Nadia Crotti.FH11

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Nadia Crotti.FH11
PSICOLOGIA
A cura di Nadia Crotti* Caroline Giannetti**, Valentina Broglia**
La storia della scienza e
della medicina si scrivono
sul corpo femminile
ella ricerca e nella scelta di terapie è la donna
(madre, moglie, figlia, sorella) deputata più
di ogni altro ad ottenere spiegazioni accettabili
e colei che nella nostra esperienza offre la
costante della cura, ovvero gestisce spesso in prima
persona le comunicazioni, le relazioni, i ruoli.
Può apparire stridente abbinare i termini cancro,
aborto, felicità, futuro, estetica, femminilità, infelicità,
morte, menopausa, ma negli istituti di ricerca e cura
del cancro, si è testimoni continui di tali confronti
portati dal vissuto dei pazienti e dalle scelte che la
medicina offre loro.
Il mondo della malattia è vario ed affascinante come
la natura umana, ma non è - come molti paiono ritenere
- schiacciante o spaventoso come la malattia stessa. Le
donne malate e sane con cui lavoriamo sarebbero felici
di avere occasioni di esprimere il tanto che è la loro
identità. Coloro che sanno di essere “altro” oltre che
pugliasalute
malati di cancro, coloro che mi si manifestano infastiditi
ed oppressi nel sentire la loro realtà di malattia enfatiz­
zata dall’impotenza, ciononostante desiderosi di assu­
mere l’unico antidoto ad un’etichetta troppo stretta di
malattia: la capacità di esprimere altro, oltre al dolore,
la capacità di ricordare e sognare, gestire e progettare,
condividere e contrastare, insomma la loro libertà di
essere oltre che di esistere. Lavorare in psicoterapia
significa fare un progetto per chi si ha di fronte. Nel
cancro significa spesso farlo per qualcuno a cui si è di
fianco: suo è il percorso condizionato dalla diagnosi,
dai ritmi delle terapie; nostro è quello per trovare felicità
possibili. Il confronto fra l’identità nota e il suo pro­
gressivo cambiamento può costringere e contrarre l‘io
nella paurosa percezione di perdita, oppure può intro­
durre una nuova tolleranza alla trasformazione che
porta a progressive scoperte su di sé. Nella relazione
psicoterapeutica si crea uno specifico tempo-spazio in
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cui la persona è accolta e il suo mondo interno, narrato, si
snoda, si apre, si allunga: il futuro ricomincia a funzionare
dalla percezione del presente, dal legame con il passato. Il
fare comune rende l’intuizione anche condivisione e tra­
sforma un presente troppo concentrato nella malattia, spesso
vissuto solo come chiusura del passato, in creazione di
ritmo, tempo, percezione, presenza, armonia, futuro. Timore
della menopausa che nelle donne è facilmente associato
a concetti quali perdita di fertilità, cambiamento ormonale,
disturbi di natura psicologica (memoria, attenzione, depres­
sione, perdita di energie), cambiamenti corporei negativi
(aumento peso, riduzione vista, vampate di calore…),
cambiamento di vita (cambio della libido ed altro che
approfondiamo di seguito), in sintesi percezione di invec­
chiare e di conseguenza sentimento di fragilità e paura di
ammalarsi. Felicità di ritrovare con orgoglio la voglia di
farsi accarezzare dal proprio uomo proprio là dove il bisturi
ha lasciato il segno. Felicità nel ritrovarsi ancora attraenti
nonostante la chemioterapia e le modificazioni corporee.
pugliasalute
L’incubo della trasformazione corporea rappresenta un
timore più profondo di perdita di identità, di abbandono.
Potrebbe altresì aprire la strada ad altre modalità di ricono­
scimento di sé, ad altri rapporti. In una realtà di decisioni
crude, la donna, la famiglia, la coppia, la scienza pone di
fronte a dei bivi dove l’esserci ha il sopravvento sul possibile
futuro e così l'aborto terapeutico viene raccontato e agito
come unica possibilità. Unica scelta possibile per poter in
futuro provare a correggere l’errore che per natura, per
genetica ci si porta dentro come segno ineluttabile di un
destino annunciato. La malattia è un tempo della vita,
curarla dà alla vita un ritmo. Vissuto del tempo e spazi di
cui riempirlo e che lo scandiscono sono spesso esperienze
inscindibili. Le cure del cancro hanno un ritmo prepotente:
il mese è scandito dai giorni prima della chemioterapia, dai
giorni della chemioterapia, dai giorni dopo la chemioterapia;
l’ora della radioterapia è quella che condiziona tutta la
giornata. Il tempo accelera o rallenta, si riempie o si contrae.
Recuperare un’intenzione di vita significa spesso riappro­
priarsi di un tempo personale, rifarlo proprio.
Ci sono dei periodi della vita in cui si vive meno
intensamente. Su questo nessuno ci dà mai torto: essere o
non essere innamorati ne è un esempio. Ci si sente dire
spesso: “Quando guardo gli altri pazienti che come me
hanno preferito non mettere la parrucca, sotto i loro foulard,
i berretti e le pelate, i loro occhi mi sembrano più grandi:
come se avessimo tolto la nostra maschera e, con il fondo
di complicità implicito nel riconoscerci simili perchè malati,
potessimo andare oltre, riconoscerci simili, perchè guar­
dandoci ci diciamo: siamo qui, ti vedo, chi sei?”
