Capitolo 3 - Dipartimento di Matematica
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Capitolo 3 - Dipartimento di Matematica
c 88–08–09615–7 63 Capitolo 3 POLIEDRI In questo capitolo iniziamo lo studio dei poliedri, ossia delle forme che si ottengono accostando fra loro poligoni, ma non più necessariamente in modo da restare su un piano, come succedeva per le tassellazioni nel capitolo precedente. Rimandando al seguito (capitoli 4 e 5) uno studio sistematico dei poliedri dal punto di vista della simmetria, ci occupiamo qui soprattutto della struttura combinatoria: il principale argomento sarà quindi la relazione di Eulero, che lega fra loro il numero dei vertici, degli spigoli e delle facce di un poliedro; è sorprendente rendersi conto di quante affermazioni sui poliedri, più o meno note, più o meno inaspettate, si possano ottenere come immediata conseguenza della relazione di Eulero. Discuteremo inoltre due importanti teoremi (il teorema di Cauchy e il teorema di Steinitz, di cui non daremo la dimostrazione) che in qualche senso pongono le basi per un legame fra il punto di vista combinatorio e il punto di vista metrico nello studio dei poliedri. Proprio il teorema di Cauchy (che dice in sostanza che un poliedro è univocamente determinato quando se ne assegnino le facce e la struttura combinatoria) darà lo spunto per discutere dell’uso dei modelli, strumento prezioso nello studio dei poliedri, e per dare qualche suggerimento per la loro costruzione. Chiude il capitolo una breve appendice che raccoglie alcuni risultati sulle isometrie nello spazio, necessari per lo studio dei poliedri. 64 c 88–08–09615–7 3. Poliedri Abbiamo visto nel capitolo 1 quali problemi ponesse una definizione elementare di poligono (e rimandiamo a [SeF, capitolo 11], per un’ampia discussione sulla definizione di poliedro); come si può immaginare, nel definire un poliedro emergono problemi analoghi, complicati dal fatto che la situazione è più variata ed è quindi più ampia la casistica degli oggetti che non si vuole eventualmente comprendere nella definizione: si veda ad esempio la figura 3.1 e si osservi che una definizione del tipo un poliedro è una regione limitata dello spazio il cui bordo è costituito da poligoni aventi a due a due uno spigolo in comune (che è una definizione comunemente usata nei libri di scuola secondaria) può comprendere fra i poliedri tutti gli esempi rappresentati in questa figura. (a ) (c ) (d ) (b ) (e ) Figura 3.1. Come nel caso dei poligoni, non c’è nulla di male a voler comprendere, anziché escludere, gli esempi di figura 3.1 (od altri ancora) e, anzi, ciò può essere opportuno in alcuni contesti: però è necessario essere coscienti del fatto che li si sta includendo, e procedere poi coerentemente. Ad esempio, se si è data una definizione di poliedro analoga a quella citata qui sopra, allora non è più vero che i numeri V, S, F di vertici, spigoli, facce siano legati dalla relazione di Eulero V − S + F = 2 (vedi 3.3): la definizione che useremo esclude tutti i casi della figura 3.1, eccetto eventualmente (e). Occorre una precisazione sull’uso della parola “poligono” anche in questa situazione (non piana): se una poligonale nello spazio ha tutti i vertici complanari, c 88–08–09615–7 3. Poliedri 65 possiamo estendere a questo caso le considerazioni che abbiamo fatto nel primo capitolo e possiamo quindi parlare di poligono, riferendoci al sottoinsieme limitato, nel piano che contiene i vertici della poligonale, che ha per bordo la poligonale stessa. 3.1 Definizione. Un sottoinsieme connesso S di 3 è una superficie poliedrale se è l’unione di un numero finito di poligoni Pj nello spazio (poligoni che si diranno facce del poliedro) in modo tale che risultino soddisfatte le seguenti condizioni: (i) l’intersezione di due facce, se non è vuota, è o uno spigolo o un vertice comune alle due facce (e che chiameremo spigolo o vertice del poliedro); (ii) ogni spigolo appartiene ad esattamente due facce; (iii) due facce adiacenti (cioè tali che la loro intersezione sia uno spigolo) non sono complanari; (iv) comunque si fissi un vertice v, e due facce f e g che contengono v, esiste una catena di facce f 1 , . . . , f n , tutte contenenti v, e tali che f = f 1 , g = f n , e f i sia adiacente a f i+1 , per ogni i = 1, . . . , n − 1. Una superficie poliedrale S si dice semplicemente connessa, ovvero di genere 0 se verifica la seguente ulteriore condizione: (v) comunque si fissi una poligonale formata da spigoli di S, questa è il bordo dell’unione di un certo numero di facce di S. Alcuni commenti a questa definizione: fra le condizioni date, la (ii) serve per eliminare gli esempi del tipo (b) in figura 3.1, la (iv) serve per eliminare gli esempi del tipo (a) e (d), la (i) serve per eliminare gli esempi del tipo in (c); quindi fra gli esempi in figura 3.1, solo (e) è una superficie poliedrale; peraltro l’esempio (e) non verifica la condizione (v), quindi si tratta di una superficie poliedrale non semplicemente connessa. Osserviamo che se avessimo più semplicemente formulato la condizione (iv) nel modo seguente: (iv) comunque si fissino due facce f e g, esiste una catena di facce f 1 , . . . , f n tali che f = f 1 , g = f n , e f i sia adiacente a f i+1 , per ogni i = 1, . . . , n − 1 questa sarebbe stata sufficiente per eliminare gli esempi del tipo (a), ma non quelli del tipo (d) in figura 3.1. Tutti gli esempi di figura 3.1 rappresentano sottoinsiemi dello spazio che non sono omeomorfi ad una sfera; a proposito dell’esempio (c), che è l’unico che potrebbe creare qualche ambiguità, occorre notare che, se vogliamo che le facce siano poligoni, allora l’intero quadrato del cubo inferiore va inteso come una faccia di S (e quindi S non è omeomorfo ad una sfera). In effetti, se non c’è necessità di 66 c 88–08–09615–7 3. Poliedri una definizione “elementare”, le condizioni (i), (ii), (iv), (v) si possono sostituire con la richiesta che la superficie poliedrale S sia omeomorfa ad una sfera. Per passare dalla definizione di superficie poliedrale a quella di poliedro abbiamo bisogno dell’analogo del teorema di Jordan, ovverosia del fatto che ogni superficie poliedrale divide lo spazio in due regioni, una delle quali è limitata: chiamiamo quindi poliedro questa regione, cioè un sottoinsieme limitato dello spazio che ha per bordo una superficie poliedrale. Anche questa affermazione che sembra così “innocua” è ben lungi dall’essere ovvia: in effetti è addirittura falso il fatto che ogni sottoinsieme S dello spazio omeomorfo ad una sfera divida lo spazio in due regioni, una delle quali omeomorfa ad una palla; affinché ciò sia vero, occorrono su S ulteriori ipotesi (che sono però automaticamente verificate nel caso di una superficie poliedrale) per evitare fenomeni come quello delle sfere cornute in figura 3.2 (vedi, ad esempio, [M2]). Figura 3.2. Siamo entrati un po’ in dettaglio in questa discussione perché volevamo dare un’idea della cautela con cui è necessario muoversi se si vuole impostare su basi rigorose uno studio dei poliedri. Nel seguito, l’interesse prevalente sarà di tipo descrittivo e quindi non ci preoccuperemo ulteriormente di questi problemi. Anzi, c 88–08–09615–7 3. Poliedri 67 spesso, per semplicità, useremo la parola “poliedro” indifferentemente sia al posto di “poliedro”, sia al posto di “superficie poliedrale”, specificando solo quando il contesto può prestarsi ad equivoci. In questo capitolo studieremo in effetti più le superfici poliedrali che i poliedri perché, dal punto di vista che ci interessa trattare, vogliamo mettere in evidenza le analogie non tanto tra poligoni e poliedri, quanto piuttosto tra tassellazioni (del piano) e poliedri (nel senso quindi di superfici poliedrali: che sono in qualche senso tassellazioni della sfera o di altre superfici). Torneremo su superfici poliedrali e poliedri non semplicemente connessi (del tipo di (e) in figura 3.1) soltanto negli ultimi capitoli (10, 11 e 12), mentre in questo capitolo e nei prossimi tutti i poliedri considerati saranno semplicemente connessi: di nuovo, per non appesantire eccessivamente il testo, la cosa verrà specificata solo quando sarà strettamente necessario. D’ora in poi, quindi, la parola “poliedro” verrà usata per indicare una superficie poliedrale semplicemente connessa. 3.2 Definizioni e notazioni. Se s ed s sono vertici, o spigoli, o facce di un poliedro, la scrittura s < s (che chiameremo relazione di incidenza) sta ad indicare che s (che potrà essere un vertice, o uno spigolo) è contenuto in s (che potrà essere uno spigolo o una faccia). Chiamiamo bandiera di un poliedro P una terna (v, s, f ) dove v è un vertice di P, s è uno spigolo di P, f è una faccia di P, ed inoltre v < s < f . Le figure al vertice di un poliedro sono definite esattamente come per una tassellazione; in questo caso, però, non è detto che le poligonali ottenute come figure al vertice siano piane, e quindi che definiscano un poligono (vedi figura 3.3: la figura al vertice di v è la poligonale, non piana, ABC D). B v A D C Figura 3.3. La valenza di un vertice è il numero degli spigoli (o, equivalentemente, il numero delle facce) che contengono quel vertice. Se P e P sono due poliedri, e se A (rispettivamente A ) è l’insieme di vertici, spigoli e facce di P (rispettivamente di P ), chiamiamo isomorfismo combinatorio 68 c 88–08–09615–7 3. Poliedri tra P e P un’applicazione biunivoca T : A → A tale che x < y in A ⇐⇒ T (x) < T (y) in A . Due poliedri P e P si diranno combinatoriamente equivalenti se esiste un isomorfismo combinatorio tra P e P . Dato un poliedro P, indicheremo con Aut(P) il gruppo degli isomorfismi combinatori di P in se stesso. Dal punto di vista combinatorio, l’unica cosa che conta in un poliedro è il reticolato di vertici, spigoli e facce, con le relazioni di incidenza fra questi oggetti; l’equivalenza combinatoria definita in 3.2 è la relazione di equivalenza che ci dice quando due oggetti devono essere considerati la stessa cosa e che rappresenta, in questo contesto, quello che è l’isometria nel contesto metrico: ad esempio, un cubo e un parallelepipedo sono indistinguibili da questo punto di vista. Una definizione analoga si sarebbe potuta formulare