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II domenica di Quaresima
Lc 9,28-36
Appena la voce cessò, restò Gesù solo
E
ra stata una settimana difficile quella. Gesù aveva cominciato
a far intravedere ai dodici il senso della sua missione e il senso
della loro sequela. Aveva insistito: “Se qualcuno vuol venire dietro di
me, rinneghi se stesso e prenda ogni giorno la sua croce e mi segua”. Ma
loro recalcitravano, sempre preoccupati di non stravolgere troppo
la propria vita e di non dare eccessivo credito a quel Rabbi troppo
esigente. C’era stata la moltiplicazione dei pani e loro non avevano
fatto una bella figura in quanto a solidarietà con la folla affamata.
Forse Gesù era stato deluso di questa loro insensibilità e aveva scelto
di ritirarsi in preghiera. Pregando aveva ripreso coraggio e fiducia e
aveva continuato a ripetere che a Gerusalemme non andavano per
mostrarsi pii ebrei diligenti e osservanti, ma per tentare di rivoluzionare il modo di vivere e di intendere il culto a Yhwh, le prescrizioni
della Torah e il comandamento di “amare il prossimo come se stessi”.
A loro quelle parole erano risultate amare e improponibili. Di
esse avevano notato solo l’aspetto doloroso e distruttivo. Eppure
erano parole impregnate di speranza quelle dette da Gesù: “Il Figlio
dell’uomo deve patire, essere riprovato e ucciso sì, ma anche resuscitare
il terzo giorno”.(Lc 9,22). Nessuno di loro aveva notato il nesso che
si poteva intravedere tra i patimenti e la resurrezione, tra la morte
e la vita, tra la disperazione e la speranza. Nessuno era riuscito a
cogliere il meraviglioso annuncio fatto dal nazareno: la vera conclu126
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sione di quel cammino non erano né i patimenti né la morte, ma la
resurrezione. Lui li rassicurava che, se anche la perfidia e l’arretratezza mentale dei suoi assassini sarebbero riuscite a distruggere il
suo corpo, non avrebbero però potuto fare nulla per impedire che il
progetto di Dio si manifestasse in tutta la sua potenza e in tutta la
sua eccezionalità.
Gesù intuisce che deve dare un segno di sé a questi suoi smarriti
discepoli. Un segno nitido e forte che manifesti inequivocabilmente
chi è veramente il loro Maestro e quali avvenimenti inevitabili e
ineluttabili egli sta per affrontare nell’immediato futuro. Per questo
“prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare”.
Sentiva urgente il bisogno di impregnare di silenzio e di intimità
con il Padre quell’ora della sua vita, gravata dal peso e dalla fatica
di quella quotidiana lotta contro le piccinerie dei suoi dodici. I loro
orizzonti erano così limitati… A loro non interessava assolutamente
il discorso della resurrezione. A loro stava a cuore solo non evitare
con tutte le forze la prospettiva di “di patire e di morire”.
Ed ecco che “mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua
veste divenne candida e sfolgorante”. La gloria di Dio può finalmente
apparire in tutta la sua maestosità e la sua bellezza e la presenza di
Dio si impone sfolgorante come essa sola sa fare. Si rinnova l’esperienza del Sinai, ci si riempie gli occhi di una luce splendente, c’è un
nuovo roveto ardente, che sprigiona l’energia di Dio, la sua misericordia e la sua potenza. In questo nuovo monte Dio non si manifesta più solo nella voce che “esce dalla nube e che afferma: «Questi
è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!»”, ma anche nella carne di Gesù,
nella sua identità storica che si trasforma,, si trasfigura, riemergendo
mutata e divinizzata.
Dopo il Sinai Mosè aveva incontrato, in Egitto, la comunità
schiava degli ebrei forte della rassicurazione che “Io sono” gli aveva
dato e non aveva fallito nel suo impegno di riuscire a “smuovere”
quel popolo oppresso e soggiogato, inducendolo a lasciare senza
rimpianti “le cipolle d’Egitto” e a mettersi gioiosamente in cammino
verso la terra “dove scorre latte e miele”. Su questo nuovo monte viene
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quel giorno riproposta una nuova alleanza tra Dio e l’uomo. È un
progetto che parte da Dio, ma che è reso possibile e attuabile perché
Gesù ha accettato di esserne il testimone e il realizzatore. È Lui il
nuovo liberatore che scioglierà le catene del peccato e della colpa e
renderà la libertà a chi geme senza più attendere e sperare.