Chi sei, non cos’hai! Recita ben altra identità questo
interrogativo: chi ami, che cosa desideri, dove andrai, cosa
c’è dietro di te. Identità difficili da confrontare dentro un
ospedale: ma certamente più nude ed offerte all’incontro
profondo di quanto non lo siano in un autobus affollato, in
un ingorgo di traffico, nella sala d’attesa di un dentista o
di un parrucchiere. Intimità offerte a complicità disponibili,
che spesso anticipano un cambiamento, un’evoluzione nella
percezione di sé, persona singola e membro dell’umanità.
Non c’è noia possibile nel confronto fra disponibilità, anche
se mute. Nel ‘69 appunto la studiosa Kubler-Ross strappa
la morte dalla realtà biologica, antropologica, storica,
filosofica: ne definisce una fase 'il morire' e quindi un
percorso di avvicinamento “del vivo che morirà”, ed in
questo percorso cinque stadi di reazione al lutto di se stessi
che inizia dopo una diagnosi a prognosi letale, o dopo la
consapevolezza di questa.
Gli stadi sono: il diniego, la rabbia, la negoziazione,
la depressione, l’accettazione. In queste reazioni possiamo
rileggere alcuni meccanismi di difesa (negazione,
aggressività, regressione, impotenza) non nuovi, ma la
proposta nuova di E.Kubler-Ross. è invece leggerli come
fasi reattive di adattamento, o coping: modi della capacità
di far fronte, che sono modificabili, progressive anche se
non lineari, e su cui quindi agire. Per questo, dalla specu­
lazione esistenziale sull’ineluttabile il morire diventa uno
spazio di intervento possibile per sostenere in modo non
solo sanitario il morente. Controcorrente, in una epoca in
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cui i messaggi sociali tendono all’onnipotenza salutistica
ed estetica, E.K.R. sfida a responsabilizzarsi verso chi
morirà in modo che l’obiettivo non sia solo combattere il
dolore fisico ma soprattutto affrontare la sofferenza psichica:
riconoscere nel soggetto singolo il tipo di sofferenza ed
accompagnarlo verso livelli più adattati. Lo psichiatra, lo
psicologo, molti medici ed infermieri che eseguono malati
gravi hanno un nuovo lavoro: non combattere per la durata
a tutti i costi della sopravvivenza ma valutare la capacità
del morente di lasciarsi andare, non solo, verso un inelut­
tabile. Negli anni seguenti si è visto fiorire una serie di
associazioni di auto-aiuto, di volontariato, in una realtà
locale che le ha viste nascere con modalità differenti.
Associazioni locali. Diversità : per storia, moventi, orga­
nizzazione, servizi che offrono e ragion d’ essere che le
ispirano. Hanno una caratteristica che le unifica: la malattia
è per tutte l’inizio di un percorso di solidarietà e condivisione.
Di un percorso di costruttività che vuole modificare l’an­
goscia della solitudine nel dolore in un positivo ‘ce la
faremo’ a non sentirci sole ed inermi, ce la faremo a
riorganizzare il quotidiano. Alcune di queste associazioni
si occupano di riabilitazione fisica, altre di sostegno solo
affettivo. Ma tutte permettono di dire ‘noi’. Ed oltrepassano
il vissuto e l’immagine del corpo ferito con quella della
condivisione possibile di una identità comune accettabile:
noi che sappiamo che insieme ce la si può fare. Che non
siamo solo un corpo ferito, una identità spaventata, dolente,
sminuita. La bella metafora con cui Franco Fornari intro­
duceva un suo famoso libro su “Cancro e affetti”. L’Em­
powerment non era la parola di moda della teoria dell’epoca
ma lui lo descriveva bene con questa bella immagine.
Un’ostrica dentro le cui valve si introduce un piccolo sasso
ne può morire, un’altra può inglobarlo e trasformarlo in
perla, ben rappresenta il sentimento che dà forza alle
Associazioni.
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* Psicologa e psicoterapeuta, Ist. Genova
** Psicologa Ist. Genova.
Da Web
Nicola Ciavarella
Il riso fa buon sangue e diventa una terapia bene­
fica per i malati di cancro
Ridere un’ora la settimana ha consentito a una donna
coreana di 64 anni di sconfiggere una grave depressione,
provocata da due anni di chemioterapia contro il cancro
al colon. La signora, insieme con 100 pazienti, segue le
lezioni di risate presso il Seoul National University
Hospital, nella capitale della Corea del Sud. Le lezioni
includono danze, barzellette e condivisione di racconti
salaci. Il beneficio per i pazienti malati di cancro è
enorme: diversi studi hanno già mostrato che la risata
espande i vasi sanguigni, stimola la circolazione, fa
scendere i livelli di zucchero nel sangue, favorendo un
buon sonno, aumenta i livelli di serotonina (che calma
il corpo e la mente) e quelli di dopamina, che induce un
senso di felicità e piacere.
pugliasalute
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