nel caso dei poligoni; la situazione in questo caso non è però particolarmente interessante dato che due poligoni P e P sono combinatoriamente equivalenti se e solo se hanno lo stesso numero di lati. In effetti, ripercorrendo la dimostrazione di 1.6, si può notare che abbiamo in realtà dimostrato che, se P è un n-gono, il gruppo Aut(P) è isomorfo al gruppo diedrale Dn (e il gruppo di simmetria (P) è isomorfo ad un sottogruppo di Aut(P)). Se due poliedri sono combinatoriamente equivalenti, allora hanno in particolare lo stesso numero di vertici, lo stesso numero di spigoli, lo stesso numero di facce. Non vale però il viceversa: in figura 3.4 c’è l’esempio di un poliedro con 8 vertici, 12 spigoli e 6 facce che non è combinatoriamente equivalente ad un cubo. Figura 3.4. Quando si studia un poliedro dal punto di vista combinatorio, e quindi si ignorano quantità metriche come la lunghezza degli spigoli o la misura degli angoli, c 88–08–09615–7 3. Poliedri 69 fa comodo poter usare un diagramma piano da cui ricostruire l’intera struttura combinatoria del poliedro: in figura 3.5 ci sono due esempi di diagrammi di questo tipo che rappresentano rispettivamente un cubo ed un tetraedro. Figura 3.5. In generale, consideriamo il grafo che si ottiene proiettando su un piano vertici e spigoli di un poliedro da un punto x opportunamente scelto: precisamente, scegliamo il punto x molto vicino ad una faccia f del poliedro, in modo che tale faccia si proietti in un poligono al cui interno si proiettano tutti i restanti vertici e spigoli del poliedro P; se P è semplicemente connesso, possiamo sempre scegliere x in modo tale che la proiezione risulti biunivoca su vertici e spigoli (a meno, eventualmente, di sostituire P con un altro poliedro combinatoriamente equivalente a P stesso): il grafo così ottenuto si dice diagramma di Schlegel del poliedro P. Nel diagramma di Schlegel K di un poliedro P il numero dei vertici (rispettivamente degli spigoli) del grafo K coincide con il numero dei vertici (rispettivamente degli spigoli) del poliedro P, mentre il numero delle facce di P è uguale al numero delle componenti connesse del complementare di K nel piano: infatti, la componente illimitata corrisponde alla faccia f vicino alla quale si trova il punto x da cui si proietta, mentre le componenti limitate sono in corrispondenza biunivoca con le altre facce del poliedro. 3.3 Teorema (la relazione di Eulero). Indichiamo con V il numero dei vertici, con S il numero degli spigoli, con F il numero delle facce di un poliedro P semplicemente connesso. Tra questi tre numeri vale la relazione V − S + F = 2. Dimostrazione. Consideriamo un diagramma di Schlegel K del poliedro P; l’idea della dimostrazione è di modificare questo grafo con una serie di mosse, ciascuna delle quali non cambi la quantità V − S + F, fino a ridurlo ad un singolo triangolo per il quale V − S + F = 3 − 3 + 2 = 2. Innanzitutto possiamo supporre che tutte le componenti connesse limitate del complementare di K siano triangolari: per ottenere questo, basta osservare che ogni n-gono si può dividere in n − 2 triangoli, senza aggiungere nuovi vertici, 70 c 88–08–09615–7 3. Poliedri mediante le n − 3 diagonali uscenti da un vertice; procedendo in questo modo su ogni componente non triangolare, ad ogni passo si ha che F = F + (n − 3), V = V, S = S + (n − 3) e quindi V − S + F = V − S + F. Supponiamo allora che le componenti connesse limitate del complementare di K siano tutte triangolari, fissiamo uno di questi triangoli che sia adiacente alla componente illimitata, ed eliminiamolo, ottenendo così un nuovo grafo K . Ci sono due casi possibili a seconda che il triangolo eliminato t abbia uno o due lati in comune con la componente connessa illimitata. Nel primo caso (t1 in figura 3.6 (a)) si ha F = F − 1, V = V, S = S − 1 mentre nel secondo (t2 in figura 3.6 (a)) F = F − 1, V = V − 1, S = S − 2. In entrambi i casi risulta quindi V − S + F = V − S + F e l’idea è quindi quella di iterare questa mossa finché non ci si riduce ad un triangolo. s t v t1 t2 (b ) (a ) Figura 3.6. Esiste una terza possibilità per un triangolo adiacente alla componente illimitata, e cioè che abbia in comune con questa uno spigolo s ed un vertice v non adiacente ad s (vedi figura 3.6 (b)); questa situazione non è possibile all’inizio, ma può presentarsi dopo che abbiamo tolto alcuni triangoli: è comunque impossibile che tutti i triangoli del diagramma siano di questo tipo e possiamo quindi procedere, usando solo le due mosse che abbiamo descritto, fino ad arrivare ad un solo triangolo. c 88–08–09615–7 3. Poliedri 71 Abbiamo voluto sottolineare nell’enunciato di 3.3 il fatto che il poliedro P sia semplicemente connesso (nonostante la convenzione sull’omettere tale dicitura in questo capitolo) perché 3.3 è falso in caso contrario; nella dimostrazione di 3.3 sembra non intervenire l’ipotesi di semplice connessione e in effetti, come vedremo in seguito, un ragionamento analogo giustifica il fatto che per ogni poliedro P la quantità V − S + F sia una costante (non più necessariamente 2), che non dipende dalla