No al cartello elettorale della sinistra, serve un progetto

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No al cartello elettorale della sinistra, serve un progetto
Organo ufficiale d’informazione della Federazione dei Verdi
Anno IV - n. 234  lunedì 15 dicembre 2008
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Il papa: basta fame nel mondo
Secondo la Fao sono 963 milioni i senza cibo: tra il 2005 e il 2007 sono diventati 115 milioni in più «I prezzi dei principali
cereali - si legge in un
rapporto dell’Onu sono calati di oltre il
50% rispetto al picco
raggiunto agli inizi del
2008, ma rimangono
più alti del 20% rispetto
all’ottobre 2006».
Sempre più lontano
l’obiettivo di dimezzare i
morti per fame
entro il 2015
 Cleto Romantini a pagina 2 
La beffa del carbone pulito
L’Ue stanzia sei miliardi di euro per un progetto di “sequestro” della CO2. C’è anche l’Italia
Diego Carmignani
La
“mal’aria”
del Belpaese
2
La satira
anti premier
3
L
a parola “pulito” associata al carbone stride
un po’, ma va sempre più di moda in Europa.
L’acronimo tecnico Ccs sta
per Carbon capture and
storage, vale a dire cattura
e stoccaggio geologico della CO2, soluzione utilizzata
per ridurre le emissioni delle
centrali alimentate a combustibile fossile, ma anche per
disporre di fonti energetiche
nel medio periodo, come
si è già pensato di fare in
Germania. I ventisette Stati
membri dell’Ue hanno stanziato sei miliardi di euro per
lo sviluppo della tecnologia e
anche l’Italia è convinta della
sua utilità. Tra le tre nostre
richieste, su quattro accolte
a Bruxelles, c’è anche quella, già avanzata dalla Gran
Bretagna, dei 12 impianti
dimostrativi per applicare il
Ccs, ottenendo l’aumento del
ricavato dai diritti di emissione da destinare ai progetti
sulla “cattura e stoccaggio” e
una distribuzione geografica
equa. Avere il carbone pulito
però è un’operazione lunga
(il 2020 l’anno in cui potrebbe essere disponibile) e poco
conveniente, essendo necessario il 30% d’energia in più,
L’Enel e l’Istituto nazionale di geofisica e
vulcanologia hanno individuato i siti: al
largo di Fusina, di Porto Tolle, di Brindisi
e di Civitavecchia, tutti in prossimità di
centrali alimentate a carbone
per catturare l’anidride carbonica e sotterrarla. Di queste lapalissiane contraddizioni, l’Italia, come il resto d’Europa, non sembra prendere
atto, anzi è già disponibile
una mappa dei siti individuati per attuare il processo di
Ccs. L’Enel e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia li hanno resi noti: al largo
di Fusina (provincia di Venezia), di Porto Tolle (Rovigo),
di Brindisi sull’Adriatico e di
Civitavecchia, sul Tirreno,
tutti in prossimità di centrali
Enel alimentate a carbone e
fornite di sistemi di filtraggio. Come spiegato dalla geologa dell’Ingv Fedora Quattrocchi, questi siti «sono tutti
caratterizzati dall’esistenza
di acquiferi salini profondi
da 800 a 3.000 metri: serbatoi di rocce carbonatiche o
silicatiche, molto porose e
fratturate, ricoperte da strati di argilla impermeabile,
spessi centinaia di metri, che
ne garantiscono la tenuta». A
Brindisi, l’anno prossimo, si
partirà con l’impianto pilota,
per sperimentare il processo
di separazione “post combustione” della CO2 dai fumi di
una piccola unità. L’anidride
carbonica non sarà sotterrata
in loco, ma trasportata con
autobotti a Cortemaggiore e
pompata in un pozzo esausto di metano di proprietà
dall’Eni. Nulla di verde, né di
redditizio in queste prospettive. Se i luoghi destinati allo
stoccaggio non rimarranno
a tenuta stagna, l’anidride
carbonica avvelenerà l’atmosfera, così come le autobotti,
che dovranno essere ad alto
isolamento termico, senza
considerare l’inquinamento
provocato dal loro incessante passaggio. A conti fatti,
qualunque piega prenderanno gli eventi, il futuro
delle località in questione si
preannuncia piuttosto grigio, in nome di una distorta
concezione dell’ecologia. Per
conoscere le altre innumerevoli controindicazioni in
merito, vi consigliamo un
giro sul blog dell’Aspo Italia,
Associazione italiana per il
picco del petrolio. 
