponendola nel quadro di una situazione di rischio.>>
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Fabiana prende in mano la situazione: introducendo il piccolo Tamagotchi e provocando
poi la sua morte ella dà un aiuto particolarmente grande a Loredana e al gruppo.
Fabiana, infatti, sposta la mira su un nuovo oggetto, diverso dal bambino.
Poi, dando corso alla spinta distruttiva, uccide il Tamagotchi.
I riti del lutto possono avviarsi. La vita va avanti. Il Tamagotchi è morto.
Sei mesi dopo, nascerà Giuseppina.
Tutto questo si può vedere come una sequenza di problem solving: vi è un problema e il gruppo si
attiva per risolverlo; il problema, le soluzioni e i nuclei tematici si comprendono quindi solo
retrospettivamente, emergendo nel flusso del discorso.
4. VIDEO TRATTO DAL FILM “MA CHE COLPA ABBIAMO NOI”
(di Carlo Verdone, 2003)
Trama: Spiazzati dalla morte della psicoanalista che li seguiva, gli otto partecipanti ad una
terapia di gruppo cercano un sostituto. Verificata l’inadeguatezza delle alternative, tutti,
tranne uno, decidono di continuare l’esperienza facendo ricorso all’autogestione e….
Interventi e domande degli studenti inerenti al film
Prof. Neri: <<Mi pare che questo film metta molto l’accento sul caos di gruppo>>.
Studente: <<Quello a cui pensavo, appunto, era alla funzione del terapeuta all’interno del
gruppo, prima e dopo. Gli interventi dei vari membri dopo erano svuotati del senso che
prendevano dentro la seduta e questo creava un forte caos.
La funzione analitica del creare un filo conduttore veniva a mancare e non era possibile
apprendere da ogni intervento.>>
Prof. Neri: <<A me vengono in mente più che altro due associazioni. La prima riguarda
un concetto di Lacan, il “supposto-sapere”, riferito al terapeuta come dotato di un sapere e
come questo conferisca al pensiero una possibilità di avere maggiore ordine e spazio, al di
la di quello che il terapista dice o no.
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La seconda associazione è riferita, invece, al fatto che viene posto al centro il problema di
assumersi la responsabilità di diventare un punto di riferimento e nel funzionamento di un
gruppo analitico queste due cose ci sono; il fatto che il terapeuta possa contare sul
pensiero di gruppo non diminuisce per nulla la sua responsabilità, anzi l’accresce.
È una responsabilità interna tollerare certe ansie, aspettare che le cose si sviluppino e
intervenire e avere un pensiero di gruppo con un terapeuta, sia con le sue funzioni
esercitate, sia con quelle simboliche.
Io non credo che i membri del mio gruppo mi vedano come un supposto-sapere, io sono
attivo nel gruppo, io dico i miei pensieri anche personali, ma non biografici, e ciò gioca una
funzione nel pensiero di gruppo>>.
Studente: <<Anche perché conteneva aspetti del setting, come il pagamento, che se
prima conteneva l’analista, con la sua assenza, costringe il gruppo ad elaborali.
Mostra il polarizzatore del pensiero che è il terapeuta e la sua mancanza di funzione
quando lui non c’è più>>
Prof. Neri: <<Quello che io avverto è che, seppur importante per me che i pazienti
paghino, lo è anche per loro. Nel mio caso, se un paziente ha difficoltà a pagare per un
certo periodo gli dico che non è un problema e che posso aspettare; ho constatato poi
che, appena possibile, ci tengono a pagarmi.
Sembra ridicolo, ma rientra in quello che lei diceva e va capito un po’ meglio>>.
Studentessa: <<A me viene in mente un’associazione, ossia quando Winnicott si riferisce
alla capacità (da conseguire) del bambino di rimanere da solo in presenza dell’altro.
In riferimento al film, l’ho notata nel momento in cui il gruppo si trova senza la presenza
dell’analista e cerca comunque di mandare avanti la relazione>>.
Studente:<<In effetti queste cose mi fanno pensare che l’analista garantisca uno spazio di
ascolto; anche se era morto, loro non mostrano interesse ad ascoltarsi tra di loro.
Mentre c’era, egli rappresentava un garante dello spazio di ascolto; in sua assenza,
questo viene a mancare e, quindi, si comprende che la sua funzione non sia stata
assimilata>>.
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Prof. Neri: <<Anche questo punto è importante. La mia impressione è che sia molto
importante mantenere una differenziazione
tra la cultura del gruppo e il modo di
funzionare della società.
Cioè, se il gruppo si appiattisce sul funzionamento della società allora perde qualcosa di
fondamentale. Invece, tra le due ci dovrebbe essere uno scarto che permette di vedere le
cose da un'altra angolazione>>.
Studentessa: <<Credo che un gruppo di auto-aiuto sia il proseguimento di un gruppo
terapeutico che è arrivato all’epilogo, oppure si può richiedere in alcuni momenti un aiuto
professionale per risolvere un problema>>.