struttura combinatoria del poliedro, ma solo dalla topologia della sua superficie (vedi 10.6). L’ipotesi di semplice connessione entra in 3.3 nel fatto che si possa parlare di diagramma di Schlegel, cosa che non possiamo fare nel caso di poliedri non semplicemente connessi. La relazione di Eulero è di natura topologica, e nella dimostrazione di 3.3 si sono usate solo considerazioni di tipo combinatorio sui grafi planari; in realtà quindi essa vale per oggetti più generali dei poliedri: chiamiamo tassellazione topologica della sfera un insieme finito X = {X j }, dove: (i) l’unione degli X j è omeomorfa ad una sfera; (ii) gli X j possono essere omeomorfi o ad un disco chiuso (e in tal caso li chiameremo facce della tassellazione) o ad un segmento chiuso (e in tal caso li chiameremo spigoli) o ad un punto (e in tal caso li chiameremo vertici); (iii) l’intersezione di due facce, se non è vuota, è uno spigolo o un vertice comune alle due facce. Non si richiede quindi che le facce siano dei poligoni, e neppure che siano piane, e non si richiede che gli spigoli siano segmenti: in figura 3.7 è rappresentata una tassellazione topologica della sfera. I concetti di isomorfismo combinatorio ed equivalenza combinatoria si possono immediatamente estendere alle tassellazioni topologiche della sfera, ed è facile verificare che l’esempio in figura 3.7 è combinatoriamente equivalente ad un cubo. Figura 3.7. 72 c 88–08–09615–7 3. Poliedri Anche per una tassellazione topologica della sfera, continua a valere la relazione V − S + F = 2. 3.4 Esercizi. (a) Perché, nella dimostrazione di 3.3, si è prima scomposto ogni faccia in triangoli? Quale tipo di problema avrebbe potuto succedere se non lo si fosse fatto? (b) Adattare la dimostrazione di 3.3 al caso di una tassellazione topologica della sfera, e in particolare rendersi conto di dove interviene la condizione che le facce siano omeomorfe a dischi. (c) In ogni poliedro (semplicemente connesso) o c’è almeno una faccia triangolare oppure c’è almeno un vertice di valenza 3. (d) Non esiste un poliedro con sette spigoli. (e) Sia P un poliedro in cui le facce sono costituite (solo) da pentagoni ed esagoni e ogni vertice ha valenza 3 (un esempio di un tale P è il comune pallone da calcio: vedi figura 3.8); dimostrare che P ha dodici facce pentagonali. Figura 3.8. (f) Sia P un poliedro in cui tutte le facce sono triangoli e ogni vertice ha valenza cinque oppure sei (esempi di poliedri P di questo tipo sono rappresentati in figura 3.9); dimostrare che sono dodici i vertici di P con valenza 5. c 88–08–09615–7 3. Poliedri 73 Figura 3.9. Abbiamo finora discusso dei poliedri esclusivamente da un punto di vista combinatorio, e quindi ci siamo spesso appoggiati, nelle figure, ai diagrammi di Schlegel del poliedro. È naturale, a questo punto, porsi alcune domande, ad esempio: Dato un grafo piano, quando questo grafo può essere il diagramma di Schlegel di un poliedro? Ammettiamo di saper rispondere alla prima domanda, cioè di aver trovato condizioni necessarie e sufficienti affinché un grafo sia il diagramma di Schlegel di un poliedro; dato un tale grafo, e quindi assegnata la struttura combinatoria del poliedro, possiamo dire qualcosa dal punto di vista metrico sui diversi poliedri che hanno questo diagramma? In particolare, quali ulteriori condizioni ci garantiscono che a partire dal diagramma si possa individuare un unico poliedro (dal punto di vista metrico)? Per quanto riguarda la prima domanda, è abbastanza facile individuare delle condizioni necessarie affinché un grafo sia il diagramma di Schlegel di qualche poliedro. Precisamente, è immediato rendersi conto che devono valere le seguenti sei proprietà: 74 3. Poliedri c 88–08–09615–7 ogni spigolo è adiacente ad esattamente due facce; ogni spigolo contiene esattamente due vertici; dati due vertici, esiste al più uno spigolo che li contiene entrambi; date due facce, esiste al più uno spigolo adiacente ad entrambe; ogni vertice è adiacente ad almeno tre facce; ogni faccia contiene almeno tre vertici. Non è invece affatto immediato dimostrare che queste condizioni sono anche sufficienti: se chiamiamo poliedro astratto un grafo che verifichi le sei condizioni precedenti, allora vale il seguente: 3.5 Teorema (di Steinitz). Dato un qualsiasi poliedro astratto K , esiste un poliedro convesso combinatoriamente equivalente a K , cioè che ammette K come diagramma di Schlegel. La dimostrazione di 3.5 si può trovare, ad esempio, in [Ly]. Per quel che riguarda la seconda domanda, una risposta ci è fornita dal seguente teorema, che è un altro ingrediente fondamentale nello studio dei poliedri. 