Grazia Francescato: «No al cartello elettorale della sinistra,
serve un progetto»
Nel corso dell’assemblea “Per la sinistra, le
primarie delle idee” Grazia Francescato ha
bocciato l’idea di un mero cartello elettorale,
così come un “no” a una riedizione dell’Arcobaleno lo ha detto anche Claudio Fava (Sd).
«Per noi la cosa importante è che non sia
un cartello elettorale, una riedizione del 14
aprile», spiega Francescato, chiarendo: «Non
siamo interessati, se facciamo le cose sot-
to l’urto delle scadenze elettorali facciamo
una cosa transgenica. Questo è un processo lungo. Non ci interessa un copia e incolla e poi niente funziona; se c’è un progetto
politico lo prendiamo in considerazione».
Su posizioni molto simili anche Claudio Fava.
«Il cartello è una proposta riduttiva, anche
perché dietro non ci sono i tre soggetti: Ferrero, Diliberto e la Francescato hanno già detto
di non essere interessati. Di fronte al Paese
l’ipotesi di un cartello sarebbe ingiustificabile,
non lo capirebbero, non lo accetterebbero e
resteremmo inchiodati al risultato del 14 aprile. Non stiamo costruendo un circolo culturale, ma un luogo in cui le fazioni, la politica e i
cittadini elettori devono avere il coraggio delle
scelte, anche istituzionali. C’è bisogno - conclude Fava - di tempo».
Con il fiato
sospeso
Valerio Ceva Grimaldi
[email protected]
La piena del Tevere avvenuta
negli ultimi giorni è un evento
che ha certamente carattere
d’eccezionalità: erano decenni che a Roma non pioveva
tanto. Centinaia di migliaia di
persone sul web e in tv, altre
centinaia stipate nei pressi dei
ponti, hanno seguito con ansia l’evolversi della situazione.
Pur essendo arrivata a livelli
record, la tanto temuta ondata di piena non ha provocato danni ingenti. Eppure,
c’è qualcosa di inquietante
e misterioso che si cela dietro a una dimostrazione così
plastica di forza della natura.
Qualcosa anche di molto pericoloso. I fenomeni meteorologici che si abbattono su
una natura piegata, violentata, distrutta dalle attività
umane, dalla speculazione
edilizia, dall’urbanizzazione
selvaggia, dalla canalizzazione forzosa dei corsi d’acqua
fatta con il cemento e non con
interventi rispettosi dell’equilibrio idrogeologico, dagli
incendi dolosi, possono rivelarsi estremamente dannosi,
se non addirittura letali. Una
natura siffatta diventa anche
più vulnerabile. E questo accade solo ed esclusivamente
per colpa dell’uomo. Secondo
un recente rapporto dell’Apat
le vittime delle frane negli
ultimi cinquant’anni sono
state 2.552, più di 4 al mese.
Tutto questo accade perché
nel nostro Paese si preferisce troppo spesso orientare
le politiche di manutenzione
del territorio solo su interventi tampone che a nulla
servono se non addirittura, a
volte, a peggiorare la situazione. Nelle nostre città e nelle
nostre periferie si continuano
a tagliare alberi, a produrre
colate di cemento, ad ampliare i centri urbani senza che si
valuti ex ante la ricaduta sul
territorio dell’aumento della
pressione urbanistica, che
diventa vero e proprio accanimento criminale con le dissennate politiche di condoni
edilizi. Il 5 maggio 1998 un
fiume di fango non avrebbe
ucciso oltre cento persone a
Sarno, Quindici e Bracigliano
se lì si fosse costruito con un
minimo di criterio; il 30 aprile 2006 un’intera famiglia non
sarebbe stata uccisa