Su questo monte c’è qualcuno più grande di Mosè, c’è Gesù di
Nazareth, figlio dell’uomo e figlio di Dio. Lui ha già fatto la sua
scelta, rassicurato dal fatto che Mosè ed Elia, cioè la Legge e i Profeti
“parlavano di lui” e “parlavano del suo esodo, che stava per compiersi
a Gerusalemme”. Sapeva da sempre che questo era il suo destino di
uomo e di uomo di Dio. Non poteva scappare, né, d’altra parte, ci
pensava minimamente. Sperava solo che anche i suoi dodici e tutti
i discepoli futuri fossero messi in grado di capire la verità dell’esodo
a cui tutti siamo chiamati. “Pietro e i suoi compagni- però- erano
oppressi dal sonno”. Strano. Forse non erano interessati a ciò che avveniva sul monte o forse il fresco della sommità li aveva indotti a riposarsi un po’ dalle fatica dei piccoli esodi che Gesù quotidianamente
proponeva loro.
Persino quando si svegliano non sembrano comprendere molto e,
come al solito, preferiscono pensare al loro piccolo benessere piuttosto che allo splendore della trasfigurazione. “Pietro disse: «Maestro, è
bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè
e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva”. Quante volte anche
noi discepoli del trasfigurato parliamo a vanvera e ci convinciamo
che con le parole e i proclami riusciremo a convertire il mondo. Ma
gli slogan, lo sappiamo, non servono mai a nulla. E allora non ci
rimane che “tacere” e metterci di lena a fare il nostro piccolo, ma
quotidiano “esodo”.
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Il Vangelo secondo
Khaled Ahdehvahhah
e altri mussulmani
A
Madia in Tunisia, questo mussulmano una notte portò in salvo
e nascose nella sua casa di campagna fino all’arrivo delle truppe
alleate la famiglia dell’amico ebreo Jacoh Boukris, essendo venuto a
sapere che i soldati tedeschi avevano messo gli occhi sulle donne di
casa. Una storia che è oggi all’attenzione dello Yad Vashem e potrebbe
aprire la strada al primo storico riconoscimento di un Giusto tra le
nazioni arabo. Ma ci sono altre storie. Ad esempio c’è anche quella
di Si Ali Sakkat, sindaco di Tunisi, che aprì le porte della sua villa
a sessanta prigionieri ebrei fuggiti da un vicino campo di lavoro.
Una vicenda riportata negli anni Cinquanta in due libri di memorie
della comunità ebraica tunisina, ma poi dimenticata da tutti perchè
«politicamente scorretta» per gli arabi e per gli ebrei. L’imam Si Kaddoui- Benghahrit nascosenegli scantinati numerosi ebrei maghrebini
e fornì loro certificati falsi attestanti un’identità musulmana. Satloff
nelle pagine finali del libro si chiede: “Se davvero degli arabi hanno
salvato degli ebrei, non è questa una risposta positiva costruttiva agli
arabi che negano l’Olocausto? “. Purtroppo ci sono due principali
ragioni per cui nessun arabo e stato mai incluso nella lista dei Giusti:
la prima è che molti arabi (o i loro eredi) non hanno voluto finirci;
la seconda e che gli ebrei non li hanno cercati.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno;
ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria
Anche noi,
come Pietro, Giacomo e Giovanni,
a volte siamo oppressi dal sonno:
l’indolenza di chi non vede come e perché impegnarsi,
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l’apparente inutilità di un passo ulteriore,
una nebbia avvilente che impedisce
di vedere i colori di un possibile futuro.
La verità, Signore, è che
è più comodo dormire
che impegnarsi nella costruzione del tuo Regno,
mettendoci a disposizione degli altri
anche quando non ne abbiamo voglia
o crediamo di avere di meglio da fare.
È più comodo dormire
che sostenere le richieste di capi o familiari,
specie quando non collimano con le nostre,
e ci spingono a mettere in campo
sacche di energia che avremmo riservato per noi.
È più comodo dormire
che ascoltare le voci e le ragioni altrui,
magari dovendo poi riconoscere
che il torto era dalla nostra parte.
Eppure tu ci ricordi
che è in gioco la nostra vita,
che stiamo perdendo
l’occasione meravigliosa che abbiamo.
Ci ricordi che questo è il momento buono
per vedere e cantare la tua gloria,
per apprezzare le gioie e gli incontri dell’esistenza,
per inserire un nostro ulteriore mattone
nella costruzione del mondo che vorremmo
e che tu, da sempre, vuoi.
Caro Maurizio,
rivederti dopo qualche anno più maturo alle superiori è stato proprio
bello. Hai continuato a spendere poche parole, ma i tuoi occhi e la
tua chitarra esprimono una grande profondità. Ti ho visto in tenera
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compagnia e ho l’impressione che lei sia stata la chiave della svolta.
So che ti hanno coinvolto anche in parrocchia e questa domenica ti
sei interrogato sull’episodio della trasfigurazione.
Mi rendo conto che per i più è un discorso molto strano ed
ambiguo. Il Vangelo non ci aiuta, perché butta lì alcuni particolari
quantomeno curiosi: i vestiti candidi, come passati in una lavatrice
col miglior detersivo in commercio; un volto che cambia d’aspetto,
come in un sogno notturno che accavalla le immagini inconsce; l’apparizione di personaggi defunti da tempo, come nei film horror con
contorno di spiriti e fantasmi. Poi la nebbia e una Voce misteriosa, a
rendere il tutto soprannaturale e sacro, innescando probabili paure
e timori reverenziali.
Davvero fu questo l’episodio vissuto dai tre Apostoli più vicini
a Gesù? Il linguaggio è quello tipico delle manifestazioni di Dio.
Come parlarne, allora, se non attraverso immagini forti e biblicamente significative, come la Voce e la Nube? Come far capire le difficoltà ad entrarci dentro, per uomini semplici come Pietro, Giacomo
e Giovanni, se non scrivendo che sono oppressi dal sonno, o che non
sanno più cosa dire e come dirlo?
A volte ci succede di essere confusi e interdetti. Poi, d’un tratto,
l’illuminazione: ci sembra tutto chiaro e risolvibile. Il futuro non fa
più paura, perché ci accorgiamo di avere le carte in mano per superare gli ostacoli e farne qualcosa di buono. Questo può riguardare
un problema di matematica, un nuovo amore, l’ispirazione per una
canzone da scrivere o …la vita intera!
Così avvenne a Gesù sul monte Tabor. Durante la preghiera meditativa il suo volto s’illuminò e irruppe la certezza della gloria, sancita
dagli uomini che nella storia di Israele comunicarono maggiormente
con Dio: Mosè ed Elia. Gesù, secondo Luca, aveva già parlato della
sua croce e risurrezione. In quel momento ne anticipò la gioia e pure
gli Apostoli ne furono contagiati, tanto da volere fermare il tempo
per stare in questa certezza paradisiaca.
Potessi vedere anche tu in una sfera di cristallo il buon esito della
tua storia con Franca!
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Eppure, se ci pensi bene, se sai perderti nei suoi occhi innamorati,
se impari a far tesoro delle vostre qualità di generosità e di perdono,
potresti avere, in un attimo benedetto, la certezza di un futuro bellissimo; quello che ti fa volare tre metri sopra il cielo e può aiutarti
nei giorni bui a sconfiggere le difficoltà.
Come vedi, anch’io ho usato un’immagine – presa dal titolo di
un film – per descrivere una sensazione. Per questo non ti devono
stupire quelle usate dall’evangelista, né considerare strana quest’esperienza di Gesù. A volte – lo dice anche la Pausini – la primavera è in
anticipo. E, di conseguenza, la Pasqua.
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