3.6 Teorema (di Cauchy). Siano P e P due poliedri convessi combinatoriamente equivalenti e sia T un isomorfismo combinatorio fra P e P ; supponiamo inoltre che, per ogni faccia f di P, la faccia T ( f ) di P sia isometrica ad f . Esiste allora un’isometria tra P e P . Il teorema di Cauchy è un esempio di quei teoremi in matematica il cui enunciato appare molto evidente, ma la cui dimostrazione non è affatto immediata (il lettore interessato può trovarla, ad esempio, in [Br], o in [Ly]). In che senso diciamo che l’enunciato è evidente? Supponiamo di costruire un poliedro col cartoncino; ci sono state date le facce del poliedro, già tagliate nel cartoncino, e le regole di assemblaggio (quali facce vadano unite in quali vertici): chiunque abbia effettivamente provato a costruire qualche poliedro sa bene che, assegnate le facce e le regole di assemblaggio, non ci sono più ambiguità e possiamo ottenere un unico poliedro; se anche all’inizio della costruzione il poliedro parziale era flessibile, quando la costruzione è conclusa il poliedro è rigido. Questa situazione concreta corrisponde esattamente al teorema di Cauchy, perché assegnare le regole di assemblaggio significa assegnare il tipo di poliedro, a meno di isomorfismo combinatorio, ed avere le facce di cartoncino significa che le facce sono assegnate, a meno di isometria: quindi, per il teorema di Cauchy, non si possono ottenere due poliedri convessi, non isometrici fra loro, a partire da questi dati. c 88–08–09615–7 3. Poliedri 75 È sorprendente come questo fatto, che generalmente è dato per scontato e/o usato implicitamente, sia in realtà nient’affatto banale da dimostrare. Useremo frequentemente il teorema di Cauchy nei capitoli successivi, ogni volta che ci sarà da giustificare l’unicità di un poliedro con certe caratteristiche combinatorie. Ad esempio, perché c’è un solo cubo, a meno di similitudine, cioè un solo poliedro con facce quadrate, sistemate a tre a tre intorno ad ogni vertice? Una volta che si faccia vedere che la condizione che le facce siano quadrate, e tre in ogni vertice, determina completamente la struttura combinatoria del poliedro, possiamo far ricorso al teorema di Cauchy perché, presi due poliedri di questo tipo, a meno di similitudine possiamo supporre che entrambi abbiano spigolo di lunghezza 1, e a questo punto tutte le facce sono isometriche e quindi i due poliedri sono isometrici. Se chi ha provato a costruire modelli di poliedri col cartoncino non sarà sorpreso dal teorema di Cauchy, può invece essere sorpreso dal fatto che il teorema di Cauchy è falso per i poliedri non convessi: questo problema, lasciato aperto da Cauchy all’inizio del 1800, è stato risolto solo vent’anni fa da Connelly che ha esibito un esempio di poliedro (non convesso) flessibile: vedi [Co1], [Co2], [Cr], dove si danno anche le istruzioni per costruire un tale poliedro. Il fatto che il poliedro sia flessibile significa che si trovano infiniti poliedri fra loro non isometrici, con la stessa struttura combinatoria assegnata, e le stesse facce assegnate a meno di isometria. Un altro fatto ovvio per chiunque abbia provato a costruire modelli di poliedri è che, se questi si costruiscono dando solo lo scheletro degli spigoli (quindi non col cartoncino, ma ad esempio con legnetti, o cannucce da bibita o altro), allora questi modelli sono flessibili, a meno che il poliedro abbia tutte le facce triangolari. In effetti non vale per i poligoni un analogo del teorema di Cauchy: se di un poligono sono assegnate le lunghezze dei lati e la struttura combinatoria (cioè il numero dei lati, e la eventuale precisazione di quali siano fra loro adiacenti), allora il poligono non è univocamente determinato, a meno che non sia un triangolo. Si pensi di costruire un poligono incernierando delle bacchette: il poligono sarà flessibile, non appena le bacchette sono più di tre, e questo corrisponde proprio a dire che l’analogo del teorema di Cauchy è falso per i poligoni. Si può dimostrare che se un poliedro è assegnato tramite la sua struttura combinatoria e la lunghezza degli spigoli, allora il poliedro è rigido (cioè ne esiste uno solo con questi dati) se e solo se tutte le sue facce sono triangolari (vedi [Ro]): anche questo fatto è ovvio per i costruttori di modelli, che sanno bene che costruire con cannucce da bibita il modello di un icosaedro (venti facce triangolari, cinque in ogni vertice) è più facile che non costruire il modello di un cubo, perché con l’icosaedro non 76 3. Poliedri c 88–08–09615–7 ha importanza preoccuparsi di sistemare gli angoli che “vanno a posto da soli” quando il modello si chiude; mentre questo non succede con il cubo, che alla fine della costruzione sarà flessibile, e in cui quindi bisognerà curare che gli angoli agli svincoli siano il più possibile esatti. 