Attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni in attuazione

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Attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni in attuazione
Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria
Attribuzione delle funzioni
amministrative ai Comuni
in attuazione dell’art. 118 comma I
della Costituzione.
Analisi della legislazione della
Regione Umbria dal 2003 al 2013
dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione
giugno 2014
1
INDICE
Parte Prima
pag.
3
(Finalità della ricerca. Evoluzione del quadro normativo)
Parte Seconda
pag. 27
(L’attribuzione delle funzioni amm.ve in Umbria)
Parte Terza
pag. 35
(Esame della principale legislazione regionale umbra
in materia di attribuzione di funzioni amministrative)
Parte Quarta
pag. 40
(Schede di lettura delle ll.rr. umbre)
Parte Quinta
pag.156
(Giurisprudenza della Corte Costituzionale)
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PARTE PRIMA
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1. LA RICERCA
1.1. Le finalità della ricerca
Ad ormai 13 anni dall’emanazione della novella costituzionale del 2001,
appare opportuno analizzare come si sia, nel tempo, dispiegata la produzione
legislativa della Regione Umbria, con particolare riferimento alle modalità di
attribuzione delle funzioni amministrative nelle materie di sua competenza,
in relazione sia ai soggetti costituzionalmente previsti – gli Enti locali ed in
particolare i Comuni, – sia ad altre modalità di gestione di tali funzioni.
1.2. Le modalità di realizzazione
Il lavoro intende fornire un’analisi della normativa legislativa regionale adottata
dal 2003 al 2013 al fine di:
– valutare lo stato di applicazione dell’art. 118 comma primo della Cost. nella
parte in cui prevede che le funzioni amministrative, nelle materie di competenza
legislativa regionale, debbano essere conferite ai Comuni salvo che in base
dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza possano essere
conferite a (Città metropolitane) Province, Regioni, Stato.
In particolare è emersa l’esigenza di analizzare il dato normativo legislativo
regionale per porre in adeguata considerazione i seguenti ulteriori aspetti:
– l’entità delle funzioni conferite dalla Regione agli enti locali, verificando se si
tratta di funzioni “piene”, di parti di funzioni ovvero di semplice coinvolgimento
procedurale degli enti locali al fine di adottare un atto che comunque resta di
competenza regionale;
– quali strumenti siano stati impiegati dal legislatore regionale con l’effetto
concreto di non conferire ai Comuni alcune funzioni amministrative;
– la sussidiarietà nel suo dispiegarsi in modo orizzontale e verticale e la
conseguente eventuale non attribuzione ai Comuni per allocarle ad un livello
più ampio/superiore.
2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO FINO AL 2001
2.1. Il dettato costituzionale La Costituzione del 1948, all’art. 118, poneva
quale principio generale di allocazione delle funzioni amministrative il
parallelismo tra esse e le funzioni legislative dello Stato e delle Regioni. A
queste ultime sarebbero spettate le funzioni amministrative per le materie
elencate all’art. 117, comma 1, Cost., oggetto di potestà legislativa concorrente.
Lo Stato invece avrebbe beneficiato di una competenza generale, considerato il
carattere residuale delle materie nelle quali poteva legiferare.
Tale rigida ripartizione subiva però delle rilevanti deroghe: anche nelle materie
di cui all’art. 117, comma 1, Cost. con legge della Repubblica si potevano
attribuire alle Province, ai Comuni e agli altri Enti locali le relative funzioni
amministrative. Lo Stato poteva delegare con legge alla Regione l’esercizio di
altre funzioni amministrative, qualora esse avessero mostrato un interesse
esclusivamente locale; le Regioni avrebbero dovuto esercitare le proprie funzioni
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amministrative delegandole agli Enti locali o avvalendosi dei loro uffici. Infine,
l’art. 128 Cost. stabiliva che la determinazione delle funzioni delle Province e
dei Comuni avvenisse con legge generale della Repubblica.
Tanto l’art. 118, comma 1, Cost. quanto l’art. 128 Cost. prevedevano, così, una
netta separazione dei ruoli tra Regioni ed Enti locali, in quanto prefiguravano
un intervento del legislatore statale tendenzialmente rivolto a fissare criteri
di ripartizione omogenei su tutto il territorio nazionale. L’art. 118, comma
3, invece, attraverso l’istituto dell’avvalimento e la delega nell’esercizio delle
funzioni amministrative, sembrava favorire una sinergia tra il livello regionale
e quello locale di governo e assecondare una probabile “regionalizzazione” del
riparto di tali competenze. Rispetto a quest’ultimo profilo, il disposto dell’art.
129, comma 1, Cost., sulla assimilazione delle Province e dei Comuni a
circoscrizioni di decentramento regionale, è rimasta sostanzialmente priva di
seguito.
2.2. Il D.P.R. 616/77 Nel corso degli anni Settanta, con il D.P.R. n. 616 del
1977 si è proceduto ad un cospicuo trasferimento di funzioni amministrative
alle Regioni per settori organici di materie (la legge delega n. 382 del 1975
ne individuava quattro, «ordinamento ed organizzazione amministrativa»,
«servizi sociali», «sviluppo economico», «assetto ed utilizzazione del territorio»).
Ciononostante, sia a causa del contestuale “ritaglio in basso” delle competenze a
favore degli Enti locali, sia per il persistere dei poteri di indirizzo e coordinamento
in capo allo Stato, non si è realizzata una virtuosa collaborazione tra Regioni
ed altri enti territoriali.
L’attività legislativa regionale che si è sviluppata dopo il DPR 616, con
l’approvazione di importanti leggi: riforma sanitaria, istruzione professionale,
caccia, trasporti, ha utilizzato ampiamente l’istituto della delega, anche se
tale delega è apparsa spesso impropria, con perché parti delle funzioni sono
rimaste in capo alla Regione
Secondo un’interpretazione avallata anche dalla Corte costituzionale (sent. n.
39 del 1957), la Regione, in quanto titolare della funzione delegata, manteneva,
infatti, poteri di direttiva, di controllo e di sostituzione nei confronti degli
Enti locali delegati. Le Regioni, inoltre, non si sono avvalse in nessun caso
delle possibilità offerte dalla c.d. “amministrazione regionale indiretta”,
la cui realizzazione era stata auspicata dal Costituente per «non vedere
ulteriormente appesantito un apparato burocratico assai consistente che
sommava all’amministrazione statale, centrale e decentrata, quella di Comuni
e Province». Il modello di un’amministrazione regionale “snella”, che avrebbe
dovuto servirsi degli uffici amministrativi degli Enti locali per esercitare le
proprie competenze, non è mai stato seguito da nessuna Regione.
2.3. La legge n. 142 del 1990 Tale legge sull’ordinamento degli Enti locali,
si articola secondo i seguenti temi: la disciplina dei controlli, il conferimento
delle funzioni amministrative, la cooperazione tra enti territoriali e il rapporto
tra la finanza regionale e locale.
Rispetto alla materia dei controlli, l’art. 130 Cost. garantiva alle Regioni
ampie possibilità di ingerenza nell’attività normativa e amministrativa degli
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Enti locali, mediante la costituzione di un organo, il Comitato regionale di
controllo (istituito secondo quanto previsto con legge statale e pertanto
con caratteristiche uniformi in tutte le Regioni), che esercitava il controllo
preventivo di legittimità su tutti gli atti delle Province, dei Comuni e degli altri
Enti locali e, ove previsto dalla legge, il controllo di merito nella forma della
richiesta motivata di riesame della deliberazione.
Per quanto concerne la disciplina delle funzioni amministrative degli
Enti locali, la legge n. 142 aveva esteso le possibilità di intervento per il
legislatore regionale anche sulla specificazione delle funzioni degli Enti locali,
in osservanza, però, dei principi fissati dal legislatore statale, che avrebbe
continuato a «provvedere all’individuazione diretta delle competenze locali
nella materie non di competenza regionale e ai sensi dell’art. 118, comma 1,
nel caso di funzioni amministrative “di interesse esclusivamente locale”».
2.4 La legge 59 1997 (“Bassanini uno”) Tale normativa ha creato i presupposti
tanto per la realizzazione del più ampio decentramento amministrativo possibile
a Costituzione vigente, quanto per la modernizzazione dell’amministrazione
centrale periferica dello Stato, tramite la semplificazione dei procedimenti
amministrativi e degli strumenti normativi, con la delegificazione e il ricorso
a testi unici. Il criterio sino ad allora seguito per il riparto delle funzioni
amministrative viene completamente ribaltato, giacché l’art.1, comma 2,
stabiliva che alle Regioni e agli Enti locali fossero conferiti (vale a dire trasferiti,
delegati e attribuiti) tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla
cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità,
nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi
territori «in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato,
centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici». Tale clausola
residuale a favore delle Regioni e degli Enti locali, il mantenimento in capo
allo Stato della sola competenza generale di fissare i principi e i criteri direttivi
nelle materie che non rientravano nell’elenco di cui all’art. 1, comma 3, della
legge n. 59/1997, e il principio di sussidiarietà hanno rappresentato il vero
motore di tale riforma.
Il conferimento della generalità delle funzioni a Comuni e Province era
temperato, però, dal principio di adeguatezza, che imponeva di tenere conto
dell’idoneità organizzativa a svolgere anche in forma associata i compiti
assegnati, e dal principio di differenziazione, secondo il quale bisognava
procedere ad un trasferimento differenziato delle funzioni, considerando le
caratteristiche strutturali, demografiche e territoriali degli enti riceventi.
2.5. Il D.lgs. n. 112 del 1998 Con tale decreto si è ulteriormente ridefinito
e precisato (rispetto alla legge delega) il quadro dei rapporti tra Stato, Regioni
ed Enti locali quanto alla titolarità e all’esercizio delle funzioni amministrative.
Il citato decreto legislativo, infatti, non solo ha provveduto al conferimento
di settori organici di funzioni e compiti a ciascuna categoria di destinatari
(dallo Stato agli Enti locali e alle autonomie funzionali, in virtù del principio
di sussidiarietà orizzontale), ma ha anche chiarito quali funzioni e compiti,
pur rientrando nelle materie oggetto del conferimento, sono stati comunque
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attribuiti allo Stato (ad esempio, per quanto riguarda i rapporti internazionali
e con l’UE). Infine, l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 112/1998 ha stabilito che
in nessun caso l’intervento dello Stato avrebbe potuto intaccare le funzioni e i
compiti già attribuiti alle Regioni e agli Enti locali, determinandone un’indebita
sottrazione.
Il d.lgs. n. 112 del 1998, così come diversi decreti settoriali di attuazione
della l. n. 59/1997, ha previsto anche la possibilità di concludere accordi di
programma e convenzioni tra Stato, Regioni, Enti locali e altri soggetti pubblici
e privati.
2.6. Il D.lgs. n. 267/2000. Con tale Decreto si realizza la trasformazione
dell’“amministrazione locale in amministrazione generale”, secondo la
previsione dall’art. 14, per il quale i Comuni sono chiamati a gestire anche
servizi di competenza dello Stato, come i servizi elettorali, quelli di stato civile,
di anagrafe, di leva militare e di statistica e gli altri, non enumerati, che possono
essere loro affidati dal legislatore statale. Inoltre, «nei Comuni con popolazione
superiore a 300000 abitanti, lo Statuto può prevedere particolari e più
accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e
funzionale (art. 17, comma 5, d.lgs. n. 267/2000)». Quanto alle Province, ad esse
spettano le funzioni amministrative che riguardano vaste zone intercomunali
o l’intero territorio provinciale (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 267/2000)25. La
Provincia, poi, è titolare di rilevanti compiti di programmazione, concorrendo
alla determinazione del programma regionale di sviluppo e, soprattutto, ferme
restando le competenze dei Comuni e i programmi regionali, predisponendo e
adottando il piano territoriale di coordinamento. A tale documento, trasmesso
alla Regione per accertarne la conformità agli indirizzi regionali della
programmazione socio-economica e territoriale, devono conformarsi, a loro
volta, i Comuni nell’ambito dell’elaborazione degli strumenti di pianificazione
territoriale (art. 20). Le Province, infatti, vigilano sulla compatibilità di questi
strumenti con il piano da esse definito. Sul punto si tornerà nell’ultimo capitolo,
evidenziando alcune incongruità della legge regionale toscana in materia di
governo del territorio.
3. REGIONI ED ENTI LOCALI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V
3.1 Il Titolo V novellato La norma più innovativa, imprescindibile elemento di
fondo rispetto al nuovo assetto territoriale della Repubblica è rappresentato dal
primo comma dell’art. 114 Cost. che indica gli enti territoriali Comune, Provincia,
Città metropolitana e Regione quali elementi costitutivi della Repubblica
accanto allo Stato, e, con quest’ultimo, in un rapporto di equiordinazione.
Questa innovazione, che è stata anche definita «evidente e clamorosa», implica
una distinzione fra lo Stato e la Repubblica in quanto quest’ultima viene ad
identificarsi con lo Stato-ordinamento, secondo la distinzione introdotta già
negli anni ’60 dall’illustre costituzionalista Costantino Mortati. Il nuovo art.
114 “scardina” definitivamente l’assetto gerarchico piramidale, caratteristico
delle forme di Stato dell’Europa continentale ottocentesca e fonda, e consolida,
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il nuovo modello di governance pluricentrica multilivello, già presente in nuce,
ma non senza incoerenze e contraddizioni, nella Costituzione del 1948, ma
rimasta sostanzialmente inattuata nei decenni successivi».
Rispetto alla Costituzione originaria, inoltre, la riforma dell’art. 114 ha introdotto
un ulteriore rilevante elemento di novità che consiste nel riconoscimento
costituzionale dell’autonomia, in primo luogo statutaria, agli Enti locali,
riconoscimento che nella Costituzione del 1948 era garantito solamente alle
Regioni. Quanto detto, tuttavia, non fa venire meno le diversità di ruolo e di
funzioni che continuano ad esistere fra i diversi enti e che è rinvenibile, ad
esempio, nell’attribuzione della potestà legislativa solamente allo Stato e alle
Regioni e nel mantenimento in capo allo Stato di una funzione unificante.
3.2. Il nuovo assetto della potestà normativa fra Stato, Regioni ed Enti
locali L’aspetto più importante di tale innovazione, cioè la potestà legislativa,
così come disciplinata dalla novella costituzionale n. 3 del 2001, in particolare,
ha invertito il criterio che regolava il riparto delle competenze fra lo Stato e le
Regioni: mentre precedentemente venivano elencate le materie in cui erano
queste ultime ad avere competenza, nell’attuale art. 117 sono le competenze
statali ad essere enumerate e la clausola residuale opera in favore delle Regioni.
Ciò comporta che, mentre fino al 2001 la legge statale era la fonte a competenza
generale «tenuta a cedere, in base al criterio di competenza, a fronte di altri atti
normativi cui alcune materie erano attribuite in via riservata o preferenziale»,
il nuovo quadro costituzionale esclude la presunzione generale in favore della
legge statale che è chiamata a fondare la sua competenza su una disposizione
costituzionale che preveda una riserva in tal senso.
3.3. L’attuazione della riforma costituzionale: la legge “La Loggia” n.
131/2003
Tale legge viene emanata allo scopo di rendere effettiva la riforma del Titolo V
su tutto il territorio nazionale Essa prevedeva all’art.2 che il Governo veniva
delegato ad adottare, entro il 31 dicembre 2005, uno o più decreti legislativi
diretti ad individuare le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e
delle Città metropolitane in modo da prevedere, anche al fine della tenuta e
della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per ciascun livello di governo
locale, la titolarità di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun
tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per
il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento, tenuto
conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente
svolte.
Ma la delega contenuta nella legge La Loggia scadde vanamente, anche se
conteneva concetti importanti, in quanto, a norma dell’art. 117 Cost.,
imponeva di individuare le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province
e delle Città metropolitane in modo da prevedere, anche al fine della tenuta e
della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per ciascun livello di governo
locale, tre profili di funzioni:
1°) le funzioni fondamentali erano quelle connaturate alle caratteristiche
proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento
dell’ente stesso: il profilo fondativo;
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2°) le funzioni fondamentali devono essere finalizzate al soddisfacimento dei
bisogni primari delle comunità di riferimento: il profilo finalistico;
3°) le funzioni fondamentali sono quelle storicamente svolte da Comuni e
province: il profilo storico.
3.4. L’interruzione ed il mancato compimento della riforma costituzionale
L’attuazione della novella costituzionale, oltre la mancata attuazione della
delega contenuta nella legge La Loggia, subì, inoltre, un ulteriore blocco
operativo dovuto alla scelta del Governo del tempo di puntare sulla c.d.
Devolution, cioè un progetto di ulteriore riforma della Costituzione nella sua
parte II, approvato da entrambi i rami del Parlamento e poi sottoposto ad un
referendum costituzionale, svoltosi il 25 e 26 giugno 2006, nel quale la
maggioranza dei votanti respinse tale progetto di riforma costituzionale.
Tale riforma prevedeva, in riferimento alla materia di cui trattasi, quanto
segue:
•
La Devoluzione alle Regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune
materie come organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale
e locale, assistenza e organizzazione sanitaria (le norme generali sulla
tutela della salute tornano di competenza esclusiva dello Stato);
•
Alcuni ambiti (come la sicurezza del lavoro, le norme generali sulla tutela
della salute, le grandi reti strategiche di trasporto, l’ordinamento della
comunicazione, l’ordinamento delle professioni intellettuali ordinamento
sportivo nazionale, produzione strategica dell’energia) che, a seguito
della riforma del 2001 erano regolati con leggi di principio statali e leggi
di dettaglio regionali, sarebbero tornati di esclusiva competenza della
legislazione statale;
•
La Clausola di Interesse nazionale: lo Stato, nel caso avesse ravvisato in
una legge regionale elementi in contrasto con l’interesse nazionale, avrebbe
potuto invitare la Regione ad eliminare le disposizioni pregiudizievoli, con
il potere poi di annullarle.
•
Clausola di supremazia: lo Stato avrebbe potuto sostituirsi alle Regioni
in caso di mancata emanazione di norme essenziali.
Il successivo Governo Prodi presentò nel 2007 un disegno di legge delega per
la riforma costituzionale. La delega proposta comprendeva l’individuazione
delle funzioni già esercitate e il trasferimento agli enti locali di quelle previste
dall’art. 118 della Costituzione, l’istituzione delle città metropolitane, la
disciplina delle forme associative, la revisione delle circoscrizioni e l’adozione
della “Carta delle autonomie”. Anche questo provvedimento, però, non giunse a
conclusione a causa della conclusione anticipata della legislatura, pur avendo
trovato per molti aspetti condivisione nel corso dell’esame da parte, sia delle
Regioni che dell’ANCI .
Nel Gennaio 2010 fu presentato un d.d.l. d’iniziativa del successivo Governo
per la “individuazione delle funzioni fondamentali di province e comuni,
semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega
al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle
autonomie locali e Riordino degli enti ed organismi decentrati”, composto di
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undici capitoli comprendenti anche la soppressione delle comunità montane,
dei consorzi e delle circoscrizioni comunali, le modifiche alle competenze degli
organi del comune, le norme in materia di piccoli comuni e di controlli interni.
Tale progetto individuava e disciplinava le funzioni fondamentali degli enti locali
e trasferiva loro le funzioni. Un approccio che risultava, secondo le Regioni,
più centralista della legge La Loggia, perché metteva in ombra la funzione
legislativa regionale: la legge statale avocava, infatti, a sé, estensivamente,
non solo l’attività ricognitiva di funzioni fondamentali degli enti locali
(individuazione), ma anche la normazione (“disciplina le funzioni fondamentali”)
e il trasferimento delle funzioni in generale ed attribuiva alla legge statale un
primato rispetto alla legge regionale, non previsto nella Costituzione. Anche
tale progetto decadde per la caduta del Governo proponente e la successiva
fine della legislatura nel 2013.
E’ noto che bisogna arrivare alla legge n. 42/2009 e poi al D.L. 95/2012 per
la individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni. L’art. 19 del DL
95/’12 convertito con modifiche nella legge 7.8.2012 n. 135 ha introdotto
importanti novità sulle funzioni fondamentali, sulle modalità di esercizio
associato di funzioni e servizi comunali e sulle unioni di comuni. L’art. 19
citato fornisce un nuovo elenco di funzioni fondamentali e sostituisce quello
provvisorio contenuto nella legge sul federalismo fiscale.
E’ doveroso precisare che la legge 42/2009 sul federalismo fiscale aveva
identificato le funzioni fondamentali dei comuni ai fini della determinazione
dei fabbisogni standard degli enti locali, mentre l’art. 19 ha individuato le 10
funzioni fondamentali in via non transitoria e senza finalità specifiche. Tra le
funzioni dei comuni non fondamentali figurano quelle relative alla cultura,
al settore sportivo, al turismo, allo sviluppo economico, ad alcuni servizi
produttivi, con conseguenze in ordine alle modalità di finanziamento delle
medesime.
4. L’ATTRIBUZIONE DELLE FUNZIONI AMMINISTRATIVE AGLI ENTI
LOCALI
Il conferimento delle funzioni amministrative è disciplinato dal novellato art.
118 Cost., che abbandona principio del “parallelismo” in base al quale, salvo
delega, le funzioni amministrative erano esercitate dall’ente che deteneva
la potestà legislativa. L’attuale art. 118, nel primo comma, dispone che le
funzioni amministrative siano attribuite in prima istanza ai Comuni, salvo
che esigenze di esercizio unitario non ne comportino il conferimento a enti
di livello territoriale superiore. Tale spostamento, peraltro, deve avvenire
nel rispetto di tre principi che erano stati introdotti già precedentemente
tramite la legislazione ordinaria, ma che nel 2001 trovano una sanzione
costituzionale: sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Vale a dire più
prossimo compatibile con le esigenze di efficace ed efficiente esercizio della
funzione (sussidiarietà), assicurando con ciò equilibrio e corrispondenza fra
natura delle funzioni e dimensione dell’istituzione (adeguatezza) e potendo in
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tal senso quindi anche diversificarsi fra gli enti dello stesso rango le funzioni
conferite in relazione al possibile variare delle dimensioni (differenziazione)».
Il principio di sussidiarietà, tuttavia, va inteso non solo nel senso di favorire
la dislocazione delle funzioni al livello più prossimo al cittadino, ma anche in
senso ascendente, ossia riconoscendo che gli enti di livello superiore rispetto
a quello cui la funzione è attribuita possano intervenire nel suo esercizio
qualora vi sia incapacità del primo di farvi fronte. Allo stesso principio di
sussidiarietà è stato ricondotto il potere di sostituzione di cui, secondo l’art.
120, comma 2, della Costituzione è titolare il Governo nei confronti degli
organi di Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, nei casi in cui non
siano stati rispettati obblighi internazionali o comunitari, in caso di pericolo
per la sicurezza pubblica, per la tutela dell’unità giuridica ed economica e per
la garanzia dei livelli essenziali nell’erogazione dei servizi concernenti i diritti
civili e sociali. In tal caso, infatti, il principio di sussidiarietà opererebbe in
senso ascendente, legittimando lo Stato a provvedere all’adempimento delle
funzioni.
Nel secondo comma dell’art. 118, poi, si specificano i due ambiti di
competenze di cui sono titolari Comuni, Province e Città metropolitane, ossia
di «funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o
regionale, secondo le rispettive competenze». A queste norme che riguardano
il riparto delle funzioni amministrative in senso “verticale”, il Legislatore
costituzionale ha aggiunto una disposizione relativa al coinvolgimento
dell’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, nello svolgimento di
attività di interesse generale nel rispetto, ancora una volta, del principio di
sussidiarietà, questa volta declinato, però, in senso “orizzontale”. Infine, il
comma 3 dell’art. 118 contiene una disposizione “settoriale” che chiama la
legge statale a disciplinare le modalità di coordinamento fra Stato e Regioni
nelle materie dell’immigrazione, dell’ordine pubblico e della sicurezza e della
tutela dei beni culturali. È opportuno osservare che si tratta di competenze
rientranti nella potestà esclusiva statale per le quali, dunque, si ipotizzerebbe
un coinvolgimento delle Regioni
5. L’AUTONOMIA REGOLAMENTARE DEGLI ENTI LOCALI
In relazione alle modalità di esercizio della legislazione, sia statale che regionale,
appare rilevante l’espresso riconoscimento costituzionale dell’autonomia
regolamentare nella «disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle
funzioni loro attribuite», portando al culmine un’evoluzione che già aveva
attribuito agli Enti locali il potere di adottare regolamenti. Con la riforma
costituzionale del 2001 si è anche ampliata la potestà regolamentare all’intero
ambito dell’organizzazione dell’ente e all’organizzazione e allo svolgimento delle
funzioni svolte, essendo venuta meno la limitazione della stessa alle singole
materie di volta in volta previste dalle leggi. La relazione che intercorre fra i
regolamenti degli Enti locali e le leggi, sia regionali che statali, è stata chiarita
da un intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 372 del 2004,
nella quale il Giudice costituzionale ha disposto che i regolamenti operino
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nell’ambito della legislazione statale o regionale che assicura i requisiti minimi
di uniformità. Anche nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 della legge
n. 131 del 2003 di attuazione delle norme costituzionali novellate, la Corte,
infatti, ha affermato che l’attribuzione della potestà regolamentare agli Enti
locali nelle materie precedentemente indicate non comporta una riserva di
regolamento ed un riparto rigido di competenza che esclude la legge regionale.
Tale fonte è comunque chiamata a disciplinare le funzioni conferite agli Enti
locali in presenza di esigenze unitarie.
Nel complesso, volendo individuare una ratio nell’attribuzione della potestà
regolamentare disposta dal sesto comma dell’art. 117, si può individuare una
sorta di parallelismo tra l’esercizio della funzione ed il potere di regolarne lo
svolgimento, un’applicazione del principio di sussidiarietà anche sul piano delle
fonti, per cui il soggetto che gode della titolarità della funzione amministrativa
deve disporre anche dei poteri normativi per esercitarla. Ciò è giustificabile in
virtù di una lettura “funzionalista” della disciplina dei compiti amministrativi
rispetto al loro esercizio, in base alla quale la potestà regolamentare ai sensi
dell’art. 117, comma 6, costituirebbe uno strumento per l’esercizio della
funzione stessa.
6. GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE
NELL’INTERPRETAZIONE DEL NOVELLATO TITOLO V
L’innovazione radicale della struttura costituzionale riferita all’attività
legislativa ha generato un largo contenzioso delle Regioni nei confronti dello
Stato negli anni successivi al 2001. Tale contenzioso riguarda le categorie di
materie:
•
quelle nelle quali lo Stato ha competenza legislativa esclusiva (comma 2);
•
quelle di legislazione concorrente (comma 3) ossia la determinazione dei
principi fondamentali è riservata alla legislazione statale, mentre alle
Regioni è lasciata la disciplina di dettaglio.;
•
quelle di competenza esclusiva delle Regioni (comma 4) per le quali opera
la clausola residuale, in base alla quale alle Regioni viene riconosciuta la
potestà legislativa in via esclusiva in tutte le materie non enumerate nelle
altre categorie.
6.1. La legislazione esclusiva dello Stato:art. 117, comma 2.
La competenza esclusiva statale è risultata estesa dalla interpretazione data
dalla Corte Costituzionale delle materie enumerate al comma 2 dell’art. 117.
In particolare, tre sono state le “vie” che hanno portato a tale allargamento.
In primo luogo, vi è l’interpretazione di diverse materie di competenza statale in
base al comma 2 dell’art. 117, come “clausole trasversali” che permetterebbero
allo Stato di intervenire su tutte le materie di competenza regionale. Questa
categoria è stata introdotta in via giurisprudenziale in relazione ai livelli
essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (art. 117, comma
2, lettera m)) con la sentenza n. 282 del 2002. In tale pronuncia, a proposito
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della competenza a stabilire i livelli essenziali delle prestazioni, il Giudice
costituzionale ha affermato che «non si tratta di una “materia” in senso
stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte
le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme
necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento
di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la
legislazione regionale possa limitarle o condizionarle». Il medesimo principio è
stato applicato anche alla tutela dell’ambiente, alla tutela della concorrenza e
all’ordinamento civile.
In secondo luogo, il Giudice costituzionale ha introdotto una “flessibilizzazione”
del riparto di competenze attraverso l’applicazione all’attribuzione della potestà
legislativa del principio di sussidiarietà, principio che la Costituzione indica,
insieme a quelli di differenziazione e adeguatezza, come principio guida per
l’allocazione delle funzioni amministrative (art. 118 Cost). Il passaggio logico
effettuato dalla Corte è stato quello di attribuire allo Stato la competenza
legislativa in quelle materie nelle quali, in virtù del principio di sussidiarietà,
lo Stato mantiene la titolarità della funzione amministrativa (sentenza n. 303
del 2003). In terzo luogo, la Corte ha sempre risolto in favore dello Stato i casi c.d. di
“concorrenza di competenze” nei quali, cioè, vi è una sovrapposizione fra
materie rientranti nell’ambito della competenza statale e di quella regionale.
Infine, il Giudice costituzionale ha applicato il criterio legislativo-evolutivo nella
delimitazione delle materie, in base al quale l’esercizio della potestà legislativa
in una determinata materia ne comporta lo spostamento di ambito materiale
nell’art. 117.
Si è inoltre osservato come le materie di competenza statale non si esauriscano
in quelle elencate dall’art. 117. comma 2, ma ad esse vadano aggiunte quelle
nelle quali altre disposizioni costituzionali, non toccate dalla riforma del 2001,
contengono una riserva di legge; è il caso della disciplina dell’università, assente
sia nel catalogo della competenza esclusiva statale che di quella concorrente.
6.2. La definizione delle materie di competenza statale: l’art. 117,
comma 2.
Diverse decisioni contribuiscono a definire le materie di competenza statale
esclusiva, elencate nel secondo comma dell’art. 117, con percorsi interpretativi
che, quasi sempre confermano o ampliano competenze dello Stato .
La riserva statale della lettera e), in materia di “tutela del risparmio e dei
mercati finanziari” (che, secondo la Corte, - riguarda in particolare la disciplina
delle forme e dei modi in cui i soggetti possono ottenere risorse finanziarie
derivanti da emissione di titoli o contrazione di debiti”), consente l’attribuzione
ad organi centrali di poteri di coordinamento in tema di accesso degli enti
territoriali al mercato dei capitali (sentenza 376/2003).
Non può ricondursi alla “perequazione delle risorse finanziarie” (riservata allo
Stato sulla base della medesima lettera e) una norma che, come quella mirante
ad attenuare le conseguenze sanzionatorie del mancato o ritardato pagamento
del contributo di costruzione, al di là della sua rubrica, non ha alcuna finalità
di tal tipo (sentenza 362/2003).
16
Riguardo alla “tutela della concorrenza” (di cui alla stessa lettera e), la Corte
esclude che possa esservi ricondotta una norma che si limita a disciplinare
il rapporto pubblicistico tra gestore di impianto di telecomunicazione ed ente
pubblico cui spettano i poteri di pianificazione, autorizzazione e vigilanza
(sentenza 307/2003).
La lettera g), che si riferisce all’ “ordinamento e organizzazione amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, serve a fondare la potestà legislativa
statale in ordine alla norma che consente al ministero del lavoro di avvalersi
di una società per azioni, a capitale interamente pubblico, per lo svolgimento
di funzioni finalizzate alla promozione dell’occupazione: tale società, infatti,
presenta tutti i caratteri proprie dell’ente strumentale, salvo rivestire la forma
della società per azioni, ciò che non è sufficiente ad escludere la competenza
statale (sentenza 363).
La riserva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (lettera h) preclude
una disciplina regionale in materia di polizia di sicurezza (che è cosa diversa
dalla polizia amministrativa locale che segue, invece, in quanto strumentale,
la distribuzione delle competenze principali cui accede) (sentenza 313/2003).
Allo stesso modo, la riserva statale in materia di giurisdizione penale (lettera
l) preclude una disciplina regionale in materia di polizia giudiziaria (sentenza
313/2003).
Quanto alla materia dell’ “ordinamento civile” (di cui alla medesima lettera l),
la Corte non la ritiene invasa da una norma regionale che rimetta alla volontà
dei proprietari l’imposizione di vincoli di destinazione d’uso su immobili, i
cui operano “locali storici”, finalizzata alla concessione di finanziamenti
regionali (sentenza 94/2003); mentre è incostituzionale la legge regionale
che disciplina il fenomeno del mobbing, prevedendo, tra l’altro, una diffida
nei confronti del datore di lavoro da parte del centro anti-mobbing, diffida
che configura un elemento dell’eventuale inadempimento del datore di lavoro
(sentenza 359/2003). La materia dell’ordinamento civile, poi, comprende la
disciplina delle persone giuridiche di diritto privato (e, quindi, anche delle
fondazioni di origine bancaria; peraltro ciò non toglie che nei loro confronti,
così come verso qualunque altro soggetto dell’ “ordinamento civile” valgano
anche le norme regionali in quanto incidano sulle funzioni da queste svolte:
sentenza 300/2003).
6.3. Le materie a legislazione concorrente : art. 117, comma 3.
L’interpretazione delle competenze nelle materie concorrenti non è apparsa
meno complessa della ricostruzione delle materie “esclusive”, in quanto buona
parte di queste materie era inedita, ossia non avesse corrispondenza con
l’elenco delle materie del “vecchio” art. 117 Cost..
L’attuazione della novella costituzionale con l’apposito trasferimento delle
funzioni amministrative, - che come sopra descritto non è stata realizzata - ha
“riempito” di contenuti “etichette” che assai spesso sono apparse di difficile
comprensione.
La Corte si è mossa utilizzando la ricognizione delle funzioni amministrative
già trasferite in passato alle Regioni e agli enti locali, sul presupposto che la
riforma costituzionale non possa essere interpretata nel senso di revocare le
17
attribuzioni già conferite alle Regioni in precedenza. Ma soprattutto la Corte
ha privilegiato le materie “nominate” rispetto a quelle “innominate”.
Nella sent. 50/2005, viene affermato che il criterio di prevalenza serve a
coordinare le competenze esclusive dello Stato con quelle regionali: tutto
dipende dalla possibilità di collocare in una determinata materia il “nucleo
essenziale” della disciplina contesa, che va ricostruito sulla base della ratio
della disciplina stessa, badando ai suoi “aspetti fondamentali”, non anche agli
“aspetti marginali o effetti riflessi dell’applicazione della norma”. Per cui la ratio
della legge conduce a identificare la materia “prevalente”, ed in essa restano
attratte anche le eventuali norme di contorno; la competenza legislativa piena
porta con sé le funzioni amministrative, senza necessità di subordinarne
l’esercizio a procedure di leale collaborazione.
Di fatto tale criterio della prevalenza nella giurisprudenza costituzionale fa sì che
il principio di leale collaborazione operi ormai residualmente, soltanto laddove
“non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad
altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa”. Quindi, maggiore
è lo spazio che la giurisprudenza costituzionale riconosce all’operatività del
principio di prevalenza, minore è la sovrapposizione tra interessi e competenze
che la Corte giudica “rilevanti” e perciò meritevoli di tutela almeno sul piano
procedurale. Non è affatto smentita dalla giurisprudenza della Corte la natura
“trasversale” delle competenze dello Stato: semplicemente si ritiene che quelle
materie, nonostante la “trasversalità”, siano pur sempre materie “esclusive”
e, come tali, prevalenti su quelle regionali, senza che ci sia più bisogno di un
coordinamento.
La materia (si prenda la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente)
è “trasversale” perché predomina la considerazione del “fine” (o della ratio,
dello “scopo”, dell’ “obiettivo”, delle “finalità” o degli “interessi”); ma anche il
criterio di prevalenza opera esaltando la considerazione del “fine” della legge
in questione, perché da essa deriva l’individuazione (in prospettiva teleologica)
del “nucleo essenziale” della legge stessa: per cui si raggiunge la conclusione
che il carattere trasversale di una competenza - e ciò la possibilità che lo
Stato sconfini, perseguendo le sue finalità, in ambiti riservati alla competenza
regionale – non comporti l’attenuazione, ma anzi il rafforzamento della
prerogativa della legge statale, cioè si è andata consolidando l’interpretazione
delle competenze «trasversali» come «esclusive» tout court”.
Il criterio della prevalenza, poi, non opera, qusi mai a favore delle Regioni.
Ogni qual volta il criterio sia stato applicato, esso ha premiato la competenza
dello Stato; solo quando la Corte riconosce che esso non è applicabile, cioè che
“non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto
ad altri”, solo in quel caso la Regione ottiene, non già l’annullamento della
legge “invasiva”, ma almeno il riconoscimento consolatorio dell’operatività del
principio di leale collaborazione.
Così il criterio della prevalenza appare la riedizione post-riforma dell’”interesse
nazionale”, che consente alla Corte di affermare la piena competenza dello
Stato senza troppo indugiare in argomentazioni o in valutazioni attorno
all’opportunità di predisporre controtutele.
La Corte ha poi utilizzato, al fine di ricondurre un determinato oggetto entro una
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materia, il criterio legislativo-evolutivo. Con la conseguenza che un cambiamento
nella legislazione ordinaria di settore può comportare lo spostamento della
collocazione di un oggetto nel riparto materiale delle competenze legislative
dell’art. 117 Cost. Così, ad esempio, a seguito della evoluzione legislativa,
la disciplina degli asili nido viene ricondotta entro la materia dell’istruzione
e, per alcuni profili, entro quella della “tutela del lavoro” (sentenza 370); la
disciplina delle fondazioni di origine bancaria è ritenuta estranea, a seguito
degli sviluppi legislativi, alla materia concorrente “casse di risparmio, casse
rurali, aziende di credito a carattere regionale”, per essere ricondotta invece a
quella, statale, dell’ordinamento civile (sentenza 300/2003).
Inoltre, al fine di identificare la materia cui una norma afferisce, assume rilievo
la finalità perseguita: una legge regionale sugli animali esotici, per esempio, in
quanto persegue obiettivi di tutela igenico-sanitaria e di sicurezza veterinaria
viene ricondotta alla materia concorrente della “tutela della salute” (sentenza
222/2003); mentre la disposizione statale che impone anche alle regioni di
riservare, nell’acquisto dei pneumatici per i loro autoveicoli, una quota di
almeno il 20% ai pneumatici ricostruiti viene ricondotta alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di ambiente (sentenza 378/2003).
In molti casi, peraltro, la Corte riconosce che, “per la loro connessione funzionale,
non sia possibile una netta separazione nell’esercizio delle competenze”:
occorre allora “addivenire a forme di esercizio delle funzioni, da parte dell’ente
competente, attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli
interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti...Vale il principio, detto
della “leale cooperazione”, suscettibile di essere organizzato in modi diversi,
per forme e intensità della pur necessaria collaborazione”.
6.4. La potestà legislativa regionale residuale (art. 117, comma 4)
Riguardo alle competenze regionali residuali del comma 4 dell’art. 117, la Corte
ha rilevato che “in via generale, occorre affermare l’impossibilità di ricondurre
un determinato oggetto di disciplina normativa all’ambito di applicazione
affidato alla legislazione residuale delle Regioni ai sensi del comma quarto del
medesimo art. 117, per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente
riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art.
117 della Costituzione” Ad esempio, i lavori pubblici, di cui pure l’art. 117
non parla, costituiscono “ambiti di legislazione che non integrano una vera e
propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e
pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive
dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti”. Materie innominate,
come l’edilizia e l’urbanistica, sono a loro volta ricondotte dalla Corte entro la
competenza concorrente del “governo del territorio” . D’altra parte, nella citata
sentenza sul mobbing, la Corte afferma che “in realtà l’intera legge si fonda
sul presupposto - da ritenere in contrasto con l’assetto costituzionale dei
rapporti Stato-Regioni - secondo cui queste ultime, in assenza di una specifica
disciplina di un determinato fenomeno emergente nella vita sociale, abbiano
in via provvisoria poteri illimitati di legiferare”. Circa i limiti che incontra la
potestà legislativa dell’art. 117, comma 4, la sentenza 274/2003 afferma
che “valgono soltanto i limiti di cui al primo comma dello stesso articolo e
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quelli indirettamente derivanti dall’esercizio da parte dello Stato della potestà
legislativa esclusiva in “materie” suscettibili, per la loro configurazione, di
interferire su quelle in esame.
6.5. Le funzioni amministrative
Quanto alla distribuzione delle funzioni amministrative, di cui all’art. 118
Cost., la Corte ha individuato nel secondo comma un riserva di legge per la
loro allocazione e distribuzione tra i diversi livelli di governo, riserva che non
può ritenersi soddisfatta da una legge regionale che si limita ad autorizzare
l’esercizio, in via “suppletiva”, del potere regolamentare, senza delimitarlo o
indirizzarlo in alcun modo (sentenza 324/2003).
Riguardo al principio di sussidiarietà, la più volte citata sentenza 303 afferma
che la funzione che l’art. 118 assegna a tale principio “si discosta in parte
da quella già conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella
legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale
delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già
operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un
ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione
nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla
primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione
della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva
una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare
non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite
e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del
soddisfacimento di esigenze unitarie”.
Quanto alla sussidiarietà c.d. “orizzontale”, cui si riferisce l’art. 118, comma
4, Cost., la Corte ha affermato che le persone giuridiche private che, come
le fondazioni di origine bancaria, operano in tale campo, appartengono alla
sfera dei “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” e non delle funzioni
pubbliche, sfuggendo quindi alla disciplina regionale.
In sostanziale continuità con la giurisprudenza relativa al vecchio Titolo V è
stata ribadita la centralità del principio di leale collaborazione. Di conseguenza,
un decreto ministeriale in materia di competenza concorrente, adottato senza
il parere della Conferenza Stato-regioni, previsto dalla legge, è stato ritenuto
viziato, indipendentemente dal problema della perdurante utilizzabilità, dopo
la riforma, della legge su cui il decreto stesso si fondava: è infatti violato,
direttamente, il principio di leale collaborazione.
Circa la dibattuta questione della sorte della funzione di indirizzo e
coordinamento dopo la riforma del Titolo V, la Corte ha affermato che “è
da escludere la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare atti di
indirizzo e coordinamento, anche alla luce di quanto espressamente disposto
dall’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce che “nelle materie di cui all’art. 117,
terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti
di indirizzo e di coordinamento di cui all’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n.
20
59, e all’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”. Una seconda
questione interpretativa riguarda esclusivamente le funzioni di cui sono
titolari Comuni, Province e Città metropolitane. Il problema consiste in una
“asimmetria” esistente nelle disposizioni costituzionali che, nel secondo comma
dell’art. 118, distinguono tali funzioni in “proprie” e “conferite”, mentre, al
secondo comma, lettera p) dell’art. 117, attribuiscono allo Stato la competenza
nella identificazione delle funzioni “fondamentali” di Comuni, Province e Città
metropolitane. Se non vi è alcun dubbio che le funzioni “conferite” siano quelle
attribuite dalla legge statale e da quella regionale in base al comma primo
dell’art. 118, la questione rimane aperta nel definire il rapporto fra le funzioni
“proprie” e quelle “fondamentali”. In assenza della legislazione attuativaLegge La Loggia- la Corte ha identificato le funzioni “proprie” con quelle
“fondamentali” degli Enti locali (sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004),
anche se, ad un esame più approfondito risulta permanere una differenza fra
le due categorie di funzioni che si può evincere, in primo luogo, dal fatto che
quello delle funzioni “proprie” è un concetto noto in dottrina e fatto proprio dal
legislatore già con la legge n. 142 del 1990, a differenza dell’altro che è una
formula utilizzata per la prima volta. Con il primo termine si indicherebbero,
infatti, le funzioni «da riconnettere in maniera diretta alla ragion d’essere e al
ruolo proprio di ciascuna istituzione autonomistica: sono cioè strettamente
legate agli interessi della comunità rappresentata e sono frutto essenzialmente
di una tipizzazione storicamente definitasi e sostanzialmente irreversibile».
Per funzioni “fondamentali” si dovrebbero intendere, invece, quelle attribuzioni
necessariamente eguali per gli enti dello stesso livello, e quindi quelle che
costituiscono un quadro uniforme ed essenziale per ogni livello.
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PARTE SECONDA
22
23
1. LE LEGGI REGIONALI DELL’UMBRIA DI RECEPIMENTO
DELLE RIFORME ISTITUZIONALI.
1.1. La legge attuativa della Riforma Bassanini: L.r. n. 3/1999 “Riordino
delle funzioni e dei compiti amministrativi del sistema regionale
e locale delle autonomie dell’Umbria in attuazione della legge 15
marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112” Su tale legge che si proponeva appunto di conferire le funzioni ed i compiti
amministrativi, che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, alle
province, ai comuni, alle comunità montane ed alle autonomie funzionali, si
aprì un ampio articolato dibattito a livello di associazioni autonomistiche,
ANCI ed UNCEM. Si chiedeva alla Regione di tener conto nell’attuazione della
Legge Bassanini e del Decreto attuativo di:
1. l’esigenza della società di aver risposte rapide, qualificate attraverso percorsi
semplificati;
2. garantire sempre meglio la funzione di programmazione e di orientamento
che le istituzioni pubbliche debbono avere nei riguardi della società nelle
sue diverse articolazioni;
3. elevare la conoscenza dei fenomeni che interessano la società e la stato di
conservazione del territorio, le dinamiche produttive e sociali;
4. costruzione di politiche in tempi reali che tendano a governare i processi
così da battere il degrado ed individuare azioni per rilanciare lo sviluppo
compatibili e la qualità della vita.
La crisi del Paese era il prodotto di un uso distorto del Sistema Istituzionale.
Pertanto si doveva assumere con nettezza come obiettivo della riforma
amministrativa non quello di una ridistribuzione delle competenze
amministrative tra i vari livelli istituzionali. Le ragioni profonde e autentiche
dovevano muovere, invece, dal dichiarato e non più sostenibile livello di
inefficienza delle amministrazioni pubbliche. Il rapporto tra cittadini e
pubblica amministrazione nel Paese restava uno dei peggiori in Europa. Era
necessario pertanto riqualificare e quindi alleggerire gli apparati burocratici
con la riduzione delle strutture organizzative ed un completo trasferimento
quindi di compiti di gestione e delle relative risorse a Comuni e Province; ma
anche l’individuazione delle attività che, a determinate condizioni potessero
essere più efficacemente svolte da privati: una riforma degli apparati regionali,
in tutte le loro articolazioni, non solo in vista del miglioramento dell’efficienza
e dell’economicità dell’azione amministrativa ma anche per la riattivazione
e l’estensione della democrazia sostanziale. Si doveva realizzare, quindi, un
sistema leggero, intelligente, sinergico, attraverso il riordino delle competenze,
la riaffermazione dell’autonomia e delle responsabilità secondo il principio
di sussidiarietà. Un rilancio della cultura regionalista intesa come esigenza
a meglio cogliere, meglio rappresentare specificità locali e quindi meglio
governare armonicamente il territorio.
La nuova Regione doveva essere intesa più come sistema di comunità territoriali
che come Ente.
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La Giunta regionale doveva procedere, quindi, a tenere conto di tutte le funzioni
esercitate a seguito di tutti i trasferimenti da parte dello Stato a partire dai
D.P.R. del ’72, al D.P.R. 616, non solo in riferimento alle materie conferite con il
D.Lgs. 112: un’opera di ricognizione generale che doveva individuare per ogni
materia “i compiti riferibili all’esigenza di unitario esercizio a livello regionale”
e poi attraverso una consapevole opera di ingegneria istituzionale, ricostituire
in capo o al Comune o alla Provincia o alla Comunità Montana le competenze
secondo il principio d unicità, cioè senza sovrapposizioni né frazionamenti
così da rendere immediatamente evidente al cittadino il soggetto responsabile
per ciascuna funzione, così da rendere altresì possibile una risposta in tempi
brevi e certi.
Il risultato dell’attività legislativa regionale – L.R. 34/98 e L.R. 3/99 –non
apparve però pienamente soddisfacente Infatti non erano state sottoposte
al vaglio della “esigenza di unità di esercizio a livello regionale” i compiti e le
funzioni di Enti, Istituti e Società creati in ormai 30 anni di attività legislativa
dalla Regione dell’Umbria.
Gli amministratori degli Enti locali del tempo chiedevano, in particolare alla
Regione, che avrebbero dovute essere analiticamente indicate le ragioni per cui
rimanevano in capo alla stessa Regione i compiti allora svolti da l’A.R.U.S.I.A,
l’A.D.I.S.U., l’I.R.R.E.S., il S.E.D.E.S., la Sviluppumbria, la GE.PA.FIN., il
Parco Tecnologico Agroalimentare e gli I.E.R.P..
La L.R. 3/’99 aveva fatto infatti la scelta di mantenere in capo alla Regione
l’attività di tali Enti senza alcuna verifica preventiva dell’esigenza di unitario
esercizio a livello regionale di tali compiti.
con i quali vengono individuate le funzioni amministrative da conferire ai
Comuni e alle Province.
Per dare attuazione all’ultimo comma, dell’articolo 123 della Costituzione, la
concertazione istituzionale viene collocata, in modo permanente, in capo al
Consiglio delle Autonomie locali,
La novità più importante della legge è l’attuazione della semplificazione
istituzionale, attraverso la istituzione dell’Ambito Territoriale Integrato (ATI),
quale livello istituzionale che unifica l’esercizio di una pluralità di funzioni
afferenti varie materie quali: la sanità, l’integrazione socio-sanitaria, la gestione
dei rifiuti, il ciclo idrico integrato, il turismo. Gli ATI rendono tutti i Comuni
“adeguati” a divenire titolari di tutte le funzioni amministrative e possono,
quindi, essere destinatari di ulteriori funzioni attribuite o delegate dalle
Province, conferite dai Comuni per l’esercizio associato ovvero dai Comuni
singoli mediante convenzione.
L’ATI viene definito forma speciale di cooperazione dei Comuni, ha personalità
giuridica di diritto pubblico e autonomia regolamentare, organizzativa e di
bilancio. E’ lo strumento istituzionale dei Comuni per promuovere in modo
coordinato lo sviluppo economico e sociale del territorio di livello sovracomunale,
la partecipazione unitaria degli stessi ai processi di programmazione,
pianificazione generale e settoriale di competenza della Regione e della
Provincia.
L’ATI costituisce un modello istituzionale mutuato dal servizio idrico integrato,
per il quale il D.Lgs 152/2006, all’art. 200 lo prevede quale Autorità anche
per la gestione integrata dei rifiuti urbani.
1.2. Legge regionale 9 luglio 2007 , n. 23 Riforma del sistema amministrativo
regionale e locale - Unione europea e relazioni internazionali - Innovazione
e semplificazione.
2. L’ATTIVITÀ LEGISLATIVA ATTUATIVA.
La legge che recepisce nell’ordinamento regionale la novella costituzionale del
2001 dopo sei anni dalla sua emanazione, definisce l’assetto dei poteri e
delle funzioni della Regione e degli Enti locali, confermando a questi ultimi la
competenza in ordine all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni loro
conferite, nel rispetto dei limiti fissati dalla legge regionale e prevedendo che
i regolamenti regionali esistenti, all’entrata in vigore della legge, nell’ambito
materiale riservato agli enti locali perdano efficacia nell’ordinamento di ogni
singolo ente al momento che lo stesso emana le proprie norme regolamentari.
Nell’ambito delle materie di competenza legislativa regionale saranno gli enti
locali a determinare le sanzioni per la violazione dei regolamenti, all’interno
dei limiti fissati dalla norma regionale.
Vengono richiamati e sviluppati i principi costituzionali di sussidiarietà,
adeguatezza e differenziazione, ma anche i principi di responsabilità e di
efficienza, efficacia, economicità e di integrazione delle politiche in ambiti
territoriali.
Tali principi saranno attuati dalla Regione attraverso l’emanazione - entro un
anno dall’approvazione- di atti legislativi riferiti a settori organici di materie,
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A seguito di una riforma costituzionale di tale portata, le Regioni dovettero
far fronte all’esigenza di innovare il quadro normativo regionale e il sistema
di riparto delle funzioni amministrative per adeguarlo al nuovo dettato
costituzionale. Da un’analisi sommaria della legislazione prodotta dalle
Regioni, si evince che l’intervento del Legislatore regionale dal 2001 al 2006 è
stato molto poco incisivo di quanto ci si potesse aspettare per quanto riguarda
l’attribuzione delle funzioni amministrative.
Si possono individuare almeno due cause per spiegare tale fenomeno. In primo
luogo vi è il mancato - o quanto meno incompleto - intervento dello Stato nella
fase attuativa della riforma per quel che concerne l’esercizio delle funzioni
amministrative ed il loro finanziamento, oltre che nella approvazione delle
leggi quadro nelle materie di competenza concorrente. Ciò ha fatto sì che il
Legislatore regionale operasse in un quadro di incertezza e, dunque, tendesse
a posticipare un intervento più significativo, non sfruttando peraltro, almeno
in una prima fase, i nuovi spazi di competenza attribuiti alle Regioni dalla
modifica della Carta costituzionale.
Una seconda ragione del limitato intervento del Legislatore regionale è da
individuare dalla piena attuazione da questi data alla legislazione statale
sul riordino del sistema delle Autonomie locali degli anni Novanta. A seguito
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delle “leggi Bassanini”, infatti, in molte Regioni è stata in gran parte rivista
l’attribuzione delle funzioni amministrative nel rispetto di quanto disposto
dalla legge statale sia nell’allocazione delle funzioni alle varie tipologie di
enti che nella introduzione dei principi di sussidiarietà, differenziazione
e adeguatezza. Alla fase di riforme del sistema territoriale “a Costituzione
invariata” ha fatto seguito la riforma costituzionale nella quale i medesimi
principi hanno rappresentato il fulcro della nuova disciplina costituzionale
dell’esercizio delle funzioni amministrative. Per molte Regioni, dunque, sono
stati sufficienti interventi tendenzialmente limitati sulle leggi di riordino delle
funzioni amministrative approvate alla fine degli anni Novanta per adeguarsi
alla nuova disciplina costituzionale.
In particolare, si può osservare che molte delle leggi più rilevanti in questo
ambito risalgono agli anni immediatamente successivi alle “leggi Bassanini”.
L’attività di produzione legislativa regionale è poi ripresa e si è sviluppata
nelle legislature 2005-2010 e nell’attuale 2010-2015.
Dall’altro, vi è la difficoltà da parte delle autonomie locali di inserirsi in un
sistema amministrativo regionale che deve essere, come quello nazionale,
pensato e strutturato all’insegna della sussidiarietà e dei rapporti di
complementarietà che ne conseguono.
Gli Statuti regionali si sono limitati a prevedere l’istituzione del Consiglio delle
autonomie locali.
Gli Enti locali che dovevano essere i nuovi “protagonisti” del sistema di
amministrazione” a misura delle esigenze dei territori, dei cittadini e delle
imprese, sono poi rimasti al margine del dibattito politico- istituzionale a
causa della mancata previsione dell’accesso diretto alla Corte costituzionale
nei confronti di leggi ritenute lesive della loro autonomia, in particolare per il
mancato rispetto del principio di sussidiarietà, omissione che rappresenta un
vulnus grave al principio costituzionale di “equiordinazione” .
4. IL LAVORO DI ANALISI
3. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ NEI RAPPORTI FRA
REGIONI ED ENTI LOCALI.
L’attuazione del principio di sussidiarietà da parte delle Regioni ha trovato
la sua prima generale affermazione negli Statuti. Ai nuovi Statuti spettava
infatti definire, come enuncia l’attuale art.123, oltre alla forma di governo,
i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento di ciascuna
Regione e quindi anche del sistema amministrativo regionale o, come si suole
denominare, il sistema regionale delle autonomie.
E pur con vari accenti gli statuti hanno posto a base della configurazione di
tale sistema i principi costituzionali considerati.
Al pari che nella legge n.131/03 più di uno Statuto ha fatto propri in particolare
i criteri sulla redistribuzione delle funzioni amministrative regionali per natura
e dimensione delle stesse.
Ma la stasi da parte del legislatore statale nella definizione delle funzioni
fondamentali degli enti locali, quale condizione preliminare per poter avviare
l’azione regionale, è stato uno dei fattori alla base dei ritardi maturati nella
attuazione
Un altro fattore è da individuarsi nelle tradizionali difficoltà di rapporti fra
Regioni ed Enti locali che talora emergono anche in giudizi di costituzionalità,
in quanto pare in generale difficile trovare un punto di equilibrio fra il
ruolo e le prerogative regionali e quelle locali in un rapporto di necessaria
complementarietà.
Da un lato, il legislatore regionale ha faticato a trovare una misura nuova
e diversa nella disciplina delle funzioni amministrative attribuite agli enti
locali( i requisiti minimi di uniformità di cui parla l’art.4 della legge La Loggia
) in presenza della riserva ad essi spettante in base all’art.117, 6° co. della
potestà regolamentare sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni
amministrative loro attribuite.
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Il lavoro consiste in due parti:
1. Analisi della legislazione regionale Si tratta, di verificare puntualmente
l’attuazione concreta del principio di sussidiarietà analizzando l’attività
legislativa della Regione Umbria. Le leggi sottoposte ad analisi sono quelle che
prevedono l’esercizio di funzioni amministrative. Non compaiono pertanto nel
lavoro le leggi regionali di organizzazione, di programmazione e finanziarie, o
quelle meramente modificatrici di articoli o commi non rilevanti ai fini della
presente indagine dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Sono state
classificate le leggi regionali dal 2003 al 2013 per le seguenti macromaterie:
1. affari istituzionali: affari istituzionali - programmazione - bilancio
- finanze e tributi - demanio e patrimonio - ordinamento degli uffici
- personale - polizia urbana e rurale - circoscrizioni comunali difensore civico - affari generali;
2. agricoltura (agricoltura - foreste - demanio e patrimonio agricolo
- forestale - bonifica- caccia e pesca);
3. attività produttive (attività produttive - artigianato - commercio
- industria - lavoro - formazione e orientamento professionale emigrazione ed immigrazione - cave e torbiere – acque minerali e
termali);
4. sanità e assistenza: assistenza - sanità - edilizia ospedaliera;
5. cultura: cultura - beni culturali - diritto allo studio e istruzione informazione -edilizia scolastica - sport - turismo;
6. territorio e ambiente: urbanistica - beni ambientali, protezione
della natura, parchi e riserve naturali - tutela dell’ambiente dagli
inquinamenti - tutela, disciplina e utilizzazione delle acque - opere
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idrauliche - lavori pubblici - casa - viabilità - trasporti - porti e
aeroporti.
1. Analisi comparata delle leggi regionali delle Leggi regionali dell’ Umbria
relativa alle suesposte materie .
Per esigenze di chiarezza e leggibilità, nonché per rendere più immediato il
ruolo che ogni livello di governo ricopre nelle diverse materie, si è ritenuto
opportuno presentare i risultati di tale analisi in apposite tabelle da pagina
40 in poi.
PARTE TERZA
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31
1.Valutazione della legislazione dell’Umbria. La valutazione che seguono
su alcune leggi regionali analizzata muove dal riferimento, da una parte alla
legislazione statale di riforma, ma soprattutto dalle statuizioni dello Statuto
regionale.
1.1. affari istituzionali:
• L. 23 dicembre 2011 , n. 18 Riforma del sistema amministrativo
regionale e delle autonomie locali e istituzione dell’Agenzia forestale
regionale. Conseguenti modifiche normative. Sul contenuto di tale
legge si evidenzia, da una parte il positivo conferimento agli ATI delle
funzioni amministrative già di competenza delle Comunità montane,
dall’altra, invece, appare non conforme ai principi statutari, l’assunzione
in capo alla Regione, attraverso un ente strumentale, quale l’Agenzia
per la forestazione di funzioni operative, in materia forestale, di fatto in
competizione con i Comuni od anche con privati imprenditori.
• L.R.17 maggio 2013 , n. 11 Norme di organizzazione territoriale
del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata
dei rifiuti - Soppressione degli Ambiti territoriali integrati. Gli ATI
soggetto istituzionale della gestione di una serie copiosa di servizi da
parte dei Comuni, indicati dalla L.R. 18/11 vengono soppressi e viene
istituita a livello regionale un’unica struttura operativa, L’AURI, di fatto
accentrando su un unico soggetto competenze che sono svolte a livello
territoriale.
1.2. agricoltura (agricoltura - foreste - demanio e patrimonio agricolo forestale - bonifica- caccia e pesca);
• L.R. 23 dicembre 2004 n. 30 “Norme in materia di bonifica”. Viene
mantenuta la struttura organizzativa pre riforma con il mantenimento
“intatto” dei Consorzi di Bonifica e l’attribuzione delle funzioni
amministrative in maniera “residuale” ai Comuni, laddove non vi siano
operanti i Consorzi stessi.
• L.R. 4 novembre 2011 , n. 12 Scioglimento dell’Agenzia regionale
umbra per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (A.R.U.S.I.A.)Abrogazione della L.R. 26/10/1994, n. 35 . Si scioglie un’agenzia
regionale e la Regione subentra nelle funzioni e nei compiti senza vagliare
alcuna possibilità di attuare la sussidiarietà verticale.
1.3. attività produttive (attività produttive - artigianato - commercio industria - lavoro - formazione e orientamento professionale - emigrazione
ed immigrazione - cave e torbiere - acque minerali e termali);
• L.R. 2 maggio 2007 , n. 10 “Ulteriori modificazioni della l. r. n.
41/98 (Norme in materia di politiche regionali del lavoro e di
servizi per l’impiego) - Soppressione dell’Agenzia Umbria Lavoro”
. Anche in questo caso si registra l’assunzione in capo alla Regione di
funzioni amministrative affidate ad un’agenzia, senza vagliare ipotesi
più rispondenti ai dettami statutari.
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33
•
L.R. 22 dicembre 2008 , n. 22 Norme per la ricerca, la coltivazione
e l’utilizzo delle acque minerali naturali, di sorgente e termali. Tale
legge , oltre a mantenere tutte le competenze amministrative in capo
alla Regione attribuisce al Dirigente del servizio direttamente tutte le
competenze in materia di rilascio di permessi e concessioni e vigilanza
sull’applicazione della normativa . Una disposizione che sottrae di fatto
agli organi regionali, Presidente e Giunta, ogni potere e valutazione: una
disposizione, quindi, di molto dubbia costituzionalità .
1.4. territorio e ambiente: urbanistica - beni ambientali, protezione
della natura, parchi e riserve naturali - tutela dell’ambiente dagli
inquinamenti - tutela, disciplina e utilizzazione delle acque - opere
idrauliche - lavori pubblici - casa - viabilità - trasporti - porti e aeroporti.
• L.R. 8 Luglio 2004 , n. 15 Norme in materia di trasporto di viaggiatori
effettuato mediante noleggio di autobus con conducente. La Regione
si attribuisce la funzione amministrativa di rilascio dell’autorizzazione
per attività di noleggio alle imprese per l’esercizio della professione di
trasportatore di persone, attività per la quale non si ritengono esistenti
le esigenze di unitario esercizio a livello regionale.
2.Valutazione comparata sulle legislazioni regionali.
L’indagine sulla sussidiarietà verticale nella legislazione regionale assume un
rilievo importante, in quanto conferma, come una la cartina di tornasole
attraverso cui traspare – in filigrana – l’opera di effettiva conformazione degli
apparati regionali al modello costituzionale.
Sono molte le Regioni che hanno accompagnato la riallocazione delle funzioni
nei diversi livelli territoriali, alla contestuale istituzione – altre volte al riordino,
di aziende o agenzie cui è stato demandato l’esercizio di rilevanti funzioni del
settore riformato.
Sembra dunque di poter rilevare – in via di prima approssimazione – che al
rafforzamento del corredo di competenze degli enti locali, nell’ambito della
redistribuzione endoregionale delle funzioni, corrisponda, in molte realtà
una più accentuata connotazione del profilo amministrativo della Regione
in termini di programmazione, coordinamento, indirizzo e controllo, ma non
consegua affatto la messa in discussione della sua amministrazione indiretta,
storicamente strutturatasi Se ne ricaverebbe, in definitiva, un significativo
indizio della perdurante attitudine delle Regioni a non dismettere del tutto le
proprie funzioni operative, ma a mantenerne accentrata una quota considerevole
e ad esercitarla per il tramite dei loro enti strumentali, con la conseguenza che
non solo non si profilerebbe alcuna scomparsa dell’amministrazione regionale,
ma sembrerebbero ben lungi dal concretizzarsi anche le prospettive di un suo
drastico ridimensionamento.
Vi è poi come rilevato l’autonomo processo di riordino degli enti strumentali
delle Regioni, non accompagnato dal simultaneo trasferimento di funzioni
amministrative, ma tal mantenimento delle stesse in capo alla Regione.
La ratio della sussidiarietà era quella di attribuire ai Comuni la generalità delle
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“funzioni amministrative”, considerandosi un eccezione - da motivarsi sulla
base dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza - l’attribuzione
delle funzioni amministrative agli enti di livello superiore.
Gli enti titolari della funzione legislativa (e quindi Stato e Regioni) avendo
l’obbligo - e non già la facoltà - di assegnare ai Comuni la generale attuazione
amministrativa degli interessi regolati, avrebbero dovuto preoccuparsi, in ogni
singola legge, di motivare l’eventuale assegnazione di tale competenza agli
Enti superiori. In tale prospettiva, anche tutta la legislazione precedente la
riforma, avrebbe dovuto essere rivista nel senso di trasferire agli enti comunali
il generale compito di attuare le legislazioni vigenti, all’insegna di una vera e
propria deconcentrazione delle competenze amministrative.
E’ quanto del resto aveva previsto l’art.7 della stessa legge la Loggia, affermando
che “lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a
conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore
della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione
e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato
soltanto quelle di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, per motivi di
buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa” (...).
Essa dava dunque per scontato, che, “tutto il resto”, fosse per definizione di
pertinenza comunale.
2.1. Il caso della Regione Lazio
Tale Regione ha utilizzato una potestà normativa conferitagli dalla riforma
costituzionale, cioè l’ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti delle
Regioni e, più in generale, l’organizzazione amministrativa regionale che
sono diventate materie di competenza legislativa residuale regionale, per
“scardinare” l’attuazione della sussidiarietà verticale.
Lo stesso Statuto laziale, nel Titolo V dedicato all’“Organizzazione e all’attività
amministrativa regionale”, delinea un sistema di amministrazione regionale
composto da differenti modelli organizzativi: oltre alle strutture amministrative
regionali in senso stretto (art. 53), sono infatti previste le agenzie regionali (art.
54), gli enti pubblici dipendenti (art. 55), le società e gli altri enti privati a
partecipazione regionale (art. 56).
Confrontato con lo Statuto della Regione Toscana , si può apprezzare, invece, un
orientamento completamente rovesciato. L’art. 63 dello Statuto della Toscana,
rubricato come “Sussidiarietà istituzionale”. dispone che la Regione, nelle
materie di propria competenza, applichi i principi costituzionali di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza nel conferimento agli Enti locali delle funzioni
amministrative, nel rispetto di quanto disposto dal primo comma dell’art. 118
Cost., con la previsione della riserva di legge in relazione al conferimento di
funzioni. Nel terzo ed ultimo comma dell’art. 62 lo Statuto toscano esplicita un
aspetto specifico dell’applicazione del principio di sussidiarietà, vale a dire la
limitazione dell’esercizio delle funzioni amministrative da parte della Regione
ai soli casi in cui vi siano riconosciute esigenze di esercizio unitario di livello
regionale.
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Per avere un’idea di quanto sia variegato il sistema amministrativo regionale
basta fare riferimento al fatto che attualmente si contano ben cinque agenzie
regionali, ventisette enti pubblici dipendenti dalla Regione e dodici società
partecipate.
Tutti i modelli organizzativi richiamati fanno parte a pieno titolo del sistema
amministrativo regionale: essi, infatti, pur avendo diversa natura giuridica
e differenti gradi di autonomia, in ogni caso dipendono dalla Regione e sono
preposti a svolgere tutta una serie di attività e di funzioni di competenza
regionale.
1 - AFFARI ISTITUZIONALI
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Legge regionale
Umbria
24 settembre 2003, n. 18 Norme in materia di forme associative dei
Comuni e di incentivazione delle stesse. Altre disposizioni in materia
di sistema pubblico endoregionale
Funzioni riservate alla Regione
La Regione approva il programma di riordino territoriale
a) effettua la ricognizione delle fusioni, delle unioni di Comuni, delle Comunità
montane, delle associazioni intercomunali;
b) definisce gli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio associato delle funzioni
c) definisce le zone omogenee delle Comunità montane;
d) specifica i criteri per la concessione dei contributi annuali e straordinari a
sostegno delle fusioni, delle unioni di Comuni, delle Comunità montane e delle
associazioni intercomunali.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Le Comunità montane sono titolari:
a) delle funzioni loro attribuite dalle leggi statali e regionali;
b) degli interventi speciali per la montagna stabiliti dalla Unione europea e
dalle leggi statali e regionali;
c) delle funzioni già esercitate dai soggetti gestori delle aree naturali protette
regionali;
d) dell’esercizio di ogni altra funzione conferita ad esse dalla Regione, dalle
Province e dai Comuni.
4. Le Comunità montane esercitano le funzioni in materia di prevenzione e lotta
attiva agli incendi boschivi e di forestazione, anche nei territori dei Comuni
non ricompresi nelle Comunità montane .