Studentessa: <<Il gruppo non riusciva a funzionare senza il terapeuta, mettevano al
centro la propria individualità senza inglobare il pensiero di gruppo>>.
Studentessa: <<Mi ha colpito come volessero restare insieme anche a discapito della
salute, del guarire>>.
Studentessa: <<Secondo me la cosa importante per un gruppo è che ci sia la figura di un
conduttore che non sia per forza un terapeuta, ma che riesca comunque a gestire un
gruppo, a favorire gli interventi, a capire i toni, ad approfondire i contributi.
Un gruppo senza terapeuta può funzionare lo stesso se c’è qualcuno che riesca a ricoprire
questo ruolo>>.
Studentessa: <<Penso che rimanga una dimensione personale anche all’interno del
gruppo, che quindi ciascuno rimanga colpito da quello che viene detto e faccia delle
associazioni in base a quello che ha dentro>>.
Prof.Neri: <<Lei mi parla di “mirroring” o “risonanza” e apriamo un altro punto di vista
teorico. Considerare questi fenomeni, ci porta a vedere il gruppo come composto da
aspetti molteplici, su un'altra dimensione rispetto al pensiero di gruppo.
Io lascio la dimensione di mirroring a uno sviluppo spontaneo della relazione dei
membri>>.
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Studentessa: << È vero che i gruppi di auto-aiuto sono nati senza un terapeuta?
Come funzionano?>>
Prof. Neri: <<I gruppi di auto-aiuto funzionano efficacemente, ma nel caso degli alcolisti è
diverso perché hanno regole precise, sono organizzati comunitariamente e gli ex-alcolisti
hanno una funzione particolare, ad esempio l’organizzatore è il capo simbolico>>.
Studentessa: <<Mi è venuta in mente l’importanza della funzione del terapeuta in
associazione con la metafora della cucina. Nel film i partecipanti del gruppo sembravano
degli ingredienti impazziti in cui mancava l’ingrediente principale che dovrebbe tenerli uniti.
Qual è, quindi, la specificità del terapeuta? Può essere una capacità sintetica che arriva
dalla sua formazione a valorizzare l’individualità?>>
Prof.Neri. <<Io non ho una risposta, posso dare delle indicazioni. Sono molto sostenuto
tra una certa fiducia nel gruppo e nei suoi componenti e tra l’essere sinceri e dire le cose,
una certa consapevolezza che non basta dirle, ma comportano una certa responsabilità
nella relazione. Quindi, anche l’idea che io possa dare un apporto, essendo lì fisicamente
ed emotivamente. Alcune responsabilità sono mie, ma altre sono collettive.
Il gruppo non è un amalgama emotiva e sono sostenitore che ci possono essere emozioni
e punti di vista diversi>>.
Studentessa: <<Ho sentito parlare della figura di facilitatore associata alla figura del
leader, ma non ho ben capito questa differenza, considerandolo non necessariamente
come il terapeuta>>.
Prof. Neri: <<Il facilitatore è qualcuno che ha la funzione di rendere possibile la relazione,
tuttavia è da distinguere dalla funzione terapeutica o interpretativa.
Questi punti andrebbero, però, ripresi e approfonditi>>.
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PUNTI CHIAVE
Pensiero in gruppo o pensiero di gruppo?
Il modo di pensare in gruppo è caratterizzato dal fatto che diversi individui si mettono
insieme e svolgono attività di pensiero.
Il pensiero di gruppo è qualcosa di diverso dalla somma dei pensieri dei singoli:
-
il funzionamento dell’insieme sostiene quello dei singoli;
-
promuove la creatività;
-
non implica che le persone siano riunite in una stessa stanza.
In particolare, nei piccoli gruppi analitici:
-
nel momento in cui si è riuniti, vi è sensorialità e immediatezza;
-
ha carattere di “virtualità”: la propensione a produrre viene momentaneamente
sospesa per rivolgersi ad altre questioni, sentimenti, introspezione;
-
crea un campo comune di motivazioni, interessi ed emozioni, anche se non si è
presenti fisicamente, nel caso contrario vi è un’allucinatoria concretezza d’oggetto;
-
ha carattere di poliedricità, che secondo Foulkes, rappresenta un pensiero che
contemporaneamente illumina diversi aspetti di un problema, generando confronto
e discussione;
-
vi è un alternarsi di pensiero argomentativo, da pensieri per immagini a pensieri
prettamente emotivi - affettivi (caratteristiche formali).
Il pensiero durante l’analisi di gruppo si caratterizza per :
-
un’estrema ramificazione delle catene associative che nell’analisi duale è invece
lineare;
-
dei nessi associativi non facilmente rintracciabili;
-
una situazione comune in cui si vive il problema come sensorialmente presente;
-
una propensione alla condivisione di esperienze di vita.
Il compito del terapista è quello di :
-
seguire il percorso frammentato dei discorsi;
-
far elaborare le emozioni, riprendendo rami importanti da sviluppare.
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