3.7 Figure e modelli. La discussione che precede, in cui abbiamo cercato di mettere in relazione un teorema fondamentale come il teorema di Cauchy con le nozioni di “buon senso” immediatamente acquisite nella esperienza di costruzione di modelli, offre lo spunto per fare una parentesi che vuole essere un invito alla costruzione di modelli. Il computer offre oggi delle possibilità meravigliose per fare delle bellissime figure tridimensionali e anche per gestire programmi di animazione, in modo impensabile fino a pochi anni fa; l’invito alla costruzione di modelli non significa sottovalutare questa possibilità, ma piuttosto essere consapevoli delle diverse potenzialità dei due strumenti: è ovvio che il fatto che uno strumento (figura realizzata al computer, modello in cartoncino, o altro) sia più o meno significativo dipende da ciò che si vuole illustrare. Ad esempio, nel capitolo 5 discuteremo come impostare il problema di realizzare al computer un’animazione della costruzione del caleidoscopio descritta in 5.6: si tratta di una costruzione, che, al variare di un punto p, produce tutti i poliedri uniformi e il “film” di questa costruzione risulta di grande effetto e sicuramente molto bello e significativo a vedersi. Per uno scopo di questo genere, occorre, o per lo meno è molto comodo, poter disporre di figure in movimento, e quindi il computer può essere più utile dei modelli concreti; viceversa, però, per altri fatti che riguardano la visualizzazione dei poliedri o di certe loro proprietà, non c’è dubbio che un oggetto, per quanto rozzo o impreciso o non perfettamente realizzato, che si possa però tenere in mano e girare da tutte le parti, può essere più significativo di una figura, anche se si tratta di una figura perfettamente realizzata al computer, anche se la figura può essere osservata da diversi punti di vista. Non solo: ma a volte sono significativi i problemi che nascono non tanto dall’osservazione finale del modello, quanto proprio dalla sua concreta realizzazione e ne abbiamo visto proprio ora un esempio discutendo il teorema di Cauchy. Citeremo altri esempi nei prossimi capitoli. Rimandiamo a [Wn], [Ho] e [CuR] per esempi di tecniche per la costruzione di poliedri (e non solo); vogliamo però avvisare il lettore del fatto che alcune costruzioni richiedono meno tempo e pazienza di quel che ci si potrebbe immaginare: in generale, il grado di difficoltà di un modello (e il tempo che la sua costruzione richiede) dipende non tanto da quanto sia complicato il poliedro c 88–08–09615–7 3. Poliedri 77 che si vuole costruire, quanto piuttosto dal margine di precisione che la tecnica costruttiva tollera. Ad esempio, la costruzione degli scheletri dei poliedri con cannucce da bibita e nettapipe è molto più facile, e veloce, della costruzione di modelli in cartoncino: semplicemente perché nel primo caso un errore di un paio di millimetri passa totalmente inosservato e nel secondo caso no; anche se è opportuno precisare che dicendo “passa inosservato”, ci riferiamo naturalmente a modelli artigianali, adatti per l’osservazione personale o per essere usati in una classe scolastica, e non certo a modelli da esposizione. Viceversa, in [CuR] è descritto ad esempio un metodo per ottenere i poliedri intrecciando strisce di carta (vedi anche [P], [Pe1], [Pe2], [JPFTG], [JPT]): questo metodo produce poliedri esteticamente molto belli, ma non è semplice, proprio perché il tipo di tecnica è tale che il margine di errore consentito perché la costruzione si chiuda è molto basso. In generale gli errori che comunque si compiono possono anche compensarsi a vicenda: la costruzione intrecciata fa sì invece che gli errori si sommino e quindi una imprecisione anche molto piccola produce un guaio notevole. Il metodo che fa uso di cannucce da bibita e nettapipe è in sé sufficientemente impreciso per tollerare ampiamente degli errori “ragionevoli”: basti pensare che un “vertice” è una piccola palla che ha un diametro non inferiore al mezzo centimetro! Si noti inoltre che i poliedri regolari (capitolo 4) e anche i poliedri uniformi (capitolo 5) hanno tutti gli spigoli uguali fra loro: quindi, per costruire questi poliedri, non occorre fare alcun calcolo di lunghezze, ma basta rispettare la struttura combinatoria. Si possono anche ottenere effetti esteticamente gradevoli partendo da cannucce di colore diverso, e utilizzando la diversa colorazione per evidenziare l’azione del gruppo di simmetria sugli spigoli del poliedro (vedi 5.6). Ci sono molte altre possibilità “rozze”, che non richiedono né una particolare abilità manuale, né materiale sofisticato, né una grande pazienza. Ad esempio, basta una comune busta (usata) per costruire un tetraedro regolare: si costruisce un triangolo equilatero con un lato sul lato minore della busta e si taglia questa lungo una retta passante per il terzo vertice di questo triangolo e ortogonale al lato maggiore della busta. e gar pie tagliare pie gar e Figura 3.10. 78 c 88–08–09615–7 3. Poliedri Aprendo i due lembi del pezzo di busta, e ripiegandoli lungo i lati del triangolo equilatero, si ottiene subito un tetraedro regolare: vedi figura 3.10. In [CuR] si possono trovare molte altre idee per la costruzione di modelli e anche (per i modelli più sofisticati) suggerimenti pratici per la loro realizzazione; vedi anche [SeF, capitoli1, 2, 8]. Anche nell’ambito della geometria piana ci sono varie possibilità: segnaliamo la costruzione di poligoni regolari annodando strisce di carta (vedi [CuR]) o la costruzione di poligoni regolari approssimati piegando la carta (vedi [HP1], [Pe3], [HHP]). D’altra parte, i modelli possono essere anche preziosi per lo studio dei politopi (che accenneremo nel capitolo 6), cioè degli analoghi dei poliedri in dimensione maggiore di tre. Se già con i poliedri esiste una significativa differenza tra osservare una figura e avere per le mani un modello, questo è tanto più vero per un oggetto di dimensione 4, dove il modello è (la proiezione su uno spazio di dimensione 3 e cioè) l’analogo della figura per un poliedro, e richiede quindi un certo sforzo di immaginazione per ricostruire le informazioni provenienti dalla dimensione mancante; in una figura si perdono due dimensioni anziché una, e l’immaginazione necessaria è quindi ben superiore. Concludiamo questo capitolo riprendendo e sviluppando alcuni degli esercizi che già abbiamo proposto in 3.4, che esaminano alcune conseguenze della relazione di Eulero. Sia P un qualunque poliedro con V vertici, S spigoli, F facce; indichiamo con p il numero medio di spigoli per faccia e con q la valenza media dei vertici; naturalmente p e q non saranno necessariamente numeri interi. 3.8 Teorema. Con le notazioni precedentemente introdotte, si ha che 1 1 1 + > . p q 2 Dimostrazione. Si ha p = 2S/F (perché ogni spigolo è adiacente a due facce) e q = 2S/V (perché ogni spigolo contiene due vertici); sostituendo nella formula di Eulero, si ottiene 2S 2S −S+ =2 q p da cui, dividendo per 2S 1 1 1 1 1 + = + > . q p 2 S 2 c 88–08–09615–7 3. Poliedri 79 Vediamo alcuni immediati corollari di 3.8 (e/o direttamente della relazione di Eulero): Non è possibile che in un poliedro ogni faccia abbia un numero pari di spigoli e ogni vertice abbia valenza pari: infatti, se così fosse, sarebbe p ≥ 4 e q ≥ 4, quindi 1/ p + 1/q ≤ 1/2. In ogni poliedro c’è almeno un vertice di valenza tre oppure almeno una faccia triangolare: di nuovo, se così non fosse, varrebbero simultaneamente le disuguaglianze p ≥ 4 e q ≥ 4. In ogni poliedro valgono le disuguaglianze F ≤ 2V − 4 e V ≤ 2F − 4: infatti da p F = q V = 2S = 2(V + F − 2) segue ( p − 2)F = 2V − 4 e (q − 2)V = 2F − 4; dato che p e q sono ≥ 3, se ne ricavano le disuguaglianze di cui sopra. Non esiste un poliedro con sette spigoli: infatti, se un tale poliedro esistesse, dovrebbe essere V + F = 9, e dato che sia il numero dei vertici sia il numero delle facce è almeno quattro, potrebbe essere o V = 4 e F = 5 o viceversa; ma nel primo caso p = 14/5 < 3 e nel secondo caso q = 14/5 < 3. Ovvero, nel primo caso 2V − 4 = 4 < 5 = F, e nel secondo caso 2F − 4 = 4 < 5 = V . Gli ultimi due punti si possono raffinare nel modo seguente. 3.9 Teorema. Comunque si fissino due interi (V, F) tali che F ≤ 2V − 4 e V ≤ 2F − 4, esiste un poliedro con V vertici e F facce; in particolare, comunque si fissi un intero S, S ≥ 6, S = 7, esiste un poliedro con S spigoli. Dimostrazione. Si tratta di far vedere che si riesce a costruire un poliedro per ciascuno dei punti a coordinate intere nella regione del piano (V, F) descritta in figura 3.11. F S=8 S=9 (4 , 4 ) S=6 Figura 3.11. S = 10 S = 18 V 80 c 88–08–09615–7 3. Poliedri Le piramidi a base un n-gono (n ≥ 3) hanno n + 1 vertici e n + 1 facce e quindi mostrano che si possono realizzare tutti i punti sulla diagonale V = F (≥ 4). In questi esempi, n delle n + 1 facce sono triangolari e n degli n+1 vertici sono vertici di valenza tre. Consideriamo ora le seguenti due costruzioni: lo smussamento di un vertice di valenza tre (a sinistra in figura 3.12) è un’operazione che fa passare da un poliedro con V vertici e F facce ad un poliedro con V = V + 2 vertici e F = F + 1 facce. Figura 3.12. Se viceversa si sostituisce una faccia triangolare con una piramide che ha per base quella faccia (a destra in figura 3.12), si ottiene un’operazione “duale” della precedente, che fa passare da un poliedro con V vertici e F facce ad un poliedro con V = V + 1 vertici e F = F + 2 facce. Con queste due costruzioni possiamo ottenere un poliedro con V vertici e F facce, per qualunque coppia (V, F), con F ≤ 2V − 4 e V ≤ 2F − 4: infatti, se F ≤ V partiamo dalla piramide con F = V = 2F − V (≥ 4) ed effettuiamo V − F volte la prima costruzione: otterremo un poliedro con V + 2(V − F) = 2F − V + 2(V − F) = V vertici e con F + (V − F) = (2F − V ) + (V − F) = F facce. Se invece V ≤ F, procediamo in modo analogo partendo dalla piramide con F = V = 2V − F (≥ 4) ed effettuando F − V volte la seconda costruzione. Per quel che riguarda la seconda affermazione, basta osservare che la zona dei punti a coordinate intere in figura 3.11 interseca le rette V + F = k (cioè S = k − 2) per ogni k ≥ 8 e = 9. Un’altra conseguenza apparentemente bizzarra della formula di Eulero, che già abbiamo in parte citato in 3.4, è la seguente (vedi [GrM] per questo ed altri analoghi problemi): c 88–08–09615–7 3. Poliedri 81 3.10 Teorema. Sia P un poliedro in cui le facce sono solo pentagoni ed esagoni ed ogni vertice ha valenza tre. Allora ci sono in P dodici pentagoni. Inoltre, comunque si fissi un intero k ≥ 0 e = 1, esiste un poliedro di questo tipo con k esagoni. Dualmente, sia P un poliedro in cui tutte le facce sono triangolari ed ogni vertice ha valenza cinque oppure sei. Allora ci sono in P dodici vertici di valenza cinque. Inoltre, comunque si fissi un intero k ≥ 0 e = 1, esiste un poliedro di questo tipo con k vertici di valenza sei. Dimostrazione (cenni). In ognuno dei due casi, sono da dimostrare due affermazioni, la prima delle quali (è quella che avevamo proposto in 3.4 ed) è una immediata conseguenza della formula di Eulero, mentre la seconda è più complessa da giustificare e richiede una costruzione esplicita. Per far vedere che in P ci sono esattamente dodici pentagoni, indichiamo con F5 il numero dei pentagoni e con F6 il numero degli esagoni, di modo che F = F5 + F6 . Contando gli spigoli, si ottiene (∗) 2S = 5F5 + 6F6 . Peraltro, dalla formula di Eulero, tenendo conto che q = 3, otteniamo 2 = V − S + F = 2S/3 − S + F5 + F6 e quindi (∗∗) 6F5 + 6F6 = 6(2 + S/3) = 12 + 2S. Confrontando (∗) e (∗∗) si ottiene subito F5 = 12. Del tutto identica (scambiando il ruolo di V e di F) è la dimostrazione dell’analoga affermazione sul poliedro P con p = 3 e vertici di valenza 5 o 6. La dimostrazione della seconda affermazione è, come si diceva, più riposta; anche in questo caso le due affermazioni (per il poliedro P con facce pentagonali ed esagonali e vertici di valenza 3, ovvero per il poliedro P con facce triangolari e vertici di valenza 5 o 6) sono del tutto analoghe e la dimostrazione dell’una si ricava dalla dimostrazione dell’altra scambiando il ruolo di V e di F. Consideriamo qui di seguito il caso di P ; grazie al teorema di Steinitz, è sufficiente dare lo schema del poliedro astratto, e a questo scopo l’idea è la seguente: si costruisce un tale schema per i casi V6 = 0, V6 = 2, V6 = 3, V6 = 4, V6 = 5, V6 = 6, V6 = 7; si dimostra che, se esiste un tale schema con V6 = k (≥ 2), esiste anche quello con V6 = 6 + k. 82 c 88–08–09615–7 3. Poliedri Si osservino le figure 3.13 e 3.14, in cui sono illustrati dei “pezzi” di diagrammi di Schlegel: in figura 3.13, (A ) e (C ) comprendono la componente illimitata, che è un triangolo, ed hanno un “buco” circolare; in figura 3.14, (A), (B), (C), (D), (E) sono pezzi di diagrammi che possono essere usati per riempire questo buco, completamente o parzialmente. In tutti i diagrammi, le facce complete sono triangolari e i vertici di valenza 5 o 6; (E) contiene sei vertici di valenza 6, tutti gli altri contengono sei vertici di valenza 5 (neri in figura) e k vertici di valenza 6 (bianchi in figura): k = 1 in (A) e (A ), k = 2 in (B), k = 3 in (C) e in (C ), k = 4 in (D). Inoltre, in tutti i diagrammi lo schema arriva sulla circonferenza di bordo allo stesso modo, con dodici spigoli e dodici facce incomplete: tra queste facce si alternano facce che hanno solo due spigoli (incompleti) e facce che ne hanno tre (di cui uno completo e due incompleti). 5 6 7 89 10 11 12 4 3 1 2 (A ) (C ) Figura 3.13. Immaginiamo allora di abbinare due di questi diagrammi, ad esempio (A) e (A ); ci interessa solo la struttura combinatoria, quindi non dobbiamo preoccuparci di condizioni di carattere metrico e basta curare di attaccare le facce incomplete che arrivano al bordo in modo da ricostruire dei triangoli, il che è possibile per quanto abbiamo prima osservato: facendo riferimento alle figure 3.13 e 3.14, basta attaccare (A) e (A ) identificando i punti che hanno la stessa etichetta (questi punti non saranno vertici del diagramma completato). Abbinando allora: (A) con (A ) otteniamo un poliedro con (dodici vertici di valenza 5 e) due vertici di valenza 6; (B) con (A ) otteniamo un poliedro con tre vertici di valenza 6; (C) con (A ) otteniamo un poliedro con quattro vertici di valenza 6; c 88–08–09615–7 3. Poliedri 83 (D) con (A ) otteniamo un poliedro con cinque vertici di valenza 6; (C) con (C ) otteniamo un poliedro con sei vertici di valenza 6; (D) con (C ) otteniamo un poliedro con sette vertici di valenza 6. Per proseguire, si usa il pezzo (E): infatti, in ciascuno dei precedenti abbinamenti possiamo inserire una, o due, o n corone circolari descritte in (E) fra i due pezzi. 6 7 5 8 4 9 3 10 11 2 (A ) 1 12 (B ) (C ) (E ) (D ) Figura 3.14. Per concludere, resta da far vedere che è possibile il caso V6 = 0, cioè il poliedro con dodici vertici, tutti di valenza cinque: un esempio di questo tipo è costituito dall’icosaedro, di cui si dà un diagramma di Schlegel in figura 3.15. Figura 3.15. 84 3. Poliedri c 88–08–09615–7 Lasciamo al lettore il problema di convincersi del fatto che è impossibile il caso V6 = 1. I poliedri del tipo di P nel teorema precedente sono detti geodi (vedi figura 3.9) e sono stati frequentemente usati in architettura per ottenere delle costruzioni che approssimino una sfera; se ne possono incontrare in varie parti del mondo, per esempio la Géode di Parigi, alla Villette. Vale la pena notare che, mentre è possibile approssimare una circonferenza, con un arbitrario grado di precisione, mediante poligoni regolari, non si può fare qualcosa di analogo per la sfera usando solo poliedri regolari (che, come vedremo nel prossimo capitolo, sono in numero finito). Le geodi hanno facce che sono triangoli non equilateri (altrimenti i vertici non potrebbero avere valenza 6) ma sono “quasi” equilateri. I poliedri del tipo di P nel teorema precedente si possono invece incontrare in chimica, perché rappresentano possibili molecole di atomi di carbonio (fullereni).