5. Le Comunità montane esercitano, nei comprensori di bonifica ove non sono
istituiti e operanti consorzi di bonifica, le relative funzioni.
7. Le Comunità montane costituiscono l’ambito di esercizio associato delle
funzioni operative di protezione civile, per i Comuni con popolazione inferiore
a 25 mila abitanti.
1. Le Comunità montane non possono svolgere attività commerciali, se non
quelle strumentali alla valorizzazione di produzioni proprie.
2. Le Comunità montane possono svolgere attività di lavori o servizi
commissionate da soggetti privati solo mediante autonome strutture operative
che assicurino la distinzione della gestione economico-contabile di tale attività
rispetto a quelle istituzionali.
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L.r.25 Gennaio 2005 , n. 1 Disciplina in materia di polizia locale.
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni singoli o associati e le Province esercitano, nelle materie loro
proprie o conferite dalla legislazione statale e regionale, le funzioni:
a) di polizia amministrativa per l’attività di accertamento, di prevenzione e
repressione degli illeciti amministrativi derivanti dalla violazione di normative,
leggi, regolamenti e di ordinanze di autorità regionali e locali. In materia
di commercio, i relativi verbali sono trasmessi alla Camera di commercio
competente;
b) di polizia giudiziaria;
c) di polizia stradale ;
d) di polizia tributaria, limitatamente alle attività ispettive di vigilanza
sull’osservanza delle disposizioni relative ai tributi locali;
e) ausiliarie di pubblica sicurezza, per garantire, in concorso con le altre
forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana nell’ambito del territorio di
competenza;
f) di informazione, di raccolta di notizie, di accertamento e rilevazione dati e
altri compiti eventualmente previsti da leggi o regolamenti, a richiesta delle
autorità competenti e degli uffici autorizzati per legge a richiederli;
g) di soccorso in occasione di pubbliche calamità e disastri in raccordo con la
protezione civile.
Per l’esercizio delle funzioni, i Comuni singoli o associati e le Province
istituiscono corpi e servizi di polizia locale e con regolamento stabiliscono il
relativo ordinamento e organizzazione, nel rispetto delle norme della presente
legge.
Le polizie locali, comunque organizzate, non possono essere considerate
strutture intermedie in un settore amministrativo o tecnico più ampio, né
essere poste alle dipendenze di un dirigente di settore, di area o di unità
operativa diversa. Salva diversa disposizione del regolamento del comune, il
Comandante è inquadrato nella categoria apicale dell’ente da cui dipende e
deve appartenere alla polizia locale.
I Comuni singoli o associati e le Province esercitano, nelle materie loro proprie
o conferite dalla legislazione statale e regionale, le funzioni:
a) di polizia amministrativa per l’attività di accertamento, di prevenzione e
repressione degli illeciti amministrativi derivanti dalla violazione di normative,
leggi, regolamenti e di ordinanze di autorità regionali e locali. In materia
di commercio, i relativi verbali sono trasmessi alla Camera di commercio
competente;
b) di polizia giudiziaria;
c) di polizia stradale ;
d) di polizia tributaria, limitatamente alle attività ispettive di vigilanza
sull’osservanza delle disposizioni relative ai tributi locali;
e) ausiliarie di pubblica sicurezza, per garantire, in concorso con le altre
forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana nell’ambito del territorio di
competenza;
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f) di
informazione, di raccolta di notizie, di accertamento e rilevazione dati e
altri compiti eventualmente previsti da leggi o regolamenti, a richiesta delle
autorità competenti e degli uffici autorizzati per legge a richiederli;
g) di soccorso in occasione di pubbliche calamità e disastri in raccordo con la
protezione civile.
Per l’esercizio delle funzioni, i Comuni singoli o associati e le Province
istituiscono corpi e servizi di polizia locale e con regolamento stabiliscono il
relativo ordinamento e organizzazione, nel rispetto delle norme della presente
legge.
Le polizie locali, comunque organizzate, non possono essere considerate
strutture intermedie in un settore amministrativo o tecnico più ampio, né
essere poste alle dipendenze di un dirigente di settore, di area o di unità
operativa diversa. Salva diversa disposizione del regolamento del comune, il
Comandante è inquadrato nella categoria apicale dell’ente da cui dipende e
deve appartenere alla polizia locale.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione:
a) esercita funzioni di coordinamento e indirizzo, nonché di sostegno alla attività operativa, formazione e aggiornamento professionale degli appartenenti alla
polizia locale;
b) promuove e incentiva, , l’esercizio associato delle funzioni di polizia locale;
c) promuove, sulla base della legislazione statale , forme di collaborazione con
le forze di polizia dello Stato, nonché intese interregionali per la realizzazione di
interventi e sistemi informativi integrati in materia di sicurezza;
d) coordina gli interventi di cui al punto c) con quelli volti a migliorare la sicurezza delle comunità locali; 
e) effettua la raccolta e il monitoraggio dei dati inerenti lo svolgimento delle funzioni delle polizie locali e ne cura la diffusione;
f) compie attività di ricerca, documentazione ed informazione in merito alle tematiche inerenti le funzioni delle polizie locali e dei servizi operativi;
g) definisce, al fine di assicurare l’omogeneità del servizio su tutto il territorio
regionale, gli standard essenziali che i corpi di polizia locale debbono possedere
in riferimento al rapporto fra la popolazione residente e il numero degli operatori
della polizia locale;
h) istituisce la Scuola regionale di polizia locale e promuove le opportune intese
con gli enti locali;
i) promuove l’attivazione di un numero telefonico unico di pronto intervento per
la polizia locale.
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Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Il Comitato tecnico consultivo della Polizia locale, composto:
a) un dirigente della struttura regionale competente in materia di polizia locale, con funzioni di presidente;
b) quattro comandanti dei corpi di polizia locale di cui due ufficiali e due sottoufficiali;
c) due agenti;
d) due esperti in materia di sicurezza urbana.
Il Comitato ha compiti di studio, informazione e consulenza tecnica in materia di polizia locale e formula proposte alla Giunta regionale per la migliore
organizzazione e il coordinamento dei servizi di Polizia locale.
2. Il Comitato esprime pareri e formula proposte:
a) sulle caratteristiche delle uniformi e dei distintivi del personale addetto ai
servizi di polizia locale;
b) sulle caratteristiche e sulla dotazione dei mezzi e degli strumenti operativi in
dotazione ai corpi e servizi di polizia locale;
c) sullo svolgimento dei corsi di formazione, aggiornamento e riqualificazione
professionale per gli addetti alla polizia locale.
Legge regionale
Umbria
L.r.23 dicembre 2011 , n. 18
Riforma del sistema amministrativo regionale e delle autonomie locali e istituzione dell’Agenzia forestale regionale. Conseguenti modifiche normative.
Funzioni attribuite ai Comuni
Unioni speciali di Comuni
Funzioni in materia di politiche sociali
a) funzioni attribuite agli A.T.I. (Disciplina per la realizzazione del sistema integrato di Interventi e Servizi Sociali).
Funzioni in materia di turismo
a) informazione e accoglienza turistica, sulla base di indirizzi, criteri e standard stabiliti. Al fine di garantire omogeneità dell’informazione e dei servizi
su tutto il territorio regionale, alla Regione compete il coordinamento, anche
tecnico, delle funzioni, ivi compresa la definizione della consistenza e della
dislocazione degli uffici di informazione e accoglienza turistica di area vasta;
b) raccolta e trasmissione alla Regione dei dati statistici mensili, acquisiti dai
comuni, sul movimento turistico;
c) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricettive
e conseguente rilascio dei cartellini vidimati, ;
d) raccolta e redazione delle informazioni turistiche locali ai fini dell’imple42
mentazione del portale turistico regionale e connesso sviluppo delle attività on
line;
e) vigilanza e controllo, ivi compresa la lotta all’abusivismo, sulle strutture e
le attività ricettive, sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in
forma professionale e non professionale, sull’esercizio delle professioni turistiche, , nonché sulle attività connesse alla statistica sul turismo;
f) realizzazione di specifici progetti in materia di valorizzazione dell’offerta turistica locale, approvati dalla Giunta regionale ed espressamente affidati all’unione speciale di comuni.
Funzioni in materia di boschi e di terreni sottoposti a vincolo per scopi
idrogeologici
a) autorizzazioni per la realizzazione di interventi;
b) tabellazione delle strade e piste sulle quali è vietata la circolazione nei terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici e nei boschi;
c) individuazione delle aree nelle quali è consentita la circolazione dei veicoli a
motore per lo svolgimento di manifestazioni pubbliche e gare;
d) esame dei ricorsi avverso le sanzioni;
e) rilascio delle autorizzazioni all’abbattimento e spostamento di alberi sottoposti a tutela e raccolta ed estirpazione delle specie erbacee ed arbustive
sottoposte a tutela;
f) autorizzazioni all’impianto di talune specie arboree,
g) autorizzazioni in deroga alle prescrizioni in materia di incendi boschivi
h) tenuta dell’elenco delle ditte boschive e degli operatori forestali;
i) funzioni amministrative concernenti l’imposizione, l’esclusione e l’esenzione
sui terreni del vincolo idrogeologico;
j) rilascio di certificati di provenienza per il materiale forestale di moltiplicazione.
Funzioni in materia agricola
a) riconoscimento della qualifica di coltivatore diretto e di imprenditore agricolo professionale, ai fini dell’applicazione delle norme nazionali, regionali,
provinciali, comunali, vigenti;
b) attestazione all’Ufficio del Registro del mantenimento benefici fiscali a favore del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale ;
c) controllo in ordine al compendio unico;
d) gestione degli impianti irrigui già in carico all’Agenzia regionale umbra per
lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (ARUSIA);
e) attività istruttoria relativa ad interventi mirati alla ripresa delle attività produttive a seguito di calamità naturali;
f) attività connesse al servizio a favore Utenti Motori Agricoli;
g) attività istruttoria relativa alle rilevazioni statistiche (campionarie e periodiche) in agricoltura;
h) parere relativo alla estinzione anticipata, alla restrizione ipotecaria ed accollo operazioni creditizie agrarie agevolate ;
i) verifica della idoneità tecnico-produttiva dei vigneti, ai fini della rivendicazione della produzione di vini a D.O./I.G.;
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j) accertamenti sugli impianti viticoli connessi alla estirpazione, reimpianto e
nuovi impianti;
k) autorizzazione all’acquisto di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti, ;
l) controllo delle aziende che praticano metodi di produzione biologica;
m) individuazione degli elementi per la definitiva assegnazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate ;
n) vertenze su patti e contratti agrari.
Funzioni in materia di funghi e tartufi a) autorizzazioni alla raccolta di funghi a particolari categorie di raccoglitori e
ai non residenti in Umbria, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della medesima
legge;
b) irrogazione delle sanzioni per le violazioni alle disposizioni;
c) attestazioni di riconoscimento delle tartufaie controllate o coltivate;
d) approvazione della delimitazione del comprensorio consorziato ;
e) limitazione o temporanea sospensione della raccolta;
f) rilascio tesserini di autorizzazione alla raccolta ;
g) istituzione di appositi albi, nei quali sono iscritte le tartufaie controllate e
coltivate;
h) mappatura delle zone particolarmente vocate alla diffusione della tartuficoltura;
i) funzioni amministrative in materia di sanzioni;
j) funzioni amministrative inerenti la decisione dei ricorsi amministrativi e di
rappresentanza in giudizio ;
k) iniziative di tutela, di valorizzazione ed incremento del patrimonio tartuficolo,
Funzioni in materia di bonifica nei territori ove non operano i consorzi
di bonifica a) la sistemazione e l’adeguamento della rete scolante, le opere di raccolta, le
opere di approvvigionamento, utilizzazione e distribuzione di acqua ad uso
irriguo;
b) le opere di sistemazione e regolazione dei corsi d’acqua di bonifica e irrigui,
comprese le opere idrauliche sulle quali sono stati eseguiti interventi;
c) le opere di difesa idrogeologica;
d) gli impianti di sollevamento e di derivazione delle acque;
e) le opere per la sistemazione idraulico-agraria e di bonifica idraulica;
f) le infrastrutture di supporto per la realizzazione e la gestione di tutte le opere di cui alle precedenti lettere;
g) le opere finalizzate alla manutenzione e al ripristino, nonché quelle di protezione dalle calamità naturali;
h) le opere di completamento, adeguamento funzionale e normativo, ammodernamento degli impianti e delle reti irrigue e di scolo;
i) gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere di
cui alle precedenti lettere;
j) gli interventi e le opere di riordino fondiario.
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Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Agenzia forestale
Sono conferiti all’Agenzia i seguenti compiti:
a) gestione dei beni agro-forestali, appartenenti al demanio e al patrimonio
della Regione, finalizzata alla tutela ed al miglioramento degli stessi;
b) interventi di tutela e miglioramento dei boschi esistenti e attività connesse;
c) imboschimento e rimboschimento e relative cure colturali;
d) interventi di prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi ed altre
avversità del bosco.
2. L’Agenzia, su espressa delega e previo accordo o protocollo di intesa con
l’ente o soggetto interessato, può svolgere compiti operativi nei seguenti ambiti:
a) sistemazioni idraulico-forestali e idraulicoagrarie;
b) gestione dei beni agro-forestali appartenenti al demanio e al patrimonio dei
comuni e di altri enti pubblici;
c) tutela, valorizzazione e incremento del patrimonio tartuficolo;
d) valorizzazione delle biomasse agricole e forestali;
e) gestione faunistica;
f) sistemazione e miglioramento delle aree verdi da destinare ad uso pubblico;
g) supporto tecnico ed operativo in materia di protezione civile;
h) sperimentazione e progetti dimostrativi nelle materie di competenza;
i) conservazione degli ecosistemi naturali e salvaguardia dell’equilibrio ecologico;
l) realizzazione e gestione della rete irrigua;
m) ogni attività per l’ottimale gestione degli ambiti silvo-pastorali e montani e
del verde pubblico;
n) esercizio delle funzioni in materia di bonifica .
3. La Regione, le province, i comuni e altri soggetti possono affidare all’Agenzia, mediante convenzione di durata almeno triennale, la gestione di attività
omogenee o analoghe a quelle proprie della Agenzia medesima.
Legge regionale
Umbria
L.r.17 maggio 2013, n. 11
Norme di organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e
del servizio di gestione integrata dei rifiuti - Soppressione degli Ambiti territoriali integrati
Funzioni attribuite ai Comuni
Soppressione degli Ambiti Territoriali Integrati- ATI L’intero territorio regionale costituisce ambito territoriale ottimale.
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Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita funzioni di indirizzo, programmazione, vigilanza e
controllo:
a) elabora piani e programmi di settore;
b) stipula accordi o intese con amministrazioni statali o regionali;
c) formula indirizzi e linee guida ai fini della attività dell’AURI;
d) stabilisce criteri ed indirizzi per l’elaborazione del Piano d’ambito per il servizio di gestione integrata dei rifiuti;
e) verifica la conformità dei piani e programmi dell’AURI alla normativa e agli
atti di programmazione regionali;
f) svolge attività specifiche di monitoraggio, vigilanza e controllo volte alla tutela degli utenti del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata
dei rifiuti;
g) promuove iniziative per la riduzione dei consumi, per la riduzione dei rifiuti
prodotti, per incentivare la filiera del riciclo, per il risparmio idrico e per la
costituzione di riserve idriche;
h) promuove iniziative volte alla riduzione ed all’omogeneizzazione delle tariffe;
i) favorisce processi di aggregazione delle gestioni esistenti nelle more del riallineamento delle scadenze delle gestioni in essere;
l) esercita la vigilanza e il controllo sull’attività dell’AURI;
m) definisce con apposito atto le modalità per l’acquisizione dall’AURI e dal
soggetto gestore di tutti gli atti, i dati e le informazioni relativi ai servizi di cui
alla presente legge;
n) esercita i poteri sostitutivi qualora il Consiglio direttivo non intervenga;
o) esercita i poteri sostitutivi in caso di mancata o ritardata approvazione da
parte dell’AURI dei Piani d’ambito per il servizio idrico e per il servizio di gestione dei rifiuti e dei programmi annuali delle attività e degli interventi.
2 - AGRICOLTURA
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
AURI, forma speciale di cooperazione tra i comuni, soggetto tecnico di regolazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti.
L’AURI ha personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia amministrativa,
regolamentare, organizzativa e contabile.
Sono conferite all’AURI le funzioni in materia di servizio idrico integrato e di
servizio di gestione integrata dei rifiuti per l’intero territorio regionale che costituisce ambito territoriale ottimale
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Legge regionale
Umbria
23 dicembre 2004 n. 30
“Norme in materia di bonifica”
Funzioni riservate alla Regione
Adozione programma regionale pluriennale per la bonifica.
Il programma pluriennale ha come finalità contenere il rischio idraulico, difendere il suolo e le infrastrutture produttive, promuovere la manutenzione
ordinaria e straordinaria di opere e territorio, conseguire il risparmio idrico in
agricoltura e la valorizzazione delle risorse suolo e acqua, assicurare l’organizzazione efficace ed efficiente dei servizi per la difesa del suolo e la valorizzazione della risorsa idrica ai fini prevalentemente agricoli e di miglioramento
fondiario.
. Il programma pluriennale, in particolare:
a) stabilisce in via generale gli interventi e le azioni degli enti locali territoriali
considerate di preminente interesse regionale, già individuate nei piani di
bacino e di tutela delle acque e nella programmazione regionale, da affidare ai
consorzi di bonifica o alle comunità montane b) individua, in mancanza dei piani di bacino e dei piani di tutela delle acque,
gli indirizzi di programmazione del bacino per ciascun comprensorio di bonifica;
c) indica le linee-guida degli interventi e delle opere da realizzare attraverso i
piani di bonifica.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Consorzi di bonifica che svolgono le seguenti funzioni:
a) proposta di piano di bonifica e dei piani triennali di attuazione;
b) adozione del piano di classifica e del relativo perimetro di contribuenza;
c) piano annuale di riparto del contributo di bonifica, sulla base del piano di
classifica;
d) progettazione, realizzazione, manutenzione, esercizio, tutela e vigilanza delle opere pubbliche di bonifica ;
e) progettazione, esecuzione e gestione delle opere di bonifica di competenza
privata, se affidata dai privati stessi;
f) predisposizione e attuazione dei piani di riordino fondiario;
g) progettazione, realizzazione e gestione delle infrastrutture civili strettamente connesse con le opere della bonifica;
h) progettazione, realizzazione e gestione degli impianti a prevalente uso irriguo, degli impianti per la utilizzazione delle acque reflue in agricoltura, degli
acquedotti rurali e degli altri impianti, compresi in sistemi promiscui, funzionali ai sistemi civili e irrigui di bonifica;
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i) utilizzazione delle acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per
usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive,;
j) predisposizione delle azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento
delle acque, al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei
corsi d’acqua e della fitodepurazione.
k) attuazione di studi, ricerche e sperimentazioni di interesse comprensoriale
e regionale per la bonifica, l’irrigazione e la tutela del territorio rurale,
l) promozione di iniziative e realizzazione di interventi per la informazione e la
formazione degli utenti, nonchè per la valorizzazione e la diffusione della conoscenza dell’attività di bonifica e di irrigazione e delle risorse acqua e suolo
Legge regionale
Umbria
L.r.2 Febbraio 2005 , n. 14
Norme per l’esercizio e la valorizzazione della pesca professionale e
dell’acquacoltura.
Funzioni attribuite alle Province
Funzioni attribuite ai Comuni
Le Province
a) approvano e trasmettono alla Regione i piani annuali provinciali d’intervento nel settore della pesca professionale e dell’acquacoltura in armonia con gli
indirizzi impartiti dal programma regionale, nei limiti delle risorse loro rispettivamente destinate dal programma stesso;
b) gestiscono i piani provinciali ed esercitano i controlli tecnici ed amministrativi circa il corretto impiego delle risorse per l’attuazione degli interventi
previsti dai piani medesimi;
c) rilasciano le licenze di pesca professionale;
d) rilasciano le autorizzazioni per prelievi a scopo scientifico;
e) esprimono ai comuni il parere obbligatorio ma non vincolante per le autorizzazioni degli impianti di acquacoltura;
f) rilasciano le concessioni;
g) trasmettono alla Regione entro e non oltre il primo trimestre di ogni anno,
una relazione tecnica e finanziaria sull’attuazione dei rispettivi piani.
Autorizzazione per l’esercizio dell’attività delle fattorie didattiche , sulla base
dei requisiti interamente fissati dalla Regione
Funzioni riservate alla Regione
Legge regionale
Umbria
L.r.22 Febbraio 2005 , n. 13
“Norme per la disciplina delle fattorie didattiche e modificazione
dell’ art. 20 della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 , come integrata e modificata dalla legge regionale 26 marzo 1997, n. 10 e dalla
legge regionale 26 maggio 2004, n. 8 .”
Funzioni riservate alla Regione
Promozione della realizzazione di fattorie didattiche allo scopo di riavvicinare
i cittadini ed in particolare le giovani generazioni al mondo agricolo, alla sua
storia, alle sue tradizioni, alla sua cultura, alle sue molteplici funzioni volte a
migliorare la qualità della vita.
riconoscimento come fattorie didattiche delle imprese agricole e agrituristiche,
singole o associate, che si impegnano a svolgere oltre alle attività tradizionali,
attività didattiche, culturali e ricreative per la conoscenza dei cicli biologici
animali e vegetali e dei processi di produzione, trasformazione e conservazione
dei prodotti agricoli e silvo-pastorali, per educare ad un consumo alimentare
consapevole, al rispetto per l’ambiente nell’ambito dello sviluppo sostenibile.
Istituzione di corsi di formazione di operatore di fattoria didattica e di aggiornamento per imprenditori agricoli e operatori agrituristici che intendono attivare nelle loro aziende una fattoria didattica.
50
La Regione
a) indirizzo, programmazione e coordinamento delle attività;
b) ricerca e sperimentazione a supporto della programmazione;
c) rapporti con le Autorità di Bacino;
d) regolamentazione della pesca-turismo e dell’ittiturismo;
e) regolamentazione del monitoraggio;
f) regolamentazione dei programmi di controllo;
g) regolamentazione del premio unico.
Istituzione Commissione consultiva, così composta:
a) il dirigente del Servizio Qualificazione delle produzioni animali o suo delegato, con funzioni di Presidente;
b) il dirigente del Servizio Prevenzione e sanità pubblica o suo delegato;
c) il dirigente del Servizio Programmazione forestale faunistica venatoria ed
economia montana o suo delegato;
d) un rappresentante designato da ciascuna delle province ;
e) un rappresentante designato dall’Università degli studi di Perugia;
f) un rappresentante designato da ciascuna delle associazioni del settore
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dell’acquacoltura e della pesca professionale che opera a livello regionale;
g) un rappresentante designato dall’ARPA;
h) due rappresentanti designati dal Consiglio delle autonomie locali, uno
espressione dei comuni rivieraschi dei laghi ed uno espressione dei comuni
rivieraschi dei fiumi.
L.r.22 ottobre 2008 , n. 15
“Norme per la tutela e lo sviluppo del patrimonio ittico regionale,
la salvaguardia degli ecosistemi acquatici, l’esercizio della pesca
professionale e sportiva e dell’acquacoltura”
m) istituiscono e gestiscono l’elenco degli impianti di acquacoltura e l’elenco
degli imprenditori ittici che esercitano la pesca professionale. Detti elenchi
aggiornati sono trasmessi alle Aziende Unità Sanitarie Locali (USL) territorialmente competenti ai fini della registrazione;
n) provvedono alla cattura delle
specie ittiche a scopo di ripopolamento nelle acque superficiali;
o) disciplinano le modalità per la pesca a pagamento nei laghetti di pesca sportiva
p) provvedono alla gestione dei bacini o parte di essi anche avvalendosi della
collaborazione delle associazioni piscatorie e delle q) istituiscono e delimitano
le zone di frega, di protezione, di tutela temporanea e a regolamento specifico;
r) trasmettono alla Regione entro e non oltre il primo trimestre di ogni anno,
una relazione tecnica e finanziaria sull’attuazione dei rispettivi programmi,
riferita all’anno precedente.
Funzioni attribuite ai Comuni
Funzioni riservate alla Regione
Provvedono al rilascio, alla sospensione e alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività ittituristica.
trasmettono al Servizio regionale competente in materia di pesca professionale
e di turismo l’elenco delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività ittituristica
e comunicano eventuali atti di sospensione e revoca. L’elenco è trasmesso per
conoscenza alla Provincia competente.
Funzioni di indirizzo, programmazione, orientamento, coordinamento e
controllo ed inoltre:
a) i rapporti con l’Unione europea, con lo Stato, con le altre Regioni e con enti
nazionali e regionali;
b) la ripartizione delle disponibilità finanziarie alle Province per l’esercizio delle
funzioni conferite;
c) le nomine relative ai componenti delle Commissioni previste ;
d) la ricerca e la sperimentazione a supporto della programmazione;
e) l’elaborazione e l’aggiornamento della carta ittica;
f) l’elaborazione e l’approvazione dei piani;
g) la tenuta dei rapporti con le Autorità di Bacino;
h) la promozione di iniziative per la diffusione delle conoscenze della fauna
ittica, degli ambienti acquatici e dell’esercizio della pesca;
i) il riconoscimento dello stato di crisi dei bacini lacustri e fluviali dovuti a epidemie, calamità naturali o avversità meteoriche ovvero ecologiche di carattere
eccezionale.
Legge regionale
Umbria
Funzioni attribuite alle Province
Concorrono alla programmazione regionale.
Esercitano le seguenti funzioni:
a) adottano e trasmettono alla Regione il programma triennale per la tutela e
la conservazione del patrimonio ittico e per la pesca sportiva, in armonia con
gli indirizzi impartiti dalla programmazione regionale e nei limiti delle risorse
loro rispettivamente destinate;
b) concedono i finanziamenti in materia di pesca sportiva e tutela e conservazione del patrimonio ittico secondo i criteri stabiliti nel Piano regionale e
disciplinano i relativi procedimenti amministrativi;
c) disciplinano il rilascio della licenza di pesca professionale;
d) rilasciano le licenze di pesca professionale e i tesserini di pesca sportiva;
e) rilasciano le autorizzazioni per prelievi a scopo scientifico;
f) rilasciano le autorizzazioni obbligatorie e vincolanti per la realizzazione di
strutture idonee alla risalita dei pesci;
g) rilasciano le autorizzazioni per gli interventi in ambito fluviale e lacuale;
h) rilasciano le autorizzazioni per l’esercizio degli impianti di acquacoltura;
i) rilasciano le concessioni per la pesca professionale;
l) istituiscono e gestiscono l’elenco dei pescatori sportivi;
associazioni di protezione ambientale;
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Istituzione di due Commissioni consultive
1. Per la pesca professionale e per l’acquacoltura, così composta:
a) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca professionale ed acquacoltura o suo delegato, con funzioni di presidente;
b) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca sportiva o
suo delegato;
c) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di sanità veterinaria
e sicurezza alimentare o suo delegato;
d) il dirigente del Servizio programmazione e gestione ittiofaunistica di ciascuna Provincia o suo delegato;
e) un rappresentante designato da ciascuna delle associazioni nel settore
dell’acquacoltura e della pesca professionale, che operano a livello regionale;
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f) un rappresentante designato dall’ARPA;
g) un esperto in gestione ittica e biologia della pesca, designato dall’Università
di Perugia;
h) un rappresentante designato dalle due associazioni ambientaliste e naturalistiche maggiormente rappresentive a livello regionale.
2. Per la pesca sportiva, così composta:
a) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca sportiva o
suo delegato, con funzioni di presidente;
b) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca professionale ed acquacoltura o suo delegato;
c) il dirigente del Servizio programmazione e gestione ittiofaunistica di ciascuna Provincia;
d) il rappresentante designato dalle due associazioni ambientaliste e naturalistiche maggiormente rappresentative a livello regionale;
e) un rappresentante designato da ciascuna delle quattro associazioni dei pescatori sportivi riconosciute a livello nazionale, maggiormente rappresentative
e presenti in forma nel territorio regionale;
f) un rappresentante designato dall’ARPA;
g) un esperto in ambienti acquatici e loro ripristino designato dall’Università
degli Studi di Perugia.
3 - ATTIVITÀ PRODUTTIVE
Legge regionale
Umbria
L.r.4 novembre 2011 , n. 12 Scioglimento dell’Agenzia regionale umbra per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (A.R.U.S.I.A.) - Abrogazione della L.R. 26/10/1994, n. 35 .
Funzioni riservate alla Regione
La Regione subentra nelle funzioni e nei compiti e in tutti i rapporti giuridici
attivi e passivi dell’A.R.U.S.I.A , ivi compresa la titolarità dei beni immobili e
mobili.
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Legge regionale
Umbria
3 Luglio 2003 , n. 13
“Disciplina della rete distributiva dei carburanti per autotrazione”
Funzioni attribuite ai Comuni
Provvedono al rilascio delle autorizzazioni, nonché alla loro sospensione, revoca e decadenza, con riferimento agli interventi e alle attività di seguito indicati:
a) installazione ed esercizio di nuovi impianti;
b) modificazioni dell’impianto;
c) trasferimento dell’impianto;
d) impianti di distribuzione ad uso privato, per natanti da diporto e aeromobili ad uso pubblico sentita l’autorità aeroportuale o per la navigazione delle
acque competente;
e) esercizio di impianti temporanei, in caso di ristrutturazione totale o parziale
degli impianti già autorizzati.
2. Spetta ai comuni:
a) individuare gli impianti di pubblica utilità;
b) determinare, nel rispetto delle norme regolamentari regionali, gli indici urbanistico-edilizi per la modifica e la realizzazione di impianti stradali di distribuzione dei carburanti, volti a favorire lo sviluppo di attività commerciali e
artigiane integrative;
c) ricevere le comunicazioni relative al trasferimento della titolarità delle autorizzazioni e alle modifiche degli impianti non soggette ad autorizzazione;
d) verificare gli impianti in base alle incompatibilità disciplinate dalle norme
regolamentari regionali;
e) individuare le aree in cui ricollocare gli impianti incompatibili, esercitando
le connesse funzioni amministrative, nel rispetto delle norme regolamentari
regionali;
f) fissare gli orari e le turnazioni;
g) rilasciare le attestazioni per il prelievo di carburante in recipienti, da parte
di operatori economici e altri utenti, presso distributori automatici;
h) vigilare sull’osservanza delle norme della presente legge e irrogare le sanzioni amministrative previste.
Funzioni riservate alla Regione
Adottare norme regolamentari, concernenti in particolare:
a) i criteri per il rilascio delle autorizzazioni di cui alla presente legge, ivi compresa l’ipotesi di domande concorrenti, nonché per la loro sospensione, decadenza e revoca, applicando il principio di semplificazione amministrativa;
b) la disciplina delle modifiche e delle distanze tra impianti;
c) la determinazione delle superfici minime degli impianti;
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d) la disciplina delle fattispecie di incompatibilità degli impianti esistenti;
e) la disciplina del procedimento per la rilocalizzazione da parte dei comuni
degli impianti incompatibili;
f) la disciplina del collaudo degli impianti e delle modifiche non soggette a collaudo;
g) i criteri per la disciplina del rilascio delle attestazioni comunali per il prelievo di carburante presso distributori automatici;
h) le limitazioni al rilascio delle autorizzazioni degli impianti pubblici per uso
natanti e aeromobili;
i) la disciplina degli orari di apertura, dei turni di riposo, delle ferie, delle esenzioni e del servizio notturno;
j) le modalità di trasmissione alla Regione, da parte dei comuni, dei dati
relativi alla rete dei distributori di carburante;
k) la fissazione delle condizioni atte a qualificare gli impianti di pubblica utilità;
l) la definizione dei criteri e dei requisiti per il rilascio delle autorizzazione comunali relative agli impianti ad uso privato e per le verifiche di idoneità tecnica.
Legge regionale
Umbria
L.r.27 dicembre 2006, n. 18 “Legislazione turistica regionale”
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni concorrono alla programmazione regionale nell’ambito delle forme
e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.
2. Ai Comuni, anche in forma associata, sono conferite le funzioni in materia
di:
a) valorizzazione delle proprie risorse turistiche mediante la cura dell’offerta
turistica locale, l’espletamento dei servizi turistici di base relativi all’informazione e all’accoglienza turistica e l’organizzazione di manifestazioni ed eventi;
b) classificazione delle strutture ricettive sulla base dei requisiti previsti ;
c) rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio delle attività ricettive;
d) istituzione e gestione degli elenchi di tutte le strutture ricettive;
e) raccolta e trasmissione alla Regione, avvalendosi dei Servizi turistici associati , di:
1) dati statistici mensili sul movimento turistico, secondo criteri, termini e
modalità definiti dalla Giunta regionale d’intesa con i Comuni e nel rispetto
degli indirizzi impartiti nell’ambito del sistema statistico regionale e nazionale;
2) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricettive;
f) vigilanza e controllo sulle strutture ricettive, in conformità agli indirizzi, alle
modalità e agli standard definiti con atto di indirizzo della Giunta regionale
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che tiene conto delle proposte della Commissione ;
g) vigilanza e controllo sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in forma professionale e non professionale, nonché sull’esercizio delle professioni turistiche e sulle attività delle associazioni pro-loco.
Funzioni attribuite alle Province
Le Province concorrono alla programmazione regionale nell’ambito delle forme
e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.
2. Coordinano le iniziative di sviluppo turistico nell’ambito del territorio di riferimento in collaborazione con i Comuni singoli o associati.
3. Esercitano le seguenti funzioni amministrative in materia di:
a) autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia di viaggio e turismo;
b) programmazione e attuazione della formazione professionale finalizzata
all’abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;
c) abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;
d) concessione ed erogazione alle imprese turistiche di finanziamenti per iniziative nell’ambito di strumenti di interesse locale;
e) istituzione e gestione dell’elenco delle pro-loco , concessione e l’erogazione
di contributi;
f) istituzione e gestione dell’elenco delle agenzie di viaggio e turismo e delle
relative filiali ;
g) istituzione e gestione dell’elenco delle associazioni nazionali senza scopo di
lucro ;
h) istituzione e gestione dell’elenco delle imprese professionali di congressi;
i) istituzione e gestione degli elenchi delle professioni turistiche .
4. La Provincia competente provvede annualmente alla pubblicazione di tali
elenchi nel Bollettino Ufficiale della Regione. Concorrono alla programmazione
regionale nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste
dalla normativa regionale vigente.
2. Coordinano le iniziative di sviluppo turistico nell’ambito del territorio di riferimento in collaborazione con i Comuni singoli o associati.
3. Esercitano le seguenti funzioni amministrative in materia di:
a) autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia di viaggio e turismo;
b) programmazione e attuazione della formazione professionale finalizzata
all’abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;
c) abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;
d) concessione ed erogazione alle imprese turistiche di finanziamenti per iniziative nell’ambito di strumenti di interesse locale;
e) istituzione e gestione dell’elenco delle pro-loco , concessione e l’erogazione
di contributi;
f) istituzione e gestione dell’elenco delle agenzie di viaggio e turismo e delle
relative filiali ;
g) istituzione e gestione dell’elenco delle associazioni nazionali senza scopo di
lucro ;
h) istituzione e gestione dell’elenco delle imprese professionali di congressi;
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i) istituzione e gestione degli elenchi delle professioni turistiche .
4. La Provincia competente provvede annualmente alla pubblicazione di tali
elenchi nel Bollettino Ufficiale della Regione.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e
controllo attribuite dalla presente legge, e in particolare:
a) promuove, qualifica e tutela in Italia e all’estero, anche in forma integrata,
l’immagine unitaria e complessiva della Regione, nel rispetto delle sue diverse
componenti artistiche, storiche, culturali, ambientali e paesaggistiche;
b) programma e coordina le iniziative promozionali e le relative risorse finanziarie statali e regionali;
c) verifica l’efficacia e l’efficienza delle attività promozionali;
d) individua i requisiti per la classificazione delle strutture ricettive, determina
e verifica gli standard di qualità delle strutture, dei servizi turistici di informazione e accoglienza e dei soggetti che possono collaborare allo svolgimento di
tali attività;
e) svolge azioni volte alla promozione dell’innovazione e alla diffusione della
qualità, nonché determina i criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo;
f) individua annualmente i fabbisogni formativi delle professioni turistiche e
definisce gli standard professionali, formativi, di percorso e procedurali per la
realizzazione degli interventi formativi;
g) individua i requisiti ai fini dell’esercizio dell’attività turistica per le associazioni senza scopo di lucro, ivi comprese le pro-loco;
h) individua i segni distintivi concernenti le attività di valorizzazione delle risorse per la promozione turistica e ne disciplina la gestione e l’uso;
i) raccoglie, elabora e comunica i dati statistici regionali del turismo, le rilevazioni e le informazioni concernenti l’offerta e la domanda turistica;
l) determina le modalità di formazione e di attuazione delle politiche di sostegno allo sviluppo locale, in raccordo con gli enti locali, e attua le politiche di
sostegno di carattere unitario.
2. Concorre alla elaborazione e all’attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di settore e promuove atti di intesa e di concertazione con lo Stato e le
altre Regioni, nonché con le istituzioni comunitarie.
3. Promuove lo sviluppo e la qualificazione dell’informazione e della comunicazione a fini turistici, attraverso il portale regionale, collegato e inserito con il
portale nazionale ed il portale europeo del settore. Le iniziative delle Autonomie Locali sono inserite e coordinate con il portale regionale.
4 Istituisce e detiene l’elenco generale delle strutture ricettive, L’elenco è pubblicato annualmente nel Bollettino Ufficiale della Regione.
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Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
La Commissione per la promozione della qualità, cui compete:
a) alla classificazione delle strutture ricettive;
b) alla diffusione della cultura e della prassi della qualità in relazione ai servizi
connessi con le attività turistiche, nonché in relazione ad altri servizi e attività
dei territori;
c) ai criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo da parte
dei comuni;
d) all’adeguamento dei requisiti e degli standard di qualità delle strutture ricettive e dei servizi turistici, conseguenti alle verifiche e all’evoluzione degli
indirizzi programmatici della Regione.
La Commissione, per lo svolgimento delle funzioni e dei compiti di cui ai commi 1 e 2, tiene conto:
a) della qualificazione di operatori e imprenditori e della valorizzazione della
loro professionalità;
b) della qualità dell’accoglienza, anche in relazione alla certificazione delle imprese e del territorio, ivi compresa l’ecocompatibilità;
c) della tutela e soddisfazione del turista;
d) della qualità dell’informazione e della comunicazione.
.Svolge le funzioni anche con riferimento alle strutture ricettive agrituristiche,
L’Osservatorio regionale sul turismo svolge i seguenti compiti:
a) la realizzazione di studi, ricerche e indagini relativi agli aspetti qualitativi e
quantitativi della domanda e dell’offerta turistica;
b) lo svolgimento di attività di monitoraggio sugli esiti delle politiche regionali
di promozione.
Legge regionale
Umbria
L.r. 2 maggio 2007, n. 10
“Ulteriori modificazioni della l. r. n. 41/98 (Norme in materia di politiche regionali del lavoro e di servizi per l’impiego) - Soppressione
dell’Agenzia Umbria Lavoro”
Funzioni riservate alla Regione
1. L’Agenzia Umbria Lavoro è soppressa e gli organi sono sciolti.
2. Le funzioni amministrative, già esercitate dall’Agenzia Umbria Lavoro, sono
esercitate dalla Regione mediante struttura competente.
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Legge regionale
Umbria
L.r. 22 dicembre 2008, n. 22 Norme per la ricerca, la coltivazione e
l’utilizzo delle acque minerali naturali, di sorgente e termali.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione adotta norme regolamentari su:
a) la disciplina del procedimento per il rilascio del permesso di ricerca e della
concessione, inclusa la specificazione della documentazione, nonché la disciplina del procedimento di revoca degli stessi;
b) i criteri per la valutazione della capacità tecnico-economica e del programma di investimenti;
c) i criteri per la delimitazione e la disciplina delle aree di salvaguardia delle
acque minerali;
d) la disciplina generale delle aree di salvaguardia delle acque minerali,
e) le procedure per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle concessioni
vigenti;
f) le modalità e i criteri per la realizzazione degli interventi;
g) le procedure e le modalità per il pagamento e la riscossione dei diritti annuali
-----------------------------------------------Al Dirigente del servizio competente vengono direttamente affidate tutte le
competenze in materia di rilascio di permessi e concessioni e vigilanza sull’applicazione della normativa
Legge regionale
Umbria
L.r. 23 dicembre 2008 , n. 25 “Norme in materia di sviluppo, innovazione e competitività del sistema produttivo regionale”
Le politiche e gli interventi relativi al capitale umano, sono individuate
nell’ambito del documento pluriennale Gli interventi specifici possono essere
richiamati nel Programma annuale. Detti interventi restano disciplinati, programmati ed attuati, anche in raccordo con le politiche di cui alla presente
legge, sulla base delle specifiche norme ed atti programmatici relativi a tali
competenze.
Adotta il Programma annuale attuativo del documento di indirizzo pluriennale
in coerenza con il documento annuale di programmazione.
Legge regionale
Umbria
L.r. 20 maggio 2009 , n. 12 Disciplina per l’attività professionale di
acconciatore.
Funzioni attribuite ai Comuni
1. I Comuni esercitano le funzioni di vigilanza e controllo in ordine al rispetto
dei requisiti per l’esercizio delle attività previste dalla presente legge, fatte salve le competenze della Azienda sanitaria locale (ASL) competente per territorio
in materia di igiene, sanità e sicurezza degli operatori.
2. I comuni disciplinano in particolare:
a) le superfici minime ed i requisiti dimensionali dei locali impiegati nell’esercizio dell’attività di acconciatore;
dell’attività di acconciatore;
b) i requisiti per migliorare la qualità dei servizi per i consumatori e assicurare
le migliori condizioni di accessibilità ai servizi medesimi;
c) l’obbligo e le modalità di esposizione delle tariffe professionali, degli orari di
apertura e dei turni di chiusura;
d) le disposizioni relative ai procedimenti amministrativi per la presentazione
della dichiarazione di inizio attività (DIA);
e) le modalità di svolgimento dell’attività presso il domicilio del cliente.
3. I comuni esercitano le funzioni di vigilanza e controllo relativamente all’esercizio dell’attività di acconciatore.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione adotta il documento di indirizzo pluriennale per le politiche per lo
sviluppo che definisce, sulla base degli indirizzi comunitari, nazionali e regionali, alla luce dell’analisi dello scenario generale di riferimento e dell’andamento del sistema produttivo regionale, strategie ed obiettivi di medio e lungo
termine articolate, ivi compresa la definizione di indirizzi programmatici per
le agenzie e società regionali . La programmazione degli interventi a favore
delle imprese appartenenti ai settori dell’artigianato, cooperazione, commercio e terziario è definita tenendo conto delle specifiche normative regionali di
settore.
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Funzioni attribuite alle Province
Le Province esercitano le seguenti funzioni:
a) concorrono alla definizione della programmazione regionale in materia,
nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa vigente;
b) gestiscono le iniziative pubbliche di formazione professionale riguardanti le
attività di acconciatore .
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Funzioni riservate alla Regione
La Regione stabilisce con proprio atto:
a) i contenuti tecnico-culturali dei programmi dei corsi, le modalità di svolgimento degli esami, nonché gli standard di preparazione tecnico-culturale, ai
fini del conseguimento dell’abilitazione professionale, sentite le associazioni di
categoria maggiormente rappresentative;
b) la programmazione dell’offerta formativa pubblica, sulla base delle esigenze
del settore;
c) le modalità di accertamento delle competenze pregresse maturate con la
frequenza di attività formative ed esperienze lavorative in imprese di acconciatura;
d) le modalità di rilascio dell’abilitazione professionale , inclusa l’organizzazione dell’esame finale per il conseguimento della stessa;
e) le modalità di accertamento delle maturate esperienze lavorative qualificate.
La Regione dispone l’autorizzazione e il riconoscimento dei corsi di formazione
non ricompresi nella programmazione pubblica regionale, inclusa la definizione delle eventuali prescrizioni di messa in conformità, ai fini dell’ammissione
dei partecipanti all’esame di abilitazione professionale.
Legge regionale
Umbria
L.r. 5 aprile 2009 n. 7
Sistema Formativo Integrato Regionale
Funzioni riservate alla Regione
La Regione indirizza, sostiene e coordina il Sistema Formativo attraverso interventi finanziari, di promozione, innovazione e sperimentazione, monitoraggio, valutazione e controllo delle azioni e del sistema nel suo insieme.
2. La Regione, d’intesa con il Ministero competente in materia di istruzione e
con i suoi uffici decentrati, favorisce e sostiene la costituzione di forme associative al fine di consolidare l’autonomia scolastica e sviluppare un più proficuo rapporto con il territorio.
1. La Giunta regionale adotta il Piano triennale di attuazione e coordinamento
degli interventi.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Conferenza del Sistema Formativo Integrato
fornisce linee e indirizzi per la predisposizione del Piano triennale e del Programma attuativo annuale nonché di determinare gli obiettivi relativi al raccordo, alla pari dignità tra i diversi sistemi e al mutuo riconoscimento dei
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crediti in essi maturati.
2. Della Conferenza fanno parte:
a) il Presidente della Giunta regionale o l’Assessore regionale delegato in materia di formazione professionale e istruzione, con funzioni di Presidente;
b) il Presidente della Provincia di Perugia o suo delegato;
c) il Presidente della Provincia di Terni o suo delegato;
d) il Rettore dell’Università degli Studi di Perugia o suo delegato;
e) il Rettore dell’Università per Stranieri di Perugia o suo delegato;
f) il legale rappresentante dell’Ufficio scolastico regionale o suo delegato;
g) due componenti designati dal Consiglio delle Autonomi locali;
h) tre componenti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative;
i) quattro componenti designati dalle organizzazioni imprenditoriali maggiormente rappresentative;
l) un componente della Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato di Perugia;
m) un componente della Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Artigianato di Terni;
n) tre rappresentanti degli organismi di formazione professionale accreditati,
designati d’intesa dagli stessi organismi;
o) quattro rappresentanti delle istituzioni scolastiche, di cui una paritaria,
designati d’intesa dagli stessi organismi;
p) tre rappresentanti del Forum regionale dei genitori.
Legge regionale
Umbria
L.r. 3 febbraio 2013 , n. 4 Testo unico in materia di artigianato
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni svolgono attività di vigilanza e controllo sull’impresa artigiana nonché sull’esercizio abusivo dell’attività artigiana, disponendo verifiche, accertamenti e controlli in ordine al rispetto delle condizioni stabilite dal presente
testo unico per l’esercizio delle attività imprenditoriali.
2. I comuni, in particolare:
a) effettuano verifiche relative a iscrizione, modificazione e cancellazione delle
imprese dall’Albo anche su richiesta della Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura;
b) svolgono le funzioni relative all’esercizio dell’attività professionale di acconciatore ed estetista, di cui ai Titoli VII e VIII.
3. I comuni trasmettono le risultanze delle attività alle Camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, ai fini degli adempimenti di competenza.
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Funzioni riservate alla Regione
La Regione, esercita le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia
artigianato non attribuiti dal presente testo unico ai Comuni o alle Camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, al fine di assicurarne l’esercizio unitario delle funzioni nel rispetto dell’ articolo 118 della Costituzione
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura svolgono le
seguenti funzioni:
a) tenuta e aggiornamento dell’Albo;
b) rilascio dei certificati, atti e visure secondo le risultanze dell’Albo;
c) riconoscimento dei mestieri artistici e tradizionali e dell’abbigliamento su misura e nel rispetto dei limiti dimensionali , con apposita annotazione nell’Albo;
d) attività di vigilanza e controllo;
e) accertamento degli illeciti amministrativi e notifica dei relativi verbali ai
soggetti interessati, salvo quanto disposto da specifiche normative statali o
regionali;
f) irroga le sanzioni ed incamera gli introiti dei relativi proventi, salvo quanto
disposto da specifiche normative statali o regionali.
2. La Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura assicura agli
imprenditori artigiani il necessario supporto tecnico-amministrativo in relazione alle funzioni svolte dalla stessa.
Legge regionale
Umbria
L.r. 2 luglio 2013 , n. 13
Testo unico in materia di turismo.
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni, singoli o associati, concorrono alla programmazione regionale
nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.
2. Ai Comuni, anche in forma associata, sono conferite le funzioni in materia
di:
a) valorizzazione delle proprie risorse turistiche mediante la cura dell’offerta
turistica locale, l’espletamento dei servizi turistici di base e l’organizzazione di
manifestazioni ed eventi;
b) vigilanza e controllo sulle attività delle associazioni pro-loco.
------------------------------------I Comuni esercitano in forma obbligatoriamente associata mediante le unioni
speciali di comuni, di seguito Unioni speciali, le seguenti funzioni:
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a) informazione e accoglienza turistica, sulla base di indirizzi, criteri e standard stabiliti. Al fine di garantire omogeneità dell’informazione e dei servizi
su tutto il territorio regionale, alla Regione compete il coordinamento, anche
tecnico, delle funzioni, ivi compresa la definizione della consistenza e della
dislocazione degli uffici di informazione e accoglienza turistica di area vasta;
b) integrazione dei servizi di informazione e accoglienza turistica nella rete
regionale, curando la raccolta e la diffusione delle informazioni di interesse
regionale, nel rispetto degli standard individuati;
c) classificazione delle strutture ricettive sulla base dei requisiti previsti e cura
dei relativi elenchi da trasmettere mensilmente alla Regione, ai fini della validazione dei dati ISTAT;
d) raccolta e trasmissione alla Regione dei dati statistici mensili sul movimento dei clienti nelle strutture ricettive, secondo criteri, termini e modalità definiti dalla Giunta regionale, nel rispetto degli indirizzi impartiti nell’ambito del
sistema statistico regionale, nazionale ed europeo;
e) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricettive
e conseguente rilascio dei cartellini vidimati e della tabella riepilogo prezzi;
f) raccolta e redazione delle informazioni turistiche locali ai fini dell’implementazione del portale turistico regionale e connesso sviluppo delle attività on line;
g) vigilanza e controllo, ivi compresa la lotta all’abusivismo, sulle strutture e
le attività ricettive, sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in
forma professionale e non professionale, sull’esercizio delle professioni turistiche, nonché sulle attività connesse alla statistica sul turismo;
h) realizzazione di specifici progetti in materia di valorizzazione dell’offerta
turistica locale, approvati dalla Giunta regionale ed espressamente affidati
all’Unione speciale.
Funzioni attribuite alle Province
le Province svolgono le seguenti funzioni amministrative:
a) funzioni in materia di agenzia di viaggio e turismo;
b) programmazione e attuazione della formazione professionale finalizzata
all’esercizio delle professioni turistiche;
c) abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;
d) concessione ed erogazione alle imprese turistiche di finanziamenti per iniziative nell’ambito di strumenti di interesse locale;
e) istituzione e gestione dell’elenco delle pro-loco, la concessione e l’erogazione
di contributi;
f) istituzione e gestione dell’elenco delle agenzie di viaggio e turismo e delle
relative filiali;
g) istituzione e gestione dell’elenco delle associazioni nazionali senza scopo di
lucro;
h) istituzione e gestione dell’elenco delle imprese professionali di congressi;
i) istituzione e gestione degli elenchi ricognitivi delle professioni turistiche;
l) istituzione e gestione degli elenchi ricognitivi dei direttori tecnici di agenzia
di viaggio e turismo .
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Funzioni riservate alla Regione
1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo attribuite dal presente testo unico, e in particolare:
a) promuove, qualifica e tutela in Italia e all’estero, anche in forma integrata,
l’immagine unitaria e complessiva della Regione, nel rispetto delle sue diverse
componenti artistiche, storiche, culturali, ambientali e paesaggistiche;
b) programma e coordina le iniziative promozionali e le relative risorse finanziarie statali e regionali;
c) verifica l’efficacia e l’efficienza delle attività promozionali;
d) individua i requisiti per la classificazione delle strutture ricettive, determina
e verifica gli standard di qualità delle strutture;
e) stabilisce indirizzi, criteri e standard dei servizi turistici di informazione e
accoglienza e dei soggetti che possono collaborare allo svolgimento di tali attività;
f) svolge azioni volte alla promozione dell’innovazione e alla diffusione della
qualità, nonché determina i criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo delle attività;
g) individua le procedure per l’abilitazione professionale ;
h) individua i requisiti ai fini dell’esercizio dell’attività turistica per le associazioni senza scopo di lucro, ivi comprese le pro-loco;
i) individua i segni distintivi concernenti le attività di valorizzazione delle risorse per la promozione turistica e ne disciplina la gestione e l’uso;
l) raccoglie, elabora e comunica i dati statistici regionali del turismo, le rilevazioni e le informazioni concernenti l’offerta e la domanda turistica;
m) determina le modalità di formazione e di attuazione delle politiche di sostegno allo sviluppo locale, in raccordo con gli enti locali, e attua le politiche di
sostegno di carattere unitario.
2. La Regione concorre alla elaborazione e all’attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di settore e promuove atti di intesa e di concertazione con
lo Stato e le altre Regioni, nonché con le istituzioni comunitarie.
3. La Regione svolge le attività di promozione turistica e integrata, anche attraverso Sviluppumbria S.p.A.
4. La Regione promuove lo sviluppo e la qualificazione dell’informazione e
della comunicazione a fini turistici, attraverso l’lnformation Communication
Tecnology regionale. Le iniziative delle Autonomie Locali sono inserite e coordinate con il portale regionale.
5. È istituito presso la Giunta regionale l’elenco regionale delle località turistiche o città d’arte). La Giunta regionale disciplina, con proprio regolamento, i
criteri e le modalità per la costituzione e l’aggiornamento dell’elenco regionale.
Per l’adozione del regolamento la Giunta regionale considera quali requisiti
necessari, ai fini dell’iscrizione nell’elenco, la presenza nel Comune richiedente di beni culturali, ambientali e paesaggistici e la presenza altresì di strutture
ricettive.
1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo attribuite dal presente testo unico, e in particolare:
a) promuove, qualifica e tutela in Italia e all’estero, anche in forma integrata,
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l’immagine unitaria e complessiva della Regione, nel rispetto delle sue diverse
componenti artistiche, storiche, culturali, ambientali e paesaggistiche;
b) programma e coordina le iniziative promozionali e le relative risorse finanziarie statali e regionali;
c) verifica l’efficacia e l’efficienza delle attività promozionali;
d) individua i requisiti per la classificazione delle strutture ricettive, determina
e verifica gli standard di qualità delle strutture;
e) stabilisce indirizzi, criteri e standard dei servizi turistici di informazione e
accoglienza e dei soggetti che possono collaborare allo svolgimento di tali attività;
f) svolge azioni volte alla promozione dell’innovazione e alla diffusione della
qualità, nonché determina i criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo delle attività;
g) individua le procedure per l’abilitazione professionale ;
h) individua i requisiti ai fini dell’esercizio dell’attività turistica per le associazioni senza scopo di lucro, ivi comprese le pro-loco;
i) individua i segni distintivi concernenti le attività di valorizzazione delle risorse per la promozione turistica e ne disciplina la gestione e l’uso;
l) raccoglie, elabora e comunica i dati statistici regionali del turismo, le rilevazioni e le informazioni concernenti l’offerta e la domanda turistica;
m) determina le modalità di formazione e di attuazione delle politiche di sostegno allo sviluppo locale, in raccordo con gli enti locali, e attua le politiche di
sostegno di carattere unitario.
2. La Regione concorre alla elaborazione e all’attuazione delle politiche comunitarie e nazionali di settore e promuove atti di intesa e di concertazione con
lo Stato e le altre Regioni, nonché con le istituzioni comunitarie.
3. La Regione svolge le attività di promozione turistica e integrata, anche attraverso Sviluppumbria S.p.A.
4. La Regione promuove lo sviluppo e la qualificazione dell’informazione e
della comunicazione a fini turistici, attraverso l’lnformation Communication
Tecnology regionale. Le iniziative delle Autonomie Locali sono inserite e coordinate con il portale regionale.
5. È istituito presso la Giunta regionale l’elenco regionale delle località turistiche o città d’arte). La Giunta regionale disciplina, con proprio regolamento, i
criteri e le modalità per la costituzione e l’aggiornamento dell’elenco regionale.
Per l’adozione del regolamento la Giunta regionale considera quali requisiti
necessari, ai fini dell’iscrizione nell’elenco, la presenza nel Comune richiedente di beni culturali, ambientali e paesaggistici e la presenza altresì di strutture
ricettive.
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4 - SANITÀ E ASSISTENZA
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Legge regionale
Umbria
L.r.22 Dicembre 2005 ,n. 30 Sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni autorizzano i servizi di carattere educativo pubblici e privati, nell’ambito del proprio territorio.
2. La Giunta regionale disciplina i criteri generali e le modalità per la concessione dell’autorizzazione.
3. Per ottenere l’autorizzazione , i soggetti richiedenti devono essere in possesso dei seguenti requisiti:
a) disporre di strutture con le caratteristiche e gli standard previsti dal Piano
triennale;
b) disporre di personale in possesso dei titoli di studio previsti dalla normativa
vigente;
c) disporre di una équipe multiprofessionale;
d) disporre di una struttura che garantisca la sicurezza ambientale;
e) disporre di una struttura conforme in termini urbanistici, edilizi ed igienicosanitari;
f) disporre di spazi adeguati
g) disporre di materiali idonei per l’attività pedagogica;
h) disporre di un progetto educativo del servizio;
i) disporre di un regolamento di funzionamento;
l) applicare al personale dipendente il contratto collettivo nazionale di settore,
secondo il proprio profilo professionale;
m) applicare il rapporto numerico educatori/bambine e bambini iscritti definito dal Piano triennale;
n) applicare, in caso di erogazione dei pasti la normativa vigente, adottando
regimi dietetici adeguati, ed attuando gli indirizzi previsti in ambito socio-sanitario, attraverso le tabelle approvate dalla ASL competente con l’indicazione
di preferenza per cibi biologici e cibi senza OGM.
4. L’autorizzazione ha durata triennale e può essere rinnovata previa verifica
del possesso dei requisiti.
Funzioni riservate alla Regione
La regione adotta il Piano del sistema integrato dei servizi socio-educativi per
la prima infanzia e lo sottopone all’approvazione del Consiglio regionale.
2. Il Piano del sistema dei servizi per la prima infanzia, di seguito denominato
Piano triennale, è lo strumento di programmazione regionale del sistema dei
servizi socio-educativi per la prima infanzia.
3. Il Piano, che ha durata triennale, deve prevedere:
a) la garanzia dei diritti all’educazione, alla socializzazione e al gioco delle
bambine e dei bambini, senza esclusioni dovute a diversità sociali, etniche,
culturali e religiose;
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73
b) la partecipazione attiva ed informata delle famiglie alla definizione delle
scelte educative ed organizzative di carattere generale, nonché alla verifica
della qualità del servizio;
c) i diritti all’accoglienza ed al sostegno delle bambine e dei bambini diversamente abili, di quelli con disagi socio-culturali e sostegno alle famiglie in condizioni di difficoltà;
d) l’integrazione tra le diverse tipologie di servizi;
e) l’omogeneità dei titoli di studio e dei profili professionali degli operatori;
f) la continuità con la scuola d’infanzia
g) l’applicazione dei criteri di equità nella compartecipazione economica delle
famiglie al costo di gestione del servizio.
4. Il Piano triennale definisce:
a) gli obiettivi di sviluppo e di qualificazione dei servizi;
b) i criteri generali per la determinazione dei livelli essenziali di qualità e di
organizzazione dei servizi;
c) il rapporto numerico tra personale educatore, personale addetto ai servizi
generali e bambine e bambini all’interno di ogni tipologia di servizio per l’infanzia, tenendo conto del numero degli iscritti e la loro età, con particolare
attenzione a quelli di età inferiore ai dodici mesi, nonché della presenza di
bambine e bambini diversamente abili o in particolari situazioni di disagio;
d) i criteri generali per l’assegnazione dei finanziamenti;
e) i criteri per la realizzazione del monitoraggio e la valutazione della qualità;
f) gli indirizzi per la sperimentazione di programmi ed azioni volti a promuovere l’integrazione tra i servizi per l’infanzia, a migliorarne la qualità, con particolare riferimento alla qualificazione del personale addetto, a promuovere
la continuità educativa e diffondere la cultura dell’infanzia nella comunità
regionale;
g) le modalità di partecipazione delle famiglie.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
la Conferenza regionale della prima infanzia.
Componenti:
a) il Presidente della Giunta regionale o l’Assessore delegato con funzioni di
Presidente;
b) un rappresentante dell’Università degli studi di Perugia;
c) un rappresentante della Direzione scolastica regionale;
d) quattro componenti designati dal Consiglio delle Autonomie locali;
e) tre componenti designati dalle organizzazioni sindacali regionali maggiormente rappresentative;
f) due componenti designati dal Forum del terzo settore;
g) quattro componenti tecnico-professionali designati dalle ASL;
h) due componenti designati dalle Associazioni dei delle Associazioni dei genitori maggiormente rappresentative di cui al decreto ministeriale 18 febbraio
2002, n. 14;
i) due componenti degli ambiti territoriali socio-assistenziali, così come definiti
dal Piano sociale regionale 2000-2002, designati dalla Giunta regionale;
l) due coordinatori pedagogici dei servizi per l’infanzia dei Comuni designati
dal Consiglio delle Autonomie locali.
74
Legge regionale
Umbria
Legge regionale 28 dicembre 2009 , n. 26 Disciplina per la realizzazione del Sistema Integrato di Interventi e Servizi Sociali.
Funzioni attribuite ai Comuni
Il Comune è titolare delle funzioni in materia di politiche sociali e concorre
alla formazione degli atti di programmazione regionale in materia di politiche
sociali, promuove sul proprio territorio l’attivazione ed il raccordo delle risorse
pubbliche e private, aventi o non aventi finalità di profitto, per la realizzazione
di un sistema articolato e flessibile di promozione e protezione sociale attraverso interventi, attività e servizi sociali radicati nel territorio e organizzati in
favore della comunità.
2. Il comune esercita le funzioni amministrative in forma associata tramite
gli Ambiti territoriali integrati, di seguito denominati ATI,. L’ATI esercita le
funzioni e provvede alla erogazione dei servizi sociali tramite la Zona sociale
intesa quale articolazione territoriale corrispondente al territorio dei distretti
sanitari
3. L’integrazione dei servizi di assistenza sociale con quelli sanitari è attuata mediante accordi di programma fra l’ATI e l’Azienda unità sanitaria locale
competente.
Funzioni attribuite alle Province
La Provincia esercita le seguenti funzioni:
a) gestisce la formazione professionale secondo i piani per la formazione e l’aggiornamento del personale addetto all’attività sociale secondo le indicazioni
del Piano sociale regionale;
b) concorre alla realizzazione del sistema informativo sociale regionale mediante la raccolta di dati con particolare riferimento alle aree sociali strettamente
connesse con il sistema dei servizi sociali, quali la formazione, l’occupazione e
l’inserimento lavorativo delle fasce deboli;
c) collabora con la Regione per la implementazione di un sistema di documentazione delle conoscenze e delle esperienze.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo
degli interventi sociali, nonché di verifica dell’attuazione a livello territoriale. Disciplina l’integrazione degli interventi sociali e provvede, in particolare,
all’integrazione socio sanitaria in coerenza con gli obiettivi del Piano sanitario
regionale, nonché al coordinamento delle politiche dell’istruzione, della formazione, del lavoro e delle politiche sociali abitative.
2. La Regione, in particolare:
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a) ripartisce le risorse del Fondo sociale regionale, del Fondo nazionale per le
politiche sociali e degli altri Fondi nazionali del settore sociale;
b) effettua il controllo delle risorse;
c) vigila sulla effettiva realizzazione dei LIVEAS ;
d) verifica l’attuazione del Piano sociale regionale con riferimento agli obiettivi,
alle priorità, allo stato dei servizi, alla qualità degli interventi ed ai progetti
sperimentali e dei Piani sociali di zona;
e) adotta atti di indirizzo e di coordinamento nella materia oggetto della presente legge, per salvaguardare esigenze di carattere unitario nel territorio regionale.
3. La Regione definisce, nei limiti delle risorse disponibili, gli ulteriori LIVEAS
rispetto a quelli individuati dalla legislazione statale..
4. La Regione promuove periodicamente, e comunque almeno una volta all’anno, incontri partecipativi con i soggetti sociali che concorrono alla realizzazione delle finalità di cui alla presente legge.
5 - CULTURA
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Gli ATI esercitano le seguenti funzioni:
a) definisce gli obiettivi da perseguire per garantire la gestione secondo criteri
di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, uniformità e appropriatezza
nel sistema di offerta ed equità per l’accesso delle prestazioni e ne verifica il
raggiungimento;
b) provvede al riequilibrio dell’offerta di interventi e servizi sociali sul territorio
mediante l’assegnazione di apposite risorse;
c) provvede al rilascio dell’accreditamento e istituisce l’elenco delle strutture
accreditate;
d) garantisce l’unitarietà degli interventi e degli adempimenti amministrativi,
la territorializzazione di un sistema di servizi a rete, l’operatività del sistema
degli uffici della cittadinanza organizzate nelle Zone sociali.
3. Le funzioni sono esercitate dagli ATI dal momento dell’adozione dei relativi
atti di organizzazione. L’ATI esercita, altresì, le funzioni in materia di politiche
sociali già esercitate da enti, consorzi, associazioni, conferenze e organismi
comunque denominati.
4. L’ATI trasmette alla Giunta regionale entro il 31 marzo di ciascun anno
una relazione sulle attività svolte dalle Zone sociali ricomprese nel territorio
di competenza.
5. L’ATI definisce con proprio regolamento le modalità e i criteri per il funzionamento delle Zone sociali di cui sulla base degli indirizzi stabiliti dalla Giunta
regionale che tengono conto dei principi di differenziazione ed adeguatezza e
della autonomia organizzativa dei comuni.
6. Le attività socio sanitarie integrate, individuate dal Piano attuativo locale
(PAL) e dal Programma attuativo territoriale (PAT), sono svolte da personale
con adeguate competenze tecnico professionali in materia sociale a disposizione dell’ATI e da personale dipendente dalle Aziende unità sanitarie locali.
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Legge regionale
Umbria
22 Dicembre 2003 , n. 24 “Sistema museale regionale - Salvaguardia e
valorizzazione dei beni culturali connessi”
Funzioni attribuite ai Comuni
1. I comuni esercitano tutte le funzioni amministrative e gestionali non espressamente riservate dalla legge allo Stato, alla Regione o alle Province.
2. In applicazione dei principi di cui all’ articolo 3 , commi 1, 2 e 5 del D.Lgs.
n. 112/1998 , i comuni esercitano in particolare le seguenti funzioni:
a) elaborazione e attuazione, per i musei, per le raccolte e per le altre strutture
di cui sono titolari, consegnatari o gestori, dei progetti d’intervento per il conseguimento e per il mantenimento di dotazioni e di prestazioni non inferiori
ai livelli previsti dal Piano regionale di cui all’ articolo 8, impiegando finanziamenti propri ed eventuali contributi da parte della Regione e di altri soggetti
pubblici e privati;
b) interventi per i musei, per le raccolte e per le altre strutture di proprietà
ecclesiastica e privata, su istanza dei soggetti titolari;
c) conclusione di accordi con altri soggetti pubblici, ecclesiastici e privati per
la gestione dei musei, delle raccolte e delle altre strutture di loro competenza
e dei relativi servizi tecnici e culturali, garantendo comunque i livelli minimi di
dotazioni e prestazioni previsti dal Piano regionale.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita le seguenti funzioni:
a) valorizzazione dei beni culturali e ambientali, promozione e organizzazione
di attività culturali ai sensi dell’ articolo 117 della Costituzione ;
b) concorso con lo Stato, mediante forme di intesa e coordinamento, nella
materia della tutela dei beni culturali ai sensi dell’ articolo 118, terzo comma,
della Costituzione ;
c) censimento, inventariazione, catalogazione, documentazione dei beni culturali e sviluppo delle relative banche dati regionali, anche di intesa e in concorso con gli enti locali e i soggetti titolari di musei, di raccolte e di altre strutture
di proprietà ecclesiastica e privata, secondo le metodologie definite in cooperazione con lo Stato ed eventualmente con le altre regioni;
e) cooperazione nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge dello Stato in ordine
alla tutela, con il Ministero per i beni e le attività culturali e i titolari dei beni
mobili di proprietà degli enti locali e di interesse locale, o comunque inclusi
nei musei, nelle raccolte e nelle altre strutture degli enti locali e di interesse
locale, sottoposti a vincolo di tutela o destinatari di appositi contributi finanziari della Regione;
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f) determinazione, in armonia con le disposizioni del D.M. 10 maggio 2001 e
con il Piano regionale , dei contenuti fondamentali da recepire negli statuti e
regolamenti dei musei pubblici del Sistema museale dell’Umbria;
g) determinazione e verifica degli standard qualitativi e quantitativi da assicurare nell’esercizio delle funzioni di conservazione, valorizzazione, gestione e
promozione del patrimonio culturale costituito dalle raccolte, dalle altre strutture e dai musei di proprietà pubblica nel rispetto delle disposizioni dettate
dalla legislazione statale in materia di tutela;
h) determinazione delle linee guida per i profili professionali, i percorsi formativi e le modalità di accreditamento del personale da impiegare nei musei
e nelle altre strutture di proprietà pubblica, nell’ambito dei criteri di cui all’
articolo 149, comma 4, lettera d), del D.Lgs. n. 112/1998 , in armonia con il
D.M. 10 maggio 2001 e con il Piano regionale .
2. La Regione esercita le funzioni attribuite dal D.Lgs. n. 42/2004 , dall’ articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e dal
titolo IV, capo V del D.Lgs. n. 112/1998
Legge regionale
Umbria
Legge regionale
Umbria
L.r. 6 Agosto 2004 , n. 17 Norme in materia di spettacolo.
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni:
a) possono partecipare in forma diretta o convenzionata, con assunzione dei
relativi oneri, alla costituzione ed al funzionamento di soggetti stabili operanti
nel settore dello spettacolo;
b) promuovono e realizzano, nell’ambito della programmazione regionale per
lo spettacolo, il restauro, l’adeguamento funzionale delle sedi destinate ad
attività di spettacolo, la qualificazione delle attrezzature e l’innovazione tecnologica, in funzione della valorizzazione del patrimonio storico e artistico dello
spettacolo;
c) collaborano con l’Osservatorio regionale dello spettacolo,
d) collaborano con le Province a sostenere la diffusione e la crescita della cultura e delle attività musicali di tipo bandistico e corale e delle attività di spettacolo di rilevanza locale.
L.r. 5 Luglio 2004 , n. 9 “Promozione della cultura musicale bandistica e corale.
Funzioni attribuite alle Province
Funzioni riservate alla Regione
La Regione svolge le seguenti funzioni:
a) la promozione di corsi di formazione musicale di tipo corale e bandistico;
b) la promozione e il sostegno di iniziative musicali bandistiche e corali di rilevante interesse artistico;
c) il sostegno a progetti di orientamento musicale di tipo bandistico e corale
realizzati dalle scuole pubbliche.
2. Gli interventi sono attuati in conformità ad un programma annuale adottato dalla Giunta regionale sentiti gli organismi associativi dei complessi bandistici e corali presenti nel territorio regionale.
3. Sono beneficiari degli interventi i Comuni e i complessi bandistici e corali
con sede nel territorio regionale, costituiti con atto pubblico e che abbiano
svolto attività da almeno un anno, gli enti e istituzioni private senza fini di
lucro con finalità educativo-culturali.
1. La Regione stabilisce i criteri e le modalità per la presentazione delle domande, per la concessione dei contributi e per la relativa rendicontazione.
Le Province promuovono e sostengono, anche in collaborazione con i Comuni,
lo spettacolo di rilevanza locale e non professionistico nelle sue diverse espressioni. In particolare:
a) partecipano, in forma diretta o convenzionata, con l’assunzione dei relativi oneri, alla costituzione ed all’attività di soggetti stabili operanti nel settore
dello spettacolo;
b) promuovono la produzione, la distribuzione e la diffusione dello spettacolo
attraverso la messa in rete dei piccoli teatri, con particolare riguardo alla ricerca, alla sperimentazione ed alla formazione del pubblico;
c) promuovono, anche in collaborazione con i Comuni, la diffusione e lo sviluppo delle attività di spettacolo nelle scuole;
d) promuovono la diffusione e la crescita della cultura e delle attività musicali
di tipo bandistico e corale.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita la potestà normativa e di programmazione, le funzioni di
indirizzo, coordinamento e vigilanza. In particolare:
a) promuove e sostiene la produzione e la distribuzione delle attività di spettacolo di rilevanza nazionale e internazionale, con particolare riferimento alle
produzioni realizzate in Umbria;
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b) promuove lo sviluppo dell’imprenditoria dello spettacolo, con particolare
riguardo per quella giovanile;
c) definisce, anche sulla base delle proposte degli enti locali, indirizzi programmatici per il restauro, la ristrutturazione, l’adeguamento funzionale dei teatri
e la costituzione di nuovi spazi dello spettacolo, anche con riferimento alle
opportunità offerte dalla legislazione nazionale e dai programmi dell’Unione
europea;
d) promuove la cultura dello spettacolo, anche prevedendo progetti comuni
con soggetti pubblici e privati;
e) promuove la formazione e l’aggiornamento del personale artistico e tecnico
dello spettacolo, in raccordo con la programmazione regionale in materia;
f) svolge le funzioni di Osservatorio dello spettacolo tramite il competente Servizio della Direzione regionale cultura, turismo, istruzione, formazione e lavoro, anche in collaborazione con gli enti locali, gli operatori dello spettacolo,
gli istituti di ricerca pubblici e privati, per effettuare rilevazioni, analisi e ricerche, valutare la situazione dei diversi comparti dello spettacolo, verificare
l’efficacia dell’intervento regionale;
g) costituisce, in collaborazione con i Comuni e le Province, l’Archivio dei giovani artisti umbri, con funzioni di supporto, documentazione, informazione e
promozione della creatività giovanile in tutte le discipline artistiche, favorendo
il raccordo dell’Archivio con strutture analoghe già operanti sul territorio nazionale e dell’Unione europea;
h) documenta le attività musicali in Umbria, acquisisce, conserva e diffonde i
materiali sonori su ogni tipo di supporto e la letteratura musicale, avvalendosi
della Fonoteca regionale “ Oreste Trotta”. Per il perseguimento delle finalità
suddette, interagisce con gli istituti di educazione musicale di ogni ordine e
grado, con le università, con le istituzioni musicali e gli artisti dell’Umbria;
i) promuove il territorio regionale quale sede di produzioni e di iniziative cinematografiche e televisive avvalendosi del Comitato “ Umbria film commission”,
istituito con atto notarile del 16 luglio 2002.
2. La Regione promuove la realizzazione di circuiti volti a diffondere lo spettacolo nei piccoli comuni e nelle fasce di utenza marginali dell’Umbria.
3. La Regione, anche su indicazione degli enti locali, può stipulare accordi e
convenzioni con soggetti pubblici e privati, per promuovere iniziative che
valorizzano il loro rapporto con il territorio.
Legge regionale
Umbria
L.r.28 Marzo 2006, n. 6 Norme sul diritto allo studio universitario.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione adotta, nel rispetto delle procedure di concertazione e partenariato
istituzionale e sociale, del documento regionale annuale di programmazione e
acquisito il parere della Conferenza permanente Regione-Università , approva
il Piano triennale per il diritto allo studio universitario.
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Il Piano triennale, in particolare, contiene:
a) gli obiettivi generali e di settore da perseguire, nonché le relative priorità;
b) le risorse finanziarie destinate agli interventi previsti;
c) i criteri generali per l’erogazione delle provvidenze e dei servizi;
d) i criteri per la determinazione delle tariffe e la eventuale partecipazione degli
studenti ai costi dei servizi;
e) la definizione degli interventi e dei servizi non destinati alla generalità degli
studenti;
f) i criteri e le modalità relativi al controllo di gestione.
--------------Conferenza permanente Regione-Università.
1. È istituita la Conferenza permanente Regione-Università allo scopo di realizzare la concertazione delle linee e degli indirizzi per la predisposizione del
Piano triennale tra la Regione, le università aventi sede legale in Umbria e le
autonomie locali, nonché il monitoraggio e la valutazione degli interventi.
2. La Conferenza è costituita con decreto del Presidente della Giunta regionale
ed è composta da:
a) il Presidente della Giunta regionale o l’Assessore delegato, con funzioni di
presidente;
b) il Rettore dell’Università degli studi di Perugia o suo delegato;
c) il Rettore dell’Università per stranieri di Perugia o suo delegato;
d) i legali rappresentanti degli istituti di grado universitario aventi sede legale
in Umbria o loro delegati;
e) il Presidente dell’Agenzia per il diritto allo studio universitario di cui all’ articolo 10-bis , o suo delegato;
f) quattro componenti designati dal Consiglio delle autonomie locali individuati tra i rappresentanti dei comuni presso cui hanno sede facoltà, corsi di
laurea, istituti dell’Università degli studi di Perugia;
g) cinque studenti eletti, con voto limitato a tre, dalla Commissione di cui all’
articolo 7 .
3. La Conferenza si riunisce almeno due volte all’anno allo scopo di verificare
l’andamento dell’attuazione del Piano triennale di cui all’ articolo 4 . La Conferenza è convocata in via straordinaria dal suo Presidente, qualora lo richieda
un terzo dei suoi componenti.
4. La Conferenza nella prima seduta, con la maggioranza assoluta dei suoi
componenti, adotta un regolamento per il proprio funzionamento.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
ADiSU.
1. L’attuazione degli interventi previsti dagli atti di programmazione regionale compete all’Agenzia per il diritto allo studio universitario dell’Umbria, di
seguito denominata ADiSU, ente strumentale regionale dotato di personalità
giuridica pubblica, avente autonomia organizzativa, amministrativa contabile
e gestionale, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza della Giunta regionale.
2. L’ADiSU esercita le proprie funzioni con criteri di imprenditorialità ed economicità.
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Legge regionale
Umbria
f) promozione d’interventi diretti a diffondere l’attività motoria e sportiva come
mezzo efficace di prevenzione, mantenimento e recupero della salute psicofisica, nonché a prevenire il fenomeno del doping.
L.r.3 settembre 2009 , n. 19 Norme per la promozione e sviluppo delle
attività sportive, motorie e ricreative. Modificazioni ed abrogazioni.
Legge regionale
Umbria
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni, singoli o associati, concorrono alla programmazione regionale nelle
materie disciplinate dalla presente legge nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa vigente.
2. I comuni esercitano le seguenti funzioni amministrative:
a) attività promozionali concernenti la pratica sportiva nel rispetto delle norme
regionali, statali e comunitarie;
b) elaborazione dei progetti riguardanti l’impiantistica sportiva nel rispetto
delle norme regionali, statali e comunitarie;
c) rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di centri di attività motoria
d) la vigilanza, il controllo e l’irrogazione delle sanzioni amministrative sono di
competenza dei comuni che le esercitano in conformità alla legge 24 novembre
1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), introitandone i relativi proventi
Funzioni attribuite alle Province
Le Province concorrono alla programmazione regionale nelle materie di cui
alla presente legge, nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione
previste dalla normativa regionale vigente.
2. Le province, in coerenza con la programmazione regionale, contribuiscono
alla diffusione della cultura della pratica sportiva e delle attività motorie, assicurando il concorso dei comuni e la partecipazione dell’associazionismo.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita le seguenti funzioni:
a) organizzazione e coordinamento di attività di monitoraggio, studio, ricerca e
costituzione delle banche dati per lo sport;
b) programmazione delle sedi degli impianti e degli spazi destinati alla pratica
sportiva al fine di favorirne un’equilibrata distribuzione sul territorio regionale, nonché il miglioramento e la qualificazione del patrimonio esistente;
c) incentivazione all’accesso al credito per gli impianti e le attrezzature sportive da parte dei soggetti operanti nel settore dello sport anche attraverso convenzioni con gli istituti di credito;
d) promozione ed avviamento alla pratica sportiva dei giovani, anche contrastandone l’abbandono precoce, degli anziani e dei soggetti svantaggiati;
e) definizione degli standard per la formazione degli operatori;
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L.r. 20 marzo 2013 , n. 5 Valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale.
Funzioni riservate alla Regione
1. La Regione favorisce e sostiene attività volte alla valorizzazione dei beni del
patrimonio di archeologia industriale . Le attività possono consistere, tra l’altro, nelle iniziative di seguito elencate:
a) iniziative volte allo studio, alla ricognizione ed alla catalogazione del patrimonio di archeologia industriale;
b) iniziative volte alla salvaguardia e alla fruizione del patrimonio di archeologia industriale;
c) iniziative finalizzate alla divulgazione ed alla didattica, anche attraverso l’organizzazione di laboratori, nelle materie oggetto della presente legge;
d) iniziative volte alla riqualificazione e/o al riuso dei beni, compatibili con
esigenze di conservazione e di tutela;
e) iniziative dirette alla realizzazione di itinerari culturali e di percorsi tematici;
f) iniziative di comunicazione e di promozione turistico-culturale.
2. La Regione favorisce, altresì, la diffusione delle informazioni relative all’archeologia industriale attraverso l’implementazione dei sistemi informativi e
delle applicazioni informatiche.
Commissione regionale per la valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale
La Commissione resta in carica per la durata della legislatura ed è composta
da:
a) due rappresentanti dell’Amministrazione regionale con competenze specifiche nella materia oggetto della presente legge, designati dalla Giunta regionale;
b) tre rappresentanti designati dal Consiglio delle Autonomie locali, con competenze specifiche nella materia oggetto della presente legge.
La Commissione, tenuto conto dei temi all’ordine del giorno, può invitare alle
proprie sedute, senza diritto di voto, Soprintendenti e tecnici del Ministero per
i Beni culturali, rappresentanti di associazioni che si occupano di archeologia
industriale nella Regione ed altri soggetti portatori di specifici interessi, nonché esperti nella materia oggetto della presente legge.
Il Presidente della Commissione è scelto tra i soggetti di cui al comma 2, lettera a);
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La Commissione svolge funzioni consultive e le seguenti attività:
a) formula proposte alla Giunta regionale per la valorizzazione del patrimonio
di archeologia industriale, in particolare, con riferimento alle attività individuate ;
b) esprime parere obbligatorio sul Piano e sul Programma annuale di valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale.
6 - TERRITORIO E AMBIENTE
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Legge regionale
Umbria
28 Novembre 2003 , n. 23 Norme di riordino in materia di edilizia residenziale pubblica
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni trasmettono alla Regione, secondo modalità e tempi stabiliti con
norme regolamentari, i documenti di programmazione comunale che, suffragati dagli elementi emergenti dal contesto sociale ed economico del territorio,
contengono:
a) gli indicatori del fabbisogno fisico nel breve e medio termine espresso anche
dalle domande presentate per l’assegnazione degli alloggi in locazione;
b) l’indicazione della disponibilità di aree o immobili sui quali è possibile localizzare ciascuna categoria di intervento al fine di dimostrare la fattibilità degli
stessi;
c) la previsione del fabbisogno delle risorse necessarie per ciascuna categoria
di intervento;
d) l’indicazione del livello di cofinanziamento comunale per ciascuna categoria
di intervento.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione esercita la funzione di programmazione:
1. Gli indirizzi ed i criteri programmatici di carattere strategico finalizzati alla
realizzazione delle politiche abitative sono contenuti nel piano triennale per
l’edilizia residenziale, che si attua attraverso programmi operativi annuali.
2. Con il piano triennale viene quantificata la dotazione del fondo nel periodo
di riferimento è con successive leggi annuali di bilancio vengono rese disponibili le risorse per dare attuazione alle varie categorie di intervento previste nel
piano.
3. Il piano triennale, secondo gli indirizzi definiti dal DAP, in armonia con la
programmazione regionale di settore e con il Piano urbanistico territoriale,
tiene conto dei fabbisogni primari, espressi anche da particolari categorie sociali. In particolare:
a) stabilisce gli obiettivi generali nel triennio e indica le azioni in cui si articola la politica abitativa regionale, in relazione alle disponibilità delle risorse
finanziarie;
b) ripartisce i finanziamenti per le categorie di intervento ritenute prioritarie ed eventualmente per ambiti territoriali, in relazione anche alla disponibilità
di aree edificabili, di edifici da recuperare e di programmi organici di intervento dei Comuni;
c) tiene conto prioritariamente della necessità di recuperare, a fini abitativi, il
patrimonio edilizio esistente nei centri urbani per limitare ulteriori fenomeni
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di espansione delle città, promuovendo politiche integrate di riqualificazione
urbana e del sistema delle infrastrutture, di miglioramento dei servizi e della
accessibilità dei centri storici;
d) indica i finanziamenti da destinare a specifiche categorie di utenti, tra i
quali portatori di handicap, anziani, giovani, studenti universitari, cittadini
extracomunitari;
e) fissa l’entità dei contributi che possono essere assegnati per ciascuna categoria d’intervento entro i limiti massimi stabiliti dagli articoli 7, 8, 9, 10,
11, 12 e 14;
f) indica i requisiti generali di ammissibilità al finanziamento delle proposte,
con riferimento alla qualità dei progetti ed alla capacità degli operatori pubblici e privati di realizzare e gestire, ove richiesto, gli immobili;
g) riserva una quota di risorse per gli interventi a carattere sperimentale;
h) attiva un sistema di premialità rivolto alle Amministrazioni locali che maggiormente si impegnano, con proprie risorse o con riduzione delle imposte
locali sugli immobili, per raggiungere gli obiettivi fissati ai sensi della presente
legge.
La regione gestisce l’Osservatorio della condizione abitativa, alla cui implementazione ed aggiornamento contribuiscono le ATER, gli enti locali, gli operatori privati, le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria, costituisce il supporto informativo per la rilevazione dei fabbisogni.
La Regione fissa i criteri per la valutazione periodica dei fabbisogni abitativi,
anche avvalendosi della collaborazione dei Comuni e delle ATER.
----------------------------------------Il Comitato permanente per l’edilizia residenziale, competente a formulare
pareri e proposte per la programmazione regionale e per l’attività dell’Osservatorio sulla condizione abitativa.
Il Comitato permanente per l’edilizia residenziale è formato da rappresentanti
della Regione, dell’associazione nazionale Comuni d’Italia, delle ATER, delle
Associazioni regionali delle imprese di costruzione, delle cooperative di produzione e lavoro e delle cooperative di abitazione, delle organizzazioni sindacali
del settore delle costruzioni, degli inquilini e dei proprietari, maggiormente
rappresentative a livello regionale.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Le ATER gestiscono tutto il patrimonio di proprietà pubblica
Le ATER stipulano con gli enti proprietari apposite convenzioni, con le quali
sono disciplinati i compiti di amministrazione e di manutenzione degli alloggi,
di contabilizzazione e di riscossione dei canoni di locazione.
3. Le ATER presentano annualmente alla Giunta regionale una relazione sullo
stato di attuazione dei programmi costruttivi e sulla gestione del patrimonio.
4. Le ATER concorrono alla individuazione del fabbisogno mediante la trasmissione di informazioni sull’utenza che occupa gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e sullo stato manutentivo della stessa,
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Legge regionale
Umbria
L.r. 8 febbraio 2004 , n. 1 Norme per l’attività edilizia.
Funzioni attribuite ai Comuni
Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio
1. I comuni istituiscono la commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, quale organo consultivo cui spetta l’emanazione di pareri, ai fini del
rilascio dei provvedimenti comunali in materia di beni paesaggistici e di interventi in edifici e aree aventi interesse storico, architettonico e culturale,
individuati come tali dalle relative normative e dagli strumenti urbanistici generali o attuativi, nonché dal piano urbanistico territoriale (PUT) e dal piano
territoriale di coordinamento provinciale (PTCP).
2. La commissione, esprime parere relativamente agli interventi che interessano:
a) i siti di interesse naturalistico, le aree di particolare interesse naturalistico
ambientale, nonché quelle di interesse geologico e le singolarità geologiche
b) le aree contigue;
c) i centri storici, gli elementi del paesaggio antico, l’edificato civile di particolare rilievo architettonico e paesistico;
d) gli edifici ricadenti nelle zone agricole censiti dai comuni, quali immobili di
interesse storico-architettonico.
3. La commissione svolge le funzioni consultive in materia ambientale ed
esprime parere sulla qualità architettonica e sull’inserimento nel paesaggio
degli interventi previsti dai piani attuativi. [26]
4. Il comune, con il regolamento edilizio comunale, tenendo anche conto della
eventuale partecipazione dei rappresentanti degli ordini e dei collegi professionali, definisce la composizione, le modalità di nomina e le ulteriori competenze
della commissione, oltre a quelle di cui ai commi 1 e 2, nell’osservanza dei
seguenti criteri:
a) la commissione costituisce organo di norma a carattere tecnico, i cui componenti devono possedere un’elevata competenza e specializzazione, al fine di
perseguire l’obiettivo fondamentale della qualità architettonica e urbanistica
negli interventi;
b) della commissione debbono obbligatoriamente fare parte almeno due esperti in materia di beni ambientali e architettonici, scelti nell’apposito elenco regionale costituito dalla Giunta regionale;
c) della commissione deve obbligatoriamente far parte un geologo, nonché dei
pareri in materia idrogeologica e idraulica;
d) i pareri sono espressi limitatamente agli aspetti compositivi e architettonici
degli interventi e al loro inserimento nel contesto urbano, rurale, paesaggistico-ambientale, nonché per gli aspetti di cui alla lettera c) .
5. La commissione all’atto dell’insediamento può redigere un apposito docu-
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mento guida sui principi e sui criteri compositivi e formali degli interventi di
riferimento per l’emanazione dei pareri.
6. I pareri della commissione di cui al presente articolo, obbligatori e non vincolanti, sono espressi entro trenta giorni dalla data della richiesta avanzata
dal responsabile del procedimento.
Sportello unico per l’edilizia.
1. I comuni, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, anche mediante esercizio in forma associata delle strutture, costituiscono un ufficio
denominato sportello unico per l’edilizia, che cura tutti i rapporti fra il privato,
l’amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine all’intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di
denuncia di inizio attività. I comuni possono affidare allo sportello unico per
l’edilizia la competenza dei procedimenti in materia di attività edilizia di cui
alla presente legge.
2. Lo sportello unico per l’edilizia provvede in particolare:
a) alla ricezione delle denunce di inizio attività, delle domande per il rilascio di
permesso di costruire, delle comunicazioni, delle dichiarazioni e di ogni altro
atto di assenso comunque denominato in materia di attività edilizia e del certificato di agibilità, nonché dei progetti approvati dalla competente soprintendenza ai sensi e per gli effetti degli articoli 36, 38 e 46 del D.Lgs. n. 490/1999 ;
b) all’adozione dei provvedimenti in tema di accesso ai documenti amministrativi, in favore di chiunque vi abbia interesse nonché delle norme comunali di
attuazione;
c) alla consegna dei permessi di costruire, dei certificati di agibilità, nonché
delle certificazioni attestanti le prescrizioni normative e le determinazioni
provvedimentali a carattere urbanistico, paesaggistico-ambientale, edilizio e
di qualsiasi altro tipo, comunque rilevanti ai fini degli interventi di trasformazione edilizia del territorio, ivi compreso il certificato di destinazione urbanistica;
d) alla cura dei rapporti tra l’amministrazione comunale, il privato e le altre
amministrazioni coinvolte nel procedimento relativo all’intervento edilizio oggetto dell’istanza di permesso di costruire, della denuncia di inizio attività o
concernente il certificato di agibilità;
e) al rilascio della certificazione preventiva sulla esistenza e sulla qualità dei
vincoli .
3. Ai fini del rilascio del permesso di costruire o del certificato di agibilità lo
sportello acquisisce direttamente, ove questi non siano stati già allegati dal
richiedente:
a) il parere della competente azienda sanitaria locale (ASL), nel caso in cui non
possa essere sostituito da un’autocertificazione;
b) il parere dei vigili del fuoco, ove necessario, in ordine al rispetto della normativa antincendio.
Legge regionale
Umbria
L.r.8 Luglio 2004 , n. 15 Norme in materia di trasporto di viaggiatori
effettuato mediante noleggio di autobus con conducente.
Funzioni riservate alla Regione
1. La Regione rilascia l’autorizzazione per attività di noleggio alle imprese in
possesso dei requisiti previsti per l’esercizio della professione di trasportatore
di persone che abbiano la sede legale o la principale organizzazione aziendale
nel territorio regionale.
2. L’impresa, al fine del rilascio dell’autorizzazione di cui al comma 1 , deve
presentare un’apposita domanda e dichiarare:
a) la denominazione aziendale;
b) la sede legale o la sede della principale organizzazione aziendale;
c) il possesso dei requisiti di onorabilità, idoneità finanziaria, idoneità professionale e aggiornamento professionale previsti dalla normativa vigente;
d) il numero degli autobus disponibili per il servizio di noleggio;
e) il numero degli eventuali autobus acquistati con il finanziamento pubblico
o cofinanziati;
f) il possesso o meno dell’attestato di idoneità professionale estesa all’attività
internazionale;
g) la natura giuridica del rapporto del personale dell’azienda;
h) il possesso del certificato di abilitazione professionale di cui all’ articolo
116, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni, da parte del personale destinato alla guida degli autobus;
i) il numero dei conducenti;
j) l’iscrizione, per le finalità di cui all’ articolo 6 , al ruolo regionale prevista
dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21 .
3. Alla domanda di cui al comma 2 è allegata:
a) per i conducenti, la dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa da
cui si evince la qualità di dipendente, o di lavoratore con contratti temporanei
consentiti dalla normativa vigente e la documentazione attestante la qualità di
titolare socio o collaboratore familiare con l’iscrizione al registro delle imprese
presso la Camera di commercio competente per territorio;
b) la documentazione attestante la tipologia dei contratti collettivi di categoria
applicati al personale.
4. La Regione stabilisce, con apposito atto, modalità e procedure per la verifica
della permanenza dei requisiti di cui ai commi 2 e 3. La verifica è effettuata
ogni due anni.
5. L’impresa è tenuta a comunicare alla Regione le eventuali variazioni rispetto ai requisiti dichiarati e previsti ai commi 2 e 3 entro quindici giorni dall’avvenuta variazione.
1. La Giunta regionale istituisce e gestisce il registro delle imprese.
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Legge regionale
Umbria
L.r. 22 Febbraio 2005 , n. 11 Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale.
Funzioni attribuite ai Comuni
I comuni possono stabilire indici di utilizzazione territoriale per la realizzazione di nuovi edifici, inferiori agli indici massimi stabiliti , anche tenendo conto
del sistema e delle unità di paesaggio, ove previste dallo strumento urbanistico generale, e della normativa paesistica, per particolari interessi ambientali
da tutelare, nonché tenendo conto delle disposizioni legislative in materia di
distretti rurali e agroalimentari di qualità.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione disciplina compiutamente il piano regolatore generale dei Comuni
1. Il piano regolatore generale (PRG) è lo strumento di pianificazione con il
quale il comune, sulla base del sistema delle conoscenze e delle valutazioni ,
stabilisce la disciplina urbanistica per la valorizzazione e la trasformazione del
territorio comunale, definendo le condizioni di assetto per la realizzazione di
uno sviluppo locale sostenibile, nonché individua gli elementi areali, lineari e
puntuali del territorio sottoposto a vincoli e stabilisce le modalità per la valorizzazione ambientale e paesaggistica.
2. Il PRG è composto da:
a) una parte strutturale che, in coerenza con gli obiettivi e gli indirizzi della programmazione regionale e della pianificazione territoriale provinciale ,
con particolare riferimento al Piano urbanistico territoriale (PUT) e al Piano
territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), e tenendo conto delle relazioni con altri territori comunali coinvolti, definisce le strategie per il governo
dell’intero territorio comunale, provvedendo a:
1) identificare le componenti strutturali del territorio;
2) articolare il territorio comunale in sistemi ed unità di paesaggio;
3) configurare il sistema delle principali attività e funzioni urbane e territoriali,
anche definendo scenari di sviluppo qualitativo e quantitativo atti a caratterizzarne la sostenibilità;
4) indicare le azioni di conservazione, di valorizzazione e di trasformazione
considerate strategiche ai fini dello sviluppo sostenibile;
b) una parte operativa, che individua e disciplina gli interventi relativi alle
azioni di conservazione, valorizzazione e trasformazione del territorio, considerate strategiche nella parte strutturale, nel rispetto degli scenari qualitativi e
quantitativi da quest’ultima definiti e con specifica attenzione alle dimensioni
sociali, economiche, ambientali e morfologico-funzionali degli interventi.
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4. Il PRG di norma è redatto da un gruppo multidisciplinare di progettazione,
atto a garantire le competenze necessarie rispetto alle valenze spaziali, fisiche,
sociali, culturali ed economiche del territorio e dell’insediamento.
La Regione, sentito il Consiglio delle Autonomie locali, adotta inoltre, norme
regolamentari attuative della presente legge, con riferimento:
a) alla disciplina del piano comunale dei servizi alla popolazione, contenente
l’individuazione dei comuni che devono provvedere all’approvazione del piano
stesso;
b) alle dotazioni territoriali e funzionali minime degli insediamenti;
c) alle situazioni insediative, per le quali sono definiti parametri qualitativi
anche in riferimento alle destinazioni d’uso ammesse;
d) alla disciplina delle modalità dell’esercizio del potere sostitutivo regionale,;
e) alla definizione delle ipotesi in cui è obbligatoria la formazione del piano
attuativo ;
f) agli elaborati del PRG;
g) agli elaborati del piano attuativo, ivi compreso lo schema di convenzione per
regolare i rapporti connessi alla sua attuazione;
2. La Regione, al fine di assicurare l’uniformità dell’applicazione delle disposizioni contenute nella presente legge adotta atti di indirizzo volti:
a) alla definizione, ai fini della formazione del quadro conoscitivo, delle modalità e degli elementi integrativi, nonché alla definizione dei contenuti del documento di bilancio urbanistico-ambientale e del documento di valutazione;
b) a definire criteri e linee di indirizzo finalizzate alla sostenibilità ambientale
degli interventi nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale;
c) alla definizione del contenuto della convenzione
d) alla definizione dei contenuti, delle condizioni e delle limitazioni, del piano
aziendale e del piano aziendale convenzionato;
e) all’individuazione delle tipologie di serre che non comportano trasformazione permanente del suolo e quindi non costituiscono superficie utile coperta
Legge regionale
Umbria
L.r. 28 Febbraio 2005 , n. 20 Norme in materia di prevenzione dall’inquinamento luminoso e risparmio energetico.
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni, si dotano di un Piano per l’illuminazione, disciplinando le nuove
installazioni in conformità al regolamento regionale e perseguendo i seguenti
obiettivi:
a) riduzione dell’inquinamento luminoso;
b) risparmio energetico;
c) sicurezza del traffico veicolare e pedonale;
d) sicurezza dei cittadini;
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e) ottimizzazione dei costi di esercizio e di manutenzione degli impianti.
2. Il Piano per l’illuminazione provvede altresì al censimento degli osservatori
astronomici professionali e non professionali, delimitando aree di particolare
sensibilità intorno alle strutture sede di osservatori astronomici professionali
e non professionali.
3. Dalla data di entrata in vigore del regolamento i comuni assoggettano ad
autorizzazione tutti gli impianti di illuminazione esterna, pubblici e privati,
verificando la conformità dei progetti e dei capitolati ai criteri stabiliti dal regolamento stesso.
4. I Comuni provvedono altresì:
a) alla verifica, all’interno del perimetro delle aree di particolare sensibilità ,
degli impianti esistenti non corrispondenti ai requisiti prescritti con conseguente emanazione di provvedimenti idonei a garantirne l’adeguamento, entro
tre anni dalla data di entrata in vigore del regolamento a partire dagli impianti
maggiormente inquinanti. Per gli osservatori astronomici professionali e non
professionali situati in centri abitati con popolazione superiore a ventimila
abitanti, il piano per l’illuminazione può prevedere termini diversi, dando priorità all’adeguamento degli impianti esistenti maggiormente inquinanti;
b) all’emanazione di provvedimenti volti ad imporre la posa in opera di schermature o dispositivi di protezione delle sorgenti altamente inquinanti in accordo con le disposizioni del regolamento
c) all’applicazione delle sanzioni amministrative.
d) i criteri per la predisposizione del piano comunale dell’illuminazione pubblica di cui all’ articolo 3 ;
e) i criteri per l’individuazione e le misure da applicare nelle zone di particolare
protezione degli osservatori astronomici.
5. Anche ai fini della stesura del regolamento attuativo, tutti i nuovi impianti
di illuminazione pubblica e privata realizzati sul territorio regionale devono
essere realizzati secondo criteri antinquinamento luminoso ed a ridotto consumo energetico e devono quindi possedere, contemporaneamente, i seguenti
requisiti minimi:
a) apparecchi che, nella loro posizione di installazione, hanno una distribuzione dell’intensità luminosa massima di 0 candele per 1000 lumen per angoli
gamma uguali a 90 gradi ed oltre;
b) lampade con la più alta efficienza possibile in relazione allo stato della tecnologia e tenuto conto della specifica applicazione;
c) luminanza media della superficie illuminata non superiore ad una candela
per metro quadrato ovvero, per gli impianti finalizzati alla sicurezza di persone
o cose, non superiore ai valori minimi prescritti dalle norme che ne disciplinano l’illuminazione;
d) impiego, a parità di luminanza, di apparecchi che conseguano impegni ridotti di potenza elettrica, condizioni ottimali di interasse dei punti luce e ridotti costi manutentivi;
e) dispositivi in grado di ridurre entro le ore ventiquattro l’emissione di luce
in misura non inferiore al trenta per cento rispetto ai valori di pieno regime di
operatività.
Funzioni riservate alla Regione
1. La Regione concorre all’attuazione del piano energetico nazionale, mediante
la promozione di iniziative finalizzate all’adeguamento degli impianti di illuminazione esterna esistenti, in conformità alle prescrizioni della presente legge e
dei piani per l’illuminazione di cui all’ articolo 3 .
2. La Regione provvede inoltre, nell’ambito delle attività di educazione ambientale, alla divulgazione delle informazioni sull’inquinamento luminoso, all’aggiornamento tecnico-professionale del personale delle pubbliche amministrazioni dotate di competenza in materia, nonché alla erogazione di incentivi per
l’adeguamento degli impianti di illuminazione esterna esistenti.
3. La Regione provvede altresì ad un periodico monitoraggio dell’inquinamento
luminoso, avvalendosi del supporto tecnico dell’ARPA nonché della collaborazione di istituzioni scientifiche operanti in materia di inquinamento luminoso.
4. La Regione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, adotta
un regolamento per disciplinare l’attività in materia di prevenzione e riduzione
dell’inquinamento luminoso con il quale provvede, in particolare, a definire:
a) i requisiti tecnici per la progettazione, l’installazione e la gestione degli impianti di illuminazione esterna;
b) la tipologia degli impianti di illuminazione esterna, compresi quelli a scopo
pubblicitario, da assoggettare ad autorizzazione da parte dell’amministrazione
comunale e le relative procedure;
c) le modalità ed i termini per l’adeguamento degli impianti esistenti ai requisiti tecnici di cui alla lettera a) ;
96
Legge regionale
Umbria
L.r. 18 novembre 2008 , n. 17 Norme in materia di sostenibilità ambientale degli interventi urbanistici ed edilizi.
Funzioni attribuite ai Comuni
I Comuni, dopo l’emanazione da parte della Regione delle norme regolamentari :
a) adeguano il regolamento comunale per l’attività edilizia alle disposizioni
della presente legge e delle relative norme regolamentari;
b) stabiliscono la riduzione degli oneri di urbanizzazione secondaria e del costo di costruzione
c) definiscono gli incentivi in materia di imposte o tasse comunali .
I Comuni, nella formazione e approvazione degli strumenti urbanistici, applicano le disposizioni di urbanistica ed edilizia sostenibile di cui alla presente
legge.
97
Funzioni riservate alla Regione
La Regione e adotta la cartografia .
La Regione adotta norme regolamentari attuative con particolare riferimento:
a) alla definizione del disciplinare tecnico per la valutazione della sostenibilità
ambientale degli edifici ;
b) alla definizione dei criteri sulle caratteristiche ed utilizzazione dei materiali ;
c) alla definizione dei requisiti di sostenibilità ambientale.
L.r.20 luglio 2008 , n. 12
Norme per i centri storici.
I Comuni, anche in forma associata e con il concorso dei cittadini, delle associazioni di categoria degli operatori economici, dei portatori di interessi collettivi e delle istituzioni pubbliche o di interesse pubblico, redigono il quadro
strategico di valorizzazione dei centri storici e delle altre parti di tessuto urbano contigue che con essi si relazionano.
La redazione e l’approvazione del quadro strategico è obbligatoria solo per i
Comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti o con il centro storico
di estensione superiore a quattordici ettari di superficie territoriale.
3. Il quadro strategico, redatto secondo le linee guida approvate dalla Giunta
regionale, contiene, in particolare:
a) l’analisi delle criticità e delle potenzialità di sviluppo del centro storico;
b) l’indicazione del ruolo che il centro storico può svolgere nel proprio contesto
territoriale mediante l’insediamento e lo sviluppo di attività e funzioni con esso
coerenti e compatibili;
c) l’indicazione delle azioni strategiche a carattere pluriennale e la sequenza
temporale di realizzazione delle stesse, con le relative motivazioni, nonché degli strumenti anche di carattere urbanistico da utilizzare;
d) gli interventi concreti che si intendono attivare;
e) le procedure e le modalità per verificare lo stato di attuazione degli interventi di cui alla lettera d) , mediante un apposito monitoraggio;
f) il piano economico e finanziario;
g) i programmi di formazione professionale per operatori del commercio, turismo, servizi e artigianato;
h) i programmi, piani e progetti di promozione e sviluppo di centri commerciali
naturali, centri polifunzionali di servizi e attività di prossimità,;
i) la qualificazione della segnaletica toponomastica, turistica, commerciale, di
pubblica utilità e dei servizi nonché della cartellonistica pubblicitaria, secondo
i criteri e gli indirizzi della Regione
l) l’elenco dei beni di interesse pubblico di valore culturale di portata storica e
di valore ambientale;
m) l’indicazione degli strumenti di carattere normativo, procedurale amministrativo, partecipativo, organizzativo e gestionale necessari per l’attuazione del
quadro strategico.
4. Il quadro strategico è approvato dal Comune ed è sottoposto a verifica con
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modalità e frequenza stabilite dal Comune stesso.
5. Il Comune ed i soggetti interessati, con riferimento alle scelte e previsioni
contenute nel quadro strategico che richiedono azioni integrate e coordinate,
concludono accordi o protocolli d’intesa, anche con valenza contrattuale.
La Regione svolge azioni per favorire nei centri storici la redazione, da parte
dei Comuni, dei quadri strategici di valorizzazione, e l’attuazione dei programmi urbanistici e dei piani attuativi
La Regione concorre al finanziamento della redazione dei quadri strategici di
valorizzazione, alla elaborazione di studi, di ricerche sui centri storici ed all’attuazione delle azioni strategiche.
L.r. 3 maggio 2009 , n. 11
Norme per la gestione integrata dei rifiuti e la bonifica delle aree
inquinate.
Funzioni attribuite ai Comuni
Funzioni dei comuni.
1. I comuni esercitano le seguenti funzioni amministrative:
a) controllo del corretto conferimento da parte dei cittadini dei rifiuti urbani ed
assimilati ai servizi di raccolta nell’ambito del proprio territorio;
b) promozione e conclusione di accordi con organismi pubblici e privati al fine
di garantire una maggiore efficacia alle azioni e agli interventi volti alla raccolta dei rifiuti e alla pulizia delle aree e degli spazi urbani;
c) approvazione della realizzazione dei centri di raccolta o loro adeguamento
alle norme vigenti; rilascio, rinnovo e modifica dell’autorizzazione alla gestione
degli stessi.
2. Nella redazione del Piano regolatore, parte operativa, i comuni individuano
le aree di servizio per la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e dei rifiuti
inerti, dimensionandole in proporzione alla quantità dei rifiuti prodotti.
3. I comuni adeguano i propri regolamenti edilizi a quanto previsto nella progettazione degli interventi edilizi con riferimento all’individuazione degli spazi
da destinare al conferimento da parte degli utenti dei rifiuti differenziati.
4. I comuni esercitano, altresì, le funzioni ad essi attribuite dagli articoli 198
e 255 del d.lgs. 152/2006.
Funzioni attribuite alle Province
Le province esercitano le funzioni di cui agli articoli 215 e 216 del d.lgs.
152/2006 .
2. Le province esercitano, altresì, le funzioni amministrative di cui all’ articolo
197 del d.lgs. 152/2006 e recepiscono nel Piano territoriale di coordinamento
provinciale (PTCP) le aree non idonee e le aree potenzialmente idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti,
99
Funzioni riservate alla Regione
Funzioni della Regione.
1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo attribuite dalla presente legge e in particolare:
a) verifica la coerenza del Piano d’ambito rispetto alle previsioni del Piano regionale per la gestione dei rifiuti, di seguito denominato Piano regionale, con
particolare riguardo ai seguenti aspetti:
1) raggiungimento degli obiettivi di contenimento della produzione dei rifiuti,
di sviluppo dei servizi di raccolta differenziata a carattere domiciliare e di recupero dei rifiuti;
2) dotazione dell’offerta impiantistica ovvero della rete delle strutture a supporto della raccolta differenziata, degli impianti dedicati al trattamento della
frazione organica e del verde da raccolta differenziata, degli impianti di pretrattamento del rifiuto residuo, degli impianti di smaltimento finale e degli
impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti inerti;
3) promozione dello sviluppo, in conformità con la normativa statale, di sistemi di tariffazione che possono consentire la modulazione degli oneri a carico
degli utenti anche in funzione della quantità e della qualità dei rifiuti prodotti;
4) previsioni in merito alla distribuzione dei costi dei servizi;
5) tariffazione per i servizi di smaltimento;
b) promuove il coordinamento tra gli Ambiti territoriali integrati e l’integrazione delle politiche di gestione dei rifiuti;
c) favorisce l’aggregazione, anche progressiva, della gestione degli impianti di
smaltimento finale presenti nella regione, per disegnare un sistema impiantistico omogeneo ed improntato alla valorizzazione energetica dei rifiuti e allo
smaltimento in discarica dei soli flussi residui;
d) stabilisce indirizzi e criteri generali per il rilascio delle autorizzazioni, ivi
comprese le modalità di prestazione delle garanzie finanziarie e relativi importi;
e) stabilisce indirizzi e criteri generali per la comunicazione di inizio attività,
ivi comprese le modalità di prestazione delle garanzie finanziarie e relativi importi.
2. La Regione esercita, altresì, le seguenti funzioni:
a) concede contributi e irroga sanzioni agli ATI in funzione dei risultati di raccolta differenziata conseguiti dai comuni sulla base delle previsioni di legge ;
b) sostiene gli interventi di riorganizzazione dei servizi orientati alla progressiva estensione delle forme di raccolta differenziata domiciliare;
c) provvede alla comunicazione e diffusione, a soggetti pubblici e privati, dei
dati trasmessi dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale di seguito
denominata ARPA;
d) certifica la quantità dei rifiuti urbani e assimilati prodotti e i valori di raccolta differenziata conseguiti da ciascun ATI e da ciascun comune;
e) rilascia le autorizzazioni alla realizzazione e all’esercizio di impianti di ricerca e di sperimentazione;
f) indice la Conferenza di servizi e adotta i provvedimenti conseguenti i quali
prevedono i termini per la realizzazione degli interventi, per la procedura e per
100
la presentazione di eventuali integrazioni dei progetti.
3. La Regione provvede, inoltre, in ordine:
a) alla verifica di coerenza della localizzazione dei nuovi impianti previsti dagli
ATI;
b) alla valutazione dell’efficacia delle azioni previste dal Piano regionale e all’analisi degli eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi fissati dalla pianificazione regionale e dalle pianificazioni di ambito ai fini del conseguimento degli
obiettivi di recupero, autosufficienza del sistema di trattamento e smaltimento
sia a livello regionale che a livello dei singoli ATI;
c) alla adozione di interventi correttivi ed integrativi necessari a garantire il
conseguimento degli obiettivi previsti dal Piano regionale;
d) alla analisi delle complessive capacità del sistema di trattamento e smaltimento e valutazione della eventuale necessità di potenziamento degli impianti
tenuto anche conto delle capacità residue delle discariche.
4. La Regione definisce, di concerto con le province, i criteri per la localizzazione e l’individuazione delle aree non idonee e delle aree potenzialmente idonee
alla localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti, al fine di perseguire il
corretto e ottimale inserimento degli stessi sul territorio e prevenire e contenere i potenziali impatti derivanti.
Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi
Funzioni dell’Ambito territoriale integrato.
1. Ciascun ATI esercita le seguenti funzioni:
a) organizza il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e definisce gli
obiettivi da perseguire;
b) elabora, approva e aggiorna il Piano d’ambito ;
c) effettua il controllo ed il monitoraggio sull’attuazione del Piano d’ambito con
particolare riferimento all’evoluzione dei fabbisogni ed all’offerta impiantistica
disponibile e necessaria;
d) assegna i contributi e irroga le sanzioni ai Comuni in funzione del conseguimento dei risultati di raccolta differenziata;
e) determina la tariffa di ATI, ;
f) definisce le procedure di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani e assimilati
2. L’ATI promuove accordi di programma con soggetti pubblici e privati di
riconosciuta competenza in materia di rifiuti, al fine di perseguire il miglioramento qualitativo del servizio di gestione integrata dei rifiuti e il controllo della
gestione.
3. L’ATI, sulla base dei criteri e delle modalità stabilite dalla Giunta regionale,
fornisce all’ARPA, con periodicità almeno trimestrale, i dati della raccolta e
produzione dei rifiuti urbani ed assimilati, nonché tutte le informazioni sulla
gestione dei rifiuti, con espresso riferimento ai dati sulla produzione per ciascun comune della quantità di rifiuti raccolta in forma differenziata e indifferenziata, per consentirne la validazione e l’elaborazione a cura dell’Osservatorio regionale.
101
4. L’ATI trasmette alla Giunta regionale, entro il 31 marzo di ogni anno, una
relazione sullo stato di attuazione del Piano d’ambito.
5. Al fine di uniformare i regolamenti comunali l’ATI adotta un regolamento
tipo per tutti i comuni del proprio ambito in coerenza con le previsioni del Piano d’ambito.
6. L’ATI istituisce il Comitato consultivo degli utenti del servizio di gestione
integrata dei rifiuti.
-----------------------------------Funzioni dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale.
1. L’ARPA provvede:
a) alla gestione della Sezione regionale del Catasto dei rifiuti;
b) alla gestione del programma di monitoraggio del Piano regionale attraverso
la raccolta dei dati trasmessi, entro il 31 gennaio di ogni anno, dai comuni,
dalle province, dagli ATI e dai gestori degli impianti e di tutte le informazioni
utili al popolamento del sistema di monitoraggio;
c) alla trasmissione alla Giunta regionale di un rapporto semestrale sulla gestione dei rifiuti urbani;
d) alla realizzazione e gestione, secondo criteri definiti dalla Giunta regionale,
di un sistema informativo di tutti i dati inerenti i rifiuti e le aree da bonificare.
Il sistema deve contenere almeno le seguenti banche dati:
1) modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) al fine di fornire un quadro conoscitivo della produzione e della gestione dei rifiuti speciali, nonché
della loro movimentazione da e verso il territorio regionale;
2) anagrafe delle autorizzazioni ;
3) anagrafe delle comunicazioni relative agli impianti di recupero dei rifiuti;
4) anagrafe delle iscrizioni relative ai trasportatori e gestori degli impianti;
5) archivio delle apparecchiature contenenti policlorobifenile (PCB) e delle altre particolari categorie di rifiuti.
Osservatorio regionale sulla produzione, raccolta, recupero, riciclo e smaltimento dei rifiuti.
1. È istituito, presso l’ARPA, l’Osservatorio sulla produzione, raccolta, recupero, riciclo e smaltimento dei rifiuti.
2. L’Osservatorio è costituito con decreto del Presidente della Giunta regionale
ed è composto da esperti in materia di rifiuti:
a) tre designati dall’ARPA di cui uno con funzioni di Presidente;
b) tre designati dalla Giunta regionale;
c) uno designato da ciascuna provincia;
d) uno designato da ciascun ATI;
e) uno designato dall’Albo nazionale gestori ambientali - Sezione regionale.
3. L’Osservatorio coordina le attività di monitoraggio e controllo dell’attuazione del Piano regionale , in particolare svolge le seguenti attività:
a) verifica e validazione delle quantità dei rifiuti prodotte e conferite al servizio
pubblico di gestione integrata con riferimento ad ogni ATI e ad ogni singolo
comune;
102
b) verifica annuale delle quote percentuali di rifiuti intercettate attraverso le
azioni di raccolta differenziata con riferimento ad ogni ATI e ad ogni singolo
comune;
c) verifica trimestrale dei dati gestionali degli impianti per rifiuti urbani, con
particolare riferimento ai quantitativi di rifiuti urbani e speciali conferiti in
discarica;
d) analisi dei modelli adottati dai soggetti gestori in materia di organizzazione,
gestione, controllo e programmazione dei servizi e dei correlati livelli di qualità
dell’erogazione nonché degli impianti;
e) trasmissione di una relazione annuale da inviare alla Giunta regionale, entro il 31 marzo, relativa alle attività di cui alle lettere a), b) e c);
f) supporto allo sviluppo delle azioni attuative del Piano regionale per quanto
di competenza della Regione.
4. L’Osservatorio collabora con l’Osservatorio nazionale dei rifiuti
Legge regionale
Umbria
L.r. 7 gennaio 2010, n. 5
Disciplina delle modalità di vigilanza e controllo su opere e costruzioni in zone sismiche.
Funzioni attribuite alle Province
Sono delegate alla provincia le funzioni amministrative concernenti le opere
per il consolidamento di abitati e le funzioni del dirigente o responsabile del
competente ufficio comunale , in merito ai controlli e accertamenti delle violazioni.
Funzioni riservate alla Regione
La Regione svolge le funzioni di indirizzo e coordinamento per l’esercizio delle
competenze di cui alla presente legge e promuove un’adeguata formazione in
materia sismica.
La Regione favorisce indagini per la valutazione del rischio sismico, finalizzate
alla definizione del programma di prevenzione sismica
La Regione esercita le funzioni amministrative in materia di opere pubbliche
la cui esecuzione è di competenza della Regione.
103
PARTE QUINTA
104
105
Giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di attribuzione di funzioni amministrative agli EE.LL.
SENTENZA N. 22
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,
Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,
Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 19 del decreto-legge 6 luglio
2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale
delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Lazio, Veneto, Campania, dalla Regione autonoma Sardegna e dalla Regione Puglia con
ricorsi notificati il 12-17, il 12, il 13-17, il 12 e il 15-18 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16, il 17, il 18, il 19 e il 24 ottobre 2012 e rispettivamente
iscritti ai nn. 145, 151, 153, 160 e 172 del registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Marcello Cecchetti per la Regione Puglia, Francesco Saverio
Marini per la Regione Lazio, Luigi Manzi, Daniela Palumbo e Mario Bertolissi
per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania, Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello
Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
106
107
Ritenuto in fatto
1.– Le Regioni Lazio, Veneto, Campania e Puglia, e la Regione autonoma Sardegna, con i ricorsi in epigrafe, hanno proposto questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni
urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore
bancario), convertito, con modificazioni, dell’art. 1, comma 1, della legge 7
agosto 2012, n. 135, e, tra queste, dell’art. 19.
In particolare, le disposizioni censurate sono quelle di cui al comma 1, lettere
a), b), c), d), e), ed ai commi da 2 a 6, con la precisazione, però, che le questioni relative ai commi 2, 5 e 6 sono state riservate a separata trattazione nella
stessa udienza pubblica del 3 dicembre 2013.
In estrema sintesi, l’art. 19, per quanto forma in questa sede oggetto di impugnazione, rispettivamente:
– al comma 1, lettera a) – che reca il nuovo testo del comma 27 dell’art. 14 del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 – ridefinisce le funzioni
fondamentali dei Comuni ai sensi della lettera p) dell’art. 117, secondo comma, Cost.
– al comma 1, lettera b) – che sostituisce il comma 28 dell’art. 14 anzidetto –
dispone, con riferimento ai Comuni con popolazione fino ai 5.000 abitanti, l’esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante
unione di Comuni o convenzioni di durata triennale;
– al comma 1, lettera c) – che aggiunge il comma 28-bis al citato art. 14 – prevede che alle unioni di Comuni di cui al riscritto precedente comma 28 si applichi la disciplina di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e successive modificazioni; e che ai Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti si applichi
quanto previsto al comma 17, lettera a), dell’art. 16 del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per
lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14
settembre 2011, n. 148, a norma del quale il Consiglio comunale è composto
dal sindaco e da sei consiglieri;
– al comma 1, lettera d) – che sostituisce il comma 30 dello stesso art. 14 –
dispone che le Regioni, nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto,
Cost., individuano le dimensioni territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni;
108
– al comma 1, lettera e) – che sostituisce il comma 31 del medesimo art. 14 –
individua il limite demografico minimo delle unioni di Comuni in 10.000 abitanti, salva diversa determinazione da parte della Regione;
– al comma 3 – che sostituisce l’art. 32 del citato d.lgs. n. 267 del 2000 – pone
una disciplina articolata delle unioni di Comuni, con differenti profili, attinenti
alle procedure di istituzione ed alla struttura organizzativa delle unioni, nonché alla disciplina delle funzioni che queste ultime sono destinate a svolgere;
– al comma 4 prevede, per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, una
facoltà di scelta tra i modelli organizzativi di cui ai precedenti commi 1 e 2.
2.– La Regione Lazio deduce che la disciplina recata dall’art. 19 denunciato
– e, secondo il tenore della prospettazione, in particolar modo quella di cui al
comma 1, lettere da a) a d) – violerebbe il combinato disposto degli artt. 117,
secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost., ledendo le attribuzioni costituzionali regionali, dovendo essere ricondotta nell’alveo di siffatte
attribuzioni «la regolazione delle associazioni degli enti locali», là dove lo Stato
dovrebbe «limitarsi a stabilire la disciplina in tema di “legislazione elettorale,
organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, restando evidentemente esclusi da tale “voce” tutti gli aspetti riguardanti l’associazionismo di tali enti».
In questi termini – sottolinea la ricorrente – si sarebbe orientata la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 456 del 2005, n. 244 del 2005 e n. 229
del 2001), mettendo in luce il carattere «puntuale» della «tassativa» elencazione
«degli enti, e degli aspetti della loro disciplina, contenuta nell’art. 117, comma
secondo, lettera p)».
E tali conclusioni la medesima ricorrente ha ribadito con memoria depositata
in prossimità dell’udienza del 3 dicembre 2013 (cui è stata rinviata, a seguito
di ordinanza n. 227 del 2012, la trattazione delle questioni), nella quale aggiunge che, sulla scorta dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale
(sentenza n. 27 del 2010), l’esercizio associato di funzioni da parte degli enti
locali è da ascriversi alla potestà legislativa residuale delle Regioni, salva l’eventualità di un intervento di contenimento della spesa pubblica in base ai
principi di coordinamento della finanza pubblica, che però, nel caso di specie,
non sarebbe ravvisabile, posto che la normativa denunciata risulta dettagliata
e non transitoria.
3.– Anche la Regione Veneto assume che il denunciato art. 19, con le sue
plurime disposizioni (e, in particolare, i commi 1, lettere da b ad e, e 3) – le
quali, là dove attengono specificamente ai Comuni, sono suscettibili di essere
impugnate dalla Regione, giacché i profili di illegittimità che le riguardano «si
traducono in altrettante violazioni dell’autonomia regionale costituzionalmente garantita» – violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, quarto comma, Cost.,
dal quale, letto in combinato disposto con il secondo e il terzo comma dello
109
stesso art. 117, si ricaverebbe che la materia «forme associative tra gli enti
locali» rientra nella potestà legislativa regionale residuale. Il che sarebbe, del
resto, confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 27
del 2010, n. 237 del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005), che ha escluso, in riferimento alle comunità montane (e lo stesso varrebbe per le unioni di Comuni
alle quali ha riguardo la norma denunciata), l’intervento della competenza
statale di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., ascrivendo
la relativa disciplina alla competenza residuale delle Regioni.
Invero, nonostante le disposizioni di cui all’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, siano qualificate come
norme di «coordinamento della finanza pubblica», esse sarebbero ben lungi dal
costituire principi fondamentali di siffatta materia, posto che, per un verso,
non si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, «intesi
nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale,
della spesa corrente»; e, per altro verso, prevedono «in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi».
Inoltre, sarebbe violato anche l’art. 118, primo comma, Cost., il quale non fa
riferimento alle unioni di Comuni o alle convenzioni tra Comuni, che, pertanto, «dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art. 114
Cost., libere forme associative cui il Comune può (non deve) ricorrere».
Infine, la Regione Veneto sostiene che il «complesso di censure avanzate nei
confronti dell’art. 19» condurrebbe a ritenere sussistente anche la violazione
dell’art. 119 Cost., «peraltro anche con riguardo all’autonomia finanziaria di
entrata e di spesa dei Comuni», nonché degli artt. 3 e 97 Cost., «specialmente
per il fatto che i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti sono obbligati
tout court (e quindi in violazione del principio costituzionale di differenziazione) all’esercizio mediante unione di Comuni o convenzione delle loro funzioni
fondamentali».
3.1.– In prossimità dell’udienza del 3 dicembre 2013, la Regione Veneto ha
depositato memoria con la quale insiste per l’illegittimità costituzionale delle
denunciate disposizioni dell’art. 19.
4.– La Regione Campania ritiene, a sua volta, illegittimo il comma 1, lettera
a) dell’art. 19, «nella parte in cui, nel modificare la disciplina delle funzioni fondamentali dei comuni precedentemente recata dall’art. 14, comma 27,
decreto-legge n. 78/2010, riconosce in materia alle Regioni le sole funzioni
di programmazione e di coordinamento, spettanti nelle materie di cui all’art.
117, commi terzo e quarto, Cost., nonché quelle esercitate ai sensi dell’art.
118 Cost.».
La ricorrente osserva al riguardo che la norma denunciata, nel circoscrivere il
ruolo delle Regioni a quello dell’esclusivo svolgimento dei compiti di programmazione e coordinamento, di fatto sottrarrebbe agli stessi enti «tutte le fun110
zioni non espressamente richiamate, malgrado le stesse siano pacificamente
spettanti ai sensi del chiaro disposto degli artt. 117 e 118 Cost.».
Invero, si evincerebbe dall’art. 118 Cost. che la Regione è titolare «di un ampio novero di funzioni che potrà delegare ai comuni o alle province o alle città
metropolitane» e che tale attribuzione in concreto necessita di una legge di
conferimento, come pure ribadito dall’art. 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). Sicché, il legislatore (statale e regionale)
ha il compito di conferire ai Comuni le funzioni amministrative precedentemente esercitate, con contestuale trasferimento delle risorse necessarie, potendo però «provvedere all’allocazione delle funzioni medesime ad un livello diverso da quello comunale, laddove ciò permetta il loro migliore esercizio». Ciò,
tuttavia, non escluderebbe che, «nella propria opera di concreta destinazione
delle funzioni amministrative rientranti nelle materie di propria competenza»
(ai sensi dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.), la Regione possa anche
riservarsi «l’esercizio di compiti diversi ed ulteriori rispetto a quelli di programmazione e coordinamento».
La norma denunciata limiterebbe, invece, il ruolo regionale allo svolgimento
esclusivo di compiti di programmazione e controllo, ridimensionando in modo
illegittimo il potere della Regione «di optare per un diverso sistema di riparto delle funzioni amministrative»; ciò determinando un vulnus agli artt. 117,
commi terzo e quarto, e 118 Cost.
Ove, poi, non si intendesse riconoscere la lesione dell’art. 117, quarto comma, Cost., sussisterebbe in ogni caso quella del combinato disposto degli artt.
117 e 118 Cost. sul riparto costituzionale di competenze legislative di Stato e
Regioni in materia di disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative da
parte degli enti locali, «nella misura in cui la norma statale disciplina l’esercizio in forma associata, da parte dei comuni interessati, di tutte le funzioni
amministrative e di tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente».
Difatti, non potendo revocarsi in dubbio che la competenza regionale in materia di disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative sussista «ogni
qualvolta le funzioni stesse interessino ambiti materiali di diretta pertinenza
regionale (esclusiva o concorrente)», il censurato art. 19, mancando di distinguere le funzioni amministrative attualmente esercitate dai Comuni interessati, ha «sicuramente ricompreso anche funzioni ricadenti in ambiti materiali
regionali, violando in tal modo le attribuzioni costituzionalmente garantite alla
regione».
4.1.– Peraltro, l’art. 19 prevede ulteriori disposizioni in materia di esercizio
associato delle funzioni in ambito comunale, quali quelle di cui alle lettere
da b) a d) del comma 1, che modificano integralmente la disciplina posta in
materia dai commi 28 e seguenti dell’art. 14 del citato d.l. n. 78 del 2010. Tali
111
disposizioni stabiliscono l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali,
mediante unione o convenzione, da parte dei Comuni con popolazione fino a
5.000 abitanti (3.000 se in comunità montane), là dove il ruolo della Regione
viene limitato, in relazione alle materie di cui al terzo e quarto comma dell’art.
117 Cost., «alla mera individuazione, previa concertazione con gli enti locali
interessati nell’ambito del C.A.L., della dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento associato delle funzioni suddette». Inoltre, il comma 3 dell’art. 19 innova l’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000,
in ordine alla disciplina delle unioni di Comuni.
Secondo la ricorrente, anche tali disposizioni sarebbero, all’evidenza, in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle considerazioni in precedenza svolte circa la competenza regionale riferita alla disciplina degli strumenti e delle modalità a disposizione dei Comuni per l’esercizio congiunto
delle funzioni loro spettanti.
4.2.– Con successive memorie depositate in prossimità sia dell’udienza pubblica del 19 giugno 2013 che di quella del 3 dicembre 2013, la Regione Campania ha reiterato e ulteriormente argomentato le conclusioni già rassegnate.
In particolare ha evidenziato che, in sede di esame del progetto di legge in
itinere (AC 1542), tramite il quale si intenderebbe intervenire nuovamente
sulla disciplina dell’unione dei Comuni, la Corte dei conti, nell’audizione del
6 novembre 2013, avrebbe espresso dubbi sulla reale incidenza delle nuove
istituzioni sul risparmio di spesa nel lungo periodo, adducendo che «la potenziale dinamica virtuosa che connota, tendenzialmente, l’esercizio associato di
funzioni e servizi è frenata dai fattori di rigidità della spesa corrente». Con ciò
sarebbero smentite le enunciazioni del legislatore in ordine alla riconducibilità
delle disposizioni di cui all’art. 19 denunciato al «coordinamento della finanza
pubblica», trattandosi, in ogni caso, di disposizioni analitiche e di dettaglio,
che non terrebbero conto, nel disegno di complessivo riordino cui mirano, dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, tanto da non essere
neppure in grado di assicurare «le attese riduzioni di spesa».
5.– Anche la Regione autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 19 del d.l. n. 95
del 2012, il quale, «nel novellare l’art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 e
nel dettare ulteriori disposizioni in tema di unioni di comuni, ha ulteriormente
modificato in profondità l’organizzazione politico-amministrativa dei comuni
minori della Sardegna, attraverso una disciplina di estremo dettaglio e particolarmente stringente».
Le disposizioni del denunciato art. 19 – nell’istituire obbligatoriamente unioni
di Comuni, nel ridurre contestualmente i consigli comunali a puri organi di
partecipazione e il sindaco a semplice ufficiale di Governo – provocherebbero,
di fatto, secondo la ricorrente «la soppressione dei comuni che partecipano
a questa forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo di ente
territoriale», con conseguente contrasto con le norme che garantiscono alla
112
Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in materia di
«ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» di cui all’art. 3, primo comma, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto
speciale per la Sardegna), che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto
particolarmente ampia, tanto da consentire l’istituzione di nuove Province.
Sarebbe, altresì violato l’art. 117, quarto comma, Cost., posto che la competenza esclusiva dello Stato di cui alla lettera p) dell’art. 117, secondo comma,
Cost., così come non può riguardare – per essere tassativamente riferita a Comuni, Province e Città metropolitane (sentenze n. 456 e n. 244 del 2005) – le
comunità montane (la cui disciplina rientra in quella residuale regionale, siccome garantita, per il tramite dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», anche
alla Regione Sardegna) – del pari non potrebbe attenere alle unioni di Comuni.
Peraltro, non potrebbe far venir meno la lesività delle censurate disposizioni
la clausola di salvaguardia delle competenze delle Regioni ad autonomia differenziata recata dal comma 29 dell’art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, posta, in
primo luogo, la già evidenziata competenza legislativa esclusiva della Regione
Sardegna nella materia «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», nonché, ulteriormente, il fatto che l’art. 19 censurato «non introduce
una normativa di carattere generale o limitata ai principi di semplificazione,
accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari, bensì un’autoritativa e unilaterale determinazione delle forme e delle modalità di attuazione della c.d. intercomunalità, cui segue una regolamentazione di estremo
dettaglio, della quale la Regione, anche attivando le procedure necessarie per
il rispetto del proprio Statuto, e pur applicandosi quanto previsto dall’art. 27
della legge n. 42 del 2009, non potrebbe che prendere atto e recepire in via
automatica». Sicché, sarebbe anche da escludere che la disciplina denunciata
possa integrare una fondamentale riforma economico-sociale della Repubblica, ovvero esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost.
5.1.– Con successiva memoria, la ricorrente, nel ribadire le ragioni dell’impugnativa, osserva, segnatamente, che la disciplina censurata, dettata in violazione della competenza esclusiva regionale in materia di «ordinamento degli
enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all’art. 3, comma 1, lettera b),
dello statuto, non solo non prevederebbe alcun principio fondamentale in ordine «alle esigenze di semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione
degli enti non necessari», ma verrebbe a stabilire «un’autoritativa e unilaterale
determinazione del livello demografico della c.d. intercomunalità, cui segue
una regolamentazione di estremo dettaglio», che la Regione non potrebbe che
recepire automaticamente, senza adattamenti in base alle procedure statutarie, come previsto dalla clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis dello
stesso d.l. n. 95 del 2012.
113
La ricorrente esclude, inoltre, che la disposizione denunciata possa trovare
titolo di legittimazione nello stesso art. 3 dello statuto, ove si prevede che la
competenza legislativa regionale debba esercitarsi in armonia con i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica e nel rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica stessa, non potendo
i primi desumersi da una singola norma o da un singolo intervento normativo
e le seconde essere ricondotte al profilo istituzionale degli enti locali anziché
ai rapporti economico-sociali tra cittadini o tra cittadini e istituzioni. Ed ancora non potrebbe la norma denunciata essere giustificata come esercizio della
potestà legislativa di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost.,
giacché questa regola soltanto il riparto di competenze tra Stato e Regioni ordinarie, là dove è l’art. 3 dello statuto «a definire gli ambiti di attribuzione dello
Stato e della Regione Sardegna».
La difesa regionale contesta, poi, che l’intervento normativo oggetto di censura
possa ricondursi alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», osservando che, oltre ad essere di dettaglio, non sortirebbe alcun «effetto virtuoso sui saldi di finanza pubblica», come sarebbe dimostrato dal fatto che nella
“relazione tecnica” di accompagnamento al d.d.l. di conversione in legge del
d.l. n. 95 del 2012 si afferma che in base alla previsione di cui all’art. 19 non
deriveranno ulteriori spese, ma non già «utilità dal punto di vista dei risparmi
finanziari».
6.– La Regione Puglia analogamente sostiene che il comma 1, lettera a), dell’art.
19 denunciato violerebbe gli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118 Cost., «nella parte in cui include tra le funzioni fondamentali
dei Comuni anche funzioni amministrative ricadenti in materie di competenza
legislativa concorrente o residuale regionale».
A tal riguardo, la difesa regionale osserva che la potestà legislativa statale di
cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., è «per sua natura,
limitata», non potendo lo Stato giungere a «qualificare liberamente» qualsiasi
funzione amministrativa come «funzione fondamentale» dei Comuni o delle
Province, così da poterne disporre l’integrale disciplina. Ciò in quanto, diversamente opinando, si priverebbe di qualunque «contenuto precettivo gli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., i quali prescrivono
che sia la legge regionale ad allocare e disciplinare le funzioni amministrative
nelle materie diverse da quelle di competenza legislativa statale».
Ad avviso della ricorrente, il carattere «limitato» della richiamata potestà legislativa statale in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane» sarebbe stato riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale, sebbene in essa non si rinvenga una chiara individuazione di siffatti
limiti. Invero, secondo la Regione Puglia, dette «funzioni fondamentali» dovrebbero in non altro consistere che nella potestà statutaria, nella potestà regolamentare e nella potestà amministrativa «a carattere “ordinamentale” concernente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli
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enti locali territoriali ivi espressamente contemplati». Con esclusione, quindi,
delle funzioni «amministrativo-gestionali» in senso proprio, e, a maggior ragione, di «alcune di quelle individuate dalla norma legislativa qui censurata».
In tal senso deporrebbe una serie di convergenti argomenti. In primo luogo,
quello «topografico» e cioè l’aver l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
inserito le «funzioni fondamentali» nell’ambito dello stesso testo normativo che
contempla gli «organi di governo» e la «legislazione elettorale». In secondo luogo,
il rilievo che assumono i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, primo comma, Cost. nell’allocazione (sia da parte della
legge statale, che della legge regionale) delle funzioni amministrative, sicché,
essendo «la ratio della attribuzione allo Stato di una competenza legislativa
[…] da rintracciare in una esigenza unitaria di livello nazionale, risulterebbe
del tutto incomprensibile individuare una tale esigenza unitaria nell’ipotesi in
cui tra le funzioni fondamentali menzionate alla lettera p) dell’art. 117, secondo comma, Cost., fossero annoverabili anche funzioni amministrative consistenti nella concreta cura di interessi». Peraltro, ciò non pregiudicherebbe la
necessità di garantire standard di uniformità di certe funzioni rilevanti per le
collettività locali, che, in quanto tali, si volessero includere tra le funzioni fondamentali, potendo lo Stato attivare la propria competenza in materia di «livelli
essenziali delle prestazioni» o, comunque, lo strumento del potere sostitutivo
straordinario di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.
Diversamente, la qualificazione in termini di «fondamentali» delle funzioni amministrative rientranti in materie di potestà legislativa regionale equivarrebbe
ad espropriare le Regioni «della possibilità di disciplinare e allocare importanti
funzioni amministrative ricadenti negli ambiti materiali che la Costituzione
assegna alla loro competenza legislativa». In tale lesiva direzione si sarebbe
mossa la norma denunciata, comprendendo tra le funzioni fondamentali «settori di primissima importanza». Tra questi, la «organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale», che inerisce alla materia dei «servizi pubblici locali», da
collocarsi nell’ambito dell’art. 117, quarto comma, Cost. Ed ancora, la «pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione
alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale», riferibile al «governo
del territorio»; la «progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali
ed erogazione della relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto
dall’articolo 118, quarto comma, della Costituzione», ascrivibile alla competenza residuale regionale, in materia di «servizi sociali» (come si evincerebbe
dalle sentenze n. 61 e n. 40 del 2011, n. 10 del 2010 e n. 50 del 2008, di questa Corte). Inoltre, le funzioni in tema di «edilizia scolastica per la parte non
attribuita alla competenza delle province», nonché in tema di «organizzazione
e gestione dei servizi scolastici», posto che lo Stato, in materia di istruzione,
dispone unicamente della competenza sulle «norme generali sull’istruzione» di
cui all’art. 117, secondo comma, Cost., ed i «principi fondamentali» in materia
di «istruzione» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Così come le «attività, in
ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei
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primi soccorsi», rientranti nella competenza regionale in materia di «protezione civile», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.; e, infine, le funzioni in
materia di «polizia municipale e polizia amministrativa locale», espressamente
escluse, dall’art. 117, secondo comma, Cost., dalla competenza esclusiva statale e da ricondursi, invece, alla potestà legislativa regionale residuale.
La difesa regionale sostiene, poi, che dalla stessa giurisprudenza costituzionale si trarrebbe la convinzione che «importanti servizi pubblici locali non possano senz’altro essere “avocati” alla competenza legislativa dello Stato mediante
la utilizzazione, da parte di quest’ultimo, della qualificazione dei medesimi
come “funzioni fondamentali”». Ciò si evincerebbe, anzitutto, dalla sentenza n.
274 del 2004, che ha «escluso che le norme in tema di servizi pubblici locali
possano rientrare» nella anzidetta competenza statale, in quanto la «gestione
dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione
propria ed indefettibile dell’ente locale». Inoltre, con la sentenza n. 325 del
2010 si è affermato chiaramente che il servizio idrico integrato «non costituisce funzione fondamentale dell’ente locale».
Donde, la considerazione che dette funzioni fondamentali non possano identificarsi con quelle aventi la «cura concreta di interessi», la cui allocazione ad
un livello di governo diverso da quello ritenuto inadeguato deve avvenire per
legge in forza del principio di sussidiarietà e, posto che la legge potrebbe attribuirle ad un livello «ultracomunale» (si veda, ad es., l’art. 3-bis del d.l. n. 138
del 2011), «appare chiaro che nessuna funzione di cura concreta di interessi
è ontologicamente propria e indefettibile per i comuni», essendo quest’ultime
solo quelle «ordinamentali».
In ogni caso, le sentenze sopra citate avrebbero escluso che lo Stato possa
ascrivere ad libitum la qualifica di «fondamentale» a qualsiasi funzione delle
Province, Comuni e Città metropolitane ed hanno ritenuto che detta qualificazione non possa riguardare i servizi pubblici locali e, segnatamente, il servizio
pubblico integrato.
Né potrebbe valere a contrario – soggiunge la difesa regionale – quanto deciso dalla più recente sentenza n. 148 del 2012, che ha dichiarato non fondata «analoga censura» mossa proprio dalla Regione Puglia avverso l’art. 14,
comma 27, del d.l. n. 78 del 2010, posto che in quell’occasione la Corte ha
ritenuto che la qualificazione di «funzioni fondamentali» fosse caratterizzata
dalla «transitorietà» ed orientata a «limitati fini», mentre la norma attualmente
denunciata detta una disciplina generale e «a regime».
6.1.– È censurata poi, dalla medesima ricorrente, la lettera d) del comma 1
dell’art. 19, che affida alla Regione l’individuazione della dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei Comuni delle funzioni fondamentali; la
norma impugnata contrasterebbe, anzitutto, con gli artt. 117, quarto comma,
e 118, secondo comma, Cost., «nella parte in cui si rivolge anche a funzioni
116
amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost., alla potestà legislativa regionale residuale».
Sul presupposto che le funzioni fondamentali possano essere solo quelle «ordinamentali» e, dunque, quelle essenziali attinenti «alla vita stessa e al governo
degli enti locali», la Regione Puglia sostiene che l’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost. non potrebbe legittimare lo Stato a dettare disposizioni che
disciplinino l’allocazione e l’esercizio di funzioni amministrative soltanto in ragione del fatto che queste ultime siano qualificate «fondamentali» dalla stessa
legge statale. Invero, lo Stato è legittimato a dettare principi di allocazione delle funzioni amministrative, che dovranno, poi, essere svolti dalla legislazione
regionale ed in tal senso si declina la disciplina oggetto di censura, la quale
«pone alcuni principi fondamentali sulla allocazione di funzioni amministrative». Tuttavia, detta legittimazione dovrà essere circoscritta alle materie di
competenza esclusiva ovvero a quelle di competenza concorrente ex art. 117,
terzo comma. Cost., ma non già investire le materie di competenza residuale
delle Regioni, di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost.
L’art. 19, comma 1, lettera d), del d.l. n. 95 del 2012 si porrebbe, inoltre, in
contrasto con l’art. 123, primo e ultimo comma, Cost., «nella parte in cui
impone alla Regione di attivare una “concertazione con i comuni interessati
nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali”».
Siffatta previsione invaderebbe, infatti, la riserva di potestà statutaria regionale in materia di organizzazione e di funzionamento della Regione, stabilita
dal primo comma dell’art. 123 Cost., nonché sulla disciplina del Consiglio
delle autonomie locali e delle sue funzioni «quale organo di consultazione fra
la Regione e gli enti locali», riconosciuta dal quarto comma dello stesso art.
123. Né, peraltro, sussisterebbe qualche titolo di legittimazione statale ad intervenire sul Consiglio delle autonomie locali, «che la Costituzione espressamente qualifica quale organo regionale necessario e indefettibile». Del resto,
la normativa statale con la quale si è individuato l’organo regionale titolare di
determinate funzioni è stata già oggetto di pronunce di incostituzionalità, per
lesione dell’autonomia regionale quanto alla sua organizzazione interna, con
le sentenze n. 22 del 2012, n. 201 del 2008 e n. 387 del 2007.
6.2.– L’esaminata impugnativa coinvolge anche la disposizione di cui alla lettera e) del comma 1 dello stesso art. 19, che individua il limite demografico
minimo delle unioni di Comuni in 10.000 abitanti, salva diversa determinazione da parte della Regione «entro i tre mesi antecedenti il primo termine di
esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali, ai sensi del comma 31-ter».
Detta norma, secondo la ricorrente, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost., «in quanto il legislatore statale ordinario non
dispone di un titolo di legittimazione a regolare l’istituzione e l’organizzazione
delle unioni di comuni, poiché, in materia di ordinamento degli enti locali,
117
come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, gode soltanto della competenza a stabilire norme in tema di legislazione elettorale,
funzioni fondamentali e organi di governo di Province, Comuni e Città metropolitane».
Infatti dopo la riforma costituzionale del 2001, lo Stato non avrebbe più un
titolo di legittimazione generale per disciplinare «l’ordinamento degli enti locali», che ora spetta, in linea generale-residuale, alle Regioni, mentre lo Stato
medesimo «può intervenire soltanto per disciplinare le funzioni fondamentali,
la legislazione elettorale, e gli organi di governo dei soli enti locali costituzionalmente necessari, ovverosia Comuni, Province e Città metropolitane», mantenendo, poi, per talune materie (ad es. il coordinamento della finanza pubblica), una competenza trasversale.
Sarebbe questa, ad avviso della Regione Puglia, una impostazione seguita anche dalla giurisprudenza costituzionale, come dimostrerebbe la ritenuta non
pertinenza della lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost. al caso delle
«comunità montane», quali anch’esse «unione di Comuni» (sentenza n. 244 del
2005), al pari di quelle contemplate dalla norma denunciata. Sulla stessa scia
si porrebbero le sentenze n. 173 del 2012, n. 327 del 2009, n. 326 del 2008,
n. 397 del 2006 e n. 456 del 2005, concernente il «“sub settore” della “organizzazione degli uffici regionali e degli enti locali” e, all’interno di quest’ultima,
dell’“organizzazione delle società dipendenti, esercenti l’industria o i servizi”».
6.3.– Quanto al comma 3 dell’art. 19 – che pone una disciplina articolata delle
unioni di Comuni con differenti profili – ed al connesso successivo comma 4,
sostiene la ricorrente che anche tali disposizioni sarebbero in contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost.
Lo Stato – come già evidenziato in precedenza – non potrebbe, infatti, esibire
una competenza legislativa diversa da quella inerente alla legislazione elettorale, alle funzioni fondamentali e agli organi di governo di Province, Comuni
e Città metropolitane, per cui non avrebbe titolo alcuno «per disciplinare l’istituzione e l’organizzazione di enti locali differenti da quelli appena menzionati, quali le unioni di comuni, tanto più e a maggior ragione se la suddetta
disciplina pretende di assumere – come nel caso di specie – natura vincolante
e conformativa delle potestà normative e amministrative della Regione e dei
comuni interessati», così da incidere su un ambito affidato alla potestà regionale residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost.
6.3.1.– La Regione Puglia, come detto, censura infine il comma 7 dell’art. 32
del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 3, dello stesso art. 19, il
quale stabilisce in via generale che «Alle unioni competono gli introiti derivanti
dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati».
La disposizione richiamata, a suo avviso, contrasterebbe, infatti, con i commi
primo, secondo e sesto dell’art. 119 Cost., «i quali, nel riconoscere esclusiva118
mente agli enti autonomi costitutivi della Repubblica l’autonomia finanziaria
di entrata e di spesa, il potere di stabilire ed applicare “tributi ed entrate propri” (in armonia con la Costituzione e secondo “i principi di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario”), nonché la disponibilità di
un proprio patrimonio, impediscono che la legge statale possa sottrarre autonomia impositiva e di entrata nonché risorse patrimoniali ai suddetti enti,
attribuendole in titolarità a nuovi e diversi enti territoriali» e cioè alle unioni
di Comuni.
Peraltro, in tal modo la norma censurata violerebbe anche i limiti che l’art.
117, terzo comma, Cost. impone alla potestà legislativa dello Stato in materia
di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», «fuoriuscendo dall’ambito dei “principi fondamentali” e invadendo perciò gli spazi
costituzionalmente affidati alla potestà legislativa regionale sia dal terzo che
dal quarto comma dell’art. 117 Cost.».
6.4.– In prossimità dell’udienza del 3 dicembre 2013 la Regione Puglia ha depositato memoria, con la quale ulteriormente argomenta l’illegittimità costituzionale delle denunciate disposizioni, osservando quanto segue.
In relazione alla censura che investe la lettera a) del comma 1 dell’art. 19
(denunciato giacché «concerne funzioni amministrative diverse da quelle propriamente ordinamentali, comprendendo anche funzioni amministrativo-gestionali e, in ogni caso, perché qualifica come “fondamentali” funzioni che non
possono in alcun caso essere ritenute tra quelle “indefettibili” dei Comuni»),
la ricorrente esclude che lo Stato possa, esso stesso, «definire ed individuare
il “carattere fondamentale” delle funzioni» di cui alla lettera p) del secondo
comma dell’art. 117 Cost., essendo queste solo quelle «proprie e indefettibili
degli enti locali» e cioè quelle che l’ente «deve svolgere necessariamente e immancabilmente, in modo tale che sarebbe impensabile l’esistenza di un ente
locale che non le svolgesse». Tali sarebbero le funzioni «coessenziali alla vita
dell’ente» e cioè le funzioni “ordinamentali” (tra cui, quella statutaria, regolamentare, di autorganizzazione, di bilancio) e non già quelle di «gestione e cura
di concreti interessi», le quali devono, invece, essere distribuite in base all’art.
118 Cost. dai legislatori di volta in volta competenti. In tal senso, del resto,
parrebbe orientarsi anche la difesa erariale, allorché distingue tra funzioni
attinenti alla vita dell’ente e quelle amministrative in senso stretto.
Quanto alla censura che investe la lettera d) del comma 1 dell’art. 19 (denunciato in quanto, «trattandosi di una disciplina di principio circa l’allocazione
delle funzioni amministrative, il legislatore statale avrebbe potuto legittimamente intervenire solo ed esclusivamente nell’ambito delle materie per le quali
sia titolare della potestà esclusiva o – al più – concorrente»), la Regione esclude che possa valere, a sostegno dell’infondatezza della questione, l’argomento
della ascrivibilità della disciplina impugnata alla materia del «coordinamento
della finanza pubblica», posto che il suo oggetto principale è «il riordino delle
funzioni e la loro redistribuzione alla luce della individuazione degli ambiti
119
ottimali», mentre il fine della riduzione della spesa non sarebbe neppure “accessorio”.
Né, secondo la ricorrente, potrebbe al riguardo invocarsi il titolo legittimante
della competenza esclusiva statale di cui alla lettera p) del secondo comma
dell’art. 117 Cost., che, in ogni caso, seppure autorizzasse lo Stato stesso alla
“individuazione delle funzioni fondamentali”, non potrebbe comunque consentirgli di dettare una disciplina «di dettaglio del contenuto di quelle stesse
funzioni», ove pertinenti a materie di competenza regionale.
7.– In tutti i riferiti giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, formulando – e ribadendo in successive memorie – conclusioni di inammissibilità o comunque
di non fondatezza delle questioni sollevate dalle Regioni.
La difesa erariale osserva che la definizione delle funzioni fondamentali rientra
nella competenza esclusiva statale e l’elenco dettato dalla norma denunciata
non esorbita da siffatta competenza, ma vi include «funzioni di organizzazione
generale dell’amministrazione, gestione finanziaria, contabile e di controllo,
che attengono alla vita ed al governo dell’ente» e che vanno distinte dalle funzioni amministrative in senso stretto. Sostiene, infatti, che le funzioni fondamentali dei Comuni di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost.
«coincidono con le funzioni proprie di cui all’art. 118, secondo comma, Cost.,
sì che l’unica distinzione munita di un significato è quella tra funzioni proprie
e funzioni conferite», ed il citato art. 117, secondo comma, lettera p), «integra,
dunque, una competenza trasversale, in grado di consentire allo Stato l’individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane anche nelle materie riconducibili alla competenza legislativa regionale,
residuale e concorrente».
Tale impostazione sarebbe confermata dall’art. 2, comma 4, lettera b), della
legge n. 131 del 2003, il quale fa coincidere la nozione di funzioni fondamentali con quella di funzioni proprie, che spetta allo Stato individuare ed allocare ad un livello di governo piuttosto che ad un altro, nel rispetto del primo
comma dell’art. 118 Cost., senza però incontrare il limite del riparto delle
competenze legislative, «cosicché tale operazione ben può essere svolta su ogni
sorta di funzione amministrativa, quale che sia l’ente cui spetta la competenza
legislativa sulla materia». Il limite dell’art. 117 Cost. opererebbe, invece, per
la disciplina delle funzioni fondamentali, posto che l’art. 117, sesto comma,
Cost., «attribuisce a comuni, province e città metropolitane la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle
funzioni loro attribuite». Peraltro, ove le funzioni fondamentali siano riconducibili a materie di competenza regionale (concorrente o residuale), «spetta
allo Stato individuare esclusivamente il livello di governo al quale imputare la
funzione fondamentale, residuando in capo alla Regione il compito di dettare
la disciplina della relativa funzione»; e tale principio risulta rispettato dalla
norma denunciata.
120
Sarebbe altresì destituita di fondamento la censura della lettera d) del comma 1 dell’art. 19 per asserito contrasto con l’art. 123 Cost., giacché la norma
denunciata non detta la disciplina sul funzionamento del Consiglio delle autonomie locali, ma prevede soltanto che la Regione individui la dimensione territoriale ottimale, previa concertazione con i Comuni interessati, da svolgersi
nell’ambito di detto Consiglio.
La difesa erariale sostiene altresì l’infondatezza delle ulteriori doglianze riguardanti l’art. 19, e qui scrutinate, giacché le disposizioni denunciate perseguono
l’obiettivo di contenimento della spesa corrente per il funzionamento degli enti
locali tramite un disciplina uniforme, che viene a coordinare la disciplina di
settore; si tratterebbe, dunque, di normativa di principio riconducibile alla
materia del coordinamento della finanza pubblica.
Considerato in diritto
1.– Sono state proposte dalle Regioni Lazio, Veneto, Campania e Puglia, e
dalla Regione autonoma Sardegna varie questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché
misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n.
135.
Segnatamente, le disposizioni denunciate – seppure in misura diversa da parte di ciascuna Regione – sono quelle di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e),
ed ai commi da 2 a 6.
2.– In questa sede si avrà riguardo alle questioni che attengono ai commi 1, 3
e 4, essendo state riservate a separata trattazione, nella stessa udienza del 3
dicembre 2013, quelle relative ai commi 2, 5 e 6.
2.1.– L’art. 19, comma 1, lettera a), è specificamente censurato dalla Regione
Campania «nella parte in cui, nel modificare la disciplina delle funzioni fondamentali dei comuni precedentemente recata» dall’art. 14, comma 27, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, «riconosce in materia
alle Regioni le sole funzioni di programmazione e di coordinamento, spettanti
nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost., nonché quelle
esercitate ai sensi dell’art. 118 Cost.».
Detta norma, ad avviso della ricorrente, violerebbe gli artt. 117, commi terzo
e quarto, e 118 Cost., giacché, nel circoscrivere il ruolo delle Regioni a quello
dell’esclusivo svolgimento dei compiti di programmazione e coordinamento,
di fatto sottrarrebbe agli stessi enti «tutte le funzioni non espressamente ri121
chiamate, malgrado le stesse siano pacificamente [loro] spettanti ai sensi del
chiaro disposto degli artt. 117 e 118 Cost.», così da ridimensionare in modo
illegittimo il potere della Regione «di optare per un diverso sistema di riparto
delle funzioni amministrative».
La stessa disposizione è denunciata dalla Regione Puglia nella parte in cui
include tra le «funzioni fondamentali» dei Comuni anche funzioni amministrative ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente o residuale
regionale. Donde, la prospettata lesione degli art. 117, secondo comma, lettera
p), terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., essendo la potestà
legislativa statale di cui alla citata lettera p) «per sua natura, limitata», non
potendo lo Stato giungere a «qualificare liberamente» qualsiasi funzione amministrativa come «funzione fondamentale» dei Comuni o delle Province, così da
poterne disporre l’integrale disciplina, tanto da privare di «contenuto precettivo gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., i quali
prescrivono che sia la legge regionale ad allocare e disciplinare le funzioni
amministrative nelle materie diverse da quelle di competenza legislativa statale»; con l’ulteriore conseguenza che dette funzioni fondamentali non possano
identificarsi con quelle aventi la «cura concreta di interessi».
2.2.– Le disposizioni di cui alle lettere da b) a d) del comma 1 dell’art. 19, là
dove stabiliscono l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali, mediante
unione o convenzione, da parte dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se in comunità montane), sono accomunate in un’unica censura
dalla Regione Campania, la quale si duole di un vulnus agli artt. 117, terzo
e quarto comma, e 118 Cost., giacché il ruolo della Regione verrebbe limitato
«alla mera individuazione, previa concertazione con gli enti locali interessati
nell’ambito del C.A.L. [Consiglio delle autonomie locali], della dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento associato
delle funzioni suddette».
2.3.– La disposizione di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell’art. 19 è
impugnata anche dalla Regione Puglia, sia nella parte in cui si rivolge a funzioni amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto
comma, Cost., alla potestà legislativa regionale residuale, sia nella parte in cui
impone alla Regione di attivare una «concertazione con i comuni interessati
nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali».
Ad avviso della ricorrente sussisterebbe, quanto al primo profilo di censura,
una lesione degli artt. 117, quarto comma, e 118, secondo comma, Cost.,
giacché, potendo le funzioni fondamentali essere solo quelle «ordinamentali»
e, dunque, quelle essenziali attinenti «alla vita stessa e al governo degli enti
locali», lo Stato non potrebbe che disciplinare funzioni amministrative «fondamentali» in materie di competenza esclusiva ovvero di competenza concorrente
ex art. 117, terzo comma. Cost., ma non già investire le materie di competenza
residuale delle Regioni.
122
In riferimento al secondo aspetto della doglianza, verrebbe poi in rilievo il contrasto con l’art. 123, primo e ultimo comma, Cost., che pone una riserva di
potestà statutaria regionale in materia di organizzazione e di funzionamento
della Regione, nonché sulla disciplina del Consiglio delle autonomie locali e
delle sue funzioni «quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali».
La Regione Puglia denuncia, altresì, la lettera e) dello stesso comma 1 dell’art.
19, asserendo che violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto
comma, Cost., «in quanto il legislatore statale ordinario non dispone di un titolo di legittimazione a regolare l’istituzione e l’organizzazione delle unioni di comuni, poiché, in materia di ordinamento degli enti locali, come ripetutamente
affermato dalla giurisprudenza costituzionale, gode soltanto della competenza
a stabilire norme in tema di legislazione elettorale, funzioni fondamentali e
organi di governo di Province, Comuni e Città metropolitane».
2.4.– Le disposizioni di cui alle lettere da a) a d) del comma 1 dell’art. 19 sono
unitariamente censurate dalla Regione Lazio, che adduce, a sua volta, un
vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost.,
in combinato disposto tra loro, per lesione delle attribuzioni costituzionali regionali, nell’ambito delle quali andrebbe ricondotta «la regolazione delle associazioni degli enti locali», dovendo lo Stato «limitarsi a stabilire la disciplina in
tema di “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane”, restando evidentemente esclusi da
tale “voce” tutti gli aspetti riguardanti l’associazionismo di tali enti».
2.5.– Le disposizioni di cui alle lettere da b) ad e) dello stesso comma 1 dell’art.
19 sono denunciate anche dalla Regione Veneto
Pure ad avviso di detta ricorrente, il citato art. 19 violerebbe, in parte qua,
l’art. 117, quarto comma, Cost., essendo riservata alla potestà legislativa regionale la materia «forme associative tra gli enti locali»; nonché l’art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto le censurate disposizioni, ancorché qualificate come
norme di «coordinamento della finanza pubblica», sarebbero ben lungi dal costituire principi fondamentali di siffatta materia, posto che, per un verso, non
si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, «intesi nel
senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente», e, per altro verso, prevedono «in modo esaustivo strumenti
o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi».
Sussisterebbe, altresì, una lesione dell’art. 118, primo comma, Cost., il quale
non fa riferimento alle unioni di Comuni o alle convenzioni tra Comuni, che,
pertanto, «dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art.
114 Cost., libere forme associative cui il Comune può (non deve) ricorrere»;
così come sarebbero vulnerati gli artt. 3 e 97 Cost., essendo i Comuni con
popolazione fino a 5.000 abitanti «obbligati tout court (e quindi in violazione
del principio costituzionale di differenziazione) all’esercizio mediante unione di
Comuni o convenzione delle loro funzioni fondamentali».
123
2.6.– Il comma 3, ed il connesso comma 4, dell’art. 19 sono impugnati da tutte
le ricorrenti Regioni a statuto ordinario, che convergono nel prospettare la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., posto che dette censurate disposizioni inciderebbero sulla competenza regionale riferita alla disciplina degli strumenti
e delle modalità a disposizione dei Comuni per l’esercizio congiunto delle funzioni loro spettanti.
In particolare la Regione Puglia argomenta la dedotta illegittimità del comma 3
dell’art. 19 con distinto riferimento alle parti in cui esso sostituisce sia i commi
1, 2, 3 e 4, sia per altro verso il comma 7 dell’art. 32 del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Sotto il primo profilo di censura, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost., giacché lo Stato non potrebbe far valere
una competenza legislativa diversa da quella inerente alla legislazione elettorale, alle funzioni fondamentali e agli organi di governo di Province, Comuni
e Città metropolitane, per cui non avrebbe titolo alcuno «per disciplinare l’istituzione e l’organizzazione di enti locali differenti da quelli appena menzionati, quali le unioni di comuni, tanto più e a maggior ragione se la suddetta
disciplina pretende di assumere – come nel caso di specie – natura vincolante
e conformativa delle potestà normative e amministrative della Regione e dei
comuni interessati», così da incidere su un ambito affidato alla potestà regionale residuale.
In relazione all’altro profilo della doglianza, sussisterebbe un contrasto sia con
l’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., che impedisce che la legge
statale possa sottrarre autonomia impositiva e di entrata, nonché risorse patrimoniali ai suddetti enti autonomi costitutivi della Repubblica, attribuendole
in titolarità a nuovi e diversi enti territoriali e cioè alle unioni di Comuni; sia
con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., esorbitando dai principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario» e invadendo perciò gli spazi costituzionalmente affidati alla potestà
legislativa regionale concorrente e residuale.
2.7.– La Regione autonoma Sardegna – nell’impugnare, in forza di censure
sostanzialmente indistinte, l’intero art. 19 – ha, con più specifica attinenza al
suo comma 3, prospettato, anzitutto, la violazione dell’art. 3, primo comma,
lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), sul rilievo che la normativa denunciata, nell’istituire obbligatoriamente unioni di Comuni, e nel ridurre contestualmente i consigli comunali a puri organi di partecipazione e il sindaco a semplice ufficiale di Governo,
provocherebbe, di fatto, «la soppressione dei comuni che partecipano a questa
forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo di ente territoriale»,
con conseguente contrasto con le norme che garantiscono alla Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in materia di «ordinamento
degli enti locali e delle relative circoscrizioni».
124
Sarebbe leso, altresì, secondo la ricorrente, anche l’art. 117, quarto comma, Cost., posto che la competenza esclusiva dello Stato di cui alla lettera p)
dell’art. 117, secondo comma, Cost., così come non può riguardare le comunità montane (la cui disciplina rientra in quella residuale regionale, siccome
garantita, per il tramite dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», anche alla
Regione autonoma Sardegna), così del pari non potrebbe attenere alle unioni
di Comuni.
3.– Possono essere scrutinate preliminarmente le questioni proposte dalla Regione autonoma Sardegna, giacché queste, rispetto alle altre impugnazioni,
presentano un profilo peculiare, derivante dalla connotazione di ente ad autonomia speciale della ricorrente.
Va, infatti, evidenziato che il d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 135 del 2012, ha previsto all’art. 24-bis, la seguente “Clausola
di salvaguardia”: «Fermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale
e delle province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento
così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo
le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di
attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che
esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento
regionale o provinciale».
Su tale clausola di salvaguardia questa Corte si è già pronunciata (sentenze n.
236, n. 225 e n. 215 del 2013), ponendo in rilievo che essa «ha la precisa funzione di rendere applicabili le disposizioni del decreto agli enti ad autonomia
differenziata solo a condizione che, in ultima analisi, ciò avvenga nel “rispetto”
degli statuti speciali» (segnatamente, sent. n. 236 del 2013), derivandone la
non fondatezza della questione sollevata sulla norma del d.l. n. 95 del 2012
anche là dove questa sia in contrasto con la normativa statutaria.
Sicché, interferendo le disposizioni censurate con la potestà esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui
all’art. 3 dello statuto per la Sardegna, viene, nella specie, appunto, ad operare la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012,
con conseguente declaratoria di non fondatezza della questione sollevata dalla
Regione Sardegna.
4.– Vengono ora in esame le impugnative delle altre Regioni ricorrenti, con
distinto riferimento alle varie disposizioni oggetto di censura.
4.1.– Le questioni che investono la lettera a) del comma 1 dell’art. 19 non sono
fondate.
125
4.1.1.– Per meglio cogliere la portata delle censure, giova premettere una sintetica ricognizione del quadro normativo entro il quale si colloca il thema decidendum, rammentando anzitutto che l’art. 117, secondo comma, lettera p),
Cost. riserva allo Stato la potestà legislativa in materia di «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane».
Quanto alle «funzioni fondamentali di Comuni» – che interessano in questa
sede – l’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3), modificato dall’art. 1 della legge 28 maggio 2004, n. 140 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80, recante
disposizioni urgenti in materia di enti locali. Proroga di termini di deleghe legislative) e, successivamente, dall’art. 5 della legge 27 dicembre 2004, n. 306
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 novembre 2004,
n. 266, recante proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legislative. Disposizioni di proroga di termini per l’esercizio di deleghe legislative),
assegnava al Governo la delega, da esercitare entro il 31 dicembre 2005, per la
«individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni
primari delle comunità di riferimento».
Tra i principi e criteri direttivi della delega, oltre al rispetto delle competenze
legislative e costituzionali ai sensi degli artt. 114, 117 e 118 Cost., era annoverata (comma 4, lettera b) l’individuazione delle funzioni fondamentali dei
Comuni, delle Province e delle Città metropolitane «in modo da prevedere,
anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica,
per ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni connaturate alle
caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per
il funzionamento dell’ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento, tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province,
delle funzioni storicamente svolte».
Peraltro, si prevedeva, anche una valorizzazione dei «principi di sussidiarietà,
di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamentali in modo da assicurarne l’esercizio da parte del livello di ente locale che, per
le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca l’ottimale gestione
anche mediante l’indicazione dei criteri per la gestione associata tra i Comuni»
(comma 4, lettera c); la previsione di «strumenti che garantiscano il rispetto
del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale nello
svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono per il loro esercizio la
partecipazione di più enti, allo scopo individuando specifiche forme di consultazione e di raccordo tra enti locali, Regioni e Stato» (comma 4, lettera d); nonché la valorizzazione delle «forme associative anche per la gestione dei servizi
di competenza statale affidati ai comuni» (comma 4, lettera n).
126
La delega anzidetta non è stata esercitata, sicché la prima, provvisoria, individuazione delle funzioni fondamentali si è avuta, nell’ambito del processo di attuazione del cosiddetto “federalismo fiscale”, con l’art. 21 della legge 5 maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione), orientata, in particolare, secondo il comma 2, alla «determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi degli
enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale» di Comuni e
Province.
In attesa dell’emanazione della legislazione delegata, il comma 3 dello stesso
art. 21 ha «provvisoriamente» individuato per i Comuni le seguenti funzioni: «a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella
misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo
conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente legge; b) funzioni di polizia locale; c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi
i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché
l’edilizia scolastica; d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; e) funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il
servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per
il servizio idrico integrato; f) funzioni del settore sociale».
Nell’esercizio della anzidetta delega è poi intervenuto l’art. 3 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione
dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province),
che, per i fini specifici dello stesso decreto legislativo, ha ribadito l’individuazione «in via provvisoria» delle funzioni fondamentali di cui all’art. 21 delle
legge n. 42 del 2009, precisando anch’esso che ciò avveniva «fino alla data di
entrata in vigore della legge statale di individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Città metropolitane e Province».
Un richiamo espresso all’art. 21 della legge n. 42 del 2009 si rinveniva nell’art.
14, comma 27 del d.l. n. 78 del 2010; disposizione che è stata poi sostituita
da quella denunciata e sottoposta all’attuale esame. Anche in questo caso, il
rinvio era per i fini «dei commi da 25 a 31» (cioè per l’esercizio associato delle
funzioni fondamentali tramite convenzioni o unioni di Comuni) e, segnatamente, «fino alla data di entrata in vigore della legge con cui sono individuate
le funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p),
della Costituzione».
È, dunque, con la censurata disposizione della lettera a) del comma 1 dell’art.
19 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012, che, nel riscrivere il comma 27 dell’art. 14 citato, vengono individuate,
non più in via dichiaratamente provvisoria, né con espressa limitazione od
orientamento verso specifici fini, le funzioni fondamentali dei Comuni, tramite
una elencazione più ampia di quella che recavano i citati artt. 21 della legge n.
42 del 2009 e 3 del d.lgs. n. 216 del 2010.
127
La nuova disposizione appare ispirata da quanto previsto dall’art. 2 del d.d.l.
n. 2259 (attualmente all’esame del Senato), noto come “Carta delle autonomie”, sebbene quest’ultimo rechi un numero ancor più ampio di funzioni fondamentali dei Comuni.
4.1.2.– Questa Corte ha ritenuto, in linea più generale, che l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. «indica le componenti essenziali dell’intelaiatura
dell’ordinamento degli enti locali, per loro natura disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo
periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo
attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali» (sentenza n. 220 del 2013).
Peraltro, al di là di quale possa essere la configurazione del rapporto tra le
«funzioni fondamentali» degli enti locali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), e le «funzioni proprie» di cui all’art. 118, secondo comma, Cost.,
in ogni caso «sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto
delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni,
in conformità alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di “esercizio unitario”, a livello sovracomunale, delle
funzioni medesime» (sentenza n. 43 del 2004). Sicché, in tale prospettiva, si è
escluso (sentenze n. 325 del 2010 e n. 272 del 2004) che la disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica possa ascriversi all’àmbito delle «funzioni fondamentali
dei Comuni, delle Province e Città metropolitane», perché «la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria
ed indefettibile dell’ente locale».
Tale assunto è stato fatto proprio anche dalla sentenza n. 307 del 2009, la
quale però ha ritenuto, con specifico riferimento al servizio idrico integrato,
che la non separabilità tra la gestione della rete e la gestione di detto servizio costituisca principio riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato
in materia di funzioni fondamentali dei Comuni, posto che «le competenze
comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per
l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei
territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli
enti locali», restando la competenza regionale nella materia di servizi pubblici
locali «in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta», potendo
«continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi
fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi statali». Diversamente si è invece opinato quanto, per l’appunto, alle modalità di
affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, per cui non può
essere evocata la lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., giacché «la
regolamentazione di tali modalità non riguarda un dato strutturale del servizio
né profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la precedente questione relativa alla separabilità tra gestione della rete ed erogazione
del servizio idrico), bensì concerne l’assetto competitivo da dare al mercato di
riferimento».
128
Sin d’ora giova inoltre rammentare che la competenza legislativa esclusiva
statale di cui alla citata lettera p) non è invocabile in riferimento alle “comunità montane”, atteso che il richiamo limitato a Comuni, Province e Città metropolitane, ivi presente, «deve ritenersi tassativo» (sentenze n. 237 del 2009, n.
397 del 2006, n. 456 del 2005 e n. 244 del 2005).
Specifico e peculiare rilievo assume, inoltre, la sentenza n. 148 del 2012 di
questa Corte, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010, su cui è intervenuta la
norma denunciata.
Si trattava, invero, di censure mosse dalla Regione Puglia in forza di argomentazioni che, in parte, sono riproposte in questa sede. La Regione allora
sosteneva, infatti, che il richiamo all’art. 21, comma 3, della legge n. 42 del
2009 avrebbe consentito di estendere la qualifica di “funzioni fondamentali dei
Comuni” – con conseguente attribuzione allo Stato della relativa competenza
legislativa esclusiva – «anche a funzioni “amministrativo-gestionali”, o comunque, più in generale, a funzioni volte alla cura concreta di interessi». Sicché,
la norma impugnata sarebbe stata in contrasto con «i limiti che caratterizzano
la potestà legislativa attribuita allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera
p), Cost., ledendo gravemente l’autonomia legislativa della Regione, riconosciuta dai commi terzo e quarto dell’art. 117 Cost. e richiamata dal comma
secondo dell’art. 118 Cost., in riferimento alla disciplina ed alla allocazione
delle funzioni amministrative dei Comuni».
La Corte ha ritenuto, invece, che le questioni muovessero «da un erroneo presupposto interpretativo, in quanto il richiamo operato dalla norma impugnata
alla generica elencazione di cui all’art. 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009
non è, di per sé, lesivo di competenze legislative e amministrative delle Regioni», rispondendo esso «all’esigenza di sopperire, sia pure transitoriamente ed
ai limitati fini indicati nella stessa norma impugnata, alla mancata attuazione
della delega contenuta nell’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)».
4.1.3.– Superata, con la norma denunciata, la provvisorietà e la settorialità
degli interventi normativi precedenti in materia, ne deve, quindi, conseguire
che allo Stato spetta l’individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni
tra quelle che vengono a comporre l’intelaiatura essenziale dell’ente locale,
cui, però, anche storicamente, non sono estranee le funzioni che attengono ai
servizi pubblici locali; sicché l’elencazione di cui alla norma denunciata non si
discosta da siffatto criterio elettivo.
La disciplina di dette funzioni è, invece, nella potestà di chi – Stato o Regione
– è intestatario della materia cui la funzione stessa si riferisce.
129
In definitiva, la legge statale è soltanto attributiva di funzioni fondamentali,
dalla stessa individuate, mentre l’organizzazione della funzione rimane attratta alla rispettiva competenza materiale dell’ente che ne può disporre in via
regolativa.
La competenza regionale, nelle materie – di carattere concorrente o residuale
– ad essa riservate, non viene, dunque, incisa dalla disposizione in esame, per
cui perdono di consistenza tutte le censure proposte.
4.2.– Le questioni relative all’art. 19, comma 1, lettere b), c), d) ed e), non sono
fondate.
4.2.1.– Le doglianze attengono, in via generale, alla disciplina sulla gestione
associata delle funzioni fondamentali.
Il comma 1, lettera b), dell’art. 19, sostituendo il previgente comma 28 dell’art.
14 del d.l. n. 78 del 2010, ha previsto che tutti i Comuni con popolazione fino
a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esercitino obbligatoriamente in forma associata,
mediante unioni di Comuni (art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000) o convenzione
(art. 30 dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000), la quasi totalità delle funzioni
fondamentali, con esclusione della tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi
elettorali e statistici, nell’esercizio delle funzioni di competenza statale.
Rispetto alle previgente disciplina, non sussiste più la divisione tra Comuni
sopra e sotto i 1000 abitanti.
La disposizione in esame ricomprende, infatti, anche i Comuni sotto i 1.000
abitanti, ai quali, tuttavia, il comma 2 dello stesso art. 19 riserva la facoltà di
accedere ad un modello di unione derogatorio, regolato dall’art. 16 del decretolegge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, come sostituito dal citato comma 2
dell’art. 19, e non già quella dell’art. 32 del d.lgs n. 267 del 2000, inciso dal
comma 3 del medesimo art. 19, che invece, a mente della denunciata lettera
c) del comma 1, si applica alle unioni di cui al comma 28 dell’art. 14 del d.l. n.
78 del 2010, come modificato dalla lettera b) citata.
Le lettere d) ed e) del comma 1 introducono modifiche ai commi 30 e 31 dell’art.
14 del d.l. n. 78 del 2010, concernenti sia il termine entro il quale la Regione
può determinare un limite demografico minimo dell’unione dei Comuni diverso da quello pari a 10.000, sia i termini (già prorogati dal decreto-legge 29
dicembre 2011, n. 216 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative»,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 febbraio
2012, n. 14) entro i quali i Comuni attuano le novellate disposizioni in tema di
obbligo di esercizio associato di funzioni.
130
In particolare:
– il limite demografico minimo delle unioni è confermato in 10.000 abitanti,
salvo diverso limite determinato dalla Regione entro il 1° ottobre 2012 con riguardo ad almeno tre delle funzioni fondamentali ed entro il 1° ottobre 2013
per le altre. Le Regioni, infatti, nelle materie di competenza concorrente e residuale, potranno individuare, previa concertazione con i Comuni da svolgersi
nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali (CAL), limiti diversi;
– la durata minima delle convenzioni per l’esercizio obbligatorio delle funzioni
in forma associata è fissata in tre anni. Al termine di tale periodo, qualora non
si dimostri l’efficacia e l’efficienza nella gestione, i Comuni sono obbligati ad
esercitare le funzioni mediante unione;
– sono stati ridefiniti i termini per dare attuazione alla gestione associata tra
piccoli Comuni secondo un procedimento articolato in due fasi:
a) entro il 1° gennaio 2013 i Comuni interessati devono svolgere in forma associata almeno tre delle funzioni fondamentali;
b) entro il 1° gennaio 2014 l’obbligo di esercizio associato coinvolge anche le
altre sette funzioni.
Rispetto ai termini di attuazione stabiliti, la nuova disciplina prevede che,
qualora i Comuni non ottemperino, il prefetto assegna loro un termine perentorio, decorso il quale si attiva il potere sostitutivo del Governo ai sensi dell’art.
8 della legge n. 131 del 2003.
4.2.2.– La giurisprudenza di questa Corte in tema di forme associative di enti
locali ha riguardato, segnatamente, le comunità montane, che rappresentano «un caso speciale di unioni di Comuni, create in vista della valorizzazione
delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto
non consentirebbe la frammentazione dei comuni montani, “funzioni proprie”,
“funzioni conferite” e funzioni comunali» (così la citata sentenza n. 244 del
2005).
Si è già detto, peraltro, come la competenza statale di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera p), Cost. sia, in tale ambito, inconferente, giacché l’ordinamento delle comunità montane è riservato alla competenza legislativa residuale
delle Regioni, di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., pur in presenza della
qualificazione di dette comunità come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267
del 2000, in quanto le stesse non sono contemplate dall’art. 114 Cost. (oltre
che, come detto, dalla citata lettera p).
La Corte, ha, quindi, ritenuto (sentenze n. 237 del 2009 e n. 456 del 2005) che
non possono venire in rilievo neppure i principi fondamentali desumibili dal
Testo unico sugli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000) e, dunque, non può trova131
re applicazione la disposizione di cui all’art. 117, terzo comma, ultima parte,
Cost., «la quale presuppone, invece, che si verta nelle materie di legislazione
concorrente».
Stabilisce poi che ogni Comune può partecipare ad una sola unione ed è previsto che le unioni di Comuni possono stipulare apposite convenzioni tra loro
o con singoli Comuni.
Tuttavia, si è pure affermato (sentenze n. 151 del 2012, n. 91 del 2011, n.
326 del 2010, n. 27 del 2010 e n. 237 del 2009) che un titolo di legittimazione
statale per intervenire nell’ambito anzidetto comunque si rinviene nei principi
fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117,
terzo comma, Cost., ove la disciplina dettata, nell’esercizio di siffatta potestà
legislativa concorrente, sia indirizzata ad obiettivi di contenimento della spesa
pubblica.
Individua, inoltre, nel dettaglio gli organi dell’unione e le modalità della loro
costituzione. Stabilisce che lo statuto individui le funzioni svolte dall’unione e
le corrispondenti risorse e non più la disciplina degli organi dell’unione; riconosce in via generale la potestà regolamentare e statutaria.
A questi fini, come messo in rilievo in molteplici occasioni da questa Corte
(tra le tante, sentenze n. 236 del 2013, n. 193 del 2012, n. 151 del 2012, n.
182 del 2011, n. 207 del 2010, n. 297 del 2009), il legislatore statale può,
con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti
locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette
all’autonomia di spesa degli enti territoriali. Vincoli che possono considerarsi
rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscano
un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione
delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»; e siano rispettosi del canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo
rispetto all’obiettivo prefissato.
4.2.3.– Nel caso in esame, le norme denunciate risultano, appunto, decisamente orientate ad un contenimento della spesa pubblica, creando un sistema tendenzialmente virtuoso di gestione associata di funzioni (e, soprattutto,
quelle fondamentali) tra Comuni, che mira ad un risparmio di spesa sia sul
piano dell’organizzazione “amministrativa”, sia su quello dell’organizzazione
“politica”, lasciando comunque alle Regioni l’esercizio contiguo della competenza materiale ad esse costituzionalmente garantita, senza, peraltro, incidere
in alcun modo sulla riserva del comma quarto dell’art. 123 Cost. In definitiva,
si tratta di un legittimo esercizio della potestà statale concorrente in materia
di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi del terzo comma dell’art.
117 Cost.
4.3.– Le questioni che investono i commi 3 e 4 dell’art. 19 non sono fondate.
4.3.1.– Le doglianze riguardano l’istituzione e disciplina delle «Unioni di comuni», di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dal comma 3, e si estendono, di riflesso e senza specifica motivazione, al comma 4,
del predetto art. 19. La disciplina impugnata prevede, anzitutto, un’unione di
Comuni costituita in prevalenza da Comuni montani, che è detta «unione di
comuni montani» e può esercitare anche le specifiche competenze di tutela e
di promozione della montagna (ex art. 44, secondo comma, Cost.) e delle leggi
in favore dei territori montani.
132
All’unione sono conferite dai Comuni le risorse umane e strumentali necessarie all’esercizio delle funzioni ad essa attribuite e vengono, quindi, introdotti
nuovi vincoli in materia di spesa di personale: infatti, fermi restando i vincoli
previsti dalla normativa vigente, la spesa sostenuta per il personale dell’unione non può comportare, in sede di prima applicazione, il superamento della
somma delle spese di personale sostenute precedentemente dai singoli Comuni partecipanti; inoltre, si dispone che, attraverso specifiche misure di razionalizzazione organizzativa e una rigorosa programmazione dei fabbisogni,
devono essere assicurati progressivi risparmi di spesa in materia di personale.
È, inoltre, confermato che all’unione competono gli introiti derivanti da tasse,
tariffe e dai contributi sui servizi ad essa affidati.
4.3.2.– Le argomentazioni che sono state già sviluppate in precedenza (segnatamente, punti 4.2.2. e 4.2.3.) sono riferibili anche al denunciato comma
3, e si riflettono sul connesso comma 4, considerato che tale disposizione è
orientata finalisticamente al contenimento della spesa pubblica, siccome posta da un provvedimento di riesame delle condizioni di spesa e con contenuti
armonici rispetto all’impianto complessivo della rimodulazione delle «unioni di
comuni».
Dunque, opera anche in questo caso il titolo legittimante della competenza
in materia di «coordinamento della finanza pubblica», di cui al comma terzo
dell’art. 117 Cost., esercitata dallo Stato attraverso previsioni che si configurano come principi fondamentali e non si esauriscono in una disciplina di mero
dettaglio.
Né può ravvisarsi la dedotta violazione dell’art. 119 Cost., giacché non solo è
legittimo incidere con una manovra finanziaria sulle risorse degli enti territoriali, purché non siano tali da determinare uno squilibrio incompatibile con le
complessive esigenze di spesa e pregiudizievole per l’esercizio delle funzioni ad
essi riservate (sentenze n. 298 del 2009, n. 381 del 2004 e n. 437 del 2001),
ma rileva anche il fatto che l’attribuzione alle unioni di Comuni di «introiti
derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi» riguarda i «servizi ad esse
affidati», sicché non verrebbero sottratte risorse per l’esercizio di funzioni da
parte di enti che non fanno parte dell’unione stessa.
133
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni del decreto-legge oggetto
di impugnazione;
riuniti i giudizi;
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19,
comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti
per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012,
n. 135, promossa, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118
della Costituzione, dalla Regione Campania con il ricorso in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19,
comma 1, lettera a), promossa in riferimento agli art. 117, secondo comma,
lettera p), terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., dalla Regione
Puglia con il ricorso in epigrafe;
8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19,
comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 119, primo, secondo e sesto
comma Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso in epigrafe;
9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 del
d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento all’art. 3, primo comma, lettera
b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna) ed all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’11 febbraio 2014.
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19,
comma 1, lettere da a) a d), del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost., dalla Regione Lazio con il ricorso in epigrafe;
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19,
comma 1, lettere da b) a d), del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento
agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dalla Regione Campania con
il ricorso in epigrafe;
.
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19,
comma 1, lettere d) ed e), del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli
artt. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, 118 e 123, primo e
quarto comma, Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19,
commi 1, lettere da b) ad e), e 3, del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost.,
dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19,
commi 3 e 4, del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 117,
e 118 Cost., dalle Regioni Lazio, Veneto e Campania con i ricorsi in epigrafe;
134
135
CORTE COST., SENT. N. 236/2013 (GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE - NORMATIVA STATALE - PREVISIONE DELLA SOPPRESSIONE DI ALMENO IL 20%
DEGLI ENTI STRUMENTALI CHE ESERCITANO FUNZIONI SPETTANTI AI
COMUNI, ALLE PROVINCE E ALLE CITTÀ METROPOLITANE - PRIMA CENSURA: ORGANIZZAZIONE REGIONALE - NON FONDATEZZA, IN RAGIONE
DELL’ERRONEO PRESUPPOSTO INTERPRETATIVO SUPPOSTO DALLA PARTE RICORRENTE, SECONDO CUI ANCHE LE REGIONI SAREBBERO INTERESSATE DALLA PREDETTA RIDUZIONE - SECONDA CENSURA: LESIONE
DELL’AUTONOMIA FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI - NON FONDATEZZA,
PER RICONDUCIBILITÀ DELLA DISPOSIZIONE NELL’AMBITO DEI PRINCIPI
FONDAMENTALI IN MATERIA DI COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA - DISPOSIZIONE SECONDO CUI, DECORSI NOVE MESI DALLA DATA
DI ENTRATA IN VIGORE DELLA NORMATIVA IMPUGNATA, SE NON È STATA
DATA ATTUAZIONE ALLA PREDETTA RIDUZIONE DEGLI ENTI STRUMENTALI, QUEST’ULTIMI SONO AUTOMATICAMENTE SOPPRESSI - ARTT. 3 E 97
COST. - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE PER MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA - PREVISIONE DI UN’ANALOGA RIDUZIONE DEGLI ENTI STRUMENTALI ANCHE A SCAPITO DELLE REGIONI - COORDINAMENTO DELLA FINAZA PUBBLICA E AUTONOMIA FINANZIARIA - NON FONDATEZZA - DIVIETO
PER GLI ENTI LOCALI DI ISTITUIRE ENTI, AGENZIE O ORGANISMI - ARTT.
117, COMMA 2, LETT. P); 118; 119 COST. - NON FONDATEZZA)
SENTENZA N. 236
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Franco GALLO
Luigi MAZZELLA
136
Presidente
Giudice
Gaetano SILVESTRI
”
Sabino CASSESE
”
Giuseppe TESAURO
”
Paolo Maria NAPOLITANO
”
Giuseppe FRIGO
”
Alessandro CRISCUOLO
”
Paolo GROSSI
”
GiorgioLATTANZI”
Aldo CAROSI
”
Marta CARTABIA
”
Sergio MATTARELLA
”
Mario Rosario MORELLI
”
Giancarl  CORAGGIO
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5
e 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Lazio
e Veneto e dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna con ricorsi
notificati rispettivamente il 12-17, il 12, il 15 e il 12 ottobre 2012, depositati
in cancelleria il 16, il 17 e il 19 ottobre 2012 ed iscritti ai nn. 145, 151, 159 e
160 del registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2013 il Giudice relatore Paolo Maria
Napolitano;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi Manzi e Mario Bertolissi per
la Regione Veneto, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 16 ottobre la Regione Lazio ha impugnato, tra gli altri, l’articolo 9, commi 1, 2, 3 e
4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
137
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli artt. 117,
commi quarto e sesto, e 123 della Costituzione.
Il ricorrente premette che la norma impugnata, nel dichiarato intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispondente conseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica, ha stabilito che «Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano, la riduzione dei relativi oneri
finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati. [...] che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto,
anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo
comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province
e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 della Costituzione».
Il legislatore ha previsto un’apposita procedura articolata in tre passaggi: a)
ricognizione, entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto, di tutti gli «enti,
agenzie e organismi» che esercitano funzioni fondamentali o, in ogni caso, di
tipo amministrativo degli enti locali (comma 2); b) definizione, mediante intesa
da adottarsi in sede di Conferenza Unificata, dei «criteri e della tempistica» per
l’attuazione della norma (comma 3); c) soppressione ope legis di tutti gli enti,
agenzie e organismi, con conseguente nullità di tutti gli atti successivamente
adottati, qualora le Regioni, le Province e i Comuni, decorsi nove mesi dalla
data di entrata in vigore del decreto, non abbiano concretamente dato attuazione al precetto normativo (comma 4).
Poste tali premesse, secondo la Regione ricorrente, non dovrebbero nutrirsi
dubbi sul fatto che la disciplina impugnata contrasti con gli art. 123 e 117,
comma quarto, Cost., incidendo indebitamente sulla sfera di autonomia organizzativa e di funzionamento dell’amministrazione regionale.
A tale proposito la ricorrente ribadisce che i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento regionale attengono, ai sensi dell’art. 123 Cost.,
all’autonomia statutaria, nell’esercizio della quale la Regione Lazio ha individuato e disciplinato puntualmente una serie di strutture organizzative, quali
le «Agenzie regionali» (art. 54 dello statuto), gli «enti pubblici dipendenti dalla
Regione» (art. 55 dello statuto), le «società ed altri enti privati a partecipazione
regionale» (art. 56 dello statuto), rimettendo alla legge regionale la disciplina
relativa all’istituzione e al funzionamento di tali organismi.
La materia «organizzazione amministrativa» della Regione, inoltre, ricade, in
forza dell’art. 117, comma quarto, Cost., nella propria potestà legislativa residuale e non sono ammesse interferenze ad opera del legislatore statale.
Sulla base di ciò, la Regione conclude nel senso che il censurato art. 9, commi
l, 2, 3 e 4 – per effetto del quale è prevista la «soppressione» o l’«accorpamento»
di enti, agenzie e organismi comunque denominati – deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dei citati articoli 123 e 117, comma
quarto, Cost., trattandosi di previsione che incide in via immediata sui predetti ambiti materiali di competenza regionale.
138
L’illegittimità costituzionale dello stesso articolo rileverebbe, altresì, sotto un
ulteriore e concorrente profilo. Il comma l, infatti, impone anche agli enti locali l’obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino
funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l’art.
117, comma sesto, Cost., che riconosce, come noto, ai predetti enti la potestà
regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento
delle funzioni loro attribuite, le quali possono essere svolte attraverso enti,
agenzie ed organismi vari.
A seguito della riforma del titolo V della Costituzione, che ha delineato un nuovo quadro delle funzioni e dei poteri dei Comuni e delle Province (e delle Città
metropolitane), è possibile individuare un fondamento di rango costituzionale
alla disciplina delle funzioni e dell’organizzazione degli enti locali. Inoltre, la
lesione delle menzionate sfere di autonomia costituzionale garantite in capo
alle Regioni e agli enti locali non sarebbe esclusa dall’individuazione, da parte
del legislatore statale, dell’accordo in Conferenza unificata e dal richiamo al
principio di leale collaborazione per l’attuazione della norma.
Tali meccanismi di raccordo si mostrano inidonei ad evitare le lesioni di competenza prospettate, ove si consideri che, per espressa previsione normativa
(comma 4), si procederà comunque alla soppressione ope legis di enti, agenzie
ed organismi vari, con conseguente nullità degli atti da essi adottati, qualora
la Regione e gli enti locali laziali non abbiano dato, entro nove mesi dall’entrata in vigore del decreto – e, dunque, in un arco temporale ristretto – intera
attuazione al dettato normativo statale.
La ricorrente censura anche l’eccessiva astrattezza e genericità del meccanismo volto ad individuare i «criteri e la tempistica» per l’attuazione della norma, ove si consideri che tali criteri saranno facilmente applicabili nelle sole
ipotesi di enti ed organismi che risultino, in maniera inequivocabile, inutili ed
antieconomici. Nei restanti casi, tuttavia, sarebbe particolarmente difficoltosa
la ricerca di presupposti univoci e precisi sulla cui base procedere, in vista
dell’unica finalità di ridurre del 20 per cento gli oneri finanziari, alla soppressione o all’accorpamento degli organismi contemplati dalla norma.
La Regione evidenzia che la richiamata disciplina statale, la quale fa leva su
finalità formalmente connesse al «coordinamento e al conseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica», non possa ritenersi legittimamente adottata dallo Stato nell’esercizio della propria competenza legislativa concorrente in tema
di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», prevista
dall’art. 117, comma terzo, Cost. e dall’art. 119, comma secondo, Cost.
La ricorrente, a tal proposito, richiama la giurisprudenza costituzionale che
ha negato ogni valore all’autoqualificazione ai fini dell’individuazione della
materia cui ascrivere la normativa impugnata (sentenza n. 247 del 2010), dovendosi far riferimento all’oggetto della disciplina medesima.
Secondo la Regione, il legislatore statale non sarebbe intervenuto, se non in
termini meramente marginali e riflessi, nella materia «coordinamento della
139
finanza pubblica», rispetto alla quale, peraltro, lo Stato deve in ogni caso limitarsi a dettare esclusivamente norme di principio e non di dettaglio come nella
presente circostanza. In realtà, l’oggetto della disciplina impugnata sarebbe
rappresentato da un vasto e profondo intervento modificativo dell’assetto organizzativo regionale, rispetto al quale, tuttavia, lo Stato non potrebbe vantare
alcuna competenza.
Sulla base di queste considerazioni la Regione chiede che la norma impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 117,
commi quarto e sesto, e 123 Cost.
1.1.– In data 26 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel
senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione Lazio.
La difesa statale evidenzia che gli obblighi di soppressione o accorpamento o
riduzione degli oneri finanziari sono motivati dalle esigenze di coordinamento
e di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, nonché di contenimento
della spesa e di migliore svolgimento delle funzioni amministrative. Il processo
di riforma degli enti pubblici strumentali è, d’altronde, già da diversi anni al
centro di numerosi interventi normativi diretti a procedere ad una loro drastica riduzione, per razionalizzare il funzionamento della pubblica amministrazione e contenere le spese della stessa.
L’Avvocatura dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale secondo
cui le disposizioni statali che intervengono in tema di coordinamento della
finanza pubblica possono incidere anche sulla materia dell’organizzazione e
del funzionamento della Regione (sentenza n. 159 del 2008), riconducibile al
comma quarto dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e
n. 274 del 2003). Le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e
degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che
si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di
un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa
corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o
modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 142 del 2012,
n. 139 del 2009, n. 289 e n. 120 del 2008).
Entrambi i requisiti sarebbero nel caso di specie rispettati. La disposizione
in esame, infatti, in attuazione dell’obiettivo generale di contenere una voce
importante della spesa pubblica corrente, prevede un’articolata procedura
(commi 2 e 3) in cui s’innestano diversi momenti di raccordo tra lo Stato e le
Regioni e distinti adempimenti per pervenire, entro il termine individuato dalla
norma, alla soppressione degli enti, il tutto nel rispetto del principio di leale
collaborazione. In particolare, il comma 2 vincola ad un accordo, da perseguire in sede di Conferenza unificata (ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, recante «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di
140
interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali»), la ricognizione degli enti da sopprimere o da
accorpare. Il comma 3 rimanda ad un’intesa – da concludere nella stessa sede,
ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni
per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3), e sulla base del principio di leale collaborazione – per
ciò che concerne la definizione delle modalità e della tempistica per l’attuazione degli obblighi di cui alla norma in commento. La previsione finale, secondo
cui, in caso di mancato intervento da parte degli enti territoriali interessati
entro il termine di 9 mesi, si determina l’automatica soppressione degli enti
e vengono colpiti da nullità tutti gli atti da questi successivamente adottati,
ponendosi al termine di una procedura caratterizzata da numerosi momenti di
concertazione che lasciano alle regioni ampie possibilità di autonome scelte in
merito alla razionalizzazione degli enti strumentali, rappresenta, invero, strumento di concreta attuazione della disposizione in esame, al fine di realizzare
gli obiettivi indicati dal legislatore statale.
2.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 17 ottobre la Regione Veneto ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012
per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.
Dopo aver riportato il contenuto della norma impugnata, la ricorrente evidenzia che la stessa non contiene principi fondamentali di «coordinamento della
finanza pubblica» dettati dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa
concorrente e, dunque, si pone in contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost.
La Regione Veneto richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale con
la quale si è affermato che quando una disposizione di legge statale imponga–
come nel caso di specie – vincoli ad una singola voce di spesa delle Regioni (o
degli Enti locali), essa deve considerarsi costituzionalmente illegittima, perché
«pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l’autonomia finanziaria
regionale ed eccedendo dall’ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica» risolvendosi ciò «in un’indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. alle autonomie regionali» (sentenze n. 182 del
2011 e n. 157 del 2007).
In particolare, secondo la ricorrente, i commi l, l-bis e 4 dell’art. 9 porrebbero chiaramente precetti specifici e puntuali che comprimono l’autonomia finanziaria regionale: alle Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa
pubblica per il tramite della riduzione di voci di spesa diverse da quelle rappresentate dagli enti che svolgono funzioni amministrative regionali (comma
l); alle Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa pubblica per il
tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione
degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano
servizi socio-assistenziali, educativi e culturali (comma l­bis).
La violazione degli artt. 118 e 119 Cost. sarebbe evidente e consequenziale
rispetto alla già denunciata violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost.
141
Lo stesso comma 5, imponendo alle Regioni di adeguarsi ai principi di cui al
comma l, relativamente agli enti, alle agenzie ed agli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura che svolgano ai sensi dell’art.118 Cost. funzioni
amministrative conferite alle medesime Regioni, imporrebbe, in realtà, alle
Regioni di ridurre una singola, specifica e ben individuata voce di spesa, in
palese contrasto con gli artt.117 e 119 della Costituzione, come riconosciuto
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 157 del 2007.
La Regione Veneto censura anche il comma 6 dell’art. 9 nella parte in cui che
vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie o organismi che esercitino una
o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi
dell’art. 118 Cost.
Tale norma esulerebbe dalle materie che l’art. 117, comma secondo, lettera p),
Cost. riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Inoltre risulterebbe
violato anche l’art. 118 Cost. perché una siffatta disciplina interferisce con
l’autonomia amministrativa degli Enti locali e con il potere delle Regioni di
conferire funzioni amministrative agli Enti locali.
Infine, la Regione ritiene violato anche l’art. 119 Cost., perché la norma impugnata interferisce pesantemente con l’autonomia finanziaria regionale e locale.
A tal proposito la ricorrente evidenzia che le Regioni sono legittimate a denunciare l’illegittimità costituzionale di una legge statale anche per violazione
delle competenze proprie degli Enti locali purché la «stretta connessione, in
particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consenta di ritenere che la lesione delle
competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione
delle competenze regionali» (sentenze n.169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005
e n. 196 del 2004).
La ricorrente lamenta anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto il
legislatore statale avrebbe imposto dall’alto divieti e vincoli, piuttosto che sollecitare correzioni idonee a coniugare la ricchezza dei diversi modelli organizzativi con la necessità di contenimento della spesa pubblica in contrasto con
il principio di ragionevolezza.
2.1.– In data 21 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel
senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione Veneto.
Nell’atto di costituzione vengono sviluppate difese analoghe a quelle svolte
nell’atto di costituzione contro il ricorso della Regione Lazio che sono state
sopra riportate.
3.– Con ricorso notificato il 15 ottobre 2012 e depositato il successivo 19 ottobre la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra gli altri, l’art.
9, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per violazione degli artt. 4 e 54
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
142
Friuli-Venezia Giulia), nonché degli artt. 3, 97 e 117, comma quarto, Cost.
Preliminarmente, la Regione evidenzia che l’impugnazione dell’art. 9 avviene
in subordine, per l’ipotesi che esso risulti applicabile alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia. Infatti, secondo la ricorrente, la norma impugnata non
sarebbe destinata a vincolarla, per il disposto della clausola di salvaguardia di
cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, secondo la quale «fermo restando il
contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento
e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15
e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette
regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti
locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza
locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri
enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».
Pertanto non sarebbero vincolanti per la Regione tutte le disposizioni che non
contengono una specifica affermazione circa la loro applicabilità alle autonomie speciali.
Inoltre, secondo la ricorrente, l’art. 9 non porrebbe alcun vincolo ai modi con
i quali in futuro le «procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione» ne disciplineranno eventualmente l’applicazione
(sentenze n. 198, n. 193 e n. 178 del 2012).
La Regione ritiene che la non applicabilità dell’art.9 alle autonomie speciali, in
forza della clausola di salvaguardia, non possa essere contraddetta da quanto
statuito con la sentenza n. 289 del 2008 perché in quel caso la clausola di
salvaguardia era formulata in modo del tutto generico tale da non consentire
la disapplicazione delle norme di quel decreto. Infatti non risultava neppure
precisato «quali norme (dovessero) considerarsi non applicabili alla ricorrente
per incompatibilità con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione
e quali, invece, (dovessero) ritenersi applicabili».
Mentre nel caso in esame la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis individuerebbe con precisione le disposizioni che rimangono applicabili, con ciò
individuando precisamente anche quelle non applicabili, costituite dall’insieme delle altre.
Inoltre, l’art. 24-bis non condizionerebbe l’applicabilità delle disposizioni in
questione ad un indeterminato giudizio di compatibilità, ma la escluderebbe
direttamente, rinviandola per il futuro alle «procedure previste dai rispettivi
statuti speciali e dalle relative norme di attuazione», cioè ad ulteriori e futuri
atti normativi, il cui contenuto è vincolato solo dallo statuto e dalla stessa
Costituzione.
La ricorrente, tuttavia, nel caso la Corte ritenga applicabile l’art. 9 in esame
anche alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, censura la norma per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
143
La disposizione impugnata avrebbe, secondo la ricorrente, contenuto prettamente organizzativo e violerebbe la competenza primaria regionale di cui
all’art. 4, numero l, dello statuto speciale di autonomia, in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione (oltre che la competenza residuale in materia riconosciuta a tutte le Regioni).
La parte della norma che si riferisce agli enti locali, violerebbe sia la competenza legislativa primaria della Regione in materia di ordinamento degli enti
locali prevista dall’art. 4, numero l-bis, dello statuto speciale di autonomia,
sia la competenza regionale in materia di finanza locale prevista dall’art. 54
del medesimo statuto (secondo il quale «allo scopo di adeguare le finanze delle
Province e dei Comuni al raggiungimento delle finalità ed all’esercizio delle
funzioni stabilite dalle leggi, il Consiglio regionale può assegnare ad essi annualmente una quota delle entrate della Regione») e dalle norme di attuazione
di cui all’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di
ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), che ha precisato
che «spetta alla regione disciplinare la finanza locale, l’ordinamento finanziario e contabile, l’amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali»
(comma l), e che «la regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio
bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3» (comma 2).
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sottolinea, inoltre, che la legge 13
dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», in attuazione di
un accordo stipulato tra Regione e Stato, ha stabilito le modalità con cui la
medesima Regione concorre agli obiettivi di finanza pubblica e, soprattutto, ha
stabilito chiaramente che lo Stato non può dettare norme di coordinamento
finanziario in relazione agli enti locali del Friuli­Venezia Giulia i cui costi, del
resto, sono a carico della Regione.
La ricorrente evidenzia che la citata legge n. 220 del 2010 si è basata su un accordo e non può essere unilateralmente derogata dal legislatore statale, pena
la violazione del principio pattizio che domina i rapporti finanziari tra Stato e
Regioni speciali.
Risulterebbe, infine, violata anche la stessa autonomia organizzativa degli
enti locali, garantita dall’art. 114, comma secondo, Cost., nonché dall’art.117,
comma sesto (secondo periodo), Cost., in tema, rispettivamente, di autonomia
statutaria e regolamentare.
Le disposizioni sopra riportate sarebbero, poi, costituzionalmente illegittime
per ulteriori specifiche ragioni. In primo luogo, sarebbe illegittimo il vincolo
posto dal comma l a Regioni, Province e Comuni teso a sopprimere o accorpare gli «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura
giuridica», o a ridurre almeno nella misura del 20% gli oneri finanziari relativi
ad essi.
144
Quanto alla soppressione, si tratterebbe di un irragionevole vincolo alla autonomia organizzativa della Regione e degli enti autonomi, smentito del resto
dallo stesso legislatore, che lo pone in alternativa alla predetta riduzione degli
oneri finanziari.
Ma anche tale vincolo sarebbe illegittimo, in quanto relativo ad una specifica
voce di spesa, che per giunta non rappresenta né un aggregato complessivo né
un aggregato significativo, essendo evidente che sia le funzioni che le strutture che attualmente esercitano le funzioni dovrebbero essere ricollocate, senza
neppure la garanzia di una effettiva riduzione di spesa.
Ma anche ove, in denegata ipotesi, tale principio fosse in sé e per sé legittimo
come principio di coordinamento della finanza pubblica, sarebbero comunque
illegittime le norme dettagliate che lo accompagnano (sentenze 297 del 2009 e
n. 159 del 2008). Così sarebbe per la norma che direttamente esclude l’applicazione della disposizione alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che
gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali, anziché lasciare
tale individuazione alle singole regioni interessate, che, tra l’altro, sono competenti anche per le materie in questione.
Così sarebbe per il comma 4, in base al quale, trascorsi nove mesi senza che
le regioni, le province e i comuni abbiano dato attuazione a quanto disposto
dal comma l, «gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma l
sono soppressi», e «sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi».
Si tratterebbe di un intervento non consentito rispetto all’autonomia organizzativa della ricorrente Regione (anche in relazione alla propria potestà primaria in materia di enti locali e dei propri compiti in materia di finanza locale) e
degli stessi enti locali.
La Regione ricorrente richiama la sentenza n. 237 del 2009 che ha dichiarato
illegittima una analoga disciplina di dettaglio ed auto applicativa. Si tratterebbe inoltre di una norma del tutto irragionevole, in quanto la «soppressione»,
con norma generale, di strutture non precisamente individuate, e la dichiarazione di nullità di atti anche essi non precisamente individuati, determina
una situazione di incertezza giuridica con riferimento sia al personale che alle
funzioni, mentre la transizione delle competenze a organi e strutture non individuati ne comprometterebbe l’esercizio.
Alla ricorrente sembra, dunque, evidente la violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
La Regione sarebbe legittimata ad invocare i principi di ragionevolezza e buon
andamento, perché le norme che li violano inciderebbero su materie regionali
(sentenze n. 80 e n. 22 del 2012), anzi condizionerebbero la stessa organizzazione della Regione e degli enti locali della Regione.
La ricorrente impugna per gli stessi motivi anche il comma 5 dell’art. 9 evidenziando l’oscurità della norma che, peraltro, si porrebbe in contraddizione
145
con il comma 4, rendendo il complesso normativo ulteriormente incerto, con
nuova violazione dei parametri già esposti a proposito del comma 4.
Da ultimo, la Regione impugna il comma 6 dell’art. 9 nella parte in cui fa «divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati
e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali
e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione».
Poiché gli enti locali non hanno altre funzioni che quelle fondamentali e le
altre ad essi conferite, la norma si traduce in un divieto assoluto per essi di
istituire «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica». Inoltre la norma è destinata ad applicarsi a tutti gli enti locali,
eccettuato forse il Comune di Roma per il suo speciale status di capitale. Nella
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il divieto si applicherebbe al comune
più piccolo così come per i Comuni di Udine e Trieste. Nessuno di essi sarebbe
giuridicamente in grado di istituire il minimo organismo, comunque denominato e di «qualsiasi natura giuridica».
Una simile disposizione – nella sua estensione indiscriminata – violerebbe evidentemente il principio di ragionevolezza e di proporzionalità, non essendovi
rapporto alcuno con i presunti vantaggi per la finanza pubblica, la cui portata
del resto non è neppure enunciata.
Vi sarebbe, infine, l’evidente violazione della potestà legislativa regionale in
materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, nonché dell’autonomia stessa degli enti locali interessati, come protetta dagli artt. 114 e 117
Cost., sopra indicati.
3.1.– In data 22 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel
senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
La difesa statale rileva che le norme censurate sono volte ad assicurare il coordinamento ed il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa ed il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e
dispongono che Regioni, Province e Comuni assicurino la riduzione degli oneri
finanziari relativi ad enti, agenzie ed organismi che esercitino funzioni spettanti agli enti territoriali. Le stesse, pertanto, rientrerebbero nella copertura
statuale del coordinamento della finanza pubblica.
Inoltre, il legislatore statale avrebbe anche previsto un ampio coinvolgimento
degli enti territoriali interessati. Si prevede, infatti, che la ricognizione di qualsivoglia ente avvenga in sede di accordo sancito nell’ambito della Conferenza
unificata e che, quindi, nella stessa sede, si provveda, mediante intesa, alla
individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione di quanto previsto
dall’articolo e alla definizione delle modalità di monitoraggio.
146
Il legislatore, pertanto, avrebbe prefigurato un percorso procedurale dominato
dal principio consensualistico cui conseguirebbe l’infondatezza di tutte le doglianze formulate dalla ricorrente.
Per quanto riguarda le censure mosse ai profili sanzionatori in caso di mancata attuazione del disposto di cui al comma l, l’Avvocatura dello Stato rileva
che, anche in questo caso, gli strumenti previsti dal legislatore costituiscono
principi di coordinamento della finanza pubblica e rientrano nella competenza
legislativa concorrente dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost.
Infine, quanto al comma 6, che contiene il divieto agli enti locali di istituire
enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, i rilievi della regione non dovrebbero essere accolti, atteso che anche
per essi varrebbe la riconducibilità ai principi di coordinamento della finanza
pubblica.
4.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 19 ottobre, la Regione autonoma Sardegna ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9, commi
1, 2, 3, e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per violazione degli artt. 3, comma 1, lettere
a), b) e q), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), nonché degli artt. 3, 117, comma terzo, e 119 Cost.
La Regione evidenzia che la norma impugnata regola nel dettaglio l’organizzazione amministrativa degli enti territoriali, imponendo alle Regioni e agli enti
locali non solo una quota di risparmio di gestione delle funzioni amministrative così esercitate, ma obbligando all’accorpamento o alla soppressione di enti
e organizzazioni, senza considerare che la Regione, nell’esercizio della propria
competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione», «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» e «biblioteche e musei di enti locali» (art. 3, comma 1, lettere
a, b e q, dello statuto speciale di autonomia), potrebbe conseguire il medesimo
risultato di contenimento della spesa pubblica utilizzando le forme di gestione
delle funzioni pubbliche ritenute più idonee allo scopo.
Per tale motivo la disposizione menzionata violerebbe le norme statutarie indicate, e, nello stesso tempo, anche l’art. 117, comma terzo, Cost., nella misura
in cui detta norme per il coordinamento della finanza pubblica che travalicano
i «principi fondamentali» della materia.
L’imposizione, ai fini del contenimento degli oneri della finanza pubblica, di
obblighi che si ripercuotono direttamente sull’organizzazione degli enti locali
fa sì che sia lesa anche l’autonomia finanziaria della Regione, di cui all’art. 7
dello statuto speciale e all’art. 119 Cost., che tale autonomia tutelano.
A questo proposito la ricorrente richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2007 nella quale si afferma che non è contestabile «il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento
finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi
comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, ine147
vitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti», e che,
«in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti
complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza
n. 36 del 2004). Tali vincoli devono ritenersi applicabili anche alle autonomie
speciali, in considerazione dell’obbligo generale di partecipazione di tutte le
Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento della finanza pubblica (sentenza n. 416 del 1995 e successivamente, anche se
non con specifico riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenze n. 417
del 2005, n. 353, n. 345 e n. 36 del 2004). Un tale obbligo, però, deve essere
contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di
cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, la
previsione normativa del metodo dell’accordo tra le Regioni a statuto speciale
e il Ministero dell’economia e delle finanze, per la determinazione delle spese
correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, deve considerarsi
espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di
tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto
«patto di stabilità» (sentenza n. 353 del 2004).
Pertanto, il legislatore statale, onde conseguire il maggior risparmio nello svolgimento delle funzioni pubbliche degli enti locali, doveva limitarsi ad indicare
il risparmio atteso, rispettando l’autonomia organizzativa delle Regioni.
Né si potrebbe dire, ovviamente, che con l’articolo censurato il legislatore statale abbia inteso esercitare la propria potestà esclusiva in materia di «funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di cui all’art. 117,
comma secondo, lettera p), Cost., per la semplice ragione che tale competenza generale non può certo prevalere (secondo i comuni principi di risoluzione
delle antinomie) su quella speciale dettata, in materia, dall’art. 3, comma 1,
lettere a) e b), dello statuto speciale, che affida alla competenza esclusiva della
Regione autonoma Sardegna le materie «ordinamento degli uffici e degli enti
amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» e
«ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».
Senza considerare, inoltre, che l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost.,
«concerne l’istituzione e la regolazione delle funzioni amministrative, il procedimento da seguire, gli interessi pubblici da perseguire, mentre la disposizione
censurata agisce sul versante dell’organizzazione degli enti al fine di conseguire un ipotetico vantaggio di finanza pubblica».
Per quest’ultimo profilo, poi, sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in relazione all’art. 3, comma 1, lettere a), b) e q),
dello statuto speciale di autonomia , in quanto il divieto per gli enti locali di
istituire enti strumentali impedisce che Province e Comuni, anche in ossequio
alla normativa regionale, possano esercitare le proprie funzioni in regime di
intercomunalità, istituendo un apposito ente associativo, anche qualora tale
modello organizzativo comporti significative economie di scala.
148
4.1.– In data 21 novembre 2011 si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato concludendo nel
senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Sardegna.
La difesa statale rileva che attraverso le misure introdotte dall’articolo impugnato il legislatore ha inteso assicurare, come si legge al comma primo dell’art.
9, «il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il
contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative». La norma segue le previsioni restrittive del patto di stabilità interno di
cui all’art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito,
con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2012, n. 122, il cui comma 32, recante
il divieto di costituire società per i comuni con una densità abitativa inferiore
a determinati parametri è espressamente richiamato al comma 7 dell’art. 9 in
esame.
Sarebbe pertanto riduttiva e, comunque, infondata, l’impostazione interpretativa che della norma in esame ha dato la ricorrente, omettendo di misurarne
la legittimità nel più ampio contesto degli interventi legislativi miranti alla
realizzazione del medesimo obiettivo del rispetto dei vincoli posti dal patto di
stabilità.
È noto come il legislatore statale possa, con una disciplina di principio, imporre agli enti territoriali, anche ad autonomia speciale, determinati obblighi volti
al contenimento della spesa pubblica a fini di coordinamento finanziario. Sotto tale profilo, la giurisprudenza della Corte ha elaborato una nozione ampia
in materia di «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica»,
precisando che la piena attuazione del suddetto principio di coordinamento
fa sì che la competenza statale non si esaurisca con l’esercizio del potere legislativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di
regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo» (sentenze n. 112 e n.
29 del 2011, n. 57 del 2010). Peraltro, al comma 3 della disposizione in esame,
il legislatore introduce anche, quale presupposto applicativo delle nuove regole, una previsione di reciproca collaborazione tra lo Stato e le Regioni, al fine
di raggiungere, attraverso gli strumenti di leale cooperazione, una soluzione
condivisa sull’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione del
sistema che contemperi le peculiarità degli enti coinvolti.
5.– In prossimità dell’udienza le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia
e Sardegna, hanno presentato memorie con le quali hanno ribadito le ragioni
a sostegno dell’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, insistendo
per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
6.– L’Avvocatura dello Stato, sempre in prossimità dell’udienza, ha presentato
memorie con le quali ha ribadito le proprie argomentazioni a sostegno dell’infondatezza dei ricorsi.
149
Considerato in diritto
1.– Le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, con distinti
ricorsi, rispettivamente contrassegnati con i numeri 145, 151, 159 e 160 del
registro ricorsi dell’anno 2012, hanno sollevato, in via principale, questione
di legittimità costituzionale tra gli altri dell’art. 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e
6 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli articoli 3,
97, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della Costituzione.
Per tutte le ricorrenti il punto centrale del dubbio di costituzionalità è costituito, in sintesi, dalla asserita lesione della loro potestà legislativa in materia
di «organizzazione regionale» di cui all’art. 117, comma quarto, Cost., dalla
violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119 Cost. e
dalla assenza di titoli di legittimazione dello Stato ad adottare la disciplina in
esame.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia lamenta anche la lesione da parte
della norma impugnata degli artt. 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio
1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), che riserva
alla competenza legislativa primaria della Regione la materia ordinamento degli uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione mentre la Regione autonoma
Sardegna lamenta anche la violazione degli artt. 3, comma l, lettere a), b) e q),
e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna), ove si attribuisce alla Regione medesima la competenza legislativa
esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi
della Regione», «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» e
«biblioteche e musei di enti locali».
Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi devono
essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia, la quale avrà ad oggetto esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni
legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre decisioni la valutazione
delle restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle sopraindicate Regioni.
2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia solleva le questioni di costituzionalità solo in via cautelativa qualora si ritenga l’art. 9 direttamente applicabile anche a Regioni e Province autonome.
In realtà, secondo la ricorrente, le disposizioni del decreto-legge non sarebbero
vincolanti per gli enti che godono di autonomia speciale, dovendosi applicare
la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, secondo
la quale «fermo restando il contributo delle Regioni a statuto speciale e delle
150
province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come
determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione,
anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano
le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei
predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale
o provinciale».
2.1.– Le questioni sollevate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna non sono fondate.
La clausola di salvaguardia prevista dall’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012 rimette l’applicazione delle norme introdotte dal decreto alle procedure previste
dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.
Tale clausola è stata introdotta, in sede di conversione, alla fine del testo del
d.l. n. 95 del 2012, proprio per garantire che il contributo delle Regioni a statuto speciale all’azione di risanamento venga realizzato rispettando i rapporti
e i vincoli che gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e Regioni a
statuto speciale. Essa dunque non costituisce una mera formula di stile, priva
di significato normativo, ma ha la «precisa funzione di rendere applicabile il
decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che siano “rispettati” gli statuti speciali» (sentenza n. 241 del 2012) ed i particolari percorsi
procedurali ivi previsti per la modificazione delle norme di attuazione degli
statuti medesimi.
La previsione di una procedura “garantita” al fine di applicare agli enti ad autonomia speciale la normativa introdotta esclude, perciò, l’automatica efficacia della disciplina prevista dal decreto-legge per le Regioni a statuto ordinario
(sentenza n. 178 del 2012). Le norme dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, dunque, non sono immediatamente applicabili alle Regioni ad autonomia speciale,
ma richiedono il recepimento tramite le apposite procedure prescritte dalla
normativa statutaria e di attuazione statutaria.
La partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla procedura impedisce che possano introdursi norme lesive degli statuti e determina l’infondatezza delle questioni sollevate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia
e Sardegna (sentenze n. 178 del 2012 e n. 145 del 2008).
3.– La prima delle questioni sollevate, comune ai restanti ricorsi delle Regioni
Lazio e Veneto, riguarda il comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 il quale,
nel dichiarato intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispondente conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, stabilisce che «Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano
la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti,
agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata
in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui
all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti
151
a Comuni, province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 della Costituzione».
Vi è da premettere che, per la migliore comprensione della disposizione, sarebbe stato preferibile non spezzare il collegamento tra i primi due verbi («sopprimono o accorpano») e le parole che fungono da complemento oggetto («enti,
agenzie e organismi comunque denominati»), spostando al termine della frase
il terzo verbo e l’espressione cui viene a dare significato («o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al
20%»).
Secondo le Regioni ricorrenti, la norma sopra citata violerebbe l’art. 117, comma quarto, Cost. in quanto ascrivibile alla materia «organizzazione amministrativa» delle Regioni.
La Regione Lazio evoca anche la violazione dell’art. 123 Cost. perché i principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento delle Regioni sono riservati
all’autonomia statutaria.
La Regione Veneto lamenta inoltre l’illegittima compressione dell’autonomia
finanziaria regionale in violazione degli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost.
3.1.– La questione non è fondata.
In primo luogo, è necessario individuare l’ambito di applicazione dell’art. 9,
comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 in quanto le Regioni ricorrenti incorrono
nell’erroneo presupposto interpretativo di ritenere che tale disposizione disciplini anche l’accorpamento, la soppressione o la riduzione, nella misura del
20 per cento dei costi, degli enti, agenzie e organismi comunque denominati
istituiti dalla Regione per lo svolgimento delle funzioni amministrative di propria competenza.
Infatti, come si è detto, la principale delle censure svolte nei ricorsi in esame
riguarda la violazione della competenza legislativa residuale delle Regioni in
ordine alla materia «organizzazione amministrativa della Regione e degli enti
pubblici regionali» rientrante nella competenza residuale delle Regioni ai sensi
dell’art.117, comma quarto, Cost.
L’art. 9, comma 1, invece, prevede esclusivamente la soppressione, l’accorpamento e la riduzione dei costi di enti, agenzie o organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che svolgano funzioni fondamentali di cui
all’articolo 117, comma secondo, lettera p), Cost. o funzioni amministrative
spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost.
La disposizione in esame individua, dunque, un criterio funzionale per circoscriverne l’ambito di applicazione rivolgendosi solo ai soggetti – enti, agenzie
e organismi comunque denominati – che operano nell’ambito di Comuni, Province e Città metropolitane.
152
Del resto, che gli enti strumentali delle Regioni siano esclusi dall’ambito di applicazione della norma non è soltanto affermato nella Relazione al Senato del
disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012, nella quale
si precisa che «Si introduce l’obbligo, con l’articolo 9, per gli enti territoriali di
sopprimere o accorpare enti, agenzie ed organismi al fine di raggiungere una
riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento» e ribadito dal
Relatore che ha illustrato il provvedimento alla Commissione Bilancio della
Camera nella seduta del 1° agosto 2012, ma risulta dalla stessa lettera della
disposizione legislativa. Infatti la platea dei soggetti destinatari dell’intervento
è costituita esclusivamente da quelli che esercitano, anche in via strumentale,
funzioni fondamentali (ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera p, Cost.)
o funzioni amministrative spettanti ai suddetti enti locali ai sensi dell’art. 118
Cost. Il riferimento, nell’incipit della disposizione, alle “Regioni” deve, quindi,
intendersi come una fuorviante indicazione del soggetto, dotato di potere legislativo, che, ai sensi del comma secondo dell’art. 118 Cost., può, unitamente
allo Stato, conferire agli enti locali funzioni amministrative.
La disposizione che potrebbe interferire con l’organizzazione amministrativa
regionale è il comma 5 dell’art. 9, che prevede l’obbligo per le Regioni di procedere, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, all’adeguamento ai
principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgano, ai sensi dell’art. 118
Cost., funzioni conferite alle medesime Regioni.
Pertanto le censure delle ricorrenti aventi ad oggetto la violazione da parte
dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 della competenza legislativa residuale delle Regioni nella materia «organizzazione regionale» di cui all’art. 117,
comma quarto, Cost. non sono fondate.
Per lo stesso motivo, non sono fondate anche le censure proposte rispettivamente dalla Regione Lazio in relazione alla violazione dell’art. 123 Cost.,
che rimette alla potestà statutaria la determinazione dei principi fondamentali
dell’organizzazione regionale (nei limiti dei principi fondamentali) e quella della Regione Veneto, in relazione agli artt. 117, comma terzo, 118 e 119 Cost.
per l’illegittima compressione dell’autonomia finanziaria regionale.
3.2.– La Regione Lazio impugna l’art. 9, comma 1, anche sotto il profilo dell’illegittima imposizione agli enti locali, da parte del legislatore statale, dell’obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l’art. 117,
comma sesto, Cost., che riconosce ai predetti enti la potestà regolamentare
in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite, le quali possono essere svolte anche attraverso enti, agenzie ed
organismi vari.
La Regione Veneto, invece, lamenta la violazione, da parte della norma citata,
dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119 Cost..
153
Va premesso che tali censure sono ammissibili in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le Regioni sono legittimate a denunciare l’illegittimità costituzionale di una legge statale anche per violazione delle competenze
proprie degli Enti locali perché la «stretta connessione in particolare [...] in
tema di finanza regionale tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie
locali consent(e) di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali»
(sentenze n. 298 del 2009, n. 169 del 2007, n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e
n. 196 del 2004).
3.3.– Le questioni non sono fondate.
Il legislatore motiva la previsione di obblighi di soppressione o accorpamento
o riduzione degli oneri finanziari con le «esigenze di coordinamento, conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, (di) contenimento della spesa e […]
migliore svolgimento delle funzioni amministrative».
Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato l’orientamento secondo cui il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente
imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente,
in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).
Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e
degli enti locali quando stabiliscono un «limite complessivo, che lascia agli enti
stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi
di spesa» (sentenza n. 182 del 2011, nonché sentenze n. 297 del 2009, n. 289
del 2008 e n. 169 del 2007).
In altri termini, le norme statali devono limitarsi a porre obiettivi di contenimento senza prevedere in modo esaustivo strumenti e modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi in modo che rimanga uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale (sentenza n. 182 del 2011). Inoltre, la disciplina
dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza
e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.
Sulla base delle considerazioni che precedono e in applicazione dei canoni interpretativi sopra indicati deve ritenersi che le disposizioni contenute nell’art.
9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 costituiscono effettivamente espressione di
principi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica
proprio per la chiara finalità di riduzione della spesa e per la proporzionalità
dell’intervento rispetto al fine che il legislatore statale intende perseguire. La
norma impugnata, infatti, dopo aver indicativamente previsto la possibilità
di una soppressione o di un accorpamento degli «enti, agenzie e organismi
comunque denominati», limita il contenuto inderogabile della disposizione al
risultato di una riduzione del 20 per cento dei costi del funzionamento degli
enti strumentali degli enti locali. In sostanza, l’accorpamento o la soppressio154
ne di taluni di questi enti può essere lo strumento, ma non il solo, per ottenere
l’obiettivo di una riduzione del 20 per cento dei costi.
Per il raggiungimento di questo obiettivo, i commi 2 e 3 prevedono un duplice
procedimento volto alla ricognizione di tali enti e all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione del principio posto dal comma 1 con il
coinvolgimento delle autonomie locali. Il comma 2 dell’art. 9, infatti, prevede
che «con accordo sancito in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo
9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si provvede alla complessiva
ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati
e di qualsiasi natura giuridica di cui al comma 1» mentre il comma 3 rimanda
l’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma e per
la definizione delle modalità di monitoraggio ad un’intesa «ai sensi dell’articolo
8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e sulla base del principio di
leale collaborazione».
Il legislatore statale ha, dunque, previsto un ampio coinvolgimento anche delle
autonomie locali nell’individuare le modalità della riduzione dei costi degli enti
strumentali mediante lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata
ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed
ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione,
per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e
dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).
Deve, pertanto, ritenersi che quanto disposto dal comma in questione non
comporti, di per sé, una indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119
Cost. all’autonomia degli enti locali, cui la legge statale può legittimamente
prescrivere criteri ed obiettivi di riduzione dei costi. Va anche sottolineato
che l’obiettivo di riduzione degli oneri finanziari relativi agli enti strumentali
in misura non inferiore al 20 per cento è rispettoso del canone generale della
ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto alla sfera di
autonomia degli enti locali.
4.– Il comma 1-bis dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 è impugnato dalla sola
Regione Veneto nella parte in cui esclude dall’ambito di applicazione del comma 1 le aziende speciali, gli enti e le istituzioni che gestiscono servizi socioassistenziali, educativi e culturali.
Secondo la ricorrente, tale disposizione impedirebbe alle Regioni il contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali
o di enti (o istituzioni) che gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi e
culturali.
4.1.– La questione non è fondata.
Infatti, come si è detto, gli enti strumentali delle Regioni sono esclusi dall’ambito di applicazione del comma 1, che invece si rivolge solo a enti, agenzie e
155
organismi comunque denominati che svolgono funzioni amministrative – fondamentali o conferite – di Comuni, Province e Città metropolitane.
5.– La Regione Lazio impugna i commi 2 e 3 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012
nella parte in cui prevedono una procedura concertata per la ricognizione di
tutti gli «enti, agenzie e organismi» e per la definizione, mediante intesa, da
adottarsi in sede di Conferenza unificata, dei «criteri e della tempistica» per
l’attuazione della norma.
La ricorrente evidenzia l’eccessiva astrattezza e genericità del meccanismo volto all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma
in assenza di titoli di legittimazione statale, non essendo le norme citate ascrivibili alla competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento
della finanza pubblica» di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. e, in ogni caso,
non potendosi qualificare le stesse quali norme di principio nella suddetta
materia.
5.1.– La questione non è fondata.
Il processo di razionalizzazione degli enti pubblici strumentali, attraverso la
loro trasformazione, soppressione o accorpamento, con l’obiettivo del contenimento dei costi, presenta problematiche particolarmente complesse in relazione alle esigenze di riorganizzazione dell’esercizio delle funzioni precedentemente svolte dagli enti in oggetto e al trasferimento del personale dipendente.
Va ribadito ancora una volta che le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4
dell’art. 9 si rivolgono esclusivamente ad enti, agenzie e organismi comunque
denominati che svolgono funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane
e, che pertanto, le stesse non ledono alcuna prerogativa organizzativa o finanziaria regionale.
Il legislatore statale, con le citate disposizioni, sempre in funzione dell’obiettivo
di riduzione della spesa corrente per il funzionamento degli enti strumentali
degli enti locali, si limita a individuare un procedimento che vede il più ampio
coinvolgimento delle autonomie locali, oltre che delle stesse Regioni, mediante
il meccanismo dell’intesa in sede di conferenza unificata, per stabilire concretamente le modalità con le quali deve essere raggiunto l’obiettivo prefissato di
riduzione di spesa.
Ne consegue che le disposizioni impugnate, considerate nel loro insieme e in
relazione al risultato finale che esse si prefiggono di raggiungere, non si pongono in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost., in quanto non
prevedono «in modo esaustivo e puntuale strumenti o modalità per il perseguimento» di obiettivi di riequilibrio finanziario, non introducono limiti puntuali
a singole voci di spesa degli enti locali e, pertanto, non comportano alcuna
indebita invasione dell’autonomia finanziaria degli enti locali (sentenze n. 182
del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).
6.– Le Regioni ricorrenti impugnano anche il comma 4 dell’art. 9 del d.l. n. 95
del 2012.
156
Tale disposizione prevede che «decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore
del decreto, se le Regioni, le Province e i Comuni non hanno dato attuazione
a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al
medesimo comma 1 sono soppressi. Sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi».
La Regione Lazio ritiene che detto comma violi l’art. 117, comma quarto, Cost.
in quanto norma ascrivibile alla materia “organizzazione amministrativa” della
Regione e l’art. 123 Cost. perché i principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento delle Regioni sono riservati all’autonomia statutaria.
La Regione Veneto afferma che la citata disposizione, introducendo precetti
specifici e puntuali che chiaramente comprimono l’autonomia finanziaria regionale e degli enti locali, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, comma
terzo, e 118 Cost. Ritiene anche violati gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto sarebbe
leso il principio di “ragionevolezza della legislazione”.
In particolare, la Regione lamenta, da un lato che la norma impugnata non
consente il contenimento della spesa pubblica per il tramite della riduzione
di voci di spesa diverse da quelle rappresentate dagli enti che svolgono determinate funzioni amministrative e dall’altro, che è impedito il contenimento
della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o
comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o
istituzioni) che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.
Va, preliminarmente, affermata l’ammissibilità di tutte le censure, anche se
non riferite a parametri relativi al riparto delle competenze legislative.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi
da quelli relativi al riparto delle competenze legislative ove la loro violazione
comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative (ex plurimis, sentenze
n. 128 e n. 33del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010).
Nel caso in esame l’automatica soppressione di tutti gli enti strumentali degli
enti locali impedisce che questi possano svolgere anche le funzioni eventualmente conferite ai medesimi dal legislatore regionale nell’esercizio delle proprie competenze legislative.
Risulta evidente, pertanto, che la questione, se pure sollevata in relazione agli
artt. 3 e 97 Cost., coinvolga anche le attribuzioni costituzionali delle Regioni.
6.1.– La questione è fondata.
Il legislatore statale, decorso il termine di nove mesi dall’approvazione del decreto-legge, sopprime in modo indistinto tutti gli enti strumentali che svolgono
funzioni fondamentali o conferite di Province e Comuni senza che questi siano
sufficientemente individuati.
157
L’incertezza circa i soggetti destinatari della norma è tale che, come si è visto,
lo stesso legislatore statale ha ritenuto necessario un procedimento concertato per la complessiva ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi,
comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica da sopprimere o accorpare e per l’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della
norma.
Risulta palese, pertanto, la contraddittorietà della disposizione in esame, che
stabilisce la soppressione ex lege di tutti gli enti comunque denominati allo
scadere del termine di nove mesi dall’approvazione del decreto-legge non tenendo conto della previsione di cui ai commi 2 e 3, istitutiva di un procedimento volto alla ricognizione dei suddetti enti e all’individuazione dei criteri e
della tempistica per l’attuazione della norma con il coinvolgimento delle autonomie locali.
Inoltre, l’automatica soppressione di enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che esercitano, anche in via strumentale, funzioni nell’ambito delle competenze spettanti a Comuni, Province, e
Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost., prima che tali enti locali abbiano proceduto alla necessaria riorganizzazione, pone a rischio lo svolgimento
delle suddette funzioni, rischio ulteriormente aggravato dalla previsione della
nullità di tutti gli atti adottati successivamente allo scadere del termine.
In conclusione, la difficoltà di individuare quali siano gli enti strumentali effettivamente soppressi e la necessità per gli enti locali di riorganizzare i servizi e
le funzioni da questi svolte rendono l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012
manifestamente irragionevole
Restano assorbite le restanti censure della norma in esame sollevate dalle Regioni Lazio e Veneto in relazione ad altri parametri.
7.– La Regione Veneto impugna anche il comma 5 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del
2012 nella parte in cui prevede che: «Ai fini del coordinamento della finanza
pubblica, le regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 relativamente
agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura,
che svolgono, ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione, funzioni amministrative conferite alle medesime regioni».
Secondo la ricorrente, in tal modo il legislatore statale imporrebbe alle Regioni
di ridurre una singola, specifica e ben individuata voce di spesa, in contrasto
con gli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost.
7.1.– La questione non è fondata.
Una volta riconosciuta al comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 la natura
di normativa di principio nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. deve, a maggior ragione,
riconoscersi la medesima natura anche al successivo comma 5.
158
Con tale disposizione, infatti, il legislatore statale ha fissato degli obiettivi di
riduzione dei costi degli enti strumentali lasciando alle Regioni, nell’esercizio
delle loro competenze, il più ampio spazio di autonomia per adeguarsi ai principi stabiliti dal comma 1. Infatti, mentre con riferimento alla riduzione dei costi degli enti strumentali degli enti locali, come si è visto, è stata prevista una
procedura concertata particolarmente celere per dare attuazione alla norma,
invece, per quanto riguarda le Regioni non è stato previsto alcun termine e
non è stata imposta alcuna specifica modalità per l’adeguamento dell’ordinamento regionale ai suddetti principi.
La disposizione impugnata, dunque, costituisce principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma terzo, Cost.) ed è pertanto ascrivibile a tale titolo alla competenza legislativa concorrente dello Stato.
Ne consegue che l’eventuale impatto di essa sull’autonomia finanziaria (119
Cost.) ed organizzativa (117, comma quarto, e 118 Cost.) delle Regioni si traduce in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale» (sentenza n. 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del
2004).
8.– La Regione Veneto, infine, impugna il comma 6 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del
2012, ritenendo che tale disposizione, nella parte in cui vieta agli Enti locali di
istituire enti, agenzie o organismi che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost., violi gli
artt. 117, comma 2, lettera p), 118 e 119 Cost., perché, non disciplinando gli
organi di governo e le funzioni fondamentali degli Enti locali, invade una materia riservata alla potestà legislativa regionale e interferisce con l’autonomia
amministrativa e finanziaria degli Enti locali oltre che con il potere di conferire
funzioni amministrative agli Enti locali.
8.1.– La questione relativa al comma 6 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 non è
fondata nei sensi di seguito precisati.
La norma impugnata stabilisce il divieto per gli enti locali di istituire enti,
agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che
esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 Cost. Tale disposizione deve essere necessariamente coordinata con quanto stabilito nei commi precedenti e, in particolare,
nel comma 1.
Infatti l’obiettivo del legislatore è esclusivamente la riduzione dei costi relativi
agli enti strumentali degli enti locali nella misura almeno del 20 per cento,
anche mediante la soppressione o l’accorpamento dei medesimi. Pertanto la
disposizione in esame deve essere interpretata nel senso che il divieto di istituire nuovi enti strumentali opera solo nei limiti della necessaria riduzione del
20 per cento dei costi relativi al loro funzionamento. Vale a dire che, se, complessivamente, le spese per «enti, agenzie e organismi comunque denominati»
di cui ai commi 1 e 6 del citato art. 9, resta al di sotto dell’80 per cento dei
precedenti oneri finanziari, non opera il divieto di cui al comma 6.
159
Una siffatta interpretazione, costituzionalmente orientata, si rende necessaria
anche per consentire agli enti locali di dare attuazione al comma 1 mediante
l’accorpamento degli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o
conferite. In tal modo, infatti, gli enti locali potranno procedere all’accorpamento degli enti strumentali esistenti anche mediante l’istituzione di un nuovo soggetto, purché sia rispettato l’obiettivo di riduzione complessiva dei costi.
stituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
 
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
 
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2013.
riservata a separate pronunce ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni del decreto-legge
oggetto di impugnazione;
riuniti i giudizi;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 4, del decretolegge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
9, commi 1, 2, 3, 5 e 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli
4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9,
commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 135 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 7 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9,
commi 1, 1-bis, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevate, in riferimento agli articoli 3,
97, 117, commi secondo, lettera p), terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della
Costituzione, dalle Regioni Lazio e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondate – nei sensi di cui in motivazione – le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 6, del decreto-legge n. 95 del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi secondo e quarto, 118 e 119 della Co160
161
CORTE COST., SENT. N. 50/2013 (GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE - LEGGE
DELLA REGIONE ABRUZZO - ISTITUZIONE DELLE ASSI [ASSEMBLEE DEI
SINDACI] QUALE ORGANO CONSULTIVO DELL’ERSI [ENTE REGIONALE
PER IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO], CHE HA ASSUNTO TUTTE LE FUNZIONI DELLE SOPPRESSE AUTORITÀ D’AMBITO - TUTELA DELL’AMBIENTE - NON FONDATEZZA - PREVISIONE DI PARERI VINCOLANTI DA PARTE
DELLE ASSI NELL’AMBITO DELLE ATTIVITÀ PIANIFICATORIE DELL’ERSI TUTELA DELL’AMBIENTE E TUTELA DELLA CONCORRENZA - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE - PREVISIONE DI SVOLGIMENTO DEL CONTROLLO
ANALOGO SUI GESTORI IN HOUSE DEL SERVIZIO MEDIANTE PARERI NON
VINCOLANTI - VIOLAZIONE DELL’ART. 117, COMMA 1, COST. PER MANCATO RISPETTO DEI PRINCIPI EUROPEI SULL’AFFIDAMENTO IN HOUSE - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE)
SENTENZA N. 50
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 10, 11, primo periodo, 14 e 16, della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in
materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 1° luglio
2011, ricevuto il successivo 6 luglio, depositato in cancelleria l’11 luglio, ed
iscritto al n. 67 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 13 marzo 2013 il Giudice relatore Gaetano
Silvestri;
uditi l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei
ministri e l’avvocato Federico Tedeschini per la Regione Abruzzo.
ANNO 2013
Ritenuto in fatto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Luigi MAZZELLA
162
Presidente
Gaetano SILVESTRI
Giudice
Giuseppe TESAURO
“
Paolo Maria NAPOLITANO
“
Giuseppe FRIGO
“
Alessandro CRISCUOLO
“
Paolo GROSSI
“
Giorgio LATTANZI
“
Aldo CAROSI
“
Marta CARTABIA
“
Sergio MATTARELLA
“
Mario Rosario MORELLI
“
Giancarlo CORAGGIO
“
1.– Con ricorso spedito per la notifica il 1° luglio 2011, ricevuto il successivo 6
luglio e depositato l’11 luglio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni
di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 10, 11, primo periodo, 14 e 16,
della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia di
Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), per violazione dell’art. 117,
primo e secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente assume in premessa che la normativa impugnata sarebbe
ascrivibile all’ambito materiale della gestione delle risorse idriche, rientrante
nella competenza legislativa esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema (ex art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) e di tutela della
concorrenza (ex art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).
Da quanto appena detto discenderebbe la natura vincolante, nei confronti del
legislatore regionale, delle norme recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), «che costituiscono standards minimi ed
uniformi di tutela dell’ambiente validi sull’intero territorio nazionale». Siffatta
ricostruzione avrebbe trovato conferma, da ultimo, nelle sentenze della Corte
costituzionale n. 187 e n. 44 del 2011.
1.2.– Sulla base di tali premesse il ricorrente ritiene che debbano essere censurati i commi 11, 12 (recte: 10) e 14 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9
del 2011.
Il comma 10 stabilisce: «In ciascuna Provincia del territorio regionale è istituita l’assemblea dei sindaci – di seguito denominata ASSI – per l’esercizio delle
competenze nelle materie assegnate agli enti locali dalla legislazione statale e
regionale, in particolare i compiti di organizzazione del Servizio, di adozione
163
del piano d’ambito provinciale, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione. L’assemblea dei sindaci si riunisce su base provinciale e si articola nei subambiti
territoriali corrispondenti agli ambiti di competenza dei singoli soggetti gestori
che operano nella Regione. La partecipazione ai lavori dell’assemblea è gratuita».
Il comma 11, primo periodo, dispone: «L’ASSI, nell’ambito delle competenze
materiali e territoriali di cui al comma 10, esprime in via ordinaria pareri obbligatori e vincolanti all’ERSI».
Infine, il comma 14 prevede: «L’ERSI propone gli atti fondamentali di pianificazione e di programmazione del Servizio alle ASSI, che esprimono parere
obbligatorio e vincolante. L’ERSI coordina ed unifica a livello regionale le deliberazioni delle ASSI al fine di mantenere l’uniformità di azione sull’intero
territorio regionale, sentita la Commissione del Consiglio regionale competente, che deve esprimersi in via definitiva entro e non oltre i ventuno (21) giorni
successivi alla richiesta da parte dell’ERSI. Il parere si intende reso in senso
favorevole qualora la Commissione consiliare non si pronunci in via definitiva
nel termine perentorio su indicato».
La richiamata normativa regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., «per il tramite della normativa statale di riferimento in materia ambientale, da considerarsi quale disciplina interposta»,
ed in particolare dell’art. 149, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del
2006.
L’art. 149 – posto nel Titolo II (dedicato al «Servizio idrico integrato») della
Sezione III del citato d.lgs. n. 152 del 2006 – prevede che l’Autorità d’ambito
provveda alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d’ambito, il quale
è costituito, tra l’altro, dal «programma degli interventi». Ai sensi del citato art.
149, comma 3, secondo periodo, «il programma degli interventi, commisurato
all’intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le infrastrutture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione».
Il ricorrente ritiene che le previsioni della legge regionale si pongano in contrasto con le anzidette norme statali, specie là dove la prima prevede (comma 10)
l’istituzione in ciascuna Provincia di un’assemblea dei sindaci (ASSI), che si
riunisce su base provinciale e si articola nei sub-ambiti territoriali corrispondenti agli ambiti di competenza dei singoli soggetti gestori che operano nella
Regione.
Secondo la difesa statale, l’attribuzione all’assemblea dei sindaci della competenza ad adottare il piano d’ambito provinciale porrebbe l’assemblea stessa
in una posizione di egemonia rispetto all’ente regionale per il servizio idrico
integrato (ERSI), che costituisce il soggetto competente per l’ambito territoriale
unico regionale (ATUR).
164
La denunciata egemonia discenderebbe, in particolare, dalla previsione di un
parere, non solo obbligatorio, ma anche vincolante da parte delle ASSI all’ERSI, che renderebbe difficilmente realizzabile il ruolo di coordinamento a livello
regionale delle deliberazioni delle ASSI, assegnato dalla legge reg. Abruzzo n.
9 del 2011 all’ERSI.
In sostanza, i commi censurati attribuirebbero all’ERSI il compito di «coordinare una somma di distinti Piani d’ambito provinciale, piuttosto che comporre
la sintesi degli stessi, in modo pienamente coerente con quanto stabilito dal
citato art. 149, comma 3, secondo periodo». Al riguardo, il ricorrente ritiene
che sarebbe stato necessario demandare all’ERSI la funzione di redigere un
autonomo e unitario piano d’ambito (su scala regionale) e di procedere alla
sua adozione.
Sarebbe, pertanto, negata la necessaria prospettiva d’insieme che solo un piano d’ambito unitario potrebbe assicurare a tutela delle comunità locali e degli
utenti.
Il ricorrente osserva che, mentre la normativa statale prevede un programma
unitario di interventi ed obiettivi, ponendo in capo all’AATO (ed ora ai soggetti
individuati dalle Regioni ai sensi dell’art. 2, comma 186-bis, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2010») le funzioni di pianificazione, le norme regionali impugnate prevedono espressamente che «L’ERSI
coordina ed unifica a livello regionale le deliberazioni delle ASSI al fine di mantenere l’uniformità di azione sull’intero territorio regionale». Di conseguenza,
le esigenze di unitarietà sarebbe assicurate, nella normativa regionale, «solo
dalla funzione di “coordinamento” e non dalla pianificazione stessa».
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche il comma 16
dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, secondo cui «In conformità
alla normativa vigente, il controllo analogo sui gestori in house del Servizio è
svolto dall’ERSI ovvero dal Commissario di cui al successivo comma 19. Il controllo analogo è esercitato, nel rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto
gestore, attraverso parere obbligatorio sugli atti fondamentali del soggetto gestore in house».
La difesa statale contesta la previsione secondo cui il «controllo analogo», svolto dall’ERSI sui gestori in house del Servizio idrico integrato, debba essere
esercitato «solo mediante pareri obbligatori – ma non vincolanti – ed in più con
l’obbligo di rispettare l’“autonomia gestionale” dei soggetti gestori».
La norma anzidetta, a parere del ricorrente, non sarebbe in linea con il diritto
dell’Unione europea, come applicato dalla Corte di giustizia (è richiamata la
sentenza 13 novembre 2008, in causa C-324/07), e quindi con l’art. 117, primo comma, Cost.; il censurato comma 16 si porrebbe, inoltre, in contrasto con
l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
165
1.3.1.– Quanto alla violazione del diritto dell’Unione europea, la difesa statale
sottolinea come l’in house providing costituisca un modello eccezionale, i cui
requisiti devono essere interpretati con rigore, poiché costituiscono una deroga alle regole generali del diritto dell’Unione europea imperniate sul modello
della competizione aperta.
Il ricorrente precisa, altresì, che la giurisprudenza europea e nazionale ha
definito i caratteri essenziali del cosiddetto controllo analogo, richiedendo, a
tal fine, un controllo strutturale, non limitato agli aspetti formali, ma effettivo
e svincolato da qualsiasi condizione, futura ed eventuale. In particolare, la
Corte di giustizia ha interpretato in maniera restrittiva l’affidamento dei servizi tramite in house providing, riconducendo il concetto di controllo da parte dell’amministrazione affidante alla possibilità di quest’ultima di esercitare
un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni più
importanti. Questo controllo non sarebbe assicurato dalla sola detenzione in
mano pubblica dell’intero capitale sociale della società (è richiamata la sentenza 6 aprile 2006, in causa C-410/04).
In definitiva, la difesa statale ritiene che il requisito del «controllo analogo»
postuli un rapporto tra gli organi della società affidataria e l’ente pubblico
affidante, tale che «quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicisti o con
mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare “tutta” l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento». Al riguardo, è citata la
sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151, nella quale si
afferma che «ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di
subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario.
In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è
consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle
disposizioni comunitarie».
Il ricorrente evidenzia, altresì, come sia stata affermata la necessità che il
consiglio di amministrazione della società affidataria in house non sia titolare
di rilevanti poteri gestionali e che l’ente pubblico affidante eserciti, pur se con
moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento
superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di
rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria (è
citata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514). Ne
deriva un modello di gestione in cui le decisioni più importanti devono essere
sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di “in house frazionato”, della totalità degli enti pubblici soci.
La difesa statale ritiene, pertanto, che la norma regionale impugnata, prevedendo solo un parere obbligatorio ma non vincolante da parte dell’ente pubblico affidante sulle scelte del gestore in house del servizio ed imponendo il rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto affidatario, configuri «un sistema
che svuota di contenuto il c.d. controllo analogo e, quindi, aggira il divieto di
166
affidamento del servizio “in house” solo in via eccezionale e […] i principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza». Da quanto appena detto discenderebbe la violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost.
1.3.2.– In riferimento al parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., il ricorrente sostiene che la violazione delle regole
della concorrenza derivi dalla mancata previsione di un controllo effettivo e
strutturale sui soggetti in house da parte dell’ente pubblico locale. La norma
regionale impugnata, infatti, consentirebbe a soggetti svincolati da un controllo stringente dell’ente pubblico locale la gestione in house del servizio idrico.
2.– La Regione Abruzzo si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni
prospettate siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.– In via preliminare, la resistente contesta l’ascrivibilità delle norme impugnate alle materie della tutela dell’ambiente e della tutela della concorrenza,
evidenziando le differenze esistenti fra le norme in esame e quelle oggetto dei
giudizi decisi con le sentenze della Corte costituzionale n. 187 e n. 44 del 2011.
Le norme regionali sottoposte all’odierno scrutinio riguarderebbero, piuttosto,
la materia dell’organizzazione del servizio idrico integrato sul territorio regionale e l’allocazione delle funzioni amministrative di cui erano titolari le soppresse autorità d’ambito. Al riguardo, la Regione Abruzzo avrebbe «correttamente esercitato la delega assegnatale dall’art. 2, comma 186-bis, della legge
n. 191 del 2009», secondo cui «entro un anno dalla data di entrata in vigore
della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza».
La difesa regionale fa altresì notare che già l’art. 9 della legge 5 gennaio 1994,
n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche) e, successivamente, l’art. 148
del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuivano alle Regioni il potere di disciplinare le
forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo
ambito ottimale. Entrambe le disposizioni da ultimo citate sono state abrogate, ma il citato comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009 avrebbe
nuovamente assegnato alle Regioni il compito di organizzare il servizio sul
proprio territorio; compito che la Regione Abruzzo avrebbe assolto con la legge
impugnata.
2.2.– In ordine alle impugnative proposte nei confronti dei commi 10, 11 e 14
dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, la resistente eccepisce, in via
preliminare, la genericità delle censure.
Nel merito, la resistente, dopo aver richiamato il disposto dell’art. 142 del
d.lgs. n. 152 del 2006 e del comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191 del
2009, precisa che la finalità delle norme impugnate è quella di realizzare un
modello di gestione «in grado di far convergere tutto il sistema delle autonomie
locali nel nuovo soggetto d’ambito e di assicurare la presenza di tutti i livelli di
governo presenti sul territorio regionale».
167
In particolare, la partecipazione della Regione sarebbe assicurata attraverso
l’autorità d’ambito regionale, rappresentata dall’ERSI; la partecipazione delle
Province si realizzerebbe riconoscendo loro un ruolo di coordinamento degli
enti locali, mediante la presidenza e la direzione delle ASSI, formate su base
provinciale; infine, la partecipazione dei Comuni sarebbe garantita dalla loro
presenza in seno alle ASSI e dall’attribuzione del potere di esprimere pareri
obbligatori e vincolanti. Infine, le Province, attraverso i loro presidenti, e quattro sindaci, in rappresentanza degli enti locali, sono componenti del Consiglio
di amministrazione dell’ERSI.
La resistente richiama, altresì, la sentenza della Corte costituzionale n. 128
del 2011, nella quale si precisa che il comma 186-bis dell’art. 2 della legge n.
191 del 2009 «riserva al legislatore regionale un’ampia sfera di discrezionalità, consentendogli di scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire
l’efficienza del servizio idrico integrato e del servizio di gestione ugualmente
integrato dei rifiuti urbani, nonché forme di cooperazione fra i diversi enti territoriali interessati».
La legge regionale impugnata avrebbe realizzato l’unitarietà della gestione del
servizio idrico integrato, attraverso la costituzione di un unico ambito territoriale ottimale (ATUR), ed al contempo avrebbe migliorato il sistema di controllo sulle gestioni «collocandolo presso un soggetto altamente specializzato
e competente». La scelta della Regione sarebbe, del resto, in linea con le competenze riconosciute alla stessa dalla Costituzione, dall’art. 142, commi 2 e 3,
del d.lgs. n. 152 del 2006 e dall’art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del
2009. Queste disposizioni, infatti, avrebbero sancito «in maniera indiscutibile
un obbligo di coinvolgimento degli enti locali nei processi di organizzazione,
indirizzo e controllo del servizio idrico integrato».
La difesa regionale conclude sul punto rilevando come all’ERSI spetti non solo
«proporre» alle ASSI gli atti fondamentali di pianificazione e di programmazione del servizio, ma anche «unificare i documenti di pianificazione e garantire
l’uniformità di indirizzo e di azione sull’intero territorio regionale» (art. 1, comma 14, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011).
In ordine all’asserita violazione dell’art. 149, comma 3, del d.lgs. n. 152 del
2006, la resistente ritiene che dalla lettura sistematica dell’intera legge regionale, recante le norme censurate, si evinca la natura autonoma e unitaria del
piano d’ambito regionale, che non sarebbe costituito dalla mera «somma di distinti piani d’ambito provinciali» ma deriverebbe dall’attività di coordinamento
e di unificazione svolta dall’ERSI su scala regionale.
2.3.– Quanto all’impugnativa proposta nei confronti del comma 16 dell’art. 1
della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, la resistente, dopo aver precisato che
la predetta disposizione reca nell’incipit l’obbligo a conformarsi «alla normativa vigente», evidenzia come il legislatore regionale abbia «inteso declinare il
potere di direzione dell’ERSI sui soggetti affidatari in house del servizio idrico
integrato con la previsione di pareri obbligatori su tutti gli atti fondamentali
168
di gestione, ai quali gli affidatari medesimi sono tenuti ad adeguarsi, nel quadro delle proprie scelte gestionali». In questo modo sarebbe stata configurata
quella situazione di «effettivo controllo e di orientamento dell’attività della società controllata», richiesta dalla normativa e dalla giurisprudenza dell’Unione
europea per giustificare l’affidamento diretto.
L’art. 1, comma 16, inoltre, risulterebbe in linea con la normativa statale in
materia, «almeno con quella vigente al momento della sua entrata in vigore». È
richiamato, al riguardo, l’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre
2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per
l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009,
n. 166, il quale stabilisce che «tutte le forme di affidamento della gestione del
servizio idrico integrato […] devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore». La norma da ultimo citata sarebbe volta
a garantire che l’ingerenza e il controllo sugli atti fondamentali delle società
che gestiscono il servizio non comprimano, in modo assoluto, quel minimo di
autonomia imprescindibilmente connessa alla loro natura di soggetti che svolgono un’attività di carattere industriale.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la resistente ritiene che il censurato comma 16 non si ponga in contrasto né con il diritto dell’Unione europea né con le norme poste dal legislatore nazionale a tutela della concorrenza.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 10, 11, primo periodo, 14 e 16, della legge della Regione
Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia di Servizio Idrico Integrato
della Regione Abruzzo), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma,
lettere e) ed s), della Costituzione.
2.– Il ricorrente impugna, innanzitutto, i commi 10, 11 e 14 dell’art. 1 della
legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011 per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., «per il tramite della normativa statale di riferimento in materia ambientale, da considerarsi quale disciplina interposta», ed in particolare
dell’art. 149, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale).
I commi censurati, prevedendo un parere, non solo obbligatorio, ma anche
vincolante da parte delle ASSI (Assemblee dei sindaci) all’ERSI (Ente regionale
per il servizio idrico integrato), attribuirebbero a quest’ultimo il compito di «coordinare una somma di distinti Piani d’ambito provinciale, piuttosto che comporre la sintesi degli stessi, in modo pienamente coerente con quanto stabilito
dal citato art. 149, comma 3, secondo periodo».
169
Sarebbe, pertanto, negata la necessaria prospettiva d’insieme che solo un piano d’ambito unitario potrebbe assicurare a tutela delle comunità locali e degli
utenti.
3.– Preliminarmente, si deve rilevare che, nel periodo intercorso tra l’impugnazione e la discussione delle questioni in esame, i commi 10 e 14 sono stati modificati dalla legge della Regione Abruzzo 17 luglio 2012, n. 34 (Modifiche ed
integrazioni alla legge regionale 3 agosto 2011, n. 25 recante: “Disposizioni in
materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione
in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di
proventi relativi alle utenze di acque pubbliche”, integrazione alla legge regionale 17 aprile 2003, n. 7 recante: “Disposizioni finanziarie per la redazione del
bilancio annuale 2003 e pluriennale 2003-2005 della Regione Abruzzo – legge
finanziaria regionale 2003”, modifiche alla legge regionale 12 aprile 2011, n. 9
recante “Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo”
e modifica all’art. 63 della L.R. n. 1/2012 recante: Legge finanziaria regionale
2012).
In particolare, nel comma 10 sono stati inseriti due nuovi periodi, i quali prevedono che «L’Assemblea dei Sindaci è integrata dai Sindaci dei Comuni di
altre province che sono soci del soggetto gestore che opera prevalentemente
nella provincia. Le maggioranze e le presenze previste nel comma 11 e nei
regolamenti di cui al comma 12 sono determinate tenendo conto di tale integrazione».
Nel secondo periodo del comma 14, invece, sono state inserite, dopo le parole
«deliberazioni delle ASSI», le seguenti «superando eventuali contrasti».
Si tratta di modifiche che non incidono sulla sostanza normativa oggetto
dell’impugnativa statale; pertanto, le questioni promosse mantengono inalterata la loro attualità e devono intendersi trasferite sul testo oggi vigente delle
disposizioni censurate.
4.– La questione di legittimità costituzionale dei commi 10, 11 e 14 è parzialmente fondata, nei termini di seguito precisati.
4.1.– Il servizio idrico integrato è stato qualificato da questa Corte come «servizio pubblico locale di rilevanza economica» (sentenza n. 187 del 2011), pur nel
rilievo che tale espressione non è mai utilizzata in ambito comunitario (sentenza n. 325 del 2010). La giurisprudenza costituzionale è inoltre univoca nel
ritenere che la disciplina normativa di tale servizio ricade nelle materie della
«tutela della concorrenza» e della «tutela dell’ambiente», entrambe di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Di conseguenza, la potestà legislativa
regionale deve contenersi nei limiti, negativi e positivi, tracciati dalla legislazione statale.
4.2.– Per quanto riguarda le Autorità d’ambito, preposte alla programmazione
ed alla gestione del servizio idrico integrato nel territorio delle Regioni, l’art.
2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la
170
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2010), nel sopprimere le Autorità d’ambito territoriale, di cui agli artt. 148 e
201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), ha stabilito che «le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate
dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza».
Con la modifica del 2009, la legislazione statale ha inteso realizzare, mediante
l’attuazione dei principi di cui sopra, una razionalizzazione nella programmazione e nella gestione del servizio idrico integrato, superando la precedente
frammentazione. Perché ciò avvenga, è innanzitutto necessario che i soggetti
cui sono affidate le funzioni abbiano una consistenza territoriale adeguata, ma
è anche indispensabile che i piani d’ambito abbiano natura integrata e unitaria, in modo da realizzare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio.
5.– La Regione Abruzzo, avvalendosi degli spazi di autonomia ad essa riconosciuti dalla legge statale (art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009)
e dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 128 del 2011), ha previsto
(art. 1, comma 5, della legge reg. n. 9 del 2011), per il servizio idrico integrato,
un ambito territoriale unico regionale (ATUR), coincidente con l’intero territorio regionale, ed un unico soggetto d’ambito competente (ente regionale per il
servizio idrico – ERSI), al quale sono attribuite tutte le funzioni già assegnate
alle soppresse Autorità d’ambito.
L’art. 1, comma 10, della stessa legge regionale istituisce l’assemblea dei sindaci (ASSI) in ciascuna Provincia della Regione, «per l’esercizio delle competenze nelle materie assegnate agli enti locali dalla legislazione statale e regionale».
L’ASSI, «nell’ambito delle competenze materiali e territoriali di cui al comma
10, esprime in via ordinaria pareri obbligatori e vincolanti all’ERSI» (art. 1,
comma 11). Inoltre, «l’ERSI propone gli atti fondamentali di pianificazione e di
programmazione del Servizio alle ASSI, che esprimono parere obbligatorio e
vincolante» (art. 1, comma 14).
5.1.– Si deve al riguardo osservare che il rispetto dei principi di sussidiarietà,
di differenziazione e di adeguatezza, richiamati dal sopra citato art. 2, comma
186-bis, della legge n. 191 del 2009, implica che non possa essere trascurato, nella prefigurazione normativa regionale della struttura e delle funzioni
dei soggetti attributari dei servizi, il ruolo degli enti locali e che debba essere
prevista la loro cooperazione in vista del raggiungimento di fini unitari nello
spazio territoriale che il legislatore regionale reputa ottimale. Si deve ritenere,
pertanto, che un organismo come l’assemblea dei sindaci (ASSI) ben si inserisca nell’organizzazione dell’ente regionale unitario, allo scopo di mantenere un
costante rapporto tra programmazione e gestione del servizio su scala regionale ed esigenze dei singoli territori compresi nell’ambito complessivo dell’ERSI.
Per tale ragione, la questione di legittimità costituzionale del comma 10 dell’art.
1 della legge della Regione Abruzzo n. 9 del 2011 non è fondata.
171
5.2.– La presenza attiva dei Comuni nell’organizzazione e nell’esercizio delle
funzioni dell’ente regionale non può tuttavia privare quest’ultimo della potestà
di decidere in via definitiva, operando una sintesi delle diverse istanze e dei
concorrenti, e in ipotesi divergenti, interessi delle singole comunità territoriali
sub-regionali. La stessa legge regionale impugnata, dopo la modifica introdotta nel comma 14 dell’art. 1, prevede che il coordinamento e l’unificazione, a
livello regionale, delle deliberazioni delle ASSI avvenga «superando eventuali
contrasti». Ciò in coerenza con l’art. 149, comma 3, secondo periodo, del d.lgs.
n. 152 del 2006 – evocato dal ricorrente come norma interposta ai fini del
presente giudizio – che così stabilisce: «Il programma degli interventi, commisurato all’intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le
infrastrutture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione».
Il comma 16, secondo periodo, è impugnato anche per violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la mancata previsione di un controllo effettivo e strutturale sui soggetti in house da parte dell’ente pubblico
locale determinerebbe la violazione delle regole della concorrenza. La norma
regionale, infatti, consentirebbe a soggetti svincolati da un controllo stringente dell’ente pubblico locale la gestione in house del servizio idrico.
Emerge dalla disposizione statale sopra citata – nel suo complesso ed anche al
di là dell’inciso sopra riportato – la natura necessariamente unitaria del piano
d’ambito affidato alla competenza dell’ente regionale. Tale unitarietà si pone
tuttavia in contrasto con l’effetto vincolante attribuito dalle norme regionali
impugnate ai pareri espressi dall’Assemblea dei sindaci, portatori di istanze
potenzialmente frammentarie, di cui si deve tener conto nella redazione del
piano regionale, ma che non possono condizionare in modo insuperabile l’attività programmatoria e pianificatoria dell’ente regionale attributario del servizio. La natura vincolante del parere dell’ASSI finisce per vanificare di fatto,
nel territorio della Regione Abruzzo, l’intento razionalizzatore ed efficientistico
della riforma statale, con cui sono state soppresse le preesistenti Autorità
d’ambito.
La norma in esame prevede, al primo periodo, non impugnato, che il controllo analogo sui gestori in house sia svolto dall’ERSI o dal Commissario di cui
al successivo comma 19 della medesima legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011. Il
secondo periodo indica le modalità di esercizio del controllo analogo che sono
ritenute illegittime dal Presidente del Consiglio dei ministri nell’odierno giudizio di costituzionalità.
Per i motivi sopra specificati, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dei
commi 11 e 14 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente
alle parole «e vincolanti» nel comma 11 e alle parole «e vincolante» nel comma
14, per contrasto con l’art. 149 del d.lgs. n. 152 del 2006, quale norma interposta, rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Pertanto, questa Corte è tenuta ad esaminare il merito delle questioni promosse.
5.3.– Per le ragioni evidenziate nel paragrafo precedente, deve essere dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 15, della legge reg. Abruzzo
n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolante».
6.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 1, comma 16, secondo periodo, della
legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, per violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost., in quanto la previsione di un parere obbligatorio ma non vincolante da
parte dell’ente pubblico affidante sul gestore in house del servizio, e del rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto affidatario, delineerebbe «un sistema
che svuota di contenuto il c.d. controllo analogo e, quindi, aggira il divieto di
affidamento del servizio “in house” solo in via eccezionale e […] i principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza».
172
6.1.– Preliminarmente, deve essere rilevato che il censurato secondo periodo
del comma 16 è stato abrogato dalla legge reg. Abruzzo n. 34 del 2012, con
la conseguenza che la norma impugnata è stata in vigore dal 5 maggio 2011
(data dell’entrata in vigore della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011) al 26 luglio
2012 (data dell’entrata in vigore della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2012).
Nonostante l’integrale abrogazione del censurato secondo periodo del comma
16, non è possibile escludere che la norma ivi prevista abbia avuto applicazione nel periodo di vigenza. Infatti, mentre l’ERSI non risulta ancora istituito, il
Commissario di cui al comma 19 è stato nominato prima dell’abrogazione della norma impugnata, con la conseguenza che il controllo analogo sui gestori in
house ben potrebbe essere stato esercitato secondo le modalità qui censurate.
6.2.– La Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra
nel potere organizzativo delle autorità pubbliche degli Stati membri “autoprodurre” beni, servizi o lavori, mediante il ricorso a soggetti che, ancorché
giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimo da una
“relazione organica” (cosiddetto affidamento in house). Allo scopo di evitare
che l’affidamento diretto a soggetti in house si risolva in una violazione dei
principi del libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la stessa
Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza
a due condizioni. La prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house
un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; la seconda è che il
soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con
l’ente pubblico (sentenza 18 novembre 1999, in causa C-107/98, Teckal). Tale
impostazione è costantemente richiamata dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 439 del 2008).
6.3.– La norma regionale impugnata prevede che il controllo analogo sia esercitato – dall’ERSI ovvero dal Commissario unico straordinario (CUS) – sugli
173
affidatari in house del servizio idrico integrato «nel rispetto dell’autonomia
gestionale del soggetto gestore», attraverso «parere obbligatorio» sugli atti fondamentali di quest’ultimo.
essere assicurato da pareri obbligatori, ma non vincolanti, resi peraltro – come
esplicitamente prevede la norma impugnata – «sugli atti fondamentali del soggetto gestore in house».
Si deve in proposito ricordare che l’art. 15 del decreto-legge 25 settembre
2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e
per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 novembre
2009, n. 166, novellando l’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008,
n. 133, stabiliva: «Tutte le forme di affidamento del servizio idrico integrato,
di cui all’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 […] devono avvenire
nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore […]».
Pertanto, l’intero secondo periodo del comma 16 dell’art. 1 della legge reg.
Abruzzo n. 9 del 2011 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo,
per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
A seguito dell’esito positivo della consultazione referendaria ammessa con
sentenza n. 24 del 2011 di questa Corte, l’art. 23-bis del d.l. n. 112 è stato
abrogato, mentre l’art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148,
sostanzialmente riproduttivo della norma abrogata, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 199 del 2012, per violazione del
divieto di ripristino di normativa abrogata a seguito di referendum, e quindi
dell’art. 75 Cost.
La conseguenza delle vicende legislative e referendarie brevemente richiamate
è che, attualmente, si deve ritenere applicabile la normativa e la giurisprudenza comunitarie in materia, senza alcun riferimento a leggi interne.
6.4.– Alla luce di quanto sinora esposto, il comma 16 dell’art. 1 della legge
reg. Abruzzo n. 9 del 2011 deve ritenersi costituzionalmente illegittimo sia per
la previsione del rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto affidatario in
house, sia per la prescrizione di pareri obbligatori, ma non vincolanti, sugli
atti fondamentali del soggetto gestore.
Per il primo profilo, si deve ricordare che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che sul soggetto concessionario deve essere esercitato «un
controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli
obiettivi strategici che sulle decisioni importanti» (sentenza 13 ottobre 2005,
in causa C-458/03, Parking Brixen). Ciò non significa che siano annullati tutti i poteri gestionali dell’affidatario in house, ma che la «possibilità di influenza
determinante» è incompatibile con il rispetto dell’autonomia gestionale, senza
distinguere – in coerenza con la giurisprudenza comunitaria – tra decisioni
importanti e ordinaria amministrazione.
7.– Si devono ritenere assorbite le altre censure di legittimità costituzionale
prospettate dal ricorrente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 11, primo periodo, della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia
di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), limitatamente alle parole «e
vincolanti»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge reg.
Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolante»;
3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 15, della legge reg.
Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolante»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, secondo periodo,
della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, nel testo vigente prima della sua abrogazione;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 10, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, promossa, in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 2013.
F.to:
Luigi MAZZELLA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2013.
Anche con riferimento al secondo profilo, è appena il caso di osservare che il
condizionamento stretto, richiesto dalla giurisprudenza comunitaria, non può
174
175
CORTE COST., SENT. N. 161/2012 (GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE - LEGGE
DELLA REGIONE ABRUZZO IN MATERIA DI IPAB - COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA - DEROGA ALLA NORMATIVA STATALE RIGUARDO
AI DIVIETI DI ASSUNZIONE E BLOCCO DEL TURN-OVER PER LE IPAB E
LE NASCENTI ASP - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE - DEVOLUZIONE AI
COMUNI, IN VIA TRANSITORIA E FINO ALLA COSTITUZIONE DELLE ASP,
DEL PERSONALE DELLE IPAB ESTINTE, IN POSIZIONE SOPRANNUMERARIA - ONERE CHE COMPORTA L’INCREMENTO DELLE SPESE DI PERSONALE - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE; TRASFERIMENTO AL COMUNE,
CON OBBLIGO DI RITRASFERIMENTO ALLE ASP, DELLE STRUTTURE DI
ASSISTENA E BENEFICIENZA PUBBLICA GIÀ PRESENTI SUL TERRITORIO
REGIONALE - TRASFERIMENTO DI STRUTTURE SENZA PERSONALE CHE
RISULTA IMPRODUTTIVO E NON POTREBBE SALVAGUARDARE LA CONTINUITÀ DELLE FUNZIONI SVOLTE - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE; PREVISIONE DELLA CORRESPONSIONE DI INDENNITÀ AGLI ORGANI DI GOVERNO DELLE ASP - CONTRASTO CON IL PRINCIPIO DI COORDINAMENTO FINANZIARIO CHE PREVEDE LA GRATUITÀ DELLA PARTECIPAZIONE A
ENTI CHE «COMUNQUE RICEVONO CONTRIBUTI A CARICO DELLE FINANZE PUBBLICHE» - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Alfonso QUARANTA
Franco GALLO
176
residente
Giudice
Luigi MAZZELLA
“
Gaetano SILVESTRI
“
Sabino CASSESE
“
Giuseppe TESAURO
“
Paolo Maria NAPOLITANO
“
Giuseppe FRIGO
“
Alessandro CRISCUOLO
“
Paolo GROSSI
“
Giorgio LATTANZI
“
Aldo CAROSI
“
Marta CARTABIA
“
Sergio MATTARELLA
“
Mario Rosario MORELLI
“
ha pronunciato la seguente
1.— Con ricorso notificato il 12-15 settembre 2011 e depositato il 20 settembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato in via principale l’articolo 5, commi 1 e 2; l’art. 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; l’art. 11, commi
8 e 9, e l’art. 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno
2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona
(ASP)», in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. ed
alle norme interposte costituite dall’art. 76, comma 7, del decreto legislativo
n. 12 del 2008 [recte: decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito
in legge 6 agosto 2008, n. 133] e dall’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e
di competitività economica), convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122.
Detta legge, secondo quanto disposto dal d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207 (Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma
dell’articolo 10 della L. 8 novembre 2000, n. 328), prevede e disciplina la trasformazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) in
Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) o in soggetti aventi personalità
giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, stabilendo l’estinzione delle
istituzioni per le quali risulti accertata l’impossibilità della trasformazione.
1.1.— Il ricorrente ha anzitutto lamentato la violazione dell’art. 117, terzo
comma, Cost. da parte degli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della stessa
legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011.
La prima norma consente alle IPAB, fino alla loro trasformazione in ASP, di
modificare, in deroga al divieto sancito dal comma precedente dello stesso art.
5, la propria dotazione organica, limitatamente all’individuazione di eventuali
profili professionali previsti da specifiche normative, qualora sussistano effettive esigenze connesse con il regolare svolgimento delle attività statutarie.
La seconda, in deroga a quanto disposto dal precedente comma 3, consente
alle ASP, una volta costituite, in sede di prima applicazione della legge e fino
all’approvazione del regolamento che determinerà le dotazioni organiche, di
superare eventuali carenze di personale, connesse con effettive esigenze di
assicurare il regolare svolgimento di attività statutarie, mediante specifiche
selezioni, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 2.
Entrambe le menzionate disposizioni, limitandosi a far salva, con clausola
dal ricorrente considerata inadeguata, la «compatibilità con le disposizioni di
bilancio», consentirebbero ad IPAB ed ASP di incrementare la dotazione organica senza raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale
degli enti comunque riconducibili al sistema delle autonomie. In particolare,
risulterebbe violato il principio di contenimento della spesa pubblica sancito
dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, principio in
177
materia di coordinamento della finanza pubblica che impone specifici limiti e
divieti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale.
1.2.— Il ricorrente ha altresì dedotto l’illegittimità costituzionale di alcuni
commi dell’art. 6 della medesima legge regionale n. 17 del 2011: a) il comma
3, il quale prevede che l’estinzione delle IPAB comporti il trasferimento alle
ASP e, fino alla loro costituzione, al Comune o ai Comuni ove siano ubicate le
strutture attraverso cui le Istituzioni perseguivano i loro fini, delle situazioni
giuridiche pregresse, del personale dipendente di ruolo e dei patrimoni; b) il
comma 4, secondo cui, fino alla costituzione delle ASP, il personale dipendente di ruolo delle IPAB è temporaneamente assegnato, in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle procedure di estinzione; c) il comma 5, alla stregua del quale con il provvedimento di
estinzione tutti gli adempimenti di ricognizione delle situazioni giuridiche in
essere, compresi quelli relativi al personale, sono affidati al Sindaco del Comune sede dell’Istituzione estinta, in qualità di organo liquidatore; d) il comma
6, che dispone il trasferimento ai singoli Comuni, con obbligo di successivo
trasferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative
appartenenti ad Istituzioni infraregionali aventi sede legale in altra Regione,
comprese quelle realizzate in regime di convenzione con l’impiego dei fondi
pubblici derivanti dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno; e) il comma
7, che disciplina il procedimento attraverso cui i Comuni acquisiscono al loro
patrimonio le strutture delle Istituzioni in considerazione.
Ad avviso del ricorrente anche tali disposizioni, assegnando, seppure temporaneamente, ai Comuni nuove strutture e nuovo personale senza operare il
necessario raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale
degli enti riconducibili al sistema delle autonomie, si porrebbero in contrasto
con il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica espresso
dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, violando
così l’art. 117, terzo comma, Cost.
Tali previsioni si porrebbero in contrasto con il principio di coordinamento
della finanza pubblica espresso dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010,
secondo cui: «la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo
esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa
vigente; qualora siano già previsti, i gettoni di presenza non possono superare
l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. La violazione di quanto previsto dal
presente comma determina responsabilità erariale e gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli». Risulterebbe
in tal modo violato l’art. 117, terzo comma, Cost.
2.— Con atto depositato il 21 ottobre 2011 si è costituita in giudizio la Regione
Abruzzo.
2.1.— In via preliminare essa ha eccepito la parziale inammissibilità dell’impugnativa per essere stato erroneamente indicato il parametro interposto, individuato nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008 invece che, correttamente, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.
2.2.— Nel merito la difesa regionale ha sostenuto che la disposizione richiamata quale parametro interposto si applicherebbe solamente ad enti locali e
camere di commercio, come specificato nella stessa rubrica della disposizione,
e non anche alle IPAB di natura pubblica (ossia quelle non costituite in associazioni o fondazioni di diritto privato) ed alle ASP, che andrebbero annoverate
tra gli enti pubblici non economici. Sul punto, peraltro, il ricorso sarebbe affetto da eccessiva genericità, non essendo stati chiariti i motivi di riconduzione delle Istituzioni e delle Aziende agli enti locali, estendendo loro i limiti ed i
divieti di assunzione per questi ultimi previsti.
Secondo la resistente, quand’anche si ritenesse riferibile ad IPAB ed ASP il
dettato del citato art. 76, comma 7, la relativa applicazione non sarebbe impedita dal suo mancato espresso richiamo ad opera della normativa regionale
censurata.
1.3.— Il ricorrente ha inoltre denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt.
5, commi 1 e 2; 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; 15, commi 3 e 4, della legge regionale
per violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. perché dette norme prevedono
il generico trasferimento dalle IPAB alle ASP e, fino alla costituzione di queste
ultime, ai Comuni di tutto il personale, anche non selezionato con pubblico
concorso, e ciò senza specificare i requisiti e le modalità dell’originaria assunzione.
Quanto, in particolare, agli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, la Regione ne
ha sostenuto la legittimità, argomentando dalla necessità di dare applicazione
agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 207 del 2001.
1.4 — Viene, infine, prospettata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 8 e 9, della medesima legge regionale n. 17 del 2011, secondo cui al presidente dell’Azienda compete un’indennità determinata in misura percentuale
su quella spettante ai direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali
dell’Abruzzo ed a ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione
una pari al sessanta per cento di quella spettante al presidente.
2.3.— Quanto agli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi da 3 a 7, e 15, commi 3 e 4,
in riferimento all’art. 97, terzo comma, Cost., la resistente ha contestato l’assimilabilità della temporanea assegnazione al Comune del personale delle IPAB
(in attesa della costituzione delle ASP) alla sua assunzione, considerato anche
l’obbligo di prosecuzione dei rapporti di lavoro sancito dal d.lgs. n. 207 del
2001. Ha inoltre evidenziato la necessità di limitare le questioni al personale
178
In ordine all’art. 6, commi da 3 a 7, la Regione, oltre a lamentare l’astrattezza e
la genericità della censura, ha richiamato le argomentazioni difensive esposte
con riferimento alle disposizioni testé menzionate.
179
delle IPAB di natura privatistica, atteso che per quelle dotate di soggettività
pubblica non sarebbe dato ipotizzare una procedura di selezione diversa dal
pubblico concorso.
2.4.— Per quel che concerne l’art. 11, commi 8 e 9, la resistente ha evidenziato che il presupposto del divieto sancito dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78
del 2010 consiste nella ricezione di contributi a carico delle finanze pubbliche e che nessuna norma della legge impugnata prevederebbe l’erogazione di
contributi o finanziamenti pubblici a favore delle ASP. La norma interposta,
peraltro, non potrebbe trovare applicazione nella fattispecie in quanto non si
riferisce agli enti previsti dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), nel cui novero rientrerebbero le ASP quali enti pubblici non economici regionali.
3.— In punto di fatto va rilevato che il ricorso è stato notificato il 12 settembre
2011, dunque oltre il termine di sessanta giorni previsto per l’impugnazione
delle leggi regionali, che è scaduto l’11 settembre 2011. La data in questione,
tuttavia, è coincisa con una domenica e, pertanto, il ricorso risulta tempestivo. Infatti, a norma dell’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), nei procedimenti
davanti alla Corte si osservano, in quanto applicabili, le norme del regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. I procedimenti giurisdizionali davanti al Consiglio di Stato sono disciplinati, ora,
dal codice del processo amministrativo, approvato dall’art. 1 del d.lgs. 2 luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69,
recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), il quale,
all’art. 52, comma 3, prevede che «Se il giorno di scadenza è festivo il termine
fissato dalla legge o dal giudice per l’adempimento è prorogato di diritto al
primo giorno seguente non festivo». Tale regola si applica dunque ai giudizi
davanti alla Corte costituzionale, sia per effetto del rinvio dinamico contenuto
nel citato art. 22 della legge n. 87 del 1953, sia perché – essendo espressa anche dall’art. 155, quarto comma, del codice di procedura civile — la stessa costituisce ormai principio generale dell’ordinamento (sentenza n. 85 del 2012).
4.— Quanto all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Abruzzo
circa l’inesatta individuazione del parametro interposto da parte del ricorrente, essa non può essere accolta.
In effetti, la norma interposta alla quale si correlano le questioni non è contenuta nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008, erroneamente invocato
dal Presidente del Consiglio, bensì nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del
2008, convertito in legge n. 133 del 2008. Nel caso in esame, tuttavia, l’inesatta indicazione non ha impedito alla Regione convenuta di identificare con
chiarezza la consistenza delle questioni di legittimità sollevate e di svolgere
pertinenti difese, risultando agevolmente enucleabile il parametro con il quale
le norme censurate contrasterebbero (sentenza n. 533 del 2002).
180
Questa Corte ritiene, pertanto, di dover procedere all’esame nel merito delle
questioni.
5.— Preliminarmente occorre prendere atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 76, comma 7 («È fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di
procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale
nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno
precedente. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente
si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi
pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale,
ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a
supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione
di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari. Per gli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o
inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite
del 20 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità
interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le
assunzioni per turn-over che consentano l’esercizio delle funzioni fondamentali previste dall’articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009,
n. 42»), del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, ha subito
alcuni interventi di modifica per effetto dell’art. 28, comma 11-quater («All’articolo 76, comma 7, primo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive
modificazioni, le parole: “40 %” sono sostituite dalle seguenti: “50 per cento”»),
del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e
il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge 22 dicembre 2011, n.
214; dell’art. 4, comma 103, lettera a) («All’articolo 76 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 7, primo periodo,
dopo le parole: “i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale”
sono inserite le seguenti: “a tempo indeterminato”»), della legge 12 novembre
2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2012), ed, infine, dell’art. 4-ter, comma 10
(«All’articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo, le parole:
“20 per cento” sono sostituite dalle seguenti: “40 per cento”; b) dopo il primo
periodo è inserito il seguente: “Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali,
l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano
a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal
primo periodo del presente comma”; c) al secondo periodo, le parole: “periodo
181
precedente” sono sostituite dalle seguenti: “primo periodo”; d) dopo il secondo
periodo è inserito il seguente: “Ferma restando l’immediata applicazione della
disposizione di cui al precedente periodo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione
e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze
e dell’interno, d’intesa con la Conferenza unificata, possono essere ridefiniti
i criteri di calcolo della spesa di personale per le predette società”; e) al terzo
periodo, la parola: “precedente” è sostituita dalla seguente: “terzo”; f) al quarto
periodo, le parole: “20 per cento” sono sostituite dalle seguenti: “40 per cento”;
al medesimo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “; in tal caso le
disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento
alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale”»), del decreto-legge 2 marzo
2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito
in legge 26 aprile 2012, n. 44, che ne hanno variato il contenuto complessivo.
L’articolato ius superveniens non ha comportato, tuttavia, rilevanti modifiche
ai termini delle questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri
poiché nelle formulazioni normative succedutesi nel tempo permane – con
modalità applicative tutte inconciliabili con alcune delle norme regionali impugnate – la regola limitativa delle assunzioni di personale, invocata dal ricorrente e contestata, quanto alla sua applicabilità alla fattispecie in esame,
dalla Regione. Ne consegue che la questione risulta del pari pertinente, sia in
riferimento alla precedente che alle intermedie ed alla vigente formulazione
dell’art. 76, comma 7.
6.— Nel merito, la ricorrente prospetta tre diversi gruppi di questioni di legittimità costituzionale: il primo ed il terzo presentano come riferimento l’art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto risulterebbero violati i principi di coordinamento della finanza pubblica espressi da due distinte norme interposte, individuate rispettivamente nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in
legge n. 133 del 2008 (della cui complessa evoluzione si è dato conto precedentemente), e nell’art. 6, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito
in legge n. 112 del 2010. Il secondo inerisce alla pretesa violazione dell’art.
97, terzo comma, Cost. in quanto non sarebbero state rispettate le regole di
accesso all’impiego pubblico mediante concorso.
7.— Le questioni relative agli impugnati artt. 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7
e 15, comma 4, della legge regionale n. 17 del 2011 sono fondate in riferimento
all’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla norma interposta invocata.
7.1.— L’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133
del 2008, dispone che, quando le spese di personale per gli enti locali e per le
camere di commercio superano il 50 per cento (al momento della proposizione
del ricorso la norma prevedeva il 40 per cento) delle spese correnti, gli enti in
questione non possono procedere a nuove assunzioni, a qualsiasi titolo e con
qualsiasi tipologia contrattuale; quando invece l’incidenza delle spese di per182
sonale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti, sono consentite
deroghe parziali in relazione al turn-over.
Tale disposizione ha natura di principio di coordinamento della finanza pubblica, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n.
148 del 2012 e n. 108 del 2011).
L’impugnato art. 5, comma 2, della stessa legge regionale prevede una deroga
implicita al principio espresso dal comma 1 del medesimo art. 5, secondo cui
le Istituzioni sottoposte al riordino, fino alla trasformazione in ASP ovvero in
fondazioni o associazioni, non possono procedere all’ampliamento della dotazione organica né all’assunzione di personale a tempo indeterminato per i
posti vacanti in organico. In particolare, la disposizione riconosce alle IPAB
la possibilità di assunzione in presenza di condizioni del tutto diverse e non
compatibili con quelle specificate dalla norma interposta: oltre all’introduzione della fattispecie derogatoria inerente a profili professionali previsti da specifiche normative, collega la menzionata deroga al semplice presupposto che
l’assunzione comporti invarianza di spesa rispetto a quella sostenuta nell’esercizio precedente alla data di entrata in vigore della legge regionale stessa e
al fatto che la nuova spesa risulti compatibile con le disponibilità di bilancio.
Preso atto dell’inconciliabilità tra le due disposizioni, non superabile nemmeno attraverso un’interpretazione sistematica delle norme impugnate, dirimente ai fini del decidere appare la riconducibilità o meno delle Istituzioni sottoposte al riordino all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina contenuta
nell’art. 76, comma 7.
Sulla natura delle IPAB esiste in dottrina ed in giurisprudenza uno storico dibattito, via via alimentato e condizionato dalle modifiche normative succedutesi nella disciplina delle stesse. Anche questa Corte ha avuto modo di rilevare
la peculiarità di detti enti (sentenza n. 173 del 1981) e del loro regime giuridico, caratterizzato dall’intrecciarsi «di una intensa disciplina pubblicistica con
una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una
impronta assai peculiare rispetto ad altre istituzioni pubbliche» (sentenza n.
195 del 1987), giungendo ad affermare che «devesi convenire con quella dottrina che parla di una assoluta tipicità di questi particolari enti pubblici, in cui
convivono forti poteri di vigilanza e tutela pubblica con un ruolo ineliminabile
e spesso decisivo della volontà dei privati, siano essi i fondatori, gli amministratori o la base associativa» (sentenza n. 396 del 1988).
L’importanza rivestita in un lungo arco temporale da tali Istituzioni di natura
pubblica, la rilevanza degli statuti e delle tavole di fondazione, peraltro notevolmente eterogenei, ed i poteri di vigilanza e di tutela pubblica inducono ad
affermare un’indubbia peculiarità di questo genere di soggetti, non catalogabili in precise categorie di enti pubblici. In questa sede, tuttavia, è utile sottolineare come l’evidenziata peculiarità delle IPAB non impedisca la riconducibilità delle stesse alle regole degli enti locali, quanto alla specifica disciplina
della spesa ed, in particolare, di quella – di carattere rigido – concernente il
183
personale. La disposizione interposta costituita dall’art. 76, comma 7, si riferisce all’intero complesso delle funzioni amministrative ascrivibili alle competenze delle autonomie locali, come testimonia l’inserimento, nel calcolo degli
oneri del personale, della spesa sostenuta anche dalle società partecipate che
integrano, sotto questo profilo, l’attività degli enti azionisti.
Nella prospettiva della finanza pubblica allargata, d’altronde, la presenza di
enti già impegnati nel settore dei servizi sociali – nel quale operano parallelamente agli enti locali – e per di più soggetti ad un riordino che ne determina
l’integrazione funzionale a livello infraregionale, comporta la necessità di un
coordinamento complessivo onde evitare che il riordino possa diventare occasione per il superamento di quei limiti di spesa di personale, che il legislatore
vede con notevole preoccupazione nel particolare momento storico in cui cade
il riassetto.
Proprio la natura finanziaria strutturale dei principi richiamati nell’art. 76,
comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 induce a ritenere che agli stessi parametri
sia soggetta la gestione delle IPAB, soprattutto nel momento transitorio del
trapasso dalle vecchie Istituzioni alle nuove Aziende.
Per questi motivi, la questione sollevata dal Presidente del Consiglio in merito
all’art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011 deve ritenersi fondata, con conseguente accoglimento del ricorso sul punto.
7.2.— Analoghe considerazioni riguardano la censura sollevata nei confronti
dell’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata, secondo cui in sede di
prima applicazione, e comunque fino all’approvazione del regolamento delle
costituende ASP, queste ultime possono procedere a selezioni di personale
in presenza di carenze correlate ad effettive esigenze di assicurare il regolare
svolgimento delle attività statutarie. Poiché, per quel che riguarda le modalità
attuative, l’art. 15, comma 4, richiama l’art. 5, comma 2, precedentemente
esaminato, dall’illegittimità di quest’ultimo deriva quella della norma in esame, sebbene essa si riferisca ad un ente, l’ASP, diverso dalle IPAB. Anche in
questo caso non si rinviene un’univoca classificazione di tale nuova tipologia
di aziende, che mutuano caratteri misti e peculiari sia dalle disciolte Istituzioni che dal contesto programmatorio ed operativo in cui vengono inserite.
Le accomuna alle IPAB la natura di ente pubblico, le differenzia certamente
da esse il carattere imprenditoriale dell’attività esercitata, improntata a criteri di economicità anche se non rivolta a fini di lucro. Nondimeno, le stesse
ragioni sistematiche che inducono a ricomprendere la gestione delle IPAB nel
complesso della finanza pubblica allargata ed a sottoporle a coordinamento
riguardano anche le ASP, per le quali si accentua l’integrazione nella programmazione e nella gestione dei servizi sociali su base locale nonché l’esigenza che
detta integrazione si ispiri a criteri di efficienza ed economicità. Ciò comporta
la conseguente preclusione normativa ad un loro utilizzo che possa concretarsi in strumento elusivo dei limiti di spesa corrente ed, in particolare, di quella
rigida di personale, il cui contenimento il legislatore concepisce come misura
strutturale per il risanamento dei conti pubblici nella loro consolidata consistenza.
184
Anche il regime delle assunzioni delle ASP deve dunque rispettare i limiti prescritti dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, risultando conseguentemente illegittima la prescrizione contenuta nell’art. 15, comma 4, della legge
regionale impugnata.
7.3.— Ad analoga conclusione si perviene con riguardo ai commi 3 e 4 dell’art.
6 della medesima legge.
Dette disposizioni, con riferimento al caso di estinzione delle IPAB, prescrivono che, fino alla costituzione delle ASP, il personale dipendente ed i patrimoni
delle Istituzioni siano assegnati temporaneamente ai Comuni nei quali risultano ubicate le strutture attraverso cui esse perseguivano i loro fini istituzionali;
ciò con l’obbligo di successivo conferimento alle ASP territorialmente competenti (art. 6, comma 3). In particolare, fino alla costituzione delle Aziende il
personale dipendente di ruolo delle Istituzioni estinte è assegnato, in via temporanea ed in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al
Comune affidatario delle procedure di estinzione (art. 6, comma 4).
Secondo la Regione le prescrizioni in esame sarebbero perfettamente in linea
con i principi contenuti nella legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per
la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e nel d.lgs.
n. 207 del 2001 ed, in ogni caso, l’assegnazione temporanea del personale non
costituirebbe “assunzione”, secondo l’accezione giuridica che questo termine
riveste.
L’assunto non è condivisibile.
La posizione soprannumeraria, infatti, non può evitare l’incremento degli oneri del personale e la violazione delle percentuali in relazione alle quali l’art.
76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 fissa i limiti strutturali per la gestione
di detta categoria di spesa. Né può ritenersi che la temporanea assegnazione
al Comune, pur in difetto di specifica previsione, debba avvenire nei limiti di
compatibilità con le percentuali indicate dal parametro interposto, come dedotto dalla Regione, atteso che le norme regionali nulla dispongono per il caso
in cui ciò non sia possibile a causa dell’eccessivo numero di unità di personale
eventualmente interessate, implicitamente disponendone il transito integrale,
quale che sia il contingente coinvolto.
Nel caso in esame non è revocabile in dubbio la piena operatività dell’art. 4,
comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001, che dispone il subentro delle Aziende
in tutti i rapporti attivi e passivi delle disciolte od estinte IPAB, e dell’art. 4,
comma 3, dello stesso decreto, secondo cui l’attuazione del riordino non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro con il personale dipendente: non è in contestazione la volontà del legislatore statale di salvaguardare i
livelli occupazionali, garantendo la continuità dei rapporti di lavoro. Anzi, il
principio di continuità invocato dalla Regione non riguarda soltanto i rapporti
di lavoro con il personale delle IPAB estinte, ma la stessa gestione dei servizi
che il legislatore assegna alle istituende ASP.
185
Tuttavia, mentre la successione nei rapporti attivi e passivi viene sancita dal
legislatore statale per quel che concerne il passaggio alle nuove Aziende, analoga previsione manca con riferimento ai Comuni, cui è semplicemente assegnato un ruolo gestionale nelle operazioni amministrative propedeutiche alla
creazione ed al subentro delle ASP.
Il principio di successione e di mantenimento dei rapporti di lavoro può pertanto essere invocato soltanto in riferimento al subentro delle ASP e non in
ordine al transito temporaneo nei Comuni, non contemplato dalla normativa
statale.
Poiché, dunque, l’assegnazione temporanea del personale al Comune come
momento attuativo del processo di riordino delle Istituzioni non trova fondamento legittimante nel d.lgs. n. 207 del 2001, il relativo onere non attiene ai
rapporti di successione passiva e deve essere considerato quale mero fattore
di incremento della spesa di personale, finendo in tal modo per collidere con i
rigorosi precetti contenuti nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e con
le percentuali costituenti parametro di contenimento della spesa pubblica per
la categoria in esame. Pertanto, l’art. 6, commi 3 e 4, della legge impugnata è
costituzionalmente illegittimo per contrasto con la suddetta norma interposta
e, dunque, con l’art. 117, terzo comma, Cost.
7.4.— I commi 6 e 7 dell’art. 6 non presentano profili di diretta interferenza
con la norma interposta invocata dall’Avvocatura dello Stato poiché dispongono il trasferimento ai Comuni, con obbligo di successivo conferimento al
patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture
già destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative delle Istituzioni
infraregionali aventi sede legale in altra Regione.
Tuttavia, trasferire al Comune strutture prive del personale che le utilizza renderebbe improduttiva e disfunzionale l’operazione, anche in considerazione
del rilievo che nessuna norma autorizza il Comune stesso a gestioni stralcio,
in attesa del subentro delle ASP. In tal modo, anche il principio di continuità dei servizi invocato dalla Regione non sarebbe salvaguardato, risultando
assolutamente inutile ed irragionevole il passaggio temporaneo di tali cespiti
patrimoniali nella sfera giuridica dell’ente locale. Pertanto, in considerazione
dell’inscindibile connessione funzionale esistente tra i commi 3 e 4 dell’art.
6 afferenti al personale e le due disposizioni in esame, l’illegittimità costituzionale dei primi deve estendersi in via consequenziale alle seconde, ai sensi
dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 (ex plurimis, sentenza n. 131 del 2012).
Restano assorbite le ulteriori censure formulate con riguardo alle norme in
esame.
8.— Quanto alle residue questioni di legittimità costituzionale proposte in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. in relazione
all’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, nessuna di esse è fondata.
186
8.1.— In particolare, l’art. 5, comma 1, e l’art. 15, comma 3, entrambi impugnati, sanciscono il divieto di ampliamento delle dotazioni organiche e di
assunzione di personale a tempo indeterminato per posti vacanti in organico,
sia per le IPAB sottoposte a riordino che per le istituende ASP.
Alla stregua di tale contenuto normativo non è configurabile una violazione
dell’art. 97, terzo comma, Cost., unico parametro invocato con riguardo a dette norme.
8.2.— Neanche le censure proposte nei confronti dell’art. 6, comma 5, sono
fondate, né in riferimento all’art. 97, terzo comma, Cost. né in riferimento
all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione, infatti, si limita a disciplinare e specificare gli adempimenti
propedeutici al riordino già elencati all’art. 4, comma 1, della medesima legge
regionale n. 17 del 2011. Tali incombenti consistono in una serie di operazioni indispensabili al riordino, quali la ricognizione delle situazioni giuridiche
pendenti; dei saldi di tesoreria; del patrimonio mobiliare ed immobiliare; del
personale già in servizio.
Non è dato vedere sotto quale prospettiva dette prescrizioni, finalizzate a raggiungere gli scopi previsti dalla normativa statale e da quella regionale, risultino lesive del principio di coordinamento della finanza pubblica espresso
dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e del dettato dell’art. 97, terzo
comma, Cost.
Anche in relazione all’esposta censura la questione deve dunque essere dichiarata non fondata.
9.— La questione sollevata nei confronti dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge
regionale n. 17 del 2011, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla
norma interposta costituita dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010, è fondata.
Quest’ultima disposizione afferma in modo incontrovertibile il principio di gratuità della partecipazione ad organi di enti che «comunque ricevono contributi
a carico delle finanze pubbliche».
Essa si inquadra nelle misure di coordinamento della finanza pubblica ed
assume una posizione autonoma e distinta dalle altre norme di analoga natura contenute nel medesimo art. 6, in ordine alle quali questa Corte ha avuto
modo di affermare che l’articolo stesso «al fine di ridurre il costo degli apparati
amministrativi, ha prescritto un taglio, secondo percentuali prestabilite, di
numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni statali, stabilendo altresì, al comma 20, che le singole disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati
nel corpo dello stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica per Regioni, Province autonome ed enti del Servizio sanitario
nazionale» (sentenza n. 182 del 2011) e che «Il legislatore statale può, con una
disciplina di principio, legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni
187
di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi
si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa
degli enti» (sentenza n. 132 del 2012).
Pur inserendosi in un contesto autonomo e distinto, sia sotto il profilo soggettivo che funzionale, dai restanti commi dell’articolo precedentemente evocato
dalle richiamate sentenze, il parametro interposto di cui all’art. 6, comma 2,
prima parte, del d.l. n. 78 del 2010 è anch’esso infatti norma di coordinamento della finanza pubblica ed, in quanto tale, indefettibile riferimento per la
legislazione regionale. Detta norma si ispira alla finalità di contenimento dei
costi della politica e degli apparati amministrativi così come il successivo comma 3 del medesimo art. 6, ma si differenzia da quest’ultimo sia sotto il profilo
soggettivo che oggettivo.
Per quel che riguarda il profilo soggettivo, occorre rilevare come la prima parte
del comma 2 («A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto
la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti,
che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la
titolarità di organi dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente;
qualora siano già previsti i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera») si riferisca in generale agli enti fruitori di
contributi a carico delle finanze pubbliche mentre l’ultimo periodo ne delimita
l’ambito in senso negativo, escludendo espressamente l’operatività della norma nei confronti degli «enti previsti nominativamente dal decreto legislativo
n. 300 del 1999 e dal decreto legislativo n. 165 del 2001, e comunque alle
università, enti e fondazioni di ricerca e organismi equiparati, alle camere di
commercio, agli enti del Servizio sanitario nazionale, agli enti indicati nella
tabella C della legge finanziaria ed agli enti previdenziali ed assistenziali nazionali, alle ONLUS, alle associazioni di promozione sociale, agli enti pubblici
economici individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze
su proposta del Ministero vigilante, nonché alle società».
Le ASP, in quanto enti infraregionali connotati da una gestione di tipo imprenditoriale delle proprie risorse secondo criteri di economicità (art. 6, comma 1,
del d.lgs. n. 207 del 2001 ed art. 7, comma 1, della legge regionale impugnata), non rientrano tra gli enti esclusi dall’applicazione del principio di gratuità,
non essendo comprese nelle tipologie individuate per relationem mediante i
richiami normativi operati dalla norma interposta e neppure tra quelli espressamente menzionati.
Anche sotto l’aspetto oggettivo, la fattispecie in esame rientra nella prescrizione dell’art. 6, comma 2, prima parte, del d.l. n. 78 del 2010. In particolare,
non può essere condivisa la tesi della resistente, secondo cui la legge regionale
impugnata non prevederebbe ipotesi di ricezione di «contributi a carico delle
finanze pubbliche».
188
Diversi elementi, sia testuali che conseguenti all’interpretazione sistematica
delle norme in materia, inducono a ritenere il contrario.
Anzitutto occorre rilevare come nella locuzione generale di enti «che comunque
ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche» rientrino non solo quelli
che ricevono erogazioni finanziarie bensì tutti quelli che ricevono qualunque
beneficio in risorse pubbliche, in grado di incrementare le componenti attive
del bilancio dell’ente destinatario o di diminuirne quelle passive. In proposito non v’è dubbio che le costituende ASP ricevano diversi cespiti di natura
pubblica, sia di carattere finanziario che patrimoniale. Il decreto legislativo di
riordino n. 207 del 2001, infatti, prevede all’art. 4, comma 1, che «Le istituzioni riordinate in aziende di servizi o in persone giuridiche private a norma
del presente decreto legislativo conservano i diritti e gli obblighi anteriori al
riordino. Esse subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi delle istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972,
dalle quali derivano». Pertanto sia i cespiti immobiliari che i contributi ed i
finanziamenti già attribuiti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nelle
operazioni di successione.
Inoltre, le operazioni di trasformazione delle IPAB in ASP sono incentivate dal
legislatore nel rispetto della finalità di attuare il processo di riorganizzazione:
così gli atti relativi al riordino sono ad esempio esenti dalle imposte di registro,
ipotecarie e catastali (art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 207 del 2001).
Con riguardo all’aspetto strettamente finanziario non può ignorarsi come esse
acquisiscano le dotazioni di cassa delle preesistenti IPAB, alle quali hanno
indubbiamente concorso i contributi regionali ad esse precedentemente spettanti per effetto delle leggi della Regione Abruzzo 2 ottobre 1998, n. 110, recante «Norme sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.)
aventi sede ed operanti nel territorio regionale» (art. 9, commi 1 e 2: «1. La Regione eroga contributi a favore delle I.P.A.B. al fine di favorire il miglioramento
dei servizi erogati agli utenti. 2. A tale scopo vengono stanziati nel bilancio
regionale fondi per l’erogazione di: a) contributo in c/capitale per costruzioni e
ristrutturazioni fabbricati; b) contributi in interessi su mutui per gli interventi
di cui sopra; c) contributi per riqualificazione e formazione del personale; d)
garanzie per i mutui CC.DD.PP.»), e 29 novembre 1999, n. 125, recante «Interventi per l’attivazione di R.S.A. pubbliche» (art. 2, comma 3: «Ai fini del finanziamento dei predetti adeguamenti – ossia, per adeguare le strutture delle
IPAB che svolgono in via prevalente attività socio-sanitaria di assistenza ad
anziani non autosufficienti, disabili o inabili comunque denominati –, si provvede con le risorse stanziate nel bilancio regionale di cui al successivo art. 7
nonché, con parte del risparmio ottenuto dalla decurtazione del 13% del tetto
di spesa per l’acquisto di prestazioni dalle strutture private accreditate, al sensi della L.R. n. 37/1999»).
L’erogazione di tali contributi rimane confermata fino al completamento del
riordino delle Istituzioni (art. 21, comma 4, della legge regionale impugnata). A
sua volta, il d.lgs. n. 207 del 2001 dispone che le Regioni definiscano «le risor189
se regionali eventualmente disponibili per potenziare gli interventi e le iniziative delle istituzioni nell’ambito della rete dei servizi» (art. 2, comma 2, lettera c)
e che, per «incentivare e potenziare la prestazione di servizi alla persona nelle
forme dell’azienda pubblica di servizi alla persona» stabiliscano «i criteri per
la corresponsione di contributi ed incentivi alle fusioni di più istituzioni» (art.
19, comma 1), eventualmente anche disciplinando procedure semplificate di
fusione ed istituendo forme di incentivazione mediante iscrizione nel proprio
bilancio di un apposito fondo cui destinare una quota delle risorse di cui
all’art. 4 – rubricato «Sistema di finanziamento delle politiche sociali» – di cui
alla legge n. 328 del 2000 (art. 19, comma 2).
La stessa legge regionale n. 17 del 2011 prevede l’inserimento delle ASP nel
sistema integrato di interventi e servizi sociali realizzato sul territorio regionale (art. 1, comma 3) e la legge n. 328 del 2000 precisa che «la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale di un finanziamento
plurimo a cui concorrono, secondo competenze differenziate e con dotazioni
finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci» gli enti locali, le Regioni e lo Stato (art.
4, comma 1).
Inoltre, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001 prevede che l’ASP «informa
la propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità,
nel rispetto del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei
costi e dei ricavi, in questi compresi i trasferimenti» effettuati dalle pubbliche
amministrazioni, mentre l’art. 14, comma 1, lettera e), dello stesso decreto
prevede la redazione di un piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare
anche attraverso eventuali dismissioni, evidentemente produttive di corrispettivi finanziari.
Dal punto di vista più specificamente patrimoniale l’art. 7, commi 4, 6 e 7,
della legge regionale n. 17 del 2011 prevede che i Comuni, nella fase di costituzione delle ASP, assicurino «il necessario apporto patrimoniale», sia in sede
di confluenza nei nuovi soggetti degli organismi comunali preposti ai servizi
alla persona (comma 4), sia in caso di partecipazione volontaria (comma 6),
sia in caso di conferimento alle ASP di beni già trasferiti ai Comuni a seguito
di pregresse estinzioni (comma 7).
2011 — in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. – che prevede la corresponsione di un’indennità agli organi suddetti, con conseguente accoglimento
del ricorso anche sotto questo profilo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 6, commi 3,
4, 6 e 7, 15, comma 4, e 11, commi 8 e 9, della legge della Regione Abruzzo
24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla
Persona (ASP)»;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
5, comma 1, 6, comma 5, e 15, comma 3, della medesima legge della Regione
Abruzzo n. 17 del 2011, promosse, in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e
117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri
con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
Sotto il profilo sistematico non è altresì indifferente, ai fini della qualificazione
della natura pubblica delle risorse gestite dalle ASP, il regime di controllo e vigilanza sulle aziende stesse, attribuito al competente servizio dell’assessorato
regionale (art. 18 della legge regionale) ed il potere sostitutivo della Regione, di
cui all’art. 19 della stessa legge impugnata.
Alla luce delle esposte ragioni deve ritenersi che al presidente e ai consiglieri
di amministrazione delle ASP si applichi l’art. 6, comma 2, prima parte, del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010, e che, pertanto, l’esercizio delle loro cariche sia gratuito, potendosi dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente.
Ne deriva l’illegittimità dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del
190
191
CORTE COST. SENTENZA N. 303/3003
SENTENZA N.303 ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Riccardo CHIEPPA
Gustavo ZAGREBELSKY
Valerio ONIDA
Carlo MEZZANOTTE
Fernanda CONTRI
Guido NEPPI MODONA
Piero Alberto CAPOTOSTI
Annibale MARINI
Franco BILE
Giovanni Maria FLICK
Ugo DE SIERVO
Romano VACCARELLA
Paolo MADDALENA
Alfio FINOCCHIARO
Presidente
Giudice
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ha pronunciato la seguente SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi da 1 a 12 e 14,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio
delle attività produttive); dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1°
agosto 2002, n. 166, (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti); degli articoli da 1 a 11, 13 e da 15 a 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n.
190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale); del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443) ed allegati A, B, C e D dello stesso decreto
legislativo n. 198 del 2002; promossi con ricorsi: della Regione Marche, notificati il 22 febbraio, il 25 ottobre e il 12 novembre 2002, depositati il 28 febbra192
io, il 31 ottobre e il 18 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 9, 81
e 86 del registro ricorsi 2002; della Regione Toscana, notificati il 22 febbraio,
il 1° e il 24 ottobre, e l’11 novembre 2002, depositati il 1° marzo, il 9 e il 30 ottobre, e il 16 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 11, 68, 79 e 85
del registro ricorsi 2002; della Regione Umbria, notificati il 22 febbraio e l’11
novembre 2002, depositati il 4 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente
iscritti ai numeri 13 e 89 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di
Trento, notificati il 22 febbraio e il 25 ottobre 2002, depositati il 4 marzo e il 5
novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 14 e 83 del registro ricorsi
2002; della Regione Emilia-Romagna, notificati il 23 febbraio e il 12 novembre
2002, depositati il 5 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai
numeri 15 e 88 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Bolzano,
notificato il 25 ottobre 2002, depositato il 31 successivo ed iscritto al n. 80
del registro ricorsi 2002; della Regione Campania, notificato il 12 novembre
2002, depositato il 16 successivo ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi 2002;
della Regione Basilicata, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 19 successivo ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2002; della Regione Lombardia,
notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 90
del registro ricorsi 2002; e del Comune di Vercelli, notificato il 12 novembre
2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 91 del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli
atti di intervento dell’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre, della Società
Wind Telecomunicazioni s.p.a., della Vodafone Omnitel s.p.a., della Società
H3G s.p.a., della T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile e dei Comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS);
udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 il Giudice relatore Carlo
Mezzanotte;uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche; Vito Vacchi, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana; Giandomenico Falcon e Maurizio Pedetta per la Regione Umbria; Giandomenico Falcon e Luigi
Manzi per la Provincia autonoma di Trento; Giandomenico Falcon, Luigi Manzi
e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna; Roland Riz e Sergio Panunzio
per la Provincia autonoma di Bolzano; Beniamino Caravita di Toritto e Massimo Luciani per la Regione Lombardia; Vincenzo Cocozza per la Regione Campania; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi per il Comune di Vercelli; Corrado
V. Giuliano per l’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre; Beniamino Caravita di Toritto e Vittorio D. Gesmundo per la Società Wind Telecomunicazioni
s.p.a.; Marco Sica e Mario Libertini per la Vodafone Omnitel s.p.a.; Nicolò Zanon per la Società H3G s.p.a.; Giuseppe De Vergottini, Mario Sanino e Carlo
Malinconico per la T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile; Antonino Cimellaro e
Carlo Rienzi per il Comune di Pontecurone; Antonino Cimellaro per i Comuni di Monte Porzio Catone e Mantova; Sebastiano Capotorto per il Comune
di Roma; Vito Aurelio Pappalepore per il Comune di Polignano a Mare; Carlo
Rienzi per il CODACONS; e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
193
Ritenuto in fatto
1. Con distinti ricorsi, ritualmente notificati e depositati, le Regioni Marche,
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli articoli
117, 118 e 119 della Costituzione e, limitatamente alla Provincia autonoma di
Trento, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - dell’art. 1 della legge
21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive), anche detta “legge obiettivo”.
In particolare, le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna hanno denunciato i commi da 1 a 12 ed il comma 14 del menzionato art. 1, mentre la Regione Marche ha impugnato soltanto i commi da 1 a 5. La Provincia autonoma
di Trento ha censurato a sua volta i commi da 1 a 4 dello stesso art. 1, precisando di non ritenere lese le prerogative ad essa spettanti in forza dello statuto
e delle norme di attuazione, bensì affermando di voler denunciare l’incostituzionalità della legge n. 443 del 2001 “in quanto essa contraddice l’ulteriore
livello di autonomia, spettante alla Provincia ai sensi dell’art. 117 della Costituzione” e dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale estende
alle Regioni ad autonomia differenziata le previsioni del Titolo V della Parte II
della Costituzione “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie
rispetto a quelle già attribuite”.
2. Quanto alle singole censure, tutte le ricorrenti denunciano il comma 1
dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il quale attribuisce al Governo il compito
di individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione del Paese.
Si lamenta anzitutto la violazione dell’art. 117 Cost., adducendosi al riguardo
che il predetto compito non è ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza
legislativa esclusiva statale.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento sostengono, inoltre, che, non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la materia dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non sarebbe nemmeno possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse così da escludere
la potestà legislativa regionale, atteso che la scelta del legislatore costituzionale è stata proprio quella di considerare detta dimensione come rilevante in
relazione al riparto solo nell’ambito di quanto assegnato allo Stato a titolo di
potestà legislativa esclusiva o concorrente.
Le Regioni Marche e Toscana adducono poi che l’individuazione delle grandi
opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati
dall’art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di
trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale
194
dell’energia), ma la disposizione censurata, da un lato, prevederebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e dunque lesiva dell’autonomia legislativa regionale; dall’altro escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”,
che dovrebbe essere garantito in base allo strumento dell’intesa tra Stato e
Regioni medesime.
Tale ultimo profilo di censura, sia pure in subordine all’assunto per cui nella
specie non sarebbe comunque possibile far riferimento ad alcuna delle materie elencate nel terzo comma dell’art. 117 Cost., è fatto proprio anche dalle
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento, secondo le quali la potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni su
tali opere, chiaramente anche di interesse “nazionale”, richiederebbe che su di
esse vi sia un coinvolgimento di entrambi i livelli di governo.
In definitiva, si ritiene che la disposizione del comma 1 violi anche il principio di leale collaborazione, giacché non prevede che l’individuazione delle c.d.
grandi opere sia determinata dalle Regioni, o quanto meno dal Governo d’intesa con le Regioni interessate.
2.1. Il comma 1 dell’art. 1 viene altresì specificamente denunciato dalla Regione Marche per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. In difetto di una
puntuale indicazione dei presupposti che giustificano, in base a sussidiarietà,
un’allocazione a livello centrale delle funzioni relative alla programmazione,
decisione e realizzazione delle singole opere strategiche oggetto della disciplina
censurata, risulterebbe violato il primo comma dell’art. 118 Cost.
La ricorrente rileva inoltre che la disposizione censurata non potrebbe giustificarsi neppure come una forma di intervento previsto dall’art. 119, quinto comma, Cost., ossia quale attribuzione di risorse aggiuntive e di interventi speciali
in favore delle singole autonomie locali, giacché essa si limita a prevedere una
competenza generale dello Stato sulla determinazione di programmi e interventi da realizzarsi in futuro e rispetto ai quali dovranno definirsi e ricercarsi
le relative risorse. Così, attribuendo al Governo il compito di reperire tutti i
finanziamenti allo scopo disponibili, la disposizione denunciata verrebbe ad
incidere sull’autonomia finanziaria delle Regioni, costituzionalmente garantita
“in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza regionale”.
3. Tutte le ricorrenti impugnano poi il comma 2 dell’art. 1 della “legge obiettivo”, che detta - dalla lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri direttivi
in base ai quali il Governo è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata
in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro
normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”.
In base ad analoghe censure, che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., si
deduce anzitutto che la prevista normativa, in quanto derogatoria della legge
quadro sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109), violerebbe la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori pubblici.
195
Si sostiene inoltre che, pur nella ipotesi in cui si intenda riconoscere in materia una potestà legislativa concorrente, sarebbero egualmente violate le competenze regionali perché il denunciato comma 2 detta principî non già alle
Regioni ma al Governo e ciò attraverso una disciplina compiuta e di dettaglio,
non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale.
In particolare le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di Trento, affermano che la disposizione del comma 2 sarebbe ben
lungi dal conformarsi al modello costituzionale, per il quale, anche in relazione
alle opere maggiori, la competenza legislativa ripartita deve riflettersi in una
gestione congiunta tra Stato e Regioni in “tutti i momenti in cui l’amministrazione di tali opere si scompone, secondo le regole dei principî di sussidiarietà
e di leale cooperazione”.
3.1. La sola Regione Marche assume altresì l’esistenza della violazione degli
artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nella parte in cui il comma 2 prevede criteri direttivi rivolti all’esercizio di competenze amministrative e al reperimento e all’organizzazione delle risorse.
3.2. Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di
Trento sollevano inoltre ulteriori specifiche censure avverso le lettere g) ed n),
del comma 2, lamentandone il contrasto con il “diritto europeo”.
Quanto alla lettera g), nella parte in cui circoscrive l’obbligo per il soggetto
aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica
solo “nel caso in cui l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”,
si tratterebbe di previsione che non trova riscontro nella direttiva 93/37 CEE,
neppure nel caso del ricorso all’istituto della concessione di lavori pubblici
(art. 3, § l) o all’affidamento ad unico soggetto contraente generale. Essendo,
infatti, pur sempre quello dell’appalto di lavori un contratto a titolo oneroso
tra un imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice, la stessa partecipazione diretta al finanziamento dell’opera o il reperimento dei mezzi finanziari
occorrenti, da parte del contraente generale [comma 2, lettera f)], non rileverebbe ai fini dell’esenzione dal regime comunitario.
Secondo la Regione ricorrente l’interesse a siffatta censura si radicherebbe sia
nella titolarità di competenza legislativa concorrente, sia nel fatto che l’emanazione di disposizioni contrastanti con la normativa europea “renderà non
più semplice ma al contrario più difficoltosa la realizzazione delle opere”, cui
la Regione stessa ha interesse, per il probabile avvio di contestazioni in sede
comunitaria.
Da tale ultimo profilo muove l’ulteriore censura che investe la lettera n), seconda frase, dello stesso comma 2, nella parte in cui restringe, per tutti gli
“interessi patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una provvisionale”. Questa disposizione - che preclude la sospensione del provvedimento
impugnato e rende possibile la prosecuzione della gara fino alla stipulazione
del contratto, consolidando gli effetti di eventuali atti illegittimi compiuti nel196
la procedura di gara - si porrebbe in contrasto con la direttiva 89/665/CEE
(c.d. direttiva ricorsi), riducendo “le possibilità di tutela piena per i concorrenti
che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti” e ciò
in quanto anticiperebbe alla fase cautelare quella limitazione della tutela al
risarcimento del danno che l’art. 2, paragrafo 6, della citata direttiva consente
nella fase successiva alla “stipulazione di un contratto in seguito all’aggiudicazione dell’appalto”.
Una scelta, questa, che - oltre a risultare incompatibile con l’art. 113 Cost. potrebbe determinare “un forte aggravio dei costi, data la necessità di pagare
due volte il profitto d’impresa (una volta a titolo di compenso, la seconda a
titolo di danno)” e tale, in ogni caso, da rendere presumibile una reazione negativa da parte delle autorità comunitarie e delle imprese interessate, così da
“complicare ulteriormente la vicenda delle opere interessate”.
4. E’ poi denunciato, da tutte le ricorrenti, il comma 3, che abilita il Governo
a modificare o integrare il regolamento di attuazione della legge quadro sui
lavori pubblici n. 109 del 1994, adottato con d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554,
ponendosi così in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale lo Stato non avrebbe alcuna potestà regolamentare nella predetta materia.
5. Tutte le parti ricorrenti impugnano inoltre il comma 4, che delega il Governo, limitatamente agli anni 2002 e 2003, ad emanare, nel rispetto dei principî
e dei criteri direttivi di cui al precedente comma 2, uno o più decreti legislativi
recanti l’approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate secondo quanto previsto al comma 1.
Le censure mosse dalle ricorrenti, che si svolgono secondo argomentazioni già
sviluppate in riferimento alla questione concernente il comma 2, evidenziano
che le cosiddette “infrastrutture strategiche” rientrano in parte in materie di
potestà legislativa concorrente, in parte in materie di potestà legislativa regionale residuale, sicché non sarebbe ammissibile, in riferimento a queste
ultime, l’intervento di alcun “decreto legislativo” per la diretta approvazione
definitiva dell’opera, mancando appunto la potestà legislativa statale specifica
nella materia.
6. La sola Regione Marche censura il comma 5, sostenendo che la prevista
clausola di salvaguardia in favore delle autonomie speciali confermerebbe “la
violazione, a danno delle Regioni di diritto comune, delle competenze costituzionalmente garantite dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.”.
7. Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano infine i commi da 6 a 12 ed il comma 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, che dettano
una disciplina in materia edilizia.
Nel delineare sinteticamente il contenuto delle censurate disposizioni, le ricorrenti evidenziano, segnatamente, che con il comma 6 si indicano alcuni
interventi edilizi per i quali l’interessato può scegliere la realizzazione “in base
197
a semplice denuncia di inizio di attività” in alternativa a concessione o autorizzazione edilizia; ad esso si ricollega il comma 12, il quale stabilisce che “le
disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a
decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge”, e che le stesse Regioni “con legge, possono individuare quali degli
interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad
autorizzazione edilizia”.
Le censure, di analogo tenore, prospettano la violazione dell’art. 117 Cost.,
sostenendosi, in linea principale, che l’edilizia rientra nelle materie a potestà
legislativa residuale delle Regioni e dunque non potrebbe essere oggetto di
disciplina statale.
In ogni caso, secondo le ricorrenti, ove si intendesse ricondurre la materia
dell’edilizia a quella del governo del territorio e, quindi, a materia di legislazione concorrente, sarebbe egualmente violato l’art. 117 Cost., in quanto le
disposizioni denunciate pongono una disciplina analitica e dettagliata, non
limitandosi dunque a dettare i principî fondamentali.
In particolare, poi, avverso il comma 12 la Regione Toscana deduce che la
norma, rendendo applicabile alle Regioni quanto disposto dal comma 6, vanificherebbe le leggi regionali che hanno disciplinato procedure e titoli abilitativi
per l’attività edilizia.
Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna precisano altresì che, seppure il denunciato comma 12 ritarda di novanta giorni l’applicazione del comma 6 e
consente alle leggi regionali di individuare quali degli interventi indicati dal
medesimo comma continuino ad essere assoggettati a concessione edilizia o
ad autorizzazione edilizia, tuttavia, da un lato, permarrebbe il carattere operativo e non di principio della disciplina statale; dall’altro, al legislatore regionale sarebbe lasciata soltanto la scelta “di fissare se per un certo intervento
è necessario o meno il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10, che
pure contengono mere norme procedurali e di dettaglio, appaiono intangibili
da parte del legislatore regionale”.
Sempre le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna svolgono ulteriori considerazioni sull’incostituzionalità del comma 14, il quale delega il Governo a modificare
il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia,
di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche
disposte dalla legge n. 443.
Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe il concetto stesso di testo unico a violare
il riparto costituzionale delle competenze e ciò non soltanto per le materie
“residuali regionali”, nelle quali non è prevista, in linea di principio, alcuna
interferenza della normativa statale, ma anche per le materie di competenza
concorrente; per queste ultime la diretta disciplina operativa dovrebbe essere essenzialmente regionale, con il vincolo di conformazione ai principî della
legislazione statale. Non sarebbe, pertanto, possibile emanare un “testo uni198
co” delle disposizioni relative ad una materia concorrente, giacché un simile
testo conterrebbe norme statali per le quali sarebbe naturale la impossibilità
di applicazione in ambito regionale “se non attraverso il vincolo che i principî
esercitano sulla legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo unico”.
Risulterebbe, poi, paradossale - sostengono ancora le ricorrenti - la concezione di un testo unico (come nel caso dell’edilizia) delle disposizioni statali
legislative e regolamentari, atteso che già nel precedente assetto costituzionale
non poteva aversi, nelle materie di competenza legislativa regionale, una normativa statale regolamentare.
8. Con memorie di identico contenuto, si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la reiezione dei ricorsi.
Quanto alla dedotta incostituzionalità dell’art. 1, comma 1, della legge n. 443
del 2001, per cui si lamenta l’omessa previsione legislativa di una intesa tra
Stato e Regioni interessate, la difesa del Presidente del Consiglio osserva, anzitutto, che la materia dei lavori pubblici non rientra nella potestà legislativa
residuale regionale e ciò in quanto, nel testo riformato dell’art. 117 Cost., nel
quale non compare il riferimento alla materia dei lavori pubblici di interesse
regionale, si sarebbe adottato il “criterio della strumentalità” di detta materia
(già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998). In tal senso, allo Stato
sarebbe attribuita la “potestà legislativa di principio” in tema di appalti che
sono riferibili a quelle materie rientranti nella potestà legislativa concorrente
(porti e aeroporti; grandi reti di trasporto e di navigazione; distribuzione nazionale dell’energia; protezione civile).
Peraltro, argomenta ancora l’Avvocatura dello Stato, dovrebbe escludersi, in
ogni caso, la necessità dello strumento dell’intesa in ordine all’attività diretta
all’individuazione di un’opera pubblica, giacché essa non richiede esercizio di
potestà legislativa, trattandosi di “esplicazione della funzione amministrativa,
come tale disciplinata dall’art. 118 Cost.”. Sicché, venendo in rilievo, nella
fattispecie, l’individuazione e la realizzazione di opere di “preminente interesse
nazionale”, sarebbe “in re ipsa che, per assicurarne l’esercizio unitario, siffatte
funzioni non possano che spettare allo Stato”.
Nondimeno, il fatto che la disposizione censurata preveda, quanto all’attività
di individuazione dell’opera, la compartecipazione delle Regioni, sia in proprio,
sia come componenti della Conferenza unificata, indurrebbe ad escludere che
vi sia un vulnus alle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni
stesse.
Altrettanto infondate sarebbero, ad avviso della difesa erariale, le censure mosse al comma 2 dell’art. 1, posto che l’avere la disposizione dettato principî e
criteri direttivi per la futura attività normativa di delegazione, sì da consentire
- secondo la prospettata doglianza - l’emanazione di una disciplina di dettaglio
e, quindi, invasiva delle competenze regionali, non concreterebbe una lesione
199
delle prerogative costituzionali delle Regioni, bensì “una mera eventualità” di
lesione. Di dette prerogative la legge n. 443 del 2001 avrebbe, comunque, tenuto conto, prevedendo (al comma 3) il parere della Conferenza unificata.
In riferimento, poi, alla censura che investe il comma 3 dell’art. 1 - a supporto
della quale si adduce la carenza di potestà regolamentare in capo allo Stato l’Avvocatura ribadisce la natura concorrente della competenza legislativa nel
settore dei lavori pubblici, potendo così lo Stato, “per il principio di continuità”, dettare una disciplina di dettaglio, “seppur con carattere di cedevolezza”.
Quanto, inoltre, alle doglianze mosse avverso i commi 6 e seguenti dello stesso art. 1 - le quali fanno leva sull’asserita violazione dell’art. 117 Cost., per
essere la materia dell’edilizia ricompresa nella sfera di competenza legislativa
esclusiva regionale e, in ogni caso, ove ricondotta tale materia al governo del
territorio, per aver le disposizioni denunciate previsto una disciplina di dettaglio - la difesa erariale ricorda che le norme censurate riguardano le condizioni
per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie e i casi in cui a siffatti
provvedimenti può sostituirsi, facoltativamente, la denuncia di inizio attività;
riguardano cioè l’attività di “uso e governo del territorio”, in quanto tale rientrante nella competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
Ad avviso dell’Avvocatura, dovrebbe comunque escludersi che in tal caso sia
stata adottata una normativa di dettaglio: la previsione, “a livello di principio”,
della “surrogabilità della concessione edilizia con la denuncia di inizio attività,
in presenza di particolari condizioni obiettive”, supererebbe, infatti, il principio, contenuto in altra legge statale, per il quale era possibile il ricorso alla
denuncia di inizio attività soltanto in relazione ad interventi edilizi minori.
9. Le ricorrenti hanno ribadito le rispettive ragioni con memoria illustrativa
depositata in prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 19 novembre 2002
e poi rinviata al 25 marzo 2003.
9.1. Nelle memorie si puntualizza, tra l’altro, che la disciplina posta dalla
legge impugnata è stata innovata dall’art. 13 della legge 1° agosto 2002, n.
166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, in particolare,
ha sostituito il comma 1 dell’art. 1 (concernente le modalità di individuazione
delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici) ed il successivo
comma 2, lettera c) (sulle procedure di approvazione dei relativi progetti).
Tuttavia, ad avviso delle ricorrenti, le predette norme, così come innovate,
conservano i vizi di incostituzionalità già dedotti nei vari ricorsi proposti avverso la legge n. 443 del 2001.
In particolare, secondo le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia
autonoma di Trento, le ricordate modifiche non inciderebbero sull’interesse
al ricorso, non essendo venuto meno l’impianto fondamentale della legge n.
443 del 2001, basato sulla attrazione alla competenza statale non solo della
programmazione, ma anche dell’approvazione dei progetti e, in buona parte,
200
della realizzazione delle opere - sia pubbliche che private - tramite la semplice
soggettiva qualificazione delle stesse come “strategiche” e di “preminente interesse nazionale”. Sicché, la “norma” censurata sarebbe ancora presente nella
disposizione impugnata e quindi la questione di costituzionalità sollevata non
avrebbe affatto “perso d’attualità, riguardando l’art. 1, comma 1, della legge n.
443 del 2001, come modificato dalla legge n. 166 del 2002”.
In ogni caso, sostengono ancora le ricorrenti, l’originaria disposizione è già
stata attuata con la deliberazione 21 dicembre 2001 del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) [Legge obiettivo: I° Programma delle infrastrutture strategiche (Delibera n. 121/2001)], “sicché l’interesse
al ricorso permane anche in relazione alla formulazione originaria della disposizione”.
9.2. La Regione Toscana, diversamente dalle altre parti ricorrenti, ha inoltre
dichiarato di non voler più insistere nella denuncia dei commi da 6 a 12 e del
comma 14, poiché tale normativa è stata oggetto di successiva modifica da
parte dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, nel senso del riconoscimento
della validità delle leggi regionali emanate in materia edilizia e della possibilità per le Regioni di ampliare o ridurre l’ambito applicativo dei titoli abilitativi
previsti dal legislatore nazionale.
10. Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria
nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Trento con la quale insiste
per il rigetto del ricorso, evidenziando in particolare che le modifiche apportate
dalla legge n. 166 del 2002 alla legge impugnata sarebbero tali da determinare
la carenza di interesse a ricorrere in relazione a tutte le censure imperniate sul
difetto di una previa intesa Stato-Regioni.
11. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 hanno depositato
ulteriori memorie illustrative le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna
nonché la Provincia autonoma di Trento.
11.1. Nel ribadire le argomentazioni svolte nei precedenti scritti la Regione
Toscana ritiene altresì che le disposizioni denunciate non potrebbero trovare
giustificazione neppure in base all’art. 120 Cost. Mancherebbe infatti la legge
che disciplina le procedure atte a garantire l’esercizio del potere sostitutivo nel
rispetto del principio di sussidiarietà e, in ogni caso, tale esercizio non potrebbe mai essere consentito in base a previsioni astratte di interventi a fronte di
motivati dissensi espressi dalle Regioni nelle materie di propria competenza.
Giammai potrebbe poi ritenersi che il dissenso della Regione sul progetto preliminare e definitivo di un’opera pubblica rappresenti fattispecie legittimante
l’attivazione del potere sostitutivo, e ciò in quanto la Regione non sarebbe
inadempiente ma esprimerebbe il proprio dissenso motivato ed offrirebbe soluzioni alternative così da rendere necessaria, alla luce del principio di leale
collaborazione, una soluzione condivisa che tenga conto delle molteplici competenze regionali incise dalla localizzazione di un’opera.
201
Nella memoria si contesta poi che le norme censurate possano giustificarsi in
base all’art. 118, primo comma, Cost., giacché l’individuazione e la realizzazione di un’opera pubblica richiedono comunque l’esercizio di potestà legislativa e
questa deve essere esercitata nel rispetto del riparto delle competenze stabilite
nella Costituzione. Sicché, nelle materie di competenza regionale (concorrente
e residuale) spetterebbe alle Regioni medesime disciplinare, nell’esercizio della
propria potestà amministrativa, il procedimento in questione, attribuendo agli
enti locali le relative funzioni nel rispetto dei criteri di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione di cui all’art. 118 Cost.
La Regione osserva preliminarmente che la disposizione impugnata ha modificato l’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, concernente le modalità di
individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici,
e che proprio quest’ultima disposizione è stata da essa in precedenza denunciata con ricorso iscritto al n. 11 del reg. ric. dell’anno 2002. Ad avviso della
Regione le modifiche apportate dall’art. 13 al menzionato art. 1 non sarebbero tali da elidere i dubbi di incostituzionalità già prospettati, tanto più che lo
stesso art. 13 risulterebbe illegittimo e lesivo dell’autonomia regionale costituzionalmente garantita.
Da ultimo si insiste nella rinuncia all’impugnazione, per sopravvenuto difetto
di interesse, dei commi da 6 a 12 e 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001,
atteso che le modiche apportate dalla successiva legge n. 166 del 2002 permettono alla Regione di esercitare le proprie competenze legislative in materia
edilizia.
12.1. Secondo la ricorrente le disposizioni censurate avrebbero potuto trovare fondamento nella materia “lavori pubblici di interesse nazionale”, ma
la stessa non è prevista tra quelle elencate dal nuovo art. 117 Cost., che ha
eliminato ogni riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse, affidando
al contrario alla competenza legislativa concorrente materie (quali: porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia) in cui la predetta dimensione è implicita
nel loro stesso contenuto.
11.2. Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Provincia autonoma di Trento,
con memorie di identico contenuto, ribadiscono le ragioni già sviluppate in
precedenza, contestando le argomentazioni sostenute dalla difesa erariale.
In particolare, si insiste nel fatto che non sarebbe possibile fare ricorso, al fine
di radicare nello Stato la competenza legislativa a provvedere alla disciplina
delle cosiddette grandi opere, al criterio della strumentalità delle materie coinvolte, né tanto meno ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza, che attengono
all’allocazione delle funzioni amministrative.
Si esclude inoltre che, al medesimo scopo, possa invocarsi l’interesse nazionale, giacché, come tale, esso rappresenterebbe un criterio generico che, nel
contesto della riforma del Titolo V, non potrebbe più operare al fine del riparto delle materie, al quale provvede accuratamente l’art. 117 Cost. in base
ad una specifica elencazione: l’interesse nazionale non costituirebbe dunque
titolo autonomo di competenza statale, né giustificherebbe una disciplina che
rimetta alla discrezionalità del Governo la sua definizione.
Da ultimo si riafferma la sussistenza di un interesse ad una pronuncia nel
merito sulla censura che lamenta l’assenza dell’intesa Stato-Regioni e ciò nonostante la modifica introdotta in tal senso dalla legge n. 166 del 2002 al
denunciato comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, giacché la disposizione originaria aveva già trovato attuazione con la predisposizione del primo
programma di infrastrutture strategiche.
12. Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 68 del 2002, ritualmente notificato e
depositato, la Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002,
n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), denunciandone il
contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.
202
Dovrebbe inoltre escludersi, ad avviso della Regione, che le stesse disposizioni
possano fondarsi sul terzo comma dell’art. 117 Cost., giacché le c.d. grandi
opere non sono necessariamente collegate a materie ivi elencate, come nel
caso, ad esempio, della realizzazione degli insediamenti produttivi che si riconnette alla materia dell’industria, di competenza residuale regionale ai sensi
del quarto comma dell’art. 117 Cost. Analogamente è da dirsi per la disciplina
dei lavori pubblici e privati, trattandosi di materia riservata alla legislazione
regionale, con l’unico limite del rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
In ogni caso, ove si volesse ammettere una competenza statale relativamente ad opere strategiche collegate a materie elencate nel terzo comma dell’art.
117 Cost., la stessa non potrebbe che esercitarsi attraverso l’individuazione
dei principî regolatori, mentre la normativa denunciata non si limita a dettare
principî alle Regioni in tema di individuazione e realizzazione delle c.d. grandi opere, ma al contrario definisce i criteri ai quali il Governo dovrà attenersi
nell’esercizio della delega con una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa, tale da elidere ogni possibilità di intervento normativo da parte delle
Regioni medesime.
Argomenta ancora la ricorrente che una tale illegittima appropriazione da parte dello Stato di potestà legislative regionali non potrebbe giustificarsi in nome
dell’interesse nazionale, che il nuovo Titolo V non contempla più come limite
alla potestà legislativa delle Regioni, così come non prevede un generale potere
di indirizzo e coordinamento. Non sarebbe dunque ammissibile reintrodurre
limiti alla potestà legislativa regionale non espressamente previsti in Costituzione riferendosi alla rilevanza nazionale di un’opera.
203
12.2. Ad avviso della Regione le disposizioni impugnate violerebbero anche
l’art. 118 Cost. A tale riguardo si osserva che, per un verso, l’effettivo rispetto
dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza imporrebbe che
ogni scelta legislativa di allocazione delle funzioni debba essere supportata
dall’analisi e dalla verifica dei livelli di governo maggiormente rispondenti a
detti criteri e che, dunque, debbano essere resi conoscibili i motivi della scelta e quindi dell’esercizio in concreto di tale potere discrezionale: il che non
avviene nel caso in esame. Per altro verso, le esigenze di esercizio unitario
richiamate dall’art. 118 Cost. non potrebbero costituire un titolo autonomo
legittimante l’intervento del legislatore statale, come invece accade in base alle
denunciate disposizioni. Ciò perché l’art. 118, primo comma, Cost. è norma
che fissa i criteri per l’allocazione delle funzioni, ma non disciplina le fonti
deputate ad allocare le stesse e quindi non rappresenta il presupposto su cui
fondare variazioni e spostamenti rispetto alla titolarità della potestà legislativa, come stabilita dall’art. 117.
12.3. Il fatto poi che il comma 3 del censurato art. 13 abbia introdotto il principio per cui l’individuazione delle grandi opere avviene d’intesa con le Regioni
interessate e con la Conferenza unificata, anziché sulla base del loro parere (come originariamente previsto), non costituirebbe, secondo la ricorrente,
una modifica tale da far superare gli evidenziati dubbi di incostituzionalità,
in quanto, da un lato, l’intesa non può rappresentare un meccanismo tramite il quale lo Stato si appropria di potestà legislative ad esso non riservate e,
dall’altro, non è contemplato alcun meccanismo a garanzia che l’intesa non
sia di fatto recessiva rispetto al potere dello Stato di provvedere ugualmente
a fronte del motivato dissenso regionale. In definitiva l’intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario, con ciò ledendo il principio
di leale cooperazione che imporrebbe, nella materia in esame, una effettiva
codeterminazione del contenuto dell’atto di individuazione delle grandi opere.
12.4. La Regione sostiene altresì che neppure i commi 5 e 6 del denunciato
art. 13, che dettano i criteri ai quali deve attenersi il Governo nell’emanare il
decreto legislativo volto a disciplinare le modalità di approvazione dei progetti
preliminari e definitivi delle opere strategiche, garantirebbero il rispetto delle
attribuzioni regionali. Ciò in quanto il ruolo della Regione nell’approvazione
dei progetti (demandata al CIPE o a decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni,
sentita la Conferenza unificata, previo parere delle competenti commissioni
parlamentari) sarebbe soltanto quello di esprimere un parere, mentre l’approvazione di detti progetti assume particolare rilievo poiché determina la localizzazione urbanistica dell’opera, la compatibilità ambientale della medesima e
sostituisce ogni permesso ed autorizzazione comunque denominati.
Ad avviso della ricorrente le disposizioni denunciate inciderebbero quindi sulla materia, di legislazione concorrente, del governo del territorio, dettando un
regime derogatorio per l’individuazione delle opere e per l’approvazione dei
progetti delle stesse che non lascerebbe spazio alla legislazione regionale; in204
terferirebbero sulla normativa regionale già vigente che disciplina i procedimenti per l’approvazione delle opere pubbliche, prevedendo le necessarie verifiche di natura urbanistica, idrogeologica e di difesa del suolo (laddove essa
Regione ha attribuito tali funzioni amministrative ai Comuni e alle Province);
esautorerebbero la Regione delle proprie attribuzioni in merito alla valutazione
di impatto ambientale delle opere. A tal specifico riguardo la Regione Toscana
rileva che il comma 3 dell’art. 13 prevede che anche le strutture concernenti
la nautica da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche, ciò comportando che la valutazione di impatto ambientale
sulle stesse debba effettuarsi con la procedura prevista dal successivo comma
5 e dunque dal Ministro competente, restando così sottratto alle Regioni, con
lesione delle relative attribuzioni in materia di porti e valorizzazione dei beni
ambientali.
12.5. La ricorrente osserva poi che le prospettate censure non potrebbero
essere superate dal fatto che il comma 3 del denunciato art. 13 della legge n.
166 del 2002 prevede che il Governo, nell’emanare il decreto delegato, dovrebbe agire “nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”, giacché,
oltre ad essere espressione vaga e generica, si tratta di indicazione che non
potrebbe comunque essere rispettata, considerato che sono già i principî posti
dalla delega a vulnerare le attribuzioni delle Regioni.
12.6. La Regione assume infine che i commi 1 e 11 dell’art. 13, nel prevedere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere
strategiche individuate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118
Cost., in quanto “fanno riferimento al programma predisposto dal CIPE che
[…] è elaborato in spregio alle competenze regionali”, sia con l’art. 119 Cost.,
incidendo sull’autonomia finanziaria delle Regioni che la norma costituzionale
garantisce in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle
infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza regionale.
13. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 117 Cost., la difesa erariale osserva
che l’omessa previsione della materia dei lavori pubblici regionali nella legge
costituzionale n. 3 del 2001 si giustificherebbe in ragione del perseguimento
del criterio, già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998, della strumentalità della materia dei lavori pubblici, per cui allo Stato spetta la potestà
legislativa di principio per la disciplina degli appalti relativi alle materie ricomprese nella potestà legislativa concorrente.
Con riferimento poi al profilo di censura che sostiene esservi lesione delle attribuzioni regionali in considerazione della minuziosità della normativa introdotta, l’Avvocatura rileva che l’attività di individuazione di un’opera pubblica
non richiederebbe l’esercizio di potestà legislative, ma solo di quelle amministrative, ai sensi dell’art. 118 Cost.
205
Quanto poi alla denunciata violazione proprio dell’art. 118, primo comma,
Cost. si osserva che, allorquando è necessario assicurare l’esercizio unitario
di funzioni amministrative, come è in riferimento all’individuazione e realizzazione di opere di “preminente interesse nazionale”, la fonte normativa di
distribuzione delle funzioni medesime non potrebbe che essere una legge statale. Legge che, nel caso di specie, correttamente espliciterebbe i presupposti
per l’allocazione delle funzioni al massimo livello, che sono espressamente
indicati in “finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale”, in “fini di garanzia della sicurezza strategica e di contenimento dei
costi dell’approvvigionamento energetico del Paese” e nell’“adeguamento della
strategia nazionale a quella comunitaria delle infrastrutture e della gestione
dei servizi pubblici locali di difesa dell’ambiente”.
La difesa erariale sostiene inoltre che proprio le doglianze mosse avverso la
mancata previsione sia di una previa intesa per l’individuazione delle opere
strategiche, sia dell’integrazione del CIPE con la presenza dei Presidenti delle Regioni per l’approvazione dei relativi progetti, hanno indotto il legislatore
a modificare in questo senso la legge n. 443 del 2001, tramite l’art. 13 della
legge n. 166 del 2002, e ciò per assicurare “il rispetto delle attribuzioni costituzionali” delle Regioni.
Quanto infine alle censure riguardanti i commi 1 e 11 del menzionato art. 13,
l’Avvocatura ritiene che gli artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle argomentazioni già spese, non siano violati nella procedura di individuazione e approvazione dei progetti da parte del CIPE e che parimenti non possa reputarsi leso
l’art. 119 Cost. giacché, trattandosi di progettazione e realizzazione di opere di
preminente interesse nazionale, è allo Stato che compete autorizzare i limiti di
impegno e la destinazione della spesa derivanti dagli stanziamenti del proprio
bilancio.
14. In prossimità dell’udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria
con cui, ribadendo le argomentazioni già svolte, insiste nelle conclusioni già
rassegnate.
15. Nello stesso giudizio hanno depositato, fuori termine, congiunto atto di intervento ad adiuvandum l’Associazione Italia Nostra-Onlus, Legambiente-Onlus, l’Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus,
per sentire dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11,
della legge n. 166 del 2002, denunciato dalla Regione Toscana.
16. La Regione Toscana, le Province autonome di Bolzano e di Trento, la Regione Marche hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via
principale di numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
recante “Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse
nazionale”, denunciandone il contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost.,
nonché con gli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19,
21, 22, 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
206
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige). Più nello specifico, la Toscana impugna
gli artt. 1-11, 13, 15, 16, commi 1, 2, 3, 6, 7; 17-20; la Provincia autonoma di
Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6,
9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11, 13, 15-20; la Provincia
autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.
17. Il ricorso della Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 5 novembre 2002, cioè il giorno successivo alla scadenza del termine di dieci giorni previsto dall’art. 32, terzo comma,
della legge 11 marzo 1953, n. 87. Con apposita istanza la Provincia rende noto
che il mancato rispetto del termine non può essere imputato a negligenza,
ma alla impossibilità, conseguente alla mancata disponibilità dell’atto presso
l’Ufficio notifiche, per ragioni che atterrebbero al funzionamento di tale ufficio
e che sono state espressamente riconosciute dal medesimo con certificato allegato al ricorso depositato. Pur non negando il carattere perentorio del termine
di cui è discorso, la Provincia istante ritiene che ciò non dovrebbe impedire
l’applicazione di ulteriori principî giuridici come quello dell’errore scusabile,
espressamente riconosciuto nel giudizio amministrativo. Si chiede pertanto di
considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla Provincia autonoma di Trento il 5 novembre 2002. In subordine, peraltro, ove la
Corte ritenesse che la mancata menzione dell’errore scusabile negli artt. 31,
terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 sia dalla Corte ritenuta preclusiva dell’applicazione di tale istituto, l’istante eccepisce l’illegittimità costituzionale in parte qua di tali disposizioni, per violazione dell’art. 24,
primo comma, Cost. e del principio di ragionevolezza.
18. In tutti i ricorsi si osserva preliminarmente come la disciplina statale non
potrebbe trovare fondamento negli specifici titoli abilitativi delle lettere e), m)
e s), dell’art. 117 Cost., in quanto la disciplina oggetto di impugnazione non
avrebbe nulla a che vedere con la tutela della concorrenza [lettera e)], dell’ambiente e dell’ecosistema [lettera s)] né tanto meno con la determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale [lettera m)].
Le ricorrenti pongono inoltre in risalto come le Regioni sarebbero divenute
titolari della competenza legislativa concorrente in molte delle materie che
attengono alla realizzazione di opere pubbliche, quali “porti e aeroporti civili”,
“grandi reti di trasporto e navigazione”, “trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia”, “governo del territorio”. Solo in relazione alle opere pubbliche
relative ai predetti settori materiali lo Stato sarebbe dunque titolare di potestà
legislativa, che dovrebbe peraltro essere esercitata attraverso la predisposizione di una normativa di principio, non anche attraverso discipline di dettaglio
che, come nella specie, comprimano gli spazi di scelta politica delle Regioni.
La materia degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture strategiche, per
di più, sarebbe interamente affidata alla potestà legislativa residuale delle Regioni, così da escludere ogni intervento normativo statale.
207
L’esigenza di tutelare un interesse nazionale non potrebbe giustificare la deroga al riparto delle competenze costituzionali che il decreto impugnato avrebbe
introdotto, in quanto l’interesse nazionale non potrebbe più costituire il titolo per sottrarre oggetti alle materie di competenza regionale. Egualmente, si
aggiunge nel ricorso della Regione Toscana, non varrebbe invocare l’art. 118,
primo comma, e le esigenze di esercizio unitario ivi richiamate, che non potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del legislatore
statale in materie di competenza delle Regioni, giacché l’art. 118 non conterrebbe un riparto di materie ulteriore e potenzialmente antagonista rispetto a
quello contenuto nell’art. 117 Cost.
Le disposizioni impugnate sarebbero illegittime pure per contrasto con l’art.
76 Cost., giacché la legge di delegazione espressamente prevedeva che la delega dovesse essere esercitata «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni».
18.1. Nello specifico, sono oggetto di impugnazione:
a) - l’art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l’approvazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, individuati da un apposito programma approvato
dal CIPE (art. 1 legge n. 443 del 2001). Le opere sono differenziate in categorie. Quelle per le quali l’interesse regionale è concorrente con il preminente
interesse nazionale sono individuate con intese quadro fra Governo e singole
Regioni e per esse è previsto che le Regioni medesime partecipino, con le modalità stabilite nelle intese, alle attività di progettazione, affidamento dei lavori
e monitoraggio, «in accordo alle normative vigenti ed alle eventuali leggi regionali allo scopo emanate».
La Provincia autonoma di Bolzano ritiene che tale disposizione sarebbe rivolta
a salvaguardare unicamente le competenze ad essa riconosciute dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e
maggiori competenze che le spetterebbero ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost.
Risulterebbe inoltre violato l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, il
quale impone il sollecito adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale
ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata applicabilità
nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato nelle materie nelle
quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita delega di funzioni
statali»;
b) - l’art. 1, comma 5, il quale dispone che le Regioni, le Province, i Comuni, le
Città metropolitane applicano, per le proprie attività contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse dall’approvazione
dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3),
«le norme del presente decreto legislativo fino alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (…) per tutte le materie di legislazione concorrente». Le
Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento ne denunciano il
contrasto con l’art. 117 Cost., poiché in materie di competenza regionale con208
corrente sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio, il che, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, non sarebbe più consentito;
c) - l’art. 1, comma 7, lettera e), che, nel definire opere per le quali l’interesse
regionale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…)
non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista,
nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione
delle Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più
Regioni o Stato, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale
o internazionale», sarebbe incostituzionale in primo luogo per eccesso di delega, giacché la legge n. 443 del 2001 non avrebbe autorizzato il Governo a
porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale (ricorso
della Regione Toscana). Inoltre, si argomenta in tutti i ricorsi, la disposizione
in oggetto, nell’escludere la concorrenza dell’interesse regionale con il preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale
o internazionale, sarebbe lesiva delle competenze attribuite alle Regioni dagli
artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, primo comma, Cost. Del pari
illegittima sarebbe la subordinazione all’intesa statale dell’individuazione delle opere per le quali esista un concorrente interesse regionale. La medesima
disposizione contrasterebbe inoltre con gli artt. 19, 20 e 21 delle norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. 22 marzo 1974,
n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto
Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), giacché escluderebbe la
necessità di un’intesa per le infrastrutture e i collegamenti interregionali e
internazionali;
d) - l’art. 2, comma 1, il quale stabilisce che il Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti «promuove le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai
fini della sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle
Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di supporto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle
infrastrutture». Secondo la prospettazione delle Province autonome di Trento
e di Bolzano sarebbero riservati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i compiti tecnici e amministrativi che l’art. 16 dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige attribuisce alle Province autonome, con violazione anche
dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale prevede
che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative
(…) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme
di attuazione»;
e) - l’art. 2, commi 2, 3, 4, 5 e 7, il quale, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l’attività di progettazione, direzione ed esecuzione
delle infrastrutture ed il potere di assegnare le risorse integrative necessarie
alle attività progettuali, anziché assegnare i fondi direttamente alle Province
209
autonome di Trento e Bolzano, violerebbe l’art. 16 dello statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige e l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 266 del
1992, secondo cui «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e
dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della
Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o
indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del territorio
regionale o provinciale»;
f) – l’art. 2, comma 5, il quale, nel prevedere che per la nomina di commissari
straordinari destinati a seguire l’andamento delle opere aventi carattere interregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni
interessate, si porrebbe in contrasto, ad avviso di tutte le ricorrenti, con gli
artt. 117 e 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto su
tale oggetto dovrebbe essere prevista la forma più intensa di collaborazione
dell’intesa. I commi 5 e 7 sarebbero inoltre incostituzionali anche perché attribuirebbero allo Stato compiti decisionali che in base all’art. 4 del decreto
legislativo n. 266 del 1992 sarebbero di competenza della Provincia autonoma
di Bolzano;
g) - l’art. 2, comma 7, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri,
su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri
competenti, nonché, per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatari regionali, i Presidenti delle Regioni, il potere di abilitare i commissari
straordinari ad adottare, con poteri derogatori della normativa vigente e con
le modalità di cui all’art. 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire l’occupazione), i provvedimenti e gli atti di qualsiasi
natura necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei
soggetti competenti. Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di
Trento lamentano la lesione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la previsione
impugnata si applica anche alle opere regionali e potrebbe pertanto riguardare
provvedimenti che spetterebbe alla Regione e alle Province adottare nell’esercizio delle proprie competenze normative e amministrative. Secondo la Regione
Toscana difetterebbero inoltre i presupposti ai quali l’art. 120 Cost. subordina
il legittimo esercizio dei poteri sostitutivi statali. Infine, si sostiene nel ricorso
della Provincia autonoma di Bolzano, risulterebbe violato anche l’art. 4 del
decreto legislativo n. 266 del 1992, giacché allo Stato sarebbero stati attribuiti
compiti decisionali spettanti alla Provincia;
h) - l’art. 3, il quale disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le procedure di valutazione d’impatto ambientale
(VIA) e localizzazione, secondo tutte le ricorrenti sarebbe illegittimo nella sua
interezza, in quanto disciplinerebbe la procedura di approvazione del progetto
preliminare con regolazione di minuto dettaglio, mentre, in relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del territorio, la
legislazione statale avrebbe dovuto limitarsi alla predisposizione dei principî
210
fondamentali. Il medesimo art. 3, nella parte in cui affida al CIPE l’approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’intesa sulla localizzazione dell’opera, ma prevedendo pure
che il medesimo progetto non sia sottoposto a conferenza di servizi, ad avviso
della Regione Toscana violerebbe l’art. 76 Cost., poiché l’art. 1, comma 2, lettera d), della legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava solo a modificare la
disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla del tutto.
Del pari incostituzionali sarebbero, secondo tutte le ricorrenti, i commi 6 e 9
dell’art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa procedere comunque all’approvazione del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di carattere
interregionale e internazionale superando il motivato dissenso delle Regioni,
violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e
sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi,
sarebbero infatti relegate in posizione di destinatarie passive di provvedimenti
assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla potestà legislativa concorrente. Per le ragioni appena esposte sarebbero incostituzionali anche
gli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell’art. 3, comma 6,
fanno espresso rinvio;
i) - l’art. 4, comma 5, nella parte in cui prevede che l’approvazione del progetto
definitivo sia adottata «con il voto favorevole della maggioranza dei componenti
del CIPE», sarebbe, ad avviso della Regione Toscana, costituzionalmente illegittimo per contrasto con l’art. 76 Cost., e specificamente con l’art. 1, comma
3-bis, della legge di delega, il quale prevede quale momento indefettibile del
procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della Conferenza unificata;
j) - le norme contenute negli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che introducono
rilevanti modifiche in materia di appalti e di concessioni dei lavori pubblici,
secondo le Regioni Toscana e Marche sarebbero illegittime in quanto incidenti
su materie ascrivibili alla competenza legislativa residuale delle Regioni, inerendo alla materia dei lavori pubblici e degli appalti. Non varrebbe neppure,
si soggiunge nel ricorso della Regione Toscana, rilevare che in tale materia
siano recepite ed applicate norme di fonte comunitaria, giacché l’attuazione di
norme comunitarie in materia di competenza regionale spetterebbe comunque
alle Regioni;
k) - l’art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti pubblichi la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori
e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto aggiudicatore, valutata
la stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica, secondo la Regione Toscana
sarebbe illegittimo, oltre che per i profili evidenziati alla lettera j), anche per
l’ulteriore ragione che non chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista
per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra quelle già
211
ricomprese nel programma di opere strategiche formato d’intesa con le Regioni, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001, o se al
contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei promotori anche per opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna intesa è
stata raggiunta con le Regioni interessate;
o) - gli artt. 17, 18, 19 e 20, per la parte in cui dettano una disciplina della procedura di VIA di opere e infrastrutture che deroga alla disciplina regionale e
provinciale, sono denunciati dalle Regioni Marche e Toscana, le quali ritengono lese le proprie competenze a disciplinare gli strumenti attuativi della tutela
dell’ambiente dettati dal legislatore comunitario;
l) - l’art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione, l’approvazione
dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture private
strategiche per l’approvvigionamento energetico, richiamando gli artt. 3 e 4,
sarebbe incostituzionale, secondo la Regione Marche, per le medesime ragioni
già esposte con riguardo alle disposizioni citate; inoltre esso, secondo la Provincia autonoma di Trento, violerebbe l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del
1992, in quanto, per effetto della semplice individuazione, con atto statale di
carattere amministrativo, del preminente interesse nazionale di alcuni insediamenti privati, spoglierebbe la Provincia ricorrente dei poteri amministrativi
ad essa spettanti. Il medesimo art. 13, nel comma 5, sarebbe inoltre lesivo
delle competenze costituzionali della Provincia autonoma di Bolzano per il
fatto di prevedere che l’approvazione del CIPE sostituisce le autorizzazioni,
concessioni edilizie e approvazioni in materia di urbanistica e opere pubbliche
che rientrano nelle competenza della Provincia medesima;
p) - l’art. 19, comma 2, che demanda la valutazione di impatto ambientale a
una commissione speciale costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri,
su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sarebbe
illegittimo, a giudizio delle Regioni Marche e Toscana, per la mancata previsione di una partecipazione delle Regioni, che sarebbero in tal modo estromesse
dalla funzione di attuazione del valore costituzionale «ambiente»;
m) - l’art. 15, il quale attribuisce al Governo la potestà regolamentare di integrazione di tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, e,
nel comma 2, autorizza i regolamenti emanati in esercizio della potestà di cui
al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di
diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia, si porrebbe in contrasto, ad avviso della Regione Toscana, con l’art. 1, comma 3, della legge di
delega n. 443 del 2001, che delegava il Governo ad integrare e modificare solo
il regolamento n. 554 del 1999. Tutte le ricorrenti lamentano inoltre che l’attribuzione al Governo di potestà regolamentare in materia di appalti e di opere
pubbliche, materia che non sarebbe qualificabile come di potestà esclusiva
statale, contravverrebbe al rigido riparto di competenza posto nell’art. 117, sesto comma, Cost. La potestà di dettare norme regolamentari in materie diverse
da quelle di legislazione esclusiva non potrebbe essere riconosciuta neppure
alla condizione che i regolamenti statali siano cedevoli rispetto a quelli regionali, poiché l’articolo impugnato avrebbe espressamente escluso la propria
cedevolezza per la parte della disciplina da esso recata non riconducibile a
materie di competenza esclusiva statale. Il medesimo articolo è impugnato
dalla Provincia autonoma di Bolzano nel comma 4, ove si statuisce l’applicabilità nei confronti delle Regioni e delle Province autonome della disciplina
regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. 23 dicembre 1999, n. 554, in
radicale contrasto con quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 482
del 1995;
n) - l’art. 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7, il quale, anticipando la disciplina procedimentale oggetto di impugnazione ai progetti già in corso, incorrerebbe, secondo la Regione Toscana, nei medesimi vizi già illustrati in riferimento alle
singole fasi del procedimento;
212
q) - gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9;
13, comma 5; e 15, nel prevedere procedimenti di approvazione che comportano l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano l’accertamento della compatibilità ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazione, approvazione e parere, disattenderebbero, secondo la Provincia autonoma
di Bolzano, le norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1994, che subordinano l’adozione di alcune
delle opere previste dal decreto impugnato alla previa intesa con la Provincia.
19. Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati infondati. La difesa erariale sostiene innanzitutto che la
materia dei lavori pubblici, non richiamata nel nuovo testo dell’art. 117 Cost.,
non potrebbe essere ascritta alla potestà residuale della Regione, ma che, al
contrario, lo Stato conserverebbe la potestà legislativa di principio per la disciplina degli appalti riferibili alle materie comprese nella potestà legislativa
concorrente. Ciò senza considerare che anche nel nuovo Titolo V l’interesse
nazionale potrebbe legittimare il superamento della ripartizione per materie
posta nel medesimo art. 117.
Inoltre, prosegue l’Avvocatura, la legge n. 166 del 2002, recependo le istanze
regionali, avrebbe previsto che l’individuazione delle opere avvenga d’intesa
fra lo Stato e le Regioni, sicché il decreto impugnato si dovrebbe considerare
rispettoso delle attribuzioni regionali. La partecipazione effettiva delle Regioni
alla fase di approvazione, come prevede l’art. 2, comma 1, del decreto impugnato, priverebbe di fondamento la censura relativa al potere sostitutivo conferito al Governo nell’ipotesi di dissenso della Regione interessata, tanto più
che la fattispecie sarebbe perfettamente conforme allo schema di esercizio del
potere sostitutivo delineato nell’art. 120, secondo comma, Cost., venendo in
questione opere che, per la loro indubitabile rilevanza strategica, sarebbero in
grado di incidere sull’unità economica del Paese.
Quanto alla ammissibilità di una normativa statale di dettaglio, ovviamente
cedevole, in materia di potestà concorrente, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri osserva che ciò risponderebbe «ad una esigenza imprescin213
dibile, in applicazione del principio di continuità, quando non vi sia alcuna
altra norma applicabile alla fattispecie». Neppure dovrebbe dirsi leso l’art. 118
Cost., poiché la nuova formulazione di tale articolo attribuisce le funzioni amministrative sulla base del principio di sussidiarietà, precisando che tali funzioni devono essere attribuite allo Stato quando occorra assicurarne l’esercizio
unitario, ciò che, secondo l’Avvocatura, accadrebbe nel caso di specie, dovendosi realizzare opere di “preminente interesse nazionale”.
Con riguardo alle censure che investono la previsione della nomina governativa di un commissario straordinario che vigili sull’andamento delle opere e
l’attribuzione ad esso del potere di adottare i provvedimenti necessari alla tempestiva esecuzione dell’opera, la difesa erariale replica osservando: che la procedura ha luogo solo per le opere di interesse internazionale o interregionale;
che comunque è previsto che siano sentiti i Presidenti delle Regioni coinvolte;
che infine i poteri sostitutivi del commissario non potranno oltrepassare le
competenze dell’ente conferente, non potendo lo Stato conferire poteri maggiori di quelli di cui esso stesso gode.
In merito alla mancata previsione della partecipazione regionale alla procedura di valutazione di impatto ambientale dell’opera si rileva che la VIA attiene
alla tutela dell’ambiente, materia attribuita alla competenza esclusiva dello
Stato.
20. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 tutte le parti hanno depositato ulteriori memorie difensive. La Regione Toscana e la Provincia
autonoma di Bolzano contestano l’esistenza di un criterio di strumentalità della materia dei lavori pubblici, dal quale discenderebbe la conseguenza che lo
Stato sarebbe abilitato a dettare i principî per la disciplina degli appalti riferibili alle materie soggette alla potestà legislativa concorrente. Di strumentalità,
si argomenta nel ricorso toscano, si potrebbe parlare solo se nell’art. 117 Cost.
fosse stata inserita tra le materie riservate allo Stato quella dei “lavori pubblici
di interesse nazionale”, ciò che non è avvenuto. Anche ad accedere alla tesi
della strumentalità, peraltro, non verrebbero meno le ragioni di illegittimità
costituzionale delle norme denunciate. In tale ottica, osservano la Regione
Toscana e la Provincia autonoma di Bolzano, dovrebbe comunque essere ritenuta di competenza statale la sola disciplina delle opere pubbliche comprese
nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale, ad esempio le opere
concernenti la difesa o l’ordine pubblico, non anche tutte le altre opere che i
decreti impugnati invece menzionano e regolamentano con normativa di minuto dettaglio. Allo Stato, prosegue la Provincia autonoma di Bolzano, spetterebbe solo la determinazione dei principî fondamentali della disciplina dei
lavori che riguardino le infrastrutture sulle quali è riconosciuta una potestà
legislativa concorrente e quindi, proprio applicando il criterio della strumentalità, non si giustificherebbe la disciplina statale delle procedure per la realizzazione di infrastrutture riconducibili a materie attribuite alla competenza
esclusiva o concorrente della Provincia.
214
Del pari infondata, secondo tutte le ricorrenti, sarebbe la tesi statale secondo
la quale l’interesse nazionale rappresenterebbe ancora un limite alla potestà legislativa regionale che consentirebbe di superare la ripartizione posta
nell’art. 117 Cost., giacché in tal modo sarebbe inammissibilmente reintrodotto in Costituzione un limite che non è più espressamente previsto. La tutela
degli interessi unitari potrebbe ormai essere realizzata solo attraverso poteri e
istituti espressamente previsti in Costituzione. Si aggiunge nella memoria della Provincia autonoma di Trento che, se le Regioni non potessero intervenire
là dove sono in gioco interessi nazionali, non si giustificherebbero nemmeno
i poteri sostitutivi disciplinati nell’art. 120, secondo comma, Cost. Inoltre, osserva la Provincia, già dall’art. 13 del decreto-legge n. 67 del 1997, risultava
che opere “di rilevante interesse nazionale” potevano non di meno essere di
competenza regionale, mentre il decreto legislativo n. 112 del 1998 avrebbe
attribuito allo Stato la competenza su “grandi reti infrastrutturali dichiarate
di interesse nazionale con legge statale” sul presupposto che non fosse giustificabile una disciplina che, come quella impugnata, rimettesse la definizione
di tale interesse alla discrezionalità del Governo.
Neppure si potrebbe affermare, soggiunge la Regione Toscana, che la normativa impugnata sarebbe rispettosa dell’autonomia regionale poiché è stato in
essa previsto che l’individuazione delle opere sia effettuata d’intesa fra Stato
e Regioni e l’approvazione dei progetti avvenga attraverso l’intesa. Gli accordi
e le intese non possono infatti vincolare il legislatore statale o regionale, visto che l’ordine costituzionale delle competenze legislative è indisponibile. Il
richiamo che la difesa erariale fa all’art. 120 Cost., si prosegue nella memoria
della Toscana, non sarebbe pertinente, perché tale disposizione richiede la
definizione, con legge, delle procedure atte a garantire che il potere sostitutivo
sia esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione, e tale legge non è stata ancora emanata, con conseguente impossibilità
di applicare il medesimo art. 120. Inoltre l’intervento sostitutivo in discorso
sarebbe attivato in assenza di un inadempimento regionale, e per effetto della
sola manifestazione del dissenso da parte della Regione (memoria della Regione Toscana), e non sarebbe giustificabile con l’esigenza di garantire l’unità
economica del Paese (memoria della Provincia autonoma di Bolzano), sicché
l’avere legittimato un intervento sostitutivo in assenza di ogni inadempimento
regionale sarebbe ragione di illegittimità del decreto legislativo per violazione
del principio di leale collaborazione, richiamato dallo stesso art. 120, secondo
comma, Cost.
Quanto alla asserita legittimità delle norme di dettaglio “cedevoli”, le ricorrenti
ricordano la sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte, dalla quale sarebbe
chiaramente desumibile che la competenza statale nelle materie di potestà
concorrente è «limitata alla determinazione dei principî fondamentali della
materia», sicché non sarebbero più ammissibili normative suppletive statali.
L’Avvocatura, si osserva nella memoria della Provincia autonoma di Bolzano,
invoca la legge n. 166 del 2002, che, a suo dire, avrebbe recepito le istanze
215
regionali in materia, ma il richiamo sarebbe inconferente, poiché la legge in
questione è precedente rispetto al decreto impugnato, così da non poter spiegare alcuna influenza sulla questione all’esame della Corte. Nella medesima
memoria e in quella della Provincia di Trento si ribadisce che la soluzione
procedimentale contemplata nell’art. 3, comma 6, per superare il dissenso
della Provincia sarebbe illegittima, per la mancata previsione di un’intesa, e
respinge sul punto le diverse considerazioni dell’Avvocatura, che invocherebbe
in modo errato l’art. 1, comma 2, del decreto impugnato. Parimenti incostituzionale sarebbe la nomina del commissario straordinario. Il rilievo che la procedura censurata riguarderebbe soltanto le opere di interesse internazionale o
interregionale, oltre a non trovare fondamento nella lettera della norma impugnata (così nella memoria della Provincia autonoma di Trento) non varrebbe
comunque a farne venire meno l’illegittimità, posto che per i collegamenti di
tale natura gli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 381 del 1974 imporrebbero il raggiungimento di un’intesa, non essendo sufficiente la mera audizione dei Presidenti delle Regioni interessate (memorie delle Province autonome di Trento
e Bolzano).
In riferimento alla denunciata lesione dell’art. 118 Cost., secondo la Provincia autonoma di Bolzano, non sarebbe possibile invocare la sussistenza di
esigenze unitarie relativamente alle funzioni amministrative, giacché la Costituzione, «lasciando alle Regioni la competenza a dettare la disciplina della
materia, ha ritenuto che non sussistesse un’esigenza di assoluta uniformità
tra Regione e Regione nemmeno quanto a disciplina legislativa». Comunque,
alla Provincia di Bolzano, in base all’art. 16 dello statuto di autonomia, non
potrebbero essere sottratte le funzioni amministrative nelle materie che rientrano nella sua competenza legislativa, non essendo applicabile alla medesima
l’art. 118 Cost., quando ciò determini un regime di minor garanzia rispetto a
quello assicurato dallo statuto. Inoltre, si legge nella memoria della Provincia
autonoma di Trento, l’art. 118 sancirebbe il principio del parallelismo non
quanto alla spettanza delle funzioni amministrative, ma in ordine al potere di
allocare le funzioni, sicché lo Stato non avrebbe avuto il potere di allocare le
funzioni amministrative relative a opere pubbliche, salvo quelle rientranti in
materie di potestà legislativa esclusiva statale.
21. Ha anche depositato ulteriori memorie, per il Presidente del Consiglio dei
ministri, l’Avvocatura generale dello Stato. La difesa erariale muove dalla constatazione che non si possano enfatizzare gli aspetti innovativi della riforma
del Titolo V e al contempo continuare ad utilizzare schemi concettuali propri
del precedente assetto costituzionale, occorrendo al contrario «ampliare l’orizzonte all’esperienza degli Stati federali». In simile prospettiva sarebbe innegabile la rilevanza costituzionale dell’interesse nazionale, che legittima, negli
Stati Uniti con la formula degli implied powers, in Germania con quella della
Sachzusammenhang (connessione delle materie) e con la Natur der Sache
(natura della cosa), l’intervento della Federazione nelle materie di competenza degli Stati membri. Proprio in considerazione della natura delle opere da
realizzare in base al decreto impugnato, che pur avendo rilevanza regionale,
216
convergerebbero funzionalmente nel programma di modernizzazione del Paese, sarebbe evidente come la competenza debba spettare allo Stato. I soggetti
privati non sarebbero infatti invogliati a investire risorse se la localizzazione
e progettazione delle opere venisse rimessa a discipline e soggetti diversi e la
stessa procedura per l’individuazione del contraente, che incide sulle condizioni economiche dell’operazione, dipendesse dalle scelte legislative e amministrative di ogni Regione. Per ragioni analoghe sarebbero legittimi anche i
meccanismi di superamento del dissenso regionale e gli interventi sostitutivi
da parte dei commissari straordinari, i quali sarebbero diretti non solo a garantire l’interesse pubblico statale alla realizzazione dell’opera, ma anche a
diminuire il “rischio amministrativo” dell’operazione finanziata con capitali
privati. Alla luce di tali considerazioni l’Avvocatura sostiene che le attribuzioni
costituzionali delle Regioni riceverebbero adeguata considerazione nella partecipazione alle sedi deliberative statali.
Tornando al tema della configurabilità del limite dell’interesse nazionale, l’Avvocatura ricorda come nel dibattito dottrinario siano state numerose le voci
che hanno radicato tale limite nell’art. 5 Cost., e, con specifico riguardo alla
materia dei lavori pubblici, osserva come essa presenti aspetti che non possono
prescindere da un’impostazione unitaria. Il regime degli appalti, ad esempio,
presupporrebbe la concorrenza delle imprese, materia che risulta assegnata
alla competenza esclusiva dello Stato, e sempre alla tutela della concorrenza
dovrebbe essere ricondotta tutta la disciplina che riguarda i meccanismi di
aggiudicazione e di qualificazione delle imprese con riferimento alla materia
delle opere pubbliche, che pure è di competenza regionale. Proprio in considerazione dei profili delle materie di potestà concorrente che possono incidere
su interessi tutelati a livello unitario, e ricadenti nell’ambito delle materie di
competenza esclusiva statale, sarebbe giustificato il ricorso a una gestione
uniforme e ispirata a esigenze di sicurezza e di efficienza a livello nazionale di
opere infrastrutturali essenziali allo sviluppo del Paese.
22. Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria, Lombardia hanno proposto questione di legittimità costituzionale in
via principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114,
117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità
europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma
dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e in particolare
degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
Nei ricorsi regionali si osserva in via preliminare che la legge di delega n.
443 del 2001 autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture di telecomunicazione puntualmente individuate anno per anno,
mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle comunicazioni». Inoltre, si osserva nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria,
217
la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi opere”, mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto
legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicità di piccole
opere, del tutto estranee all’oggetto della delega. Infine, si aggiunge nei ricorsi
delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, lungi dall’uniformarsi ai
principî e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe i principî che informano le disposizioni successive, con ciò confermando la
violazione della delega.
Si invoca la violazione dei limiti della delega, nello specifico:
a) - per l’art. 3, in quanto la delega stabiliva che le infrastrutture strategiche
dovessero essere individuate d’intesa con la Regione, mentre di tale intesa non
vi sarebbe traccia (ricorso della Regione Toscana);
b) - per l’art. 3, comma 1, sull’assunto che non era stato conferito al Governo
alcun potere di derogare alle norme della legge 22 febbraio del 2001, n. 36 (ricorso delle Regioni Marche e Lombardia);
c) - per l’art. 3, comma 2, che dispone la deroga, sotto il profilo urbanistico,
“ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”, là dove l’art. 1, comma
2, della legge n. 443 del 2001 prevedeva solo una deroga «agli articoli 2, da 7
a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11
febbraio 1994, n. 109», nonché alle ulteriori disposizioni della medesima legge
che non fossero necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie (ricorsi delle Regioni Marche e Lombardia);
d) - per l’art. 4, comma 1, poiché in tale disposizione mancherebbe ogni riferimento a infrastrutture che siano state dichiarate “strategiche” ai sensi della
legge n. 443 del 2001, così da potere essere riferita alle infrastrutture radioelettriche tout court (tutti i ricorsi);
e) - per l’art. 11, che avrebbe illegittimamente innovato al d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156 (ricorso della Regione Marche);
f) - per l’art. 12, commi 1 e 2, il quale, disponendo l’efficacia delle nuova disciplina anche alle installazioni di infrastrutture già assentite dalle amministrazioni, farebbe assumere al decreto impugnato, in assenza di una specifica
previsione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche nel programma
approvato dal CIPE nel 2001, una efficacia retroattiva (ricorsi delle Regioni
Toscana e Marche);
g) - per l’art. 12, comma 4, che avrebbe eliminato le procedure di “valutazione di impatto ambientale”, là dove la delega contemplava solo la loro riforma
(ricorso della Regione Marche). Inoltre la medesima delega stabiliva che le
infrastrutture strategiche sarebbero state individuate d’intesa con la Regione,
ma di tale intesa non vi sarebbe traccia nell’art. 3 del decreto legislativo impugnato (ricorso della Regione Toscana).
218
In merito alla denunciata lesione dell’art. 117 Cost., nei ricorsi delle Regioni
Campania, Toscana, Marche, Basilicata e Lombardia si sostiene che il decreto
legislativo n. 198 disciplinerebbe oggetti riconducibili alle materie “ordinamento della comunicazione”, “governo del territorio” e “tutela della salute”,
di potestà concorrente, con disposizioni di minuto dettaglio. Nei ricorsi delle
Regioni Emilia-Romagna e Umbria, dopo aver notato come sia lo stesso legislatore a escludere di agire nell’esercizio della potestà esclusiva quando asserisce, all’art. 1, di dettare i “principî fondamentali” nella materia considerata,
si afferma che nella materia oggetto del decreto legislativo n. 198 spetterebbe
alle Regioni una potestà legislativa piena, salvi gli aspetti relativi alla tutela
dell’ambiente, della salute e quelli collegati al governo del territorio, ossia alla
localizzazione delle opere.
Risulterebbe inoltre indefinito, secondo la ricorrente Regione Marche, lo stesso
criterio di individuazione delle infrastrutture di telecomunicazione che dovrebbero rientrare nell’ambito della disciplina derogatoria prevista dal legislatore
delegante. Il provvedimento del CIPE al quale, ai sensi dell’art. 1, comma 1,
della legge di delega, era affidata l’individuazione delle opere, infatti, avrebbe
semplicemente indicato i flussi di investimento, non anche le opere da realizzare. Da ciò la conclusione che le infrastrutture di telecomunicazioni si atterrebbero, per una parte, alla materia di potestà concorrente “ordinamento della
comunicazione”, per l’altra, a materie come l’urbanistica e l’edilizia, l’industria
e il commercio, che sarebbero ascrivibili alla potestà legislativa residuale delle
Regioni e che non potrebbero essere svuotate del loro contenuto semplicemente invocando il carattere di “interesse nazionale” delle opere da realizzare.
Nello specifico, i ricorsi regionali censurano le seguenti disposizioni del decreto legislativo n. 198 del 2002:
a) - l’art. 1, che imporrebbe, con normazione di dettaglio, una procedura derogatoria e unificata a livello nazionale per opere che rientrerebbero anche nella competenza regionale, per la connessione dell’oggetto della disciplina con
materie di competenza regionale sia concorrente, sia residuale (ricorsi delle
Regioni Campania, Marche, Basilicata e Lombardia);
b) - l’art. 3, per la parte in cui afferma che le categorie di infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche sono opere di interesse nazionale, realizzabili
esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto, in deroga alle
disposizioni dell’art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001, che aveva previsto la competenza legislativa regionale nella definizione delle modalità
per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione degli impianti; i commi 2 e
3 del medesimo articolo sono inoltre impugnati in quanto stabiliscono che le
infrastrutture di comunicazione possono essere realizzate in ogni parte del
territorio comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento, con la precisazione che la disciplina
delle opere di urbanizzazione primaria è applicabile alle opere civili e in genere ai lavori e alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture
219
di telecomunicazione. La deroga alle previsioni urbanistiche ed edilizie locali
determinerebbe lesione delle competenze regionali in materia di ordinamento
della comunicazione, governo del territorio, urbanistica ed edilizia e renderebbe vana ogni pianificazione territoriale, anche a livello comunale (ricorsi delle
Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia);
inoltre la medesima disposizione, liberalizzando, sotto il profilo urbanistico, il
diritto di installazione degli impianti di telecomunicazione, sacrificherebbe in
modo eccessivo interessi costituzionali come quello alla tutela del paesaggio
e all’ordinato sviluppo urbanistico del territorio, determinando una violazione
del limite della utilità sociale che l’art. 41 Cost. pone alla iniziativa economica
privata (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria);
o con potenza di antenna eguale o inferiore a 20 Watt. La disposizione in oggetto, per un verso, anticiperebbe l’applicazione della nuova normativa anche
a infrastrutture che non sono state ancora individuate con il programma delle
opere strategiche, contraddicendo così l’art. 1 della legge di delega n. 443 del
2001, per l’altro estenderebbe retroattivamente la disciplina derogatoria già
denunciata come lesiva delle competenze regionali. Pure incostituzionale sarebbe, secondo la Regione Marche, l’abrogazione dell’art. 2-bis della legge 1°
luglio 1997, n. 189, per effetto della quale risulterebbe esclusa la competenza
della Regione a prevedere, nell’esercizio delle proprie attribuzioni legislative,
l’applicazione di procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione ad oggetti non specificamente individuati dalle direttive comunitarie.
c) - l’art. 4, il quale prevede che l’autorizzazione alla installazione sia rilasciata
previo accertamento della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità stabiliti, con riferimento ai
campi elettromagnetici, uniformemente a livello nazionale. Così disponendo,
il legislatore statale avrebbe vanificato la legislazione regionale già adottata in
materia sulla base dell’art. 3, comma 1, lettera d), della legge n. 36 del 2001
(ricorsi Toscana, Emilia-Romagna e Umbria) e impedito alle Regioni di porre, a
tutela di interessi sanitari e ambientali delle rispettive popolazioni, misure di
garanzia ulteriori rispetto a quelle che il legislatore nazionale abbia fissato su
tutto il territorio nazionale (ricorso della Regione Lombardia);
Ulteriori censure, diverse da quelle che denunciano la violazione del quadro
costituzionale delle competenze legislative, investono:
d) - gli artt. 5 e 6, nel disciplinare i procedimenti di autorizzazione relativi alle
infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici, detterebbero
regole di estremo dettaglio in materia di competenza regionale concorrente;
inoltre le disposizioni in oggetto, unitamente all’art. 7, comma 7, autorizzando
l’installazione degli impianti in qualunque posizione, senza imporre distanze
minime dalle abitazioni, recherebbero un eccessivo e ingiustificato pregiudizio
alla tutela dell’ambiente e della salute e violerebbero in particolare il principio
di precauzione di cui all’art. 174, comma 2, del trattato istitutivo della CE, non
essendo consentito, in tale materia, affidarsi alla “autodisciplina” dei privati
come si è fatto con la previsione di denunce di inizio attività e meccanismi di
silenzio-assenso (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia);
b) - gli articoli e allegati citati nel punto precedente (ricorso della Regione
Marche), nonché gli artt. da 4 a 9 (ricorso della Regione Toscana), che, nel
disciplinare dettagliatamente il procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi
per l’installazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e per le opere connesse, si porrebbero in contrasto con l’art. 118 Cost., il quale affiderebbe alle
Regioni la competenza a distribuire le funzioni nelle materie in cui è ad esse
riconosciuta potestà legislativa concorrente o residuale. Nel caso di specie
sarebbe lesiva delle attribuzioni regionali l’allocazione a livello centrale delle
funzioni amministrative relative alla specifica localizzazione sul territorio e
alla concreta realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione;
e) - gli artt. 7, 8, 9 e 10, che pongono una disciplina di favore per le opere civili, gli scavi e le occupazioni di suolo pubblico strumentali alla realizzazione
delle infrastrutture di telecomunicazione, favorirebbero alcuni operatori nel
settore delle telecomunicazioni senza che le Regioni, pur titolari della potestà
legislativa in materia di ordinamento della comunicazione, abbiano in alcun
modo potuto interloquire sulla individuazione di tali soggetti e sulla necessità
di ammetterli a tale regime speciale e derogatorio (tutte le ricorrenti);
f) - l’art. 12, il quale, nel dettare le disposizioni finali, attribuisce valore di
autorizzazione e di dichiarazione di inizio attività anche ai titoli già rilasciati
per l’installazione delle infrastrutture e alle istanze già presentate, alla data di
entrata in vigore della nuova normativa, per gli impianti con tecnologia UMTS
220
a) - gli artt. 3, comma 2; 5; 7; 9; 12, commi 3 e 4; nonché gli allegati A, B, C
e D. Le norme e gli allegati in discorso attribuirebbero al Governo un potestà
normativa diretta alla modificazione o integrazione dei regolamenti di esecuzione e attuazione della legislazione finora vigenti in materie di potestà concorrente, in tal modo violando l’art. 117, sesto comma, Cost., il quale riconosce
allo Stato la potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione esclusiva
statale (ricorso della Regione Marche);
c) - gli artt. 5, commi 3, 4, 5, 6, e 7; 6, comma 1; 7, commi 2, 3, 4, 5, 6, e 7; 8,
comma 3; 9, commi 1, 2, e 3; 12, comma 4 (ricorso della Regione Marche), che,
disponendo una serie di semplificazioni procedurali dei processi decisionali
per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni impedirebbero
alle Regioni di concorrere all’attuazione del valore costituzionale della tutela
ambientale;
d) - in particolare gli artt. 7, comma 5; e 9, comma 3, sono impugnati nel ricorso della Regione Basilicata per la parte in cui prevedono che nell’ipotesi di
contrasto fra le amministrazioni interessate nella procedura di installazione
di infrastrutture di comunicazione la decisione sia rimessa al Presidente del
Consiglio dei ministri, con ciò sacrificando, secondo la prospettazione regionale, le attribuzioni riconosciute in materia alla Regione e contraddicendo la
221
legge n. 241 del 1990, che affida la decisione finale al Consiglio dei ministri
solo quando l’amministrazione dissenziente o procedente sia un’amministrazione statale e non anche nelle altre ipotesi, nelle quali la potestà decisionale
sarebbe conferita ai competenti organi esecutivi degli enti territoriali;
e) – l’art. 9, commi 5 e 10, per la parte in cui impone agli enti locali forme di
programmazione in tempi predefiniti dal legislatore statale e limita, per gli operatori, gli oneri connessi alle attività di installazione, scavo e occupazione di
suolo pubblico, violerebbe il principio dell’autonomia finanziaria, il quale postulerebbe che tutte le funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse
da quelle ordinarie siano finanziate attraverso la diretta attribuzione di risorse
ai loro bilanci, senza vincoli sulle modalità di spesa, e comunque precluderebbe allo Stato di limitare l’autonomia regionale nella selezione degli strumenti
da impiegare per realizzare le grandi opere di interesse nazionale (ricorsi delle
Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Umbria);
f) - gli artt. 5, comma 6; 7, comma 4; 9, comma 2, che estendono la regola della
maggioranza all’adozione dell’atto finale in Conferenza dei servizi, con ciò determinando, secondo la ricorrente Regione Campania, la totale pretermissione
della volontà della Regione in materie di propria competenza;
g) - l’intero decreto legislativo, poiché, nel disporre, nel complesso delle sue
disposizioni e segnatamente nell’art. 13, un trattamento differenziato per le
Regioni ordinarie rispetto alle Regioni ad autonomia speciale, violerebbe il
principio di parità di trattamento fra le autonomie regionali e il principio di
ragionevolezza, posto che tale diversità di trattamento sarebbe ormai ingiustificata, alla luce della revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione
e specificamente della clausola di estensione di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e
Lombardia).
23. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio
dell’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Secondo la difesa erariale non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 76
Cost., giacché la legge di delega specificamente riguardava le “infrastrutture
pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente
interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese”, la cui individuazione concreta era rimessa a un programma approvato dal
CIPE che, nell’allegato 5, elencherebbe le infrastrutture di telecomunicazioni
per la realizzazione dei servizi UMTS, banda larga e digitale terrestre. La piena
conformità alla delega del decreto legislativo impugnato sarebbe comprovata
anche dal fatto che con esso si sarebbero razionalizzate le procedure autorizzatorie per l’installazione degli impianti di telecomunicazioni, come richiedeva
l’art. 1, comma 2, lettera b), della delega. Il decreto non inciderebbe neppure, prosegue l’Avvocatura, sulla disciplina relativa ai limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici contenuta nella legge n. 36 del 2001, ma al contrario
222
imporrebbe il rispetto dei limiti attualmente fissati nel decreto ministeriale 3
settembre 1997, n. 381.
In ordine alla denunciata lesione della competenza legislativa concorrente delle Regioni, la difesa statale sostiene che la materia cui inerisce il decreto legislativo sia esclusivamente quella della tutela dell’ambiente e non già quella
del governo del territorio e contesta il rilievo secondo il quale non sarebbe
consentito nel caso in esame stabilire una normativa uniforme a livello nazionale, poiché alcune Regioni avrebbero già esercitato la loro potestà legislativa
in tema di localizzazione degli impianti di telecomunicazioni, rammentando
come le leggi regionali emanate in questa materia siano state tutte impugnate
dal Governo proprio sotto il profilo della violazione della competenza esclusiva
statale in materia di ambiente. L’ulteriore interesse sottostante la disciplina oggetto di impugnazione consisterebbe nella tutela della concorrenza nel
settore delle telecomunicazioni, che sarebbe certo favorita dalla previsione di
procedure autorizzatorie uniformi su tutto il territorio nazionale.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 118 Cost., l’Avvocatura contesta l’assunto dei ricorrenti, secondo il quale l’esigenza di esercizio unitario delle funzioni amministrative non potrebbe costituire un titolo autonomo legittimante
l’intervento del legislatore statale, osservando come sia ancora controversa,
in dottrina, l’applicabilità alla legislazione concorrente regionale dei principî
di sussidiarietà e di adeguatezza e proseguendo che il limite dell’interesse nazionale, pur non più menzionato in Costituzione, potrebbe comunque essere
considerato contenuto implicito del principio di unità e indivisibilità della Nazione.
24. Nei giudizi instaurati con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana e Marche hanno spiegato intervento le società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom
Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a.; in quelli introdotti con i ricorsi delle Regioni Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia tutte le società menzionate, tranne
H3G s.p.a. Tutti gli intervenienti hanno chiesto che le questioni sollevate siano
dichiarate improponibili, inammissibili e comunque infondate.
25. Avverso gli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e 12 e gli allegati A, B, C, D del decreto legislativo n. 198 del 2002 ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di Vercelli.
Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare discenderebbe
dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione avrebbe
attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità costituzionale in via di
azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.
25.1. Nel giudizio promosso dal Comune di Vercelli si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, il quale preliminarmente ha eccepito il difetto di legittimazione al
223
ricorso da parte del Comune, chiedendo che il ricorso sia dichiarato improponibile e inammissibile.
Ha spiegato intervento, con atto pervenuto fuori termine, T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile.
26. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo tutte le parti, nonché gli
intervenienti, hanno depositato ulteriori memorie difensive.
26.1. In via preliminare le Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia contestano che la disciplina impugnata riguardi
infrastrutture inserite nel programma di individuazione delle opere strategiche approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001. Si afferma in proposito che, in
base all’allegato 5 richiamato dalla difesa erariale, il legislatore avrebbe proceduto solo sulla base di una «sintesi del piano degli interventi nel comparto
delle telecomunicazioni», rinviando a una futura delibera del CIPE l’individuazione delle opere ritenute strategiche, ciò che peraltro la legge di delega non
avrebbe consentito. La disciplina impugnata troverebbe dunque applicazione
nei confronti di opere che non sarebbero state indicate come strategiche e si
sarebbero perciò sottratte alla previa intesa con le Regioni. Tale conclusione,
secondo la Regione Toscana, sarebbe confermata dall’art. 12 del decreto, che
attribuisce efficacia retroattiva alle norme impugnata.
Nelle memorie si contesta anzitutto che il decreto legislativo in esame, come
sostenuto dall’Avvocatura, si attenga alle materie della tutela della concorrenza (memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia) o a quella della tutela dell’ambiente e della salute (memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia), rilevandosi in tale ultimo caso come la relazione al decreto fornisca una indicazione palesemente contraria. Del resto, si osserva
nelle memorie difensive di Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia,
la giurisprudenza costituzionale più recente sarebbe chiara nell’affermare che
in materia di tutela dell’ambiente spetterebbe allo Stato solo il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, non anche
di escludere l’intervento regionale negli ambiti di propria competenza, come
sarebbe quello dei lavori pubblici, materia non più contemplata negli elenchi
dell’art. 117, commi secondo e terzo, Cost. La stessa tutela della concorrenza,
si aggiunge nella memoria delle Marche, non potrebbe giustificare la previsione di un procedimento derogatorio delle procedure ordinarie, giacché nessuna
violazione della par condicio degli imprenditori interessati al settore potrebbe
derivare dal rispetto di tali procedure.
Nella memoria della Regione Toscana si pone in risalto come la disciplina del
procedimento di installazione degli impianti non costituisca di per sé una materia e si sostiene che spetterebbe all’ente competente legiferare nella materia
cui inerisce il procedimento. Nelle materie di potestà concorrente, come quelle
coinvolte dalle disposizioni impugnate, il legislatore statale avrebbe dovuto
224
dettare i principî cui il legislatore regionale avrebbe dovuto attenersi nella disciplina legislativa di quel procedimento, conformemente, del resto, a quanto
era stato già fatto con la legge n. 36 del 2001.
Del pari da respingere, si sostiene nella memoria dell’Emilia-Romagna, sarebbe la prospettazione della difesa erariale secondo la quale tutte le attività
che coinvolgono interessi sovraregionali, in forza dei principî di sussidiarietà
e di adeguatezza, esigerebbero una disciplina unitaria a livello statale. Si afferma al riguardo che il decreto legislativo n. 198 del 2002 non coinvolgerebbe
interessi sovraregionali, disciplinando l’installazione di vari singoli impianti
di comunicazione e che comunque i principî di sussidiarietà e adeguatezza
riguardano l’allocazione delle funzioni amministrative da parte dei legislatori
competenti, mentre l’allocazione delle funzioni legislative è direttamente posta
nell’art. 117 Cost.
Ad avviso della Regione Lombardia, nell’impianto del decreto legislativo impugnato assumerebbe una particolare rilevanza l’art. 3, comma 2, che sancirebbe l’automatica prevalenza dell’interesse statale alla installazione delle
infrastrutture su tutti gli interessi alla cui tutela sono preposte le autonomie
territoriali, potendo essa derogare anche agli strumenti urbanistici. La difformità di tale automatismo rispetto all’ordine costituzionale delle competenze
sarebbe stata già riconosciuta dalla Corte costituzionale in altre consimili occasioni (si citano, ad esempio, le sentenze n. 524 del 2002 e n. 206 del 2001),
nelle quali la modifica dello strumento urbanistico senza il consenso della
Regione sarebbe stata ritenuta lesiva delle competenze regionali in materia
urbanistica.
Riguardo agli interventi degli operatori di telecomunicazione Tim, Wind, Vodafone Omnitel e H3G, le Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia ne eccepiscono preliminarmente la inammissibilità e contestano puntualmente le argomentazioni da questi spese avverso i ricorsi regionali.
26.2. L ’Avvocatura generale dello Stato insiste per il rigetto del ricorso.
Tutti i ricorsi, secondo la difesa statale, prenderebbero le mosse da una errata
impostazione concettuale: la totale svalutazione della nozione di “rete”, che
assumerebbe un decisivo rilievo, tanto sotto il profilo tecnico quanto nei risvolti giuridici, per quanto attiene alle infrastrutture di telecomunicazione. La
natura delle opere in oggetto renderebbe del tutto priva di senso la visione parcellizzata e atomistica dell’impianto di telecomunicazione che appare sottesa
alle censure di costituzionalità. Dalla struttura fenomenica dell’oggetto della
disciplina discenderebbe dunque la assoluta necessità di fissare, su base nazionale, limiti e criteri omogenei, uniformi e non discriminanti, in assenza dei
quali una “rete” non sarebbe neppure configurabile. Non potrebbero comunque essere compromessi, «in assenza di obiettive ragionevoli giustificazioni e
di essenziali interessi meritevoli di tutela dall’ordinamento», la completezza e
la funzionalità delle reti e l’efficiente espletamento del servizio universale, che
peraltro costituiscono oggetto di obblighi comunitari.
225
Quanto alla denunciata violazione della competenza legislativa concorrente
delle Regioni si osserva che la materia cui inerisce il decreto legislativo n. 198
deve considerarsi quella della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa
esclusiva statale: il principale interesse al quale è preordinata la disciplina
impugnata sarebbe infatti quello del rispetto dei limiti alle emissioni elettromagnetiche. Pur volendo accedere alla ricostruzione dell’ambiente come materia trasversale, non potrebbe negarsi, ad avviso della difesa erariale, che il
legislatore nazionale possa fissare principî e criteri uniformi, per l’intero territorio, proprio ad evitare distorsioni e impedimenti che metterebbero a rischio
la stessa esistenza della rete unitaria. Del resto la possibilità per lo Stato di legiferare anche in materie di potestà legislativa concorrente o addirittura esclusiva, quando vi sia la necessità di garantire livelli minimi e uniformi di tutela
sull’intero territorio nazionale, sarebbe stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 536 del 2002. Nella fattispecie all’esame della Corte
un limite alla legislazione regionale sarebbe desumibile dall’art. 120, comma
1, Cost., il quale mira ad escludere che le Regioni possano adottare «provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone
e delle cose tra le Regioni»: l’efficacia di funzionamento della rete potrebbe
essere compromessa da normative regionali che frappongano ostacoli alla sua
configurazione funzionale e alla circolazione degli apparati di telefonia mobile.
La normativa statale impugnata sarebbe poi preordinata ad attuare il principio costituzionale della tutela della concorrenza, riservata alla competenza
esclusiva statale. Se non fossero definite procedure certe e uniformi sull’intero
territorio nazionale, prosegue la difesa statale, non solo si violerebbe la disciplina comunitaria, ma si verrebbe a determinare una anomala distorsione del
mercato sia a livello internazionale, sia all’interno.
Sarebbe da respingere anche la censura fondata sull’asserita lesione dell’art.
118 Cost., essendo possibile sostenere, in applicazione del principio di sussidiarietà, che le potestà regionali debbano conformarsi agli interessi della
comunità regionale, mentre tutte le attività che coinvolgono interessi sovraregionali esigono una disciplina unitaria a livello statale, anche nelle materie di
competenza concorrente.
L’Avvocatura si diffonde infine sulle conseguenze di carattere economico che
deriverebbero dall’accoglimento dei ricorsi e rammenta come l’esigenza di una
armonizzazione nell’adozione di procedure per l’installazione degli impianti di
telecomunicazione sia stata espressa anche nella cosiddetta direttiva “quadro”, 2002/21/CE, in via di recepimento.
26.3. Nelle memorie depositate dalle società TIM s.p.a. - Telecom Italia Mobile, H3G s.p.a., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e Vodafone Omnitel N.V., si
argomenta anzitutto sulla ammissibilità degli interventi proposti e si sostiene
che esse sono titolari di un interesse, rilevante, autonomo e particolarmente
qualificato, anche in virtù della delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001,
ad ottenere l’accertamento della legittimità delle norme impugnate, poiché,
qualora i ricorsi fossero accolti, vi sarebbe una diretta e irrimediabile lesione
226
della propria libertà di iniziativa economica. Inoltre, la società TIM assume che
negare la possibilità di intervenire a difesa dei propri interessi concreterebbe
una lesione del diritto di difesa che l’art. 24 Cost. assicura come inviolabile e
ciò in quanto, nell’ipotesi di accoglimento dei ricorsi, la decisione della Corte
risulterebbe incontestabile in altre sedi giudiziarie. La medesima società chiede in ogni caso che sia preso in considerazione il contributo informativo che
è in grado di offrire a causa della sua specifica competenza di esercente un
servizio di rilevanza pubblicistica.
Nel merito tutti gli atti di intervento si diffondono nell’argomentare le ragioni
della ritenuta legittimità del decreto legislativo n. 198 del 2002.
27. Sono intervenuti, con atti pervenuti fuori termine, il Comune di Roma
nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Umbria; i Comuni di Monte
Porzio Catone, Pontecurone e Mantova nei giudizi promossi con i ricorsi delle
Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria,
Lombardia e del Comune di Vercelli; il Comune di Polignano a Mare e il Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS) nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Lombardia.
28. All’udienza pubblica del 25 marzo 2003, in sede di discussione, le parti
ricorrenti, nonché gli intervenienti, hanno illustrato le rispettive ragioni e ribadito le conclusioni già rassegnate negli atti depositati.
Considerato in diritto
1. Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia
autonoma di Trento (reg. ric. nn. 9, 11, 13-15 del 2002) denunciano la legge
21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive), cosiddetta “legge obiettivo”, il cui unico articolo è impugnato in
più commi e, segnatamente, nei commi da 1 a 12 e nel comma 14, censurati
per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.
La Regione Toscana (reg. ric. n. 68 del 2002) impugna, per contrasto con gli
artt. 117, 118 e 119 Cost., anche l’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge
1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti),
che reca alcune modifiche alla legge n. 443 del 2001.
La Regione Toscana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Marche e la
Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 79-81 e 83 del 2002) denunciano
altresì numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale), in
riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché allo statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige).
227
Infine, le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia ed il Comune di Vercelli (reg. ric. nn. 84-91 del 2002)
impugnano sia l’intero testo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198
(Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a
norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), sia, specificamente, numerosi articoli del medesimo decreto legislativo, lamentando la
violazione degli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119
Cost., nonché dell’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea.
1.1. La stretta connessione per oggetto e per titolo delle norme denunciate,
tutte contenute nella legge di delega n. 443 del 2001 e nei decreti legislativi n.
190 e n. 198 del 2002 che se ne proclamano attuativi, nonché la sostanziale
analogia delle censure prospettate dalle ricorrenti, rendono opportuna la trattazione congiunta dei ricorsi, che vanno quindi decisi con un’unica sentenza.
2. Prima di affrontare nel merito le censure proposte dalle ricorrenti è opportuno soffermarsi sul contenuto della legge n. 443 del 2001. Si tratta di una
disciplina che definisce il procedimento da seguire per l’individuazione, la localizzazione e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli
insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il procedimento si articola
secondo queste cadenze: il compito di individuare le suddette opere, da assolversi “nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”, è conferito al
Governo (comma 1). Nella sua originaria versione la disposizione stabiliva che
l’individuazione avvenisse, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma “formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate, ovvero
su proposta delle Regioni, sentiti i Ministri competenti”. Il programma doveva
tener conto del piano generale dei trasporti e doveva essere inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con indicazione
degli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere. Nell’individuare
le infrastrutture e gli insediamenti strategici il Governo era tenuto a procedere
“secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale” e ad indicare nel disegno di legge finanziaria “le risorse necessarie, che
integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili”.
L’originario comma 1 prevedeva, infine, che “in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal Comitato interministeriale per
la programmazione economica (CIPE) entro il 31 dicembre 2001”.
Il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 è stato modificato dall’art.
13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, che ha mantenuto in capo
al Governo l’individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici
e di preminente interesse nazionale, ma ha elevato il livello di coinvolgimento
delle Regioni e delle Province autonome, introducendo espressamente un’intesa: in base all’art. 1, comma 1, attualmente vigente, l’individuazione delle opere si definisce a mezzo di un programma che è predisposto dal Ministro delle
228
infrastrutture e dei trasporti “d’intesa con i Ministri competenti e le Regioni o
Province autonome interessate”. Tale programma deve essere inserito sempre
nel DPEF ma previo parere del CIPE e “previa intesa della Conferenza unificata”, e gli interventi in esso previsti “sono automaticamente inseriti nelle intese
istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro nei comparti
idrici ed ambientali […] e sono compresi in un’intesa generale quadro avente
validità pluriennale tra il Governo e ogni singola Regione o Provincia autonoma, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere”. Anche
nella sua attuale versione la norma ribadisce tuttavia che “in sede di prima
applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il
31 dicembre 2001”.
Regolata la fase di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, la legge n. 443 del
2001, al comma 2, conferisce al Governo la delega ad emanare, entro 12 mesi
dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire
un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture
e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”, dettando, alle lettere
da a) ad o) del medesimo comma 2, i principî e i criteri direttivi per l’esercizio del potere legislativo delegato. Questi ultimi investono molteplici aspetti
di carattere procedimentale: sono fissati i moduli procedurali per addivenire
all’approvazione dei progetti, preliminari e definitivi, delle opere [lettere b) e c)],
dovendo risultare, quelli preliminari, “comprensivi di quanto necessario per la
localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni interessati” [lettera b)]; sono individuati i modelli di finanziamento [tecnica di finanza
di progetto: lettera a)], di affidamento [contraente generale o concessionario: in
particolare lettere e) ed f)] e di aggiudicazione [lettere g) e h)], ed è predisposta
la relativa disciplina, anche in deroga alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ma
nella prescritta osservanza della normativa comunitaria.
L’assetto procedimentale così sinteticamente descritto - che trova ulteriore
svolgimento in numerose altre disposizioni della legge n. 443 del 2001, tra le
quali quelle sulla disciplina edilizia (commi da 6 a 12 e comma 14), anch’esse
impugnate - si completa con il comma 3-bis, introdotto dal comma 6 dell’art.
13 della legge n. 166 del 2002, il quale prevede una procedura di approvazione
dei progetti definitivi “alternativa” a quella stabilita dal precedente comma 2,
demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome
interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti
commissioni parlamentari.
2.1. Questa Corte non è chiamata, nella odierna sede, a giudicare se le singole
opere inserite nel programma meritino di essere considerate strategiche, se sia
corretta la loro definizione come interventi di preminente interesse nazionale o
se con tali qualificazioni siano lese competenze legislative delle Regioni. Simili
interrogativi potranno eventualmente porsi nel caso di impugnazione della de229
liberazione approvativa del programma, che non ha natura legislativa. In questa sede si tratta solo di accertare se il complesso iter procedimentale prefigurato dal legislatore statale sia ex se invasivo delle attribuzioni regionali; si deve
cioè appurare se il legislatore nazionale abbia titolo per assumere e regolare
l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso
non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente.
Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad uno
schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle
Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali.
In questo quadro, limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie
espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei
principî nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti,
significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie
che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione
di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)].
Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere
più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione
delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di
vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica. Un elemento di flessibilità
è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste
un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarirà
subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove
prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni,
possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza. E’ del resto coerente con la matrice teorica e con il significato
pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello
di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è
comprovata un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando
l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione
amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza
conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano
organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le
singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare
funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la
legge statale possa attendere a un compito siffatto.
230
2.2. Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o
concorrente, in virtù dell’art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo
Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato di diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle,
al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro
legale, resta da chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e
possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico
sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio
stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione
interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma,
sia desumibile anche il principio dell’intesa consegue alla peculiare funzione
attribuita alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già conosciuta
nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59
come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative
fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante nella sua dimensione
meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha
visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica,
che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni
amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della
sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice
e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come
fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze
unitarie.
Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza. Si comprende infatti come tali principî non
possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione
di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente
stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione.
E si comprende anche come essi non possano assumere la funzione che aveva
un tempo l’interesse nazionale, la cui sola allegazione non è ora sufficiente a
giustificare l’esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in base all’art. 117 Cost. Nel nuovo Titolo V l’equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa previgente
sorreggeva l’erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni
legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l’interesse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito,
alla competenza legislativa regionale.
Ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza
squisitamente procedimentale, poiché l’esigenza di esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto
231
le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealtà.
2.3. La disciplina contenuta nella legge n. 443 del 2001, come quella recata
dal decreto legislativo n. 190 del 2002, investe solo materie di potestà statale
esclusiva o concorrente ed è quindi estranea alla materia del contendere la
questione se i principî di sussidiarietà e adeguatezza permettano di attrarre
allo Stato anche competenze legislative residuali delle Regioni. Ed è opportuno chiarire fin d’ora, anche per rendere più agevole il successivo argomentare
della presente sentenza, che la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella
elencazione dell’art. 117 Cost., diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale
delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano
una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale
afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.
3. Alla stregua dei paradigmi individuati nei paragrafi che precedono, devono
essere saggiate le censure che si appuntano sulla legge n. 443 del 2001, nella
sua versione originaria ed in quella modificata dalla legge n. 166 del 2002.
3.1. Per primo deve essere esaminato il ricorso della Provincia autonoma di
Trento, nel quale vengono censurati i commi da 1 a 4 dell’art. 1 della legge
n. 443 del 2001 sul parametro dell’art. 117 Cost. Il ricorso è proposto sulla
premessa che le competenze provinciali fondate sullo statuto speciale non
siano scalfite; sarebbero invece lese le attribuzioni spettanti alla Provincia ai
sensi dell’art. 117 Cost., in virtù della clausola di favore contenuta nell’art. 10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, secondo la quale alle Regioni
speciali e alle Province autonome, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti,
si applica la disciplina del nuovo titolo V nella parte in cui assicura forme di
autonomia più ampie rispetto a quelle previste dagli statuti stessi. In particolare, il comma 5 del denunciato art. 1, nel fare salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, di cui agli statuti speciali
e alle relative norme di attuazione, lascerebbe indenni le attribuzioni di cui
al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, per il quale, per gli interventi concernenti le
autostrade (art. 19), la viabilità, le linee ferroviarie e gli aerodromi (art. 20), lo
Stato deve ottenere la previa intesa della Provincia. Del pari la posizione della
Provincia risulterebbe garantita dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266
e segnatamente dall’art. 4, che le riserva “la gestione amministrativa di ogni
opera che lo statuto non assegni alla competenza statale”.
La Provincia, ponendo a base del proprio ricorso la violazione di competenze
più ampie rispetto a quelle statutarie, che assume derivanti dall’art. 117 Cost.,
aveva l’onere di individuarle nel raffronto con le competenze statutarie, che,
per sua stessa ammissione, sono fatte salve dalla legge oggetto di impugnazione. Ai fini di una corretta instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale la ricorrente non poteva quindi limitarsi al mero richiamo all’art. 117 Cost.
232
Il ricorso è pertanto inammissibile.
3.2. In via preliminare va dichiarato inammissibile il congiunto intervento
ad adiuvandum dell’Associazione Italia Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus,
dell’Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, nel
giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana avverso la legge n. 166
del 2002. Va qui ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo
il quale nei giudizi di legittimità costituzionale in via di azione non è ammessa
la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà
legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione (cfr., da ultimo, sentenze
n. 49 del 2003, n. 533 e n. 510 del 2002, n. 382 del 1999).
4. Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano il
comma 1 nella sua prima formulazione, lamentando anzitutto la violazione
dell’art. 117 Cost., perché la relativa disciplina non sarebbe ascrivibile ad
alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale; e del resto,
argomentano le ricorrenti, non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost.
la materia dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non sarebbe possibile
far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse al fine di escludere la
potestà legislativa regionale o provinciale.
Le predette ricorrenti sostengono poi che l’individuazione delle grandi opere
potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall’art.
117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto
e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia),
ma la disposizione censurata, da un lato, detterebbe una disciplina di dettaglio
e non di principio e quindi sarebbe comunque lesiva dell’autonomia legislativa
regionale; dall’altro, escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”, che
dovrebbe essere garantito attraverso lo strumento dell’intesa.
La Regione Marche denuncia inoltre il medesimo comma 1 per contrasto con
gli artt. 118 e 119 Cost. sul rilievo che non sarebbero stati rispettati i principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza e che sarebbe stata lesa
l’autonomia finanziaria regionale con l’attribuzione al Governo del compito di
reperire tutti i finanziamenti.
La Regione Toscana, con distinto e successivo ricorso, impugna il comma 1
anche nella formulazione modificata dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166
del 2002, ribadendo che la disposizione violerebbe l’art. 117 Cost., in quanto
non troverebbe fondamento nella competenza legislativa statale esclusiva o
concorrente; e in ogni caso, in quanto detterebbe una disciplina compiuta,
dettagliata e minuziosa che precluderebbe alla Regione ogni possibilità di scelta. La ricorrente deduce altresì la violazione dell’art. 118, primo comma, Cost.,
assumendo che, da un lato, non sarebbero stati rispettati i criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; dall’altro, le esigenze di esercizio unitario di cui parla l’art. 118 Cost. non autorizzerebbero una deroga al riparto
della potestà legislativa posto dall’art. 117 Cost. Infine, sempre ad avviso della
233
Regione Toscana, l’introduzione di un’intesa con le Regioni interessate e con la
Conferenza unificata ai fini dell’individuazione delle grandi opere non consentirebbe di eliminare i prospettati dubbi di incostituzionalità, giacché l’intesa
non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario, in assenza di
meccanismi atti ad impedire che essa sia recessiva dinanzi al preminente potere dello Stato, che potrebbe procedere anche a fronte del motivato dissenso
regionale.
4.1. Vanno scrutinate nel merito le censure che le Regioni sollevano avverso
il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, anche quelle che ne investono l’originaria versione, dovendosi escludere che le sopravvenute modifiche
recate dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002 abbiano determinato
sul punto una cessazione della materie del contendere. Ciò in quanto proprio
in base alla disposizione originaria è stato approvato il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi da parte del CIPE (con delibera n.
121 del 21 dicembre 2001) ed è a tale programma che fa riferimento anche il
comma 1 nel testo novellato dall’art. 13 della legge n. 166 del 2002, come può
desumersi chiaramente dal fatto che la norma, riprendendo in parte la disposizione anteriore, stabilisce che “in sede di prima applicazione della presente
legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001”.
Tutte le censure sono infondate e per dar conto di ciò è bene esaminare preliminarmente l’impugnazione proposta dalla sola Regione Toscana avverso il
comma 1, nel testo sostituito dalla legge 1° agosto 2002, n. 166.
Quando si intendano attrarre allo Stato funzioni amministrative in sussidiarietà, di regola il titolo del legiferare deve essere reso evidente in maniera
esplicita perché la sussidiarietà deroga al normale riparto delle competenze
stabilito nell’art. 117 Cost. Tuttavia, nel caso presente, l’assenza di un richiamo espresso all’art. 118, primo comma, non fa sorgere alcun dubbio circa l’oggettivo significato costituzionale dell’operazione compiuta dal legislatore: non
di lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione dei principî
di sussidiarietà e adeguatezza, che soli possono consentire quella attrazione di cui si è detto. Predisporre un programma di infrastrutture pubbliche e
private e di insediamenti produttivi è attività che non mette capo ad attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che può coinvolgere anche potestà
legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di
trasporto, distribuzione nazionale dell’energia, etc.). Per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o
non costituisca invece applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza
diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e
le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina.
Nella specie l’intesa è prevista e ad essa è da ritenersi che il legislatore abbia
voluto subordinare l’efficacia stessa della regolamentazione delle infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel programma di cui all’impugnato comma
1 dell’art. 1. Nel congegno sottostante all’art. 118, l’attrazione allo Stato di
funzioni amministrative da regolare con legge non è giustificabile solo invo234
cando l’interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma è necessario un procedimento attraverso il quale l’istanza unitaria venga saggiata nella sua reale
consistenza e quindi commisurata all’esigenza di coinvolgere i soggetti titolari
delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben
può darsi, infatti, che nell’articolarsi del procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell’opera e dell’organizzazione di persone e
mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre
in sussidiarietà le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata,
perché l’interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere
interamente soddisfatto dalla Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato
al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo
alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacità
di svolgere in tutto o in parte la funzione.
L’esigenza costituzionale che la sussidiarietà non operi come aprioristica modificazione delle competenze regionali in astratto, ma come metodo per l’allocazione di funzioni a livello più adeguato, risulta dunque appagata dalla
disposizione impugnata nella sua attuale formulazione.
Chiarito che la Costituzione impone, a salvaguardia delle competenze regionali, che una intesa vi sia, va altresì soggiunto che non è rilevante se essa preceda l’individuazione delle infrastrutture ovvero sia successiva ad una unilaterale attività del Governo. Se dunque tale attività sia stata già posta in essere,
essa non vincola la Regione fin quando l’intesa non venga raggiunta.
In questo senso sono quindi da respingere anche le censure che le ricorrenti indirizzano contro il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella
versione anteriore alla modifica recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto
che in essa era previsto che le Regioni fossero solo sentite singolarmente ed
in Conferenza unificata e non veniva invece esplicitamente sancito il principio
dell’intesa. L’interpretazione coerente con il sistema dei rapporti Stato-Regioni
affermato nel nuovo Titolo V impone infatti di negare efficacia vincolante a
quel programma su cui le Regioni interessate non abbiano raggiunto un’intesa per la parte che le riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21
dicembre 2001, n. 121.
5. Tutte le Regioni ricorrenti impugnano il comma 2 dell’art. 1, che detta dalla lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il
Governo è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato
alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai
sensi del comma 1”.
Con analoghe censure, che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., e, per la
Regione Marche, anche gli artt. 118 e 119 Cost., si deduce anzitutto che la
prevista normativa derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici n. 109
del 1994 violerebbe la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di
appalti e lavori pubblici.
235
Si sostiene inoltre che le competenze regionali sarebbero ugualmente violate
anche se si ricadesse nell’ambito della potestà legislativa concorrente, perché
il denunciato comma 2 detterebbe una disciplina compiuta e di dettaglio, non
cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale.
Le censure sono genericamente formulate e quindi inammissibili. Per comprenderlo è sufficiente la ricognizione del contenuto delle disposizioni denunciate.
Il comma 2 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 ha ad oggetto la delega ad
emanare uno o più decreti legislativi volti a definire il quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi individuati ai sensi del comma 1. Nell’esercizio della delega il Governo,
autorizzato a riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale
(VIA) e l’autorizzazione integrata ambientale, nel rispetto dell’art. 2 della direttiva 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, e ad introdurre
un regime speciale anche derogatorio di numerose disposizioni della legge 11
febbraio 1994, n. 109, che non siano necessaria ed immediata applicazione
delle direttive comunitarie, è tenuto a rispettare i principî e criteri direttivi fissati nelle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2.
Come già detto in precedenza, l’indirizzo imposto al legislatore delegato investe
una molteplicità di aspetti a carattere procedimentale e muove dal modello di
finanziamento delle opere, con il concorso del capitale privato, attraverso la
disciplina della tecnica di finanza di progetto [lettera a)] per finanziare e realizzare le infrastrutture e gli insediamenti di cui al comma 1.
La delega autorizza poi il Governo a definire i moduli procedurali sostitutivi
di quelli previsti per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di
ogni specie, avuto riguardo anche alla durata delle procedure per l’approvazione dei progetti preliminari, “comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente,
che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni interessati, e,
ove prevista, della VIA”, nonché a prefigurare le procedure necessarie per la
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e per l’approvazione
del progetto definitivo, con previsione di termini perentori per la risoluzione
delle interferenze con servizi pubblici e privati e di responsabilità patrimoniali
in caso di mancata tempestiva risoluzione [lettera b)].
Viene quindi impartita al Governo la direttiva di attribuire al CIPE, integrato
dai Presidenti delle Regioni interessate, il compito di valutare le proposte dei
promotori, di approvare il progetto preliminare e quello definitivo, di vigilare sull’esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti concessori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell’opera e,
ove prevista, della VIA istruita dal competente Ministero. Si prescrive inoltre
che vengano affidati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti compiti di
istruttoria e di formulazione di proposte e quello di assicurare il supporto ne-
236
cessario per l’attività del CIPE, eventualmente tramite un’apposita struttura
tecnica di advisor e di commissari straordinari [lettera c)].
La delega prosegue autorizzando la modificazione della disciplina in materia
di conferenza di servizi e dettando i criteri ispiratori per il suo funzionamento
[lettera d)].
Vengono quindi individuati i modelli di affidamento e di aggiudicazione concernenti la realizzazione delle opere di cui al comma 1, e prefigurata la cornice
della rispettiva disciplina, anche in deroga alla legge n. 109 del 1994, ma si
impone al Governo il rispetto della normativa comunitaria.
Si prevede inoltre che il legislatore delegato affidi la realizzazione delle infrastrutture strategiche ad un unico soggetto contraente generale o concessionario [lettera e)] e si dettano i criteri che devono presiedere alla disciplina
dell’affidamento a contraente generale, con riferimento all’art. 1 della direttiva
93/37/CEE [lettera f)].
Quanto poi al soggetto aggiudicatore, si stabilisce l’obbligo, nel caso in cui
l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici, di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica e di scelta dei fornitori di beni o
servizi, “ma con soggezione ad un regime derogatorio rispetto alla citata legge
n. 109 del 1994 per tutti gli aspetti di essa non aventi necessaria rilevanza
comunitaria” [lettera g)]. Al tempo stesso si autorizza, nel rispetto della normativa comunitaria ed al fine di favorire il contenimento dei tempi e la massima
flessibilità degli strumenti giuridici, l’introduzione di specifiche deroghe alla
vigente disciplina in materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di realizzazione degli stessi, indicando i criteri per regolamentare l’attività del contraente
generale e la costituzione di società di progetto [lettera h)].
La delega investe ancora i profili concernenti l’individuazione di misure adeguate per valutare il regolare assolvimento degli obblighi assunti dal contraente generale [lettera i)], la previsione, nel caso di concessione di opera pubblica
unita a gestione della stessa, di appositi meccanismi di corresponsione del
prezzo al concessionario, nonché di fissazione della durata della concessione
medesima [lettera l)], con il rispetto dei relativi piani finanziari [lettera m)].
La delega detta criteri anche in ordine alle forme di tutela risarcitoria susseguente alla stipula dei contratti di progettazione, appalto, concessione o
affidamento a contraente generale, prescrivendo che debba essere esclusa la
reintegrazione in forma specifica e ristretta la tutela cautelare, per tutti gli
interessi patrimoniali, “al pagamento di una provvisionale” [lettera n)]. Infine
si stabilisce che il Governo debba prevedere, per le procedure di collaudo delle
opere, “termini perentori che consentano, ove richiesto da specifiche esigenze
tecniche, il ricorso anche a strutture tecniche esterne di supporto alle commissioni di collaudo” [lettera o)].
237
Si è dunque in presenza di una disciplina particolarmente complessa che insiste su una pluralità di materie, tra loro intrecciate, ascrivibili non solo alla potestà legislativa concorrente ma anche a quella esclusiva dello Stato (ad esempio la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema). In un quadro normativo siffatto,
le censure mosse dalle ricorrenti non raggiungono il livello di specificità che si
richiede ai fini di uno scrutinio di merito (in tal senso v. sentenza n. 384 del
1999), poiché nei motivi di ricorso non vi è neppure una sintetica esposizione
delle ragioni per cui le disposizioni contenute nel comma 2 denunciato, singolarmente considerate, determinino una lesione delle attribuzioni regionali.
6. Sono invece sufficientemente circostanziate le questioni che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna sollevano sulle lettere g) ed n), del comma 2, sostenendone il contrasto con il “diritto europeo”. In particolare la lettera g), nella
parte in cui circoscrive l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la
normativa europea in tema di evidenza pubblica solo “nel caso in cui l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”, violerebbe la direttiva
93/37/CEE, alla quale non sarebbe conforme neppure nel caso del ricorso
all’istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3 § l) o all’affidamento ad
unico soggetto contraente generale.
La questione deve essere scrutinata nel merito, nel senso della non fondatezza, a prescindere dal problema più generale, che investe ora l’interpretazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., se ed entro quali limiti l’ipotesi di contrasto
di una norma interna con l’ordinamento comunitario sia idonea a radicare la
competenza del giudice delle leggi.
Nei giudizi di impugnazione deve essere tenuto fermo l’orientamento già
espresso da questa Corte (sentenze n. 85 del 1999, n. 94 del 1995 e n. 384 del
1994), secondo il quale il valore costituzionale della certezza e della chiarezza
normativa deve fare aggio su ogni altra considerazione soprattutto quando
una esplicita clausola legislativa di salvaguardia del diritto comunitario renda,
come nella specie, manifestamente insussistente il denunciato contrasto.
La lettera g) dell’art. 2, infatti, contiene una delega al Governo perché siano
adottate procedure di aggiudicazione anche derogatorie rispetto alla legge n.
109 del 1994 quando non si tratti di opere realizzate prevalentemente con
fondi pubblici, ma non autorizza il Governo a violare il diritto comunitario:
al contrario si prevede che la deroga non debba riguardare gli aspetti aventi
necessaria rilevanza comunitaria. Anche la disciplina dell’aggiudicazione in
appalto di opere realizzate con prevalenti fondi privati dovrà quindi rispettare
il diritto comunitario, qualunque ne sia il contenuto.
6.1. La lettera n), seconda frase, a sua volta, nella parte in cui restringe,
per tutti gli “interessi patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una
provvisionale”, disattenderebbe la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), giacché ridurrebbe “le possibilità di tutela piena per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti”.
238
Anche in questo caso si può prescindere dal problema appena richiamato dei
rapporti tra il diritto comunitario e il diritto interno e dei limiti entro i quali di
questi rapporti possa conoscere la Corte costituzionale. La questione è infatti
inammissibile per difetto di interesse sotto un duplice profilo: in primo luogo,
essa evoca un contrasto col diritto comunitario senza però dedurre l’esistenza
di una lesione delle attribuzioni regionali; inoltre la disposizione denunciata
investe la tutela giurisdizionale di terzi e non riguarda quindi materie di competenza legislativa delle Regioni
6.2. ¾ La Regione Toscana denuncia infine la lettera c) del medesimo comma
2, come sostituito dall’art. 13, comma 5, della legge n. 166 del 2002, deducendo il contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. Essa non garantirebbe il rispetto
delle attribuzioni delle Regioni, relegate ad un ruolo meramente consultivo
nell’approvazione dei progetti, demandata al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate. Inoltre la ricorrente, premesso che il comma 3 dell’art.
13, nel sostituire il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443, dispone che anche
le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture strategiche, rileva che la previsione secondo cui
la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba essere effettuata dal
Ministro competente e non dalle Regioni violerebbe le attribuzioni di queste
ultime in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali.
La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la disposizione impugnata,
nell’attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province
autonome interessate, il compito di approvare i progetti preliminari e definitivi delle opere individuate nel programma di cui al comma 1, non circoscrive
affatto il ruolo delle Regioni (o delle Province autonome) a quello meramente
consultivo, giacché queste, attraverso i propri rappresentanti, sono a pieno
titolo componenti dell’organo e partecipano direttamente alla formazione della sua volontà deliberativa, potendo quindi far valere efficacemente il proprio
punto di vista. Occorre inoltre considerare che l’approvazione dei progetti deve
essere comprensiva anche della localizzazione dell’opera, sulla quale, come già
per la relativa individuazione, ai sensi del comma 1 dell’art. 1, è prevista l’intesa con la Regione o la Provincia autonoma interessata [lettera b) del medesimo
comma 2].
Né infine può dirsi che la disposizione denunciata, come sostenuto dalla ricorrente, affidi al Ministro competente l’effettuazione della valutazione di impatto
ambientale sulle opere inserite nel programma, considerato che dalla piana
lettura della norma risulta che una siffatta valutazione è affidata al CIPE in
composizione allargata ai rappresentanti regionali e provinciali, mentre al Ministro è lasciata unicamente la relativa fase istruttoria.
7. ¾ E’ fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata da tutte le
ricorrenti – che investe l’art. 1, comma 3, della legge n. 443, nella parte in cui
239
autorizza il Governo a integrare e modificare il regolamento di cui al d.P.R. 21
dicembre 1999, n. 554, per renderlo conforme a quest’ultima legge e ai decreti
legislativi di cui al comma 2.
sidente del Consiglio sia adottato previa deliberazione del CIPE integrato dai
Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Che ai regolamenti governativi adottati in delegificazione fosse inibito disciplinare materie di competenza regionale era già stato affermato da questa Corte
avendo riguardo al quadro costituzionale anteriore all’entrata in vigore della
riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Nelle sentenze n. 333 e
n. 482 del 1995 e nella più recente sentenza n. 302 del 2003 l’argomento su
cui è incentrata la ratio decidendi è che lo strumento della delegificazione non
può operare in presenza di fonti tra le quali non vi siano rapporti di gerarchia,
ma di separazione di competenze. Solo la diretta incompatibilità delle norme
regionali con sopravvenuti principî o norme fondamentali della legge statale può infatti determinare l’abrogazione delle prime. La ragione giustificativa
di tale orientamento si è, se possibile, rafforzata con la nuova formulazione
dell’art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale la potestà regolamentare
è dello Stato, salva delega alle Regioni, nelle materie di legislazione esclusiva,
mentre in ogni altra materia è delle Regioni. In un riparto così rigidamente
strutturato, alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di
vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principî di
sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti
regionali a livello primario. Quei principî, lo si è già rilevato, non privano di
contenuto precettivo l’art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra
evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicità intesi ad attenuare la
rigidità nel riparto di funzioni legislative ivi delineato. Non può quindi essere loro riconosciuta l’attitudine a vanificare la collocazione sistematica delle
fonti conferendo primarietà ad atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti
secondarie e a degradare le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti
statali o comunque a questi condizionate. Se quindi, come già chiarito, alla
legge statale è consentita l’organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, va precisato che la legge stessa non può
spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure
predeterminando i principî che orientino l’esercizio della potestà regolamentare, circoscrivendone la discrezionalità.
Dalla degradazione della posizione del CIPE da organo di amministrazione
attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie
(nel procedimento “alternativo”) discende che la partecipazione in esso delle
Regioni interessate non costituisce più una garanzia sufficiente, tanto più se
si considera che non è previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo delle Regioni interessate nella fase preordinata al superamento del loro eventuale
dissenso.
8. E’ fondata pure la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dall’art. 13, comma 6, della legge
n. 166 del 2002, proposta dalla Regione Toscana lamentando la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto che alle Regioni sarebbe stato riservato un
ruolo meramente consultivo nella fase di approvazione dei progetti definitivi
delle opere individuate nel programma governativo.
La disposizione denunciata consente che tale approvazione, in alternativa alle
procedure di cui al comma 2, avvenga con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri. Per questa procedura alternativa è previsto che il decreto del Pre240
9. Tutte le Regioni impugnano il comma 4 dell’art. 1, in riferimento all’art.
117 e, limitatamente al ricorso della Regione Marche, anche agli artt. 118 e
119 Cost.
La disposizione contiene una delega al Governo ad emanare, nel rispetto dei
principî e dei criteri direttivi di cui al comma 2, previo parere favorevole del
CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, sentite la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e
le competenti commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti
l’approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate secondo quanto previsto al comma 1.
Le impugnazioni delle ricorrenti sono svolte molto succintamente e si limitano
ad operare un mero rinvio agli argomenti sviluppati in relazione a disposizioni
di diverso contenuto senza ulteriori precisazioni, se non quella che si verserebbe in materia di potestà legislativa residuale sulla quale lo Stato sarebbe
radicalmente privo di competenza. Anche il denunciato comma 4 dell’art. 1,
come le precedenti disposizioni, riguarda però materie di competenza concorrente o esclusiva dello Stato e non investe potestà residuali. Né tra queste
ultime, per le ragioni già esposte, possono ritenersi compresi i lavori pubblici.
Le impugnazioni vanno pertanto rigettate.
10. Il motivo di ricorso proposto dalla Regione Marche contro l’art. 1, comma
5, della legge n. 443 del 2001, a mente del quale, ai fini della presente legge,
“sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome”, non ha una sua autonoma consistenza ma deve essere interpretato come argomento teso a corroborare le censure svolte negli altri motivi di
ricorso, sulle quali si è appena deciso.
11. Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano i commi da
6 a 12 e il comma 14 dell’art. 1, che disciplinano, nel loro complesso, il regime
degli interventi edilizi con disposizioni il cui contenuto conviene subito illustrare.
Il comma 6 prevede che, per determinati interventi, in alternativa a concessioni ed autorizzazioni edilizie, l’interessato possa avvalersi della denuncia di
241
inizio attività (DIA). L’alternativa riguarda in particolare: a) gli interventi edilizi
minori, di cui all’art. 4, comma 7, del decreto-legge n. 398 del 1993 (convertito
nella legge n. 493 del 1993); b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma; c) gli interventi
ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche,
formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal
consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione
di quelli vigenti; d) i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli indicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio. Rimane ferma
la disciplina previgente quanto all’obbligo di versare il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (comma 7).
Il comma 8 stabilisce che la tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale
per la realizzazione degli interventi di cui al comma 6 sia subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle disposizioni di
legge vigenti e in particolare dal testo unico delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre
1999, n. 490.
Il comma 9 e il comma 10 contengono la disciplina relativa al caso in cui le
opere da realizzare riguardino immobili soggetti a un vincolo la cui tutela
competa, anche in via di delega, all’amministrazione comunale (comma 9) ovvero soggetti a un vincolo la cui tutela spetti ad amministrazioni diverse da
quella comunale (comma 10). Nel primo caso è previsto che il termine per la
presentazione della denuncia di inizio attività, di cui all’art. 4, comma 11, del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, decorre dal rilascio del relativo atto di
assenso. Nel secondo caso si prevede che, ove il parere favorevole del soggetto
preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e
14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e il termine di venti giorni per la
presentazione della denuncia di inizio dell’attività decorre dall’esito della conferenza. Tanto nel caso in cui l’atto dell’autorità comunale preposta alla tutela
del vincolo non sia favorevole, quanto nel caso di esito non favorevole della
conferenza, la denuncia di inizio attività è priva di effetti.
Il comma 11, a sua volta, abroga il comma 8 dell’art. 4 del decreto-legge n.
398 del 1993, il quale prevedeva la possibilità di procedere ad attività edilizie minori sulla base di denuncia inizio attività a condizione che gli immobili
non fossero assoggettati alle disposizioni di cui alla legge n. 1089 del 1939,
alla legge n. 1497 del 1939, alla legge n. 394 del 1991, ovvero a disposizioni
immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all’art. 1-bis del
decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, o dalla
legge n. 183 del 1989, o che non fossero comunque assoggettati dagli strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico artistiche,
storico architettoniche e storico testimoniali.
242
In base al comma 12 le disposizioni di cui al comma 6 “si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge” e “le Regioni a statuto ordinario, con legge,
possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia”. Con il comma 14 viene
delegato il Governo ad emanare, entro il 30 giugno 2003, un decreto legislativo
volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all’art. 7 della legge n. 50 del 1999, e successive
modificazioni, le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 (quest’ultima disposizione, non denunciata,
fa salva la potestà legislativa esclusiva delle Regioni a statuto speciale e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano).
E’ importante rilevare che il comma 12 è stato modificato dall’art. 13, comma
7, della legge n. 166 del 2002, il quale ha aggiunto alla versione originaria le
seguenti disposizioni: “salvo che le leggi regionali pubblicate prima della data
di entrata in vigore della presente legge siano già conformi a quanto previsto
dalle lettere a), b), c) e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali
categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici. Le Regioni a statuto
ordinario possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di
cui al periodo precedente”.
Tutte le disposizioni il cui contenuto si è ora esposto hanno portata generale
e prescindono dalla disciplina procedimentale concernente le infrastrutture e
gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, della
quale non costituiscono ulteriore svolgimento.
Contro di esse si orientano le censure delle ricorrenti, le quali assumono che
lo Stato avrebbe violato la competenza residuale delle Regioni in materia edilizia e, subordinatamente, avrebbe leso, con una disciplina di dettaglio, la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio.
Nelle memorie presentate in prossimità dell’udienza, la Regione Toscana, in
considerazione della sopravvenuta modifica del comma 12, ha espressamente dichiarato di rinunciare ai motivi di ricorso concernenti i commi da 6 a 12
ed il comma 14. Insistono invece nelle censure le Regioni Umbria ed EmiliaRomagna, sicché questa Corte deve pronunciarsi su di esse.
11.1. E’ innanzitutto da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni
censurate sia oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai
sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost.,
nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola
“urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza
a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo
comma: essa fa parte del “governo del territorio”. Se si considera che altre
materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili,
grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzio243
ne nazionale dell’energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo
comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”,
appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi
all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di
un guscio vuoto.
11.2. Chiarito che si versa in materia di competenza concorrente, resta da
chiedersi se nelle disposizioni denunciate vi siano aspetti eccedenti la formulazione di un principio di legislazione. Un accurato esame della disciplina
poc’anzi richiamata conduce a una risposta negativa. Non vi è nulla in essa
che non sia riconducibile ad una enunciazione di principio e che possa essere
qualificato normativa di dettaglio.
Giova premettere che i principî della legislazione statale in materia di titoli
abilitativi per gli interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma
hanno subito sensibili evoluzioni.
Dal generale e indifferenziato onere della concessione edilizia (legge n. 10 del
1977) si è passati all’autorizzazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e fra questi al silenzio-assenso quando non siano coinvolti edifici
soggetti a disciplina vincolistica (legge n. 457 del 1978). Il silenzio-assenso è
stato successivamente ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previsioni procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il decreto-legge n. 9
del 1982). Alle Regioni è stato poi attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di
semplificare le procedure ed accelerare l’esame delle domande di concessione
e di autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere interne agli edifici,
l’asseverazione del rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienicosanitarie vigenti, secondo un modello che, in qualche modo, anticipa l’istituto
della denuncia di inizio attività. Ed ancora (decreto-legge n. 398 del 1993,
convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente regolate le procedure per il rilascio della concessione edilizia, eliminando il silenzio-assenso
e prevedendo in sua vece la nomina di un commissario regionale ad acta con il
compito di adottare il provvedimento nei casi di inerzia del Comune. Si è giunti
quindi alla disciplina sostanziale e procedurale della denuncia di inizio attività
(DIA) per taluni enumerati interventi edilizi, imponendo alle Regioni l’obbligo
di adeguare la propria legislazione ai nuovi principî (legge n. 662 del 1996).
E’ dunque lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina
dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principî della
materia, che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali,
in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla
realizzazione delle opere con denuncia di inizio attività a scelta dell’interessato integrano il proprium del nuovo principio dell’urbanistica: si tratta infatti,
come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non rilevante
entità o, comunque, di attività che si conformano a dettagliate previsioni degli
strumenti urbanistici. In definitiva, le norme impugnate perseguono il fine,
244
che costituisce un principio dell’urbanistica, che la legislazione regionale e le
funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli
amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione.
Né può dirsi che le modificazioni introdotte nell’ultimo periodo del comma 12
dell’art. 1, e cioè l’attribuzione alle Regioni del potere di ampliare o ridurre le
categorie di opere per le quali è prevista in principio la dichiarazione di inizio attività, abbiano comportato, nella disciplina contenuta nel comma 6, un
mutamento di natura e l’abbiano trasformata in normativa di dettaglio. Vi è
solo una maggiore flessibilità del principio della legislazione statale quanto
alle categorie di opere a cui la denuncia di inizio attività può applicarsi. Resta
come principio la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi
preventivi ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo
testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale è la DIA,
considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.
La materia del contendere in relazione ai commi 6 e 12 non è dunque cessata,
come invece vorrebbe l’Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di queste disposizioni non possono essere accolte, giacché, anche dopo le sopravvenute modificazioni del comma 12, le disposizioni impugnate si limitano a
porre principî e non costituiscono norme di dettaglio.
11.3. Del pari va respinta la censura relativa al comma 7, il quale, senza avere
il contenuto di norma di dettaglio, si limita a reiterare l’obbligo dell’interessato di versare gli oneri di urbanizzazione commisurati al costo di costruzione
anche quando il titolo abilitativo consista nella denuncia di inizio attività.
L’onerosità del titolo abilitativo riguarda infatti un principio della disciplina
un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti
sotto la rubrica “governo del territorio”.
11.4. Non sono fondate le questioni concernenti i commi da 8 a 11 dell’art. 1,
per le quali sono svolti motivi di censura analoghi a quelli appena esaminati.
Seppure, infatti, non si fosse in presenza di una legislazione statale rientrante
nell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la
competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, ecosistema e beni
culturali, le disposizioni censurate non eccederebbero l’ambito della potestà
legislativa statale nelle materie di competenza concorrente, e in particolare
nella materia “governo del territorio”. In effetti esse, lungi dal porre una disciplina di dettaglio, costituiscono espressione di un principio della legislazione statale diverso da quello previgente, contenuto nell’art. 4, comma 8, del
decreto-legge n. 398 del 1993 (che viene espressamente abrogato), secondo il
quale può procedersi con denuncia di inizio attività anche alla realizzazione
degli interventi edilizi di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001
245
che riguardino aree o immobili sottoposti a vincolo. Il legislatore, stabilito tale
nuovo principio, ha coordinato l’istituto della denuncia di inizio attività con le
vigenti disposizioni che pongono vincoli, a tal fine ribadendo la indispensabilità che l’amministrazione preposta alla loro tutela esprima il proprio parere, la
cui assenza priva di effetti la denuncia di inizio attività. In definitiva le disposizioni censurate si limitano a far salva la previgente normativa vincolistica,
senza alterare il preesistente quadro delle relative competenze, anche delegate
alle amministrazioni comunali, e senza attrarre allo Stato ulteriori competenze. Le attribuzioni regionali non sono pertanto lese.
11.5. Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi inducono a ritenere
priva di fondamento la censura che le ricorrenti muovono al comma 14, contenente la delega al Governo ad emanare un decreto legislativo volto ad introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni dei commi da 6 a 13. Si sostiene
dalle ricorrenti che la disposizione sia illegittima in quanto sarebbe “il concetto
stesso di testo unico che ripugna al riparto costituzionale delle competenze” e
ciò non soltanto per le materie residuali regionali, ma anche per le materie di
competenza concorrente, nelle quali sulle Regioni grava soltanto il vincolo di
conformarsi ai principî della legislazione statale.
Le disposizioni impugnate – lo si è appena visto – non sono tuttavia ascrivibili
a competenze residuali e hanno il contenuto di principî che le Regioni possono
svolgere con proprie norme legislative. Inserire quei principî in un testo unico
già vigente è dunque operazione che non lede alcuna attribuzione regionale.
12. La Regione Toscana ha impugnato anche i commi 1, 4 e 11 dell’art. 13
della legge n. 166 del 2002.
12.1. Il comma 4 inserisce, dopo il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443
del 2001, il “comma 1-bis”, il quale detta le indicazioni che deve contenere il
programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di
preminente interesse nazionale da inserire nel documento di programmazione
economico-finanziaria. La ricorrente assume che la disposizione violerebbe gli
artt. 117 e 118, primo comma, Cost. per le stesse identiche ragioni già poste a
fondamento della censura svolta avverso il comma 3 dell’art. 13 della legge n.
166 del 2002, che ha sostituito il comma 1 della citata legge n. 443.
Il motivo di ricorso è da respingersi sulla base delle stesse argomentazioni che
hanno condotto a ritenere infondate le censure avverso il menzionato comma
1 dell’art. 1 nella versione vigente: la doglianza in esame non assume infatti
alcuna autonomia rispetto a quella già scrutinata, con la quale, del resto, è
prospettata congiuntamente.
12.2. Nei commi 1 e 11 dell’art. 13 della legge n. 166 sono individuati ed
autorizzati i limiti di impegno di spesa quindicennali per la progettazione e
realizzazione delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale “in246
dividuate in apposito programma approvato” dal CIPE, prevedendo, tra l’altro, che le risorse autorizzate “integrano i finanziamenti pubblici, comunitari
e privati allo scopo disponibili”. Il successivo comma 11 dispone i necessari
stanziamenti di bilancio.
In ordine a tali disposizioni la Regione Toscana sostiene che esse, nel prevedere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere
strategiche approvate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118
Cost., in quanto si riferirebbero al programma predisposto dal CIPE che si assume elaborato “in spregio alle competenze regionali”; sia con l’art. 119 Cost.,
perché inciderebbero sull’autonomia finanziaria delle Regioni garantita dalla
Costituzione anche in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture di competenza regionale.
La censura va respinta per considerazioni analoghe a quelle già svolte nel
punto 4.1. della presente pronuncia: in assenza dell’intesa con la Regione
interessata i programmi sono inefficaci. Ne consegue che anche questa disposizione deve essere interpretata nel senso che i finanziamenti concernenti le
infrastrutture e gli insediamenti produttivi individuati nel programma approvato dal CIPE potranno essere utilizzati per la realizzazione di quelle sole opere che siano state individuate mediante intesa tra Stato e Regioni o Province
autonome interessate.
Quanto all’evocato parametro dell’art. 119 Cost., è sufficiente osservare che si
tratta di finanziamenti statali individuati e stanziati in vista della realizzazione
di un programma di opere che lo Stato assume, nei termini già chiariti, in base
ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza anche in considerazione degli oneri
finanziari che esso comporta e non è pensabile che lo Stato possa esimersi dal
reperire le risorse. Non è pertanto apprezzabile alcuna lesione dell’autonomia
finanziaria delle Regioni.
13. Si tratta ora di esaminare i ricorsi proposti dalle Regioni Toscana e Marche e dalle Province autonome di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt.
76, 117, 118 e 120 della Costituzione, nonché agli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22 e 24; 9, primo comma, numeri 8,
9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e relative norme di
attuazione, avverso numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002,
n. 190, attuativo della delega contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge 21
dicembre 2001, n. 443.
Specificamente la Toscana impugna gli artt. 1-11; 13; 15 e 16, commi 1, 2,
3, 6 e 7; 17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2,
commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; 15; la Regione
Marche gli artt. 1-11; 13 e 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1,
2, 3, 4, 13 e 15.
14. Il ricorso della Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale oltre il termine previsto dall’art. 32, terzo
247
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. La Provincia, con apposita istanza, pur non disconoscendo il carattere perentorio del termine per il deposito,
ritiene che possa trovare applicazione alla fattispecie la disciplina dell’errore
scusabile, che, per il processo costituzionale, non è espressamente previsto.
Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla Provincia autonoma il 5 novembre 2002. In subordine, la
Provincia sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a se stessa la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma,
della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui precludono l’applicazione di tale
istituto, per violazione dell’art. 24, primo comma, Cost. e del principio di ragionevolezza.
Entrambe le richieste non possono essere accolte. Nei giudizi in via di azione
va senz’altro esclusa l’applicabilità della disciplina dell’errore scusabile, così
come è da escludersi che la Corte possa ritenere non manifestamente infondata una questione di legittimità proprio su quelle norme legislative che, regolando il processo costituzionale, sono intese a conferire ad esso il massimo di
certezza e ad assicurare alle parti il corretto svolgimento del giudizio.
Il ricorso della Provincia autonoma di Trento deve essere pertanto dichiarato
inammissibile.
15. L’art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l’approvazione e realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, individuati dall’apposito programma, è impugnato
dalla Provincia autonoma di Bolzano. Preliminarmente la ricorrente lamenta
che la disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le competenze
riconosciutele dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun
riferimento alle nuove e maggiori competenze derivanti dagli artt. 117 e 118,
applicabili alle Regioni ad autonomia differenziata in virtù della clausola di
estensione contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, e comunque che violerebbe l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992.
Tale disposizione definisce le condizioni dell’adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato
nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita
delega di funzioni statali».
La pretesa avanzata dalla Provincia di Bolzano è quella di rimanere indenne
dall’obbligo di applicazione immediata nel proprio territorio della disciplina
contenuta nella disposizione impugnata. Un’applicazione immediata, tuttavia,
è esclusa dallo stesso art. 1, il quale, per un verso, fa salve le competenze delle
Province autonome e delle Regioni a statuto speciale; per altro verso subordina l’applicazione della disciplina a una previa intesa, alla quale la stessa Provincia autonoma, proprio perché titolare di competenze statutarie che le sono
fatte salve, può sottrarsi. In questi termini la censura è infondata.
248
Anche competenze ulteriori rispetto a quelle statutariamente previste, che
possano derivare alla Provincia di Bolzano dalla clausola contenuta nell’art.
10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, soggiacciono ai medesimi limiti
propri delle funzioni corrispondenti delle Regioni ordinarie; e se per queste è
l’intesa, quale limite immanente all’operare del principio di sussidiarietà, ad
assicurare la salvaguardia delle relative attribuzioni, un identico modulo collaborativo deve agire anche nei confronti della Provincia di Bolzano.
Per le stesse ragioni va respinta la censura svolta dalla Provincia di Bolzano,
sempre in riferimento al parametro dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del
1992, nei confronti dell’art. 13, comma 5, il quale stabilisce che l’approvazione
del CIPE, adottata a maggioranza dei componenti con l’intesa dei presidenti
delle Regioni, sostituisce, anche a fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione, approvazione, parere e nulla osta comunque denominato, costituisce
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere e consente la realizzazione e l’esercizio delle infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico e di tutte le attività previste nel progetto approvato.
16. Le Regioni Marche e Toscana impugnano l’art. 1, comma 5, secondo il
quale le Regioni, le province, i comuni, le città metropolitane applicano, per
le proprie attività contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle
infrastrutture e diverse dall’approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3), le norme del presente decreto legislativo «fino alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (…) per tutte le
materie di legislazione concorrente». Si denuncia la lesione dell’art. 117 della
Costituzione poiché in materie di competenza concorrente sarebbe posta una
normativa cedevole di dettaglio.
Non può negarsi che l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare
ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell’art. 117 svaluterebbe
la portata precettiva dell’art. 118, comma primo, che consente l’attrazione allo
Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle
correlative funzioni legislative, come si è già avuto modo di precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea
compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non
irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni
amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che
non possono essere esposte al rischio della ineffettività.
Del resto il principio di cedevolezza affermato dall’impugnato art. 1, comma
5, opera a condizione che tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome interessate sia stata raggiunta l’intesa di cui al comma 1, nella quale si siano
concordemente qualificate le opere in cui l’interesse regionale concorre con il
preminente interesse nazionale e si sia stabilito in che termini e secondo quali
modalità le Regioni e le Province autonome partecipano alle attività di proget249
tazione, affidamento dei lavori e monitoraggio. Si aggiunga che, a ulteriore rafforzamento delle garanzie poste a favore delle Regioni, l’intesa non può essere
in contrasto con le normative vigenti, anche regionali, o con le eventuali leggi
regionali emanate allo scopo.
17. L’art. 1, comma 7, lettera e), definisce opere per le quali l’interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non
aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle
intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle
Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più Regioni
o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale». La Regione Toscana lamenta la violazione dell’art. 76 Cost., giacché
la legge n. 443 del 2001 non autorizzerebbe il Governo a porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale.
In realtà l’art. 1 del decreto legislativo n. 190 fa riferimento a infrastrutture
pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici e «di preminente interesse nazionale» e non parla mai di opere di interesse regionale, ma solo
di opere nelle quali con il “preminente interesse nazionale”, che permane in
posizione di prevalenza, concorre l’interesse della Regione. Opere di interesse
esclusivamente regionale, in altri termini, non sono oggetto della disciplina
impugnata.
Non è pertanto ravvisabile nella disposizione denunciata alcun eccesso di delega.
17.1. La stessa Regione Toscana, la Regione Marche e la Provincia di Bolzano
assumono poi che l’art. 1 comma 7, lettera e), violerebbe gli artt. 117, commi
terzo, quarto e sesto, e 118 Cost., poiché la disposizione escluderebbe la concorrenza dell’interesse regionale con il preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, mentre il solo
fatto della localizzazione di una parte dell’opera sul territorio di una Regione
implicherebbe il coinvolgimento di un interesse regionale e la conseguente legittimazione della Regione interessata all’esercizio nel proprio territorio delle
competenze legislative, regolamentari e amministrative ad essa riconosciute
dalla Costituzione.
Anche questa censura deve essere respinta.
Le ricorrenti muovono dalla erronea premessa che per le opere di interesse interregionale sia esclusa ogni forma di coinvolgimento delle Regioni interessate.
Al contrario deve essere chiarito che l’intesa generale di cui al primo comma
dell’art. 1 del decreto legislativo ha ad oggetto, fra l’altro, la qualificazione delle opere e dunque la stessa classificazione della infrastruttura come opera di
interesse interregionale deve ottenere l’assenso regionale.
250
Chiarito che il decreto legislativo n. 190 non autorizza una qualificazione unilaterale del livello di interesse dell’opera e ribadito che anche la classificazione
della stessa deve formare oggetto di un’intesa, non può dirsi scalfita la peculiare garanzia riconosciuta alla Provincia di Bolzano dalle norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del
1974, le quali richiedono appunto un’intesa fra Ministro dei lavori pubblici e
Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano per «i piani pluriennali
di viabilità e i piani triennali per la gestione e l’incremento della rete stradale»
(art. 19); e stabiliscono che «gli interventi di spettanza dello Stato in materia di
viabilità, linee ferroviarie e aerodromi, anche se realizzati a mezzo di aziende
autonome, sono effettuati previa intesa con la Provincia interessata» (art. 20).
18. L’art. 2, comma 1, stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti «promuove le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini
della sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle
Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di supporto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle
infrastrutture».
Secondo la prospettazione della Provincia autonoma di Bolzano questa disposizione violerebbe l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il
quale pone il principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative, nonché l’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale
dispone che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative (…) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale
e le norme di attuazione, salvi gli interventi richiesti ai sensi dell’art. 22 dello
statuto».
La ricorrente presuppone che alcune delle materie su cui insistono i compiti
tecnici e amministrativi conferiti al Ministero sarebbero di competenza legislativa (e quindi amministrativa) provinciale, ma omette di considerare che tra gli
oggetti riconducibili alla propria competenza rientrano solo opere o lavori pubblici di interesse provinciale, ai quali il decreto legislativo n. 190 non è applicabile. Quando invece l’opera trascende l’ambito di interesse della Provincia,
allora si è al di fuori delle garanzie statutarie e le eventuali ulteriori competenze normative che essa intendesse trarre dall’art. 10 della legge costituzionale
n. 3 del 2001 in relazione alle infrastrutture di cui al decreto legislativo impugnato non potrebbero sottrarsi ai limiti che si fanno valere nei confronti delle
Regioni ordinarie, ossia, nella specie, alla possibilità, per lo Stato, di far agire
il principio di sussidiarietà attraendo e regolando funzioni amministrative. Il
parallelismo invocato dalla ricorrente opera, pertanto, unicamente nell’ambito provinciale e con riferimento alle competenze statutarie, essendo superato
dall’applicabilità del principio di sussidiarietà per le competenze ulteriori.
251
18.1. Per i motivi appena illustrati devono essere respinte anche tutte le censure che la Provincia di Bolzano prospetta, sempre sul parametro dell’art. 4,
comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, con argomentazioni analoghe e che hanno ad oggetto gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e
7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; e 15, i quali prevedono procedimenti di
approvazione che comportano l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano l’accertamento della compatibilità ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazione, approvazione e parere.
19. La Provincia autonoma di Bolzano impugna l’art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, i
quali, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e trasporti la promozione
dell’attività di progettazione, direzione ed esecuzione delle infrastrutture e il
potere di assegnare le risorse integrative necessarie alle attività progettuali,
violerebbero l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l’art. 4
del decreto legislativo n. 266 del 1992. Quest’ultimo, nel terzo comma, prevede che «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative
norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della Provincia, le
amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo
Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del territorio regionale
o provinciale”. Tale disposizione, secondo la ricorrente imporrebbe la diretta
assegnazione dei fondi alle Province autonome di Trento e Bolzano e non ai
soggetti aggiudicatori.
Il motivo di ricorso va respinto per ragioni analoghe a quelle poc’anzi esposte,
giacché alle Province autonome non spetta in materia alcuna competenza statutaria, se non con riguardo alle opere di interesse provinciale. Non si applicano dunque i parametri che la ricorrente invoca.
20. Le Regioni Toscana e Marche impugnano l’art. 2, comma 5, il quale prevede che per la nomina di commissari straordinari incaricati di seguire l’andamento delle opere aventi carattere interregionale o internazionale debbano
essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate. Le ricorrenti lamentano
la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione,
che, a loro giudizio, imporrebbe il coinvolgimento della Regione nella forma
dell’intesa.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata, infatti, prevede una forma di vigilanza sull’esercizio di funzioni che, in quanto assunte per sussidiarietà, sono qualificabili
come statali, e non vi è alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa
desumersi che il livello di collaborazione regionale debba consistere in una
vera e propria intesa, anziché, come è previsto per le opere interregionali e
internazionali, nella audizione dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome in sede di nomina del commissario straordinario.
252
21. Le Regioni Toscana e Marche impugnano l’art. 2, comma 7, nella parte in
cui consente al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
delle infrastrutture e trasporti, sentiti, per le infrastrutture di competenza dei
soggetti aggiudicatori regionali, i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, di abilitare i Commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori
della normativa vigente e con le modalità e i poteri di cui all’art. 13 del decretolegge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni nella legge 23 maggio 1997, n. 135, i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla
sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti competenti. Se
ne denuncia il contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione.
Va innanzitutto premesso che le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatori regionali sono quelle in relazione alle quali, nelle intese previste
dal comma 1 dell’art.1 del decreto legislativo n. 190, si è riconosciuto che
l’interesse regionale concorre con un interesse statale preminente ed è proprio
questo riconoscimento a giustificare l’esercizio della funzione amministrativa
da parte dello Stato. Ad evitare che le esigenze unitarie sottostanti alla realizzazione di tali opere possano restare insoddisfatte a causa dell’inerzia del soggetto aggiudicatore regionale, allo Stato sono conferiti poteri sollecitatori che
peraltro devono essere esercitati seguendo un percorso procedimentale che
non priva Regioni e Province autonome delle garanzie connesse alla titolarità
di un interesse concorrente con quello statale. E’ infatti previsto che i commissari straordinari agiscano con le modalità e i poteri di cui al citato art. 13
del decreto-legge n. 67 del 1997, e il comma 4 di tale articolo, che deve essere
ritenuto applicabile alla fattispecie, attribuisce al Presidente della Regione (e,
in questo caso, per opere ricadenti nell’ambito della Provincia autonoma, al
Presidente della Provincia) il potere di sospendere i provvedimenti adottati dal
commissario straordinario e anche di provvedere diversamente, entro 15 giorni dalla loro comunicazione.
In questi termini, la censura è da respingere.
Non può essere condivisa neppure la prospettazione della Regione Toscana,
secondo la quale alle ipotesi di inerzia regionale dovrebbe ovviarsi ai sensi
dell’art. 120 Cost., per la cui applicazione mancherebbero, nella specie, i presupposti. Occorre qui tenere ben distinte le funzioni amministrative che lo
Stato, per ragioni di sussidiarietà e adeguatezza, può assumere e al tempo
stesso organizzare e regolare con legge, dalle funzioni che spettano alle Regioni e per le quali lo Stato, non ricorrendo i presupposti per la loro assunzione in
sussidiarietà, eserciti poteri in via sostitutiva. Nel primo caso, quando si applichi il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., quelle stesse esigenze
unitarie che giustificano l’attrazione della funzione amministrativa per sussidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri acceleratori da
esercitare nei confronti degli organi della Regione che restino inerti. In breve,
la già avvenuta assunzione di una funzione amministrativa in via sussidiaria
legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere l’inerzia regionale. Nella
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fattispecie di cui all’art. 120 Cost., invece, l’inerzia della Regione è il presupposto che legittima la sostituzione statale nell’esercizio di una competenza che
è e resta propria dell’ente sostituito.
La questione non merita accoglimento.
22. Le Regioni ricorrenti censurano nella sua interezza l’art. 3, che disciplina
la procedura di approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le
procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e localizzazione, denunciandone il contrasto con l’art. 117 Cost., giacché detterebbe una disciplina di
minuto dettaglio in relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale
in materia di governo del territorio.
In una prima ipotesi [art. 3, comma 6, lettera a)] il dissenso può essere manifestato sul progetto preliminare di un’opera che, in virtù di un’intesa fra lo Stato
e la Regione o Provincia autonoma, è stata qualificata di carattere interregionale o internazionale. In questo caso il progetto preliminare è sottoposto al
consiglio superiore dei lavori pubblici, alla cui attività istruttoria partecipano i
rappresentanti delle Regioni. A tale fine il consiglio valuta i motivi del dissenso
e la eventuale proposta alternativa che, nel rispetto della funzionalità dell’opera, la Regione o Provincia autonoma dissenziente avessero formulato all’atto
del dissenso. Il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici è rimesso al
CIPE che, in forza dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 190, applicabile nella specie, è integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome
interessate. Se il dissenso regionale perdura anche in sede CIPE, il progetto
è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione
del Consiglio dei ministri, sentita la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Va in primo luogo rilevato che non si tratta qui di approvazione
del progetto definitivo, ma solo di quello preliminare, e che le opere coinvolte
non sono qualificate di carattere regionale. Risponde quindi allo statuto del
principio di sussidiarietà e all’istanza unitaria che lo sorregge, che possano
essere definite procedure di superamento del dissenso regionale, le quali dovranno comunque – come avviene nella specie – informarsi al principio di leale
collaborazione, onde offrire alle Regioni la possibilità di rappresentare il loro
punto di vista e di motivare la loro valutazione negativa sul progetto. Nessuna censura, in definitiva, può essere rivolta alla disciplina legislativa, salva la
possibilità per la Regione dissenziente di impugnare la determinazione finale
resa con decreto del Presidente della Repubblica ove essa leda il principio di
leale collaborazione, sul quale deve essere modellato l’intero procedimento.
La censura è inammissibile, in quanto formulata in termini generici, senza
specificare quali parti della disposizione censurata eccederebbero la potestà
regolativa che pure non si disconosce allo Stato in materia.
23. L’art. 3, comma 5, il quale affida al CIPE l’approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’intesa sulla localizzazione dell’opera, ma prevedendo che il medesimo progetto
non sia sottoposto a conferenza di servizi, secondo la Regione Toscana sarebbe
in contrasto con l’art. 76 Cost., poiché non sarebbe conforme all’art. 1, comma
2, lettera d), della legge n. 443 del 2001, il quale autorizzava solo a modificare
la disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla.
La censura non è fondata.
Il Governo, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera d), era delegato a riformare le
procedure per la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata
ambientale, nell’osservanza di un principio-criterio direttivo molto circostanziato e così formulato: modificazione della disciplina in materia di conferenza
di servizi con la previsione della facoltà, da parte di tutte le amministrazioni
competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni comunque denominati, di
proporre, in detta conferenza, nel termine perentorio di novanta giorni, prescrizioni e varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere. Tale criterio, diversamente da quanto assume
la ricorrente, era dettato con riferimento all’approvazione del progetto definitivo, non già di quello preliminare. Attuativo della lettera d), dunque, non è l’art.
3, comma 5, bensì l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 190, relativo
all’approvazione del progetto definitivo, che in effetti prevede la conferenza di
servizi e risulta pertanto, sotto il profilo denunciato, conforme alla delega.
24. Le Regioni ricorrenti denunciano i commi 6 e 9 dell’art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa procedere comunque all’approvazione del progetto
preliminare relativo alle infrastrutture di carattere interregionale e internazionale superando il motivato dissenso delle Regioni, violerebbero gli artt. 114,
commi primo e secondo; 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero relegate in
posizione di destinatarie passive di provvedimenti assunti a livello statale in
materie che sono riconducibili alla potestà legislativa concorrente.
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Le procedure di superamento del dissenso regionale sono diversificate.
Nella seconda ipotesi [art. 3, comma 6, lettera b)] il dissenso si manifesta sul
progetto preliminare relativo a infrastrutture strategiche classificate nell’intesa fra Stato e Regione come di preminente interesse nazionale o ad opere nelle
quali il preminente interesse statale concorre con quello regionale. Il procedimento di superamento del dissenso delle Regioni è diversamente articolato: si
provvede in questi casi a mezzo di un collegio tecnico costituito d’intesa fra il
Ministero e la Regione interessata a una nuova valutazione del progetto preliminare. Ove permanga il dissenso, il Ministro delle infrastrutture e trasporti
propone al CIPE, sempre d’intesa con la Regione, la sospensione dell’infrastruttura, in attesa di una nuova valutazione in sede di aggiornamento del
programma oppure «l’avvio della procedura prevista in caso di dissenso sulle
infrastrutture o insediamenti produttivi di carattere interregionale o internazionale». Il tenore letterale della disposizione porta a concludere che la necessità dell’intesa con la Regione si riferisca non solo alla proposta di sospensione
del procedimento, ma anche alla proposta di avvio della procedura di cui alla
lettera a) dell’articolo in esame. Si consentirebbe insomma alla Regione, nel
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caso di opere di interesse regionale concorrente con quello statale, di “bloccare” l’approvazione del progetto ad esse relativo, in attesa di una nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma.
In questi termini, il motivo di ricorso in esame deve essere rigettato.
24.1. Per le ragioni appena esposte anche le censure relative agli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell’art. 3, comma 6, fanno espresso
rinvio, devono essere respinte, così come deve essere rigettata la censura rivolta dalle Regioni Toscana e Marche nei confronti dell’art. 13, che disciplina
le procedure per la localizzazione, l’approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture private strategiche per l’approvvigionamento energetico, richiamando le procedure previste negli artt. 3 e 4 del
decreto.
25. Devono essere dichiarate inammissibili le censure che le Regioni Toscana
e Marche svolgono nei confronti degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che, in relazione alle infrastrutture e agli insediamenti produttivi qualificati come strategici, contengono un complesso insieme di innovazioni in materia di appalti e di
concessioni di lavori pubblici. Se ne denuncia il contrasto con l’art. 117 Cost.
Ancor prima di esaminare nel merito la censura, che procede peraltro dalla
erronea premessa che i lavori pubblici costituiscano una materia di esclusiva
competenza regionale, si deve rilevare che essa è formulata in termini così
generici da non consentire un corretto scrutinio di legittimità costituzionale
sulle singole disposizioni. Nella congerie di norme contenute negli articoli impugnati, fatte simultaneamente e indistintamente oggetto di censura, discernere o selezionare i profili di competenza statale potenzialmente interferenti
con la disciplina regionale non è onere che possa essere addossato alla Corte,
ma attiene al dovere di allegazione del ricorrente. Vero in ipotesi che sussistano profili di disciplina inerenti a competenze residuali, è infatti indubitabile
la potenziale interferenza con esse di funzioni e compiti statali riconducibili
alla potestà legislativa esclusiva o concorrente, quali la tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, la tutela della concorrenza, il governo del territorio.
26. L’art. 4, comma 5, è impugnato dalla Regione Toscana per la parte in cui
prevede che l’approvazione del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il CIPE, «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l’esercizio di tutte le opere,
prestazioni e attività previste nel progetto approvato». La ricorrente lamenta la
violazione dell’art. 76 della Costituzione, per il contrasto con l’art. 1, comma
3-bis, della legge di delega n. 443 del 2001, come modificata dalla legge n.
166 del 2002, il quale porrebbe quale momento indefettibile del procedimento
di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della Conferenza
unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
A prescindere dal rilievo che l’art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001,
introdotto dalla legge n. 166 del 2002, non figura espressamente tra i criteri
e principi direttivi per l’esercizio della delega, e che è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con la presente pronuncia (v. § 8), deve osservarsi che
l’art. 4, comma 5, costituisce attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma
2, lettera c), della citata legge n. 443 del 2001, come modificato dall’art. 13,
comma 6, della legge n. 166 del 2002, del quale si è in precedenza escluso il
dedotto profilo di lesione delle competenze regionali (punto 6.2.). Il suindicato
criterio prevedeva infatti che venisse affidata al CIPE, integrato dai Presidenti
delle Regioni o Province autonome interessate, l’approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo. E che l’operatività della disposizione impugnata
presupponga che l’approvazione del progetto definitivo sia effettuata dal CIPE
in composizione allargata si ricava dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto
legislativo n. 190, il quale chiarisce che «l’approvazione dei progetti delle infrastrutture» (quindi del progetto preliminare come di quello definitivo) «avviene
d’intesa tra lo Stato e le Regioni nell’ambito del CIPE allargato ai presidenti
delle regioni e delle province autonome interessate».
27. La Regione Toscana ha impugnato l’art. 8, nella parte in cui prevede che il
Ministero delle infrastrutture e trasporti pubblichi sul proprio sito informatico
e, una volta istituito, sul sito informatico individuato dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’art. 24 della legge 24 novembre 2000, n. 340,
nonché nelle Gazzette Ufficiali italiana e comunitaria, la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione
di proposte da parte di promotori, precisando, per ciascuna infrastruttura, il
termine (non inferiore a 4 mesi) entro il quale i promotori possono presentare
le proposte e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di
VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica.
La ricorrente lo censura per eccesso di delega, in quanto esso non chiarirebbe
se le infrastrutture inserite nella lista per sollecitare le proposte dei promotori
siano da individuare tra quelle già ricomprese nel programma di opere strategiche formato d’intesa con le Regioni ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge
di delega n. 443 del 2001 o se al contrario si debba consentire la presentazione
di proposte dei promotori anche per opere non facenti parte del programma, e
sulle quali nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate.
L’interpretazione più piana e lineare della disposizione censurata è che debba
trattarsi delle opere inserite nel programma di cui al comma 1, e sulle quali si
sia raggiunta l’intesa. Non è quindi fondata la censura di violazione dell’art.
76 Cost. e neppure sussiste la violazione dell’art. 117, poiché il principio di
sussidiarietà, come si è visto nel paragrafo 2.1, postula che allo Stato, una
volta assunta la funzione amministrativa, competa anche di regolarla onde
renderne l’esercizio raffrontabile a un parametro legale unitario.
La censura è infondata.
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257
28. Le Regioni Toscana, Marche e la Provincia autonoma di Bolzano, propongono questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, sesto
comma, Cost., anche dell’art. 15 del decreto legislativo n. 190.
La questione è fondata.
Il comma 1 di tale articolo attribuisce al Governo la potestà di integrare tutti
i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, «assumendo come
norme regolatrici il presente decreto legislativo, la legge di delega e le normative comunitarie in materia di appalti di lavori» e stabilisce che le norme regolamentari si applichino alle Regioni solo «limitatamente alle procedure di intesa
per l’approvazione dei progetti e di aggiudicazione delle infrastrutture» e, per
quanto non pertinente a queste procedure, si applichino a titolo suppletivo,
«sino alla entrata in vigore di diversa normativa regionale». Il comma 2 del
predetto articolo autorizza i regolamenti emanati nell’esercizio della potestà di
cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme
di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia; il comma 3 puntualizza gli oggetti del regolamento autorizzato; il comma 4 stabilisce che, fino
alla entrata in vigore dei regolamenti integrativi di cui al comma 1, si applica
il d.P.R. n. 554 del 1999 in materia di lavori pubblici adottato dallo Stato ai
sensi dell’art. 3 della legge n. 109 del 1994, in quanto compatibile con le norme della legge di delega e del decreto legislativo n. 190; e prosegue disponendo
che i requisiti di qualificazione sono individuati e regolati dal bando e dagli
atti di gara, nel rispetto delle previsioni del decreto legislativo n. 158 del 1995.
Dalle argomentazioni che sostengono il motivo di ricorso si evince che esso
investe i primi quattro commi dell’art. 15, che riguardano appunto i regolamenti governativi autorizzati; ne è escluso invece il comma 5, che ha un oggetto diverso ed affatto autonomo, poiché concerne l’attività di monitoraggio
tesa a prevenire e reprimere tentativi di infiltrazione mafiosa. Così accertata la
portata delle censure, esse devono essere accolte, per le ragioni che sono state
già esposte nel precedente paragrafo 7, dove si sono illustrati i motivi della
pronuncia di accoglimento della questione riguardante l’art. 1, comma 3, della
legge n. 443 del 2001, di cui l’impugnato art. 15 è attuativo.
29. Con un’unica, laconica censura la Regione Toscana impugna, con richiamo agli stessi motivi già svolti, l’art. 16, il quale contiene una pluralità di
norme transitorie, diverse a seconda dello stadio di realizzazione dell’opera al
momento di entrata in vigore del decreto legislativo n. 190. La regolamentazione è infatti differenziata a seconda che sia stato approvato il progetto definitivo
o esecutivo (comma 1); abbia avuto luogo la valutazione di impatto ambientale
sulla base di norme vigenti statali o regionali (comma 2); non si sia svolta alcuna attività e si versi in fase di prima applicazione della disciplina (comma
3); o ancora si tratti di procedimenti relativi agli insediamenti produttivi e alle
infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico in corso (comma 7, che regola anche il regime degli atti già compiuti). Ciascuna di queste
ipotesi è assoggettata a una disciplina particolare e pertanto non è possibile
258
indirizzare nei loro confronti una censura unitaria fondata su un solo motivo,
per di più argomentato per relationem con riferimento ai “motivi sopra esposti”, alcuni dei quali, a loro volta, vengono dichiarati inammissibili per genericità con la presente pronuncia.
La censura è pertanto inammissibile per la sua genericità.
30. Le Regioni Marche e Toscana denunciano, in riferimento all’art. 117 Cost.,
gli artt. 17, 18, 19 e 20 nella parte in cui dettano una disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale di opere e infrastrutture che derogherebbe a quella regionale, cui dovrebbe riconoscersi la competenza a regolare
gli strumenti attuativi della tutela dell’ambiente.
La censura non merita accoglimento.
Le ricorrenti muovono dalla premessa che la valutazione di impatto ambientale regolata dalle disposizioni censurate trovi applicazione anche nei confronti
delle opere di esclusivo interesse regionale, ma così non è, poiché la sfera di
applicazione del decreto legislativo n. 190 è limitata alle opere che, con intesa
fra lo Stato e la Regione, vengono qualificate come di preminente interesse
nazionale, con il quale concorre un interesse regionale.
Per le infrastrutture ed insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, invece, non vi è ragione di negare allo Stato l’esercizio della sua competenza, tanto più che la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema forma oggetto di
una potestà esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), che è
bensì interferente con una molteplicità di attribuzioni regionali, come questa
Corte ha riconosciuto nelle sentenze n. 536 e n. 407 del 2002, ma che non
può essere ristretta al punto di conferire alle Regioni, anziché allo Stato, ogni
determinazione al riguardo.
Quando sia riconosciuto in sede di intesa un concorrente interesse regionale,
la Regione può esprimere il suo punto di vista e compiere una sua previa valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell’art. 17, comma 4, ma il provvedimento di compatibilità ambientale è adottato dal CIPE, il quale, secondo una
retta interpretazione, conforme ai criteri della delega [art. 1, comma 2, lettera
c), della legge n. 443 del 2001, come sostituito dalla legge n. 166 del 2002],
deve essere integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate. L’insieme di queste previsioni appresta garanzie adeguate a tutelare
le interferenti competenze regionali.
31. Oggetto di censura è pure l’art. 19, comma 2, il quale demanda la valutazione di impatto ambientale a una Commissione speciale istituita con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente. Le Regioni Toscana e Marche lamentano una lesione degli artt. 9, 32, 117
e 118 Cost. per la mancata previsione di una partecipazione regionale in tale
Commissione.
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Premesso che la disposizione deve essere interpretata nel senso che la Commissione speciale opera con riferimento alle sole opere qualificate in sede di intesa come di interesse nazionale, interregionale o internazionale, essa è invece
illegittima nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi
strategici per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente
interesse regionale, non prevede che la Commissione speciale VIA sia integrata da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate.
34. Gli interventi spiegati dalle società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom
Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a. e quelli proposti, peraltro tardivamente, dai Comuni di
Pontecurone, Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del
Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS), devono essere
dichiarati inammissibili, per le stesse ragioni esposte nel paragrafo 3.2 della
presente sentenza.
32. Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via
principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114,
117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità
europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma
dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e in particolare
degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
35. L’intero decreto legislativo n. 198 del 2002 è impugnato in tutti i ricorsi per
eccesso di delega, sul rilievo che la legge n. 443 del 2002, nell’art. 1, comma
1, autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture
puntualmente individuate anno per anno, a mezzo di un programma approvato dal CIPE, mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione,
ma esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle
comunicazioni». Inoltre, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna
e Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi opere”, mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che
il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicità
di piccole opere; infine - si lamenta nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia - lungi dall’uniformarsi ai principî e criteri direttivi della
delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe a sé medesimo i principî che
informano le disposizioni successive.
33. Avverso il medesimo decreto legislativo ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche
il Comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad
impugnare discenda dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della
Costituzione ha attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e
normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità costituzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.
A prescindere dalla qualificazione dell’atto e dal problema se con esso il Comune abbia sollevato una questione di legittimità costituzionale o abbia introdotto un conflitto di attribuzione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’art. 127 Cost. prevede che «La Regione, quando ritenga che una legge o un
atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di
competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi
alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge
o dell’atto avente valore di legge». Con formulazione dal tenore inequivoco, la
titolarità del potere di impugnazione di leggi statali è dunque affidata in via
esclusiva alla Regione, né è sufficiente l’argomento sistematico invocato dal
ricorrente per estendere tale potere in via interpretativa ai diversi enti territoriali.
Analogo discorso deve ripetersi per il potere di proporre ricorso per conflitto di
attribuzione. Nessun elemento letterale o sistematico consente infatti di superare la limitazione soggettiva che si ricava dagli art. 134 della Costituzione e
39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e, comunque, sotto il profilo oggettivo, resta ferma, anche dopo la revisione costituzionale del 2001, la
diversità fra i giudizi in via di azione sulle leggi e i conflitti di attribuzione fra
Stato e Regioni, i quali ultimi non possono riguardare atti legislativi.
260
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio promosso in via principale il vizio di eccesso di delega può essere addotto solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione
delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti
(sentenze n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996).
Nella specie non può negarsi che la disciplina delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche, che si assume in contrasto con la legge di delega n.
443 del 2001, comprima le attribuzioni regionali sotto più profili. Il più evidente tra essi emerge dalla lettura dell’art. 3, comma 2, secondo il quale tali
infrastrutture sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono
realizzabili in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti
urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento. In questi casi
la Regione è legittimata a far valere le proprie attribuzioni anche allegando il
vizio formale di eccesso di delega del decreto legislativo nel quale tale disciplina è contenuta.
Nella specie l’eccesso di delega è evidente, a nulla rilevando, in questo giudizio, la sopravvenuta entrata in vigore del decreto legislativo 1° agosto 2003, n.
259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, che riguarda in parte
la stessa materia.
L’art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001, che figura nel titolo del decreto
legislativo impugnato ed è richiamata nel preambolo, ha conferito al Governo
il potere di individuare infrastrutture pubbliche e private e insediamenti pro261
duttivi strategici di interesse nazionale a mezzo di un programma formulato
su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate ovvero su
proposta delle Regioni sentiti i Ministri competenti. I criteri della delega, contenuti nell’art. 2, confermano che i decreti legislativi dovevano essere intesi a
definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati a mezzo di un programma.
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 2, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n) e o), della legge 21
dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119
della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della
Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
Di tale programma non vi è alcuna menzione nel decreto impugnato, il quale
al contrario prevede che i soggetti interessati alla installazione delle infrastrutture sono abilitati ad agire in assenza di un atto che identifichi previamente,
con il concorso regionale, le opere da realizzare e sulla scorta di un mero piano di investimenti delle diverse società concessionarie. Ogni considerazione
sulla rilevanza degli interessi sottesi alla disciplina impugnata non può avere
ingresso in questa sede, posto che tale disciplina non corrisponde alla delega
conferita al Governo e non può essere considerata di questa attuativa.
7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1,
comma 2, lettera g), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria
ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
L’illegittimità dell’intero atto esime questa Corte dal soffermarsi sulle singole
disposizioni oggetto di ulteriori censure, che restano pertanto assorbite.
9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 2, lettera c), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito
dall’articolo 13, comma 5, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con
il ricorso indicato in epigrafe;
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, ultimo periodo, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di
infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il
rilancio delle attività produttive);
2) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3-bis, della medesima legge, introdotto dall’articolo 13, comma 6, della legge 1° agosto 2002,
n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti);
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
1, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli
articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento, con
il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001,
n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione
dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle
Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1,
comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo
13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli
articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
262
8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera n), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in
riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni
Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 4, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento
agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 5, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento
agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche, con il
ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
1, commi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana,
Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
13) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, introdotto dall’articolo
13, comma 4, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli
articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, commi 1 e 11, della legge 1° agosto 2002,
n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione,
dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
15) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 15, commi 1, 2, 3 e 4,
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicem263
bre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi strategici e di interesse nazionale);
16) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nella parte in cui, per le infrastrutture e
gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede
di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione
speciale per la valutazione di impatto ambientale (VIA) sia integrata da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate;
17) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 13 e 15 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate,
in riferimento agli articoli 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e agli articoli
8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo
comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, agli articoli
19, 20 e 21 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 e all’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso
indicato in epigrafe;
18) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 agosto
2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e all’articolo
2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di
Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
19) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 20
agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 8, primo comma,
numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri
8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il
ricorso indicato in epigrafe;
20) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con
i ricorsi indicati in epigrafe;
21) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
1, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate,
in riferimento agli articoli 76, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, in riferimento agli articoli 117, commi terzo
quarto e sesto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, in riferimento
agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e
24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670,
e agli articoli 19 e 20 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con i ricorsi indicati in epigrafe;
to legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117
e 118 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3, e agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18,
19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992,
n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
23) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
2, commi 2, 3, 4 e 5, sollevate, in riferimento agli articoli 8, primo comma,
numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri
8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 3, del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
24) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
2, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
25) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
2, comma 7, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana, e,
in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
26) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo
3 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli
articoli 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
27) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
3, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, in relazione all’articolo 1, comma 2,
lettera d), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dalla Regione Toscana, con il
ricorso indicato in epigrafe;
28) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 6 e 9, del decreto legislativo 20
agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo
e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo,
della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
29) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 5, e 13 del decreto legislativo 20
agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo
e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo,
della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
22) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, e 9; e 13, commi 5 e 15, del decre264
265
30) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana
e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
31) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
4, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso
indicato in epigrafe;
32) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
8 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli
articoli 76 e 117 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
33) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento
agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso
indicato in epigrafe;
34) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli
17, 18, 19, commi 1 e 3, e 20 del decreto legislativo 19 agosto 2002, n. 190,
sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
35) dichiara la illegittimità costituzionale del decreto legislativo 4 settembre
2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del
Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443);
36) dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Comune di Vercelli “per sollevare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione” avverso il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria l’1 ottobre 2003.
(Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria - giugno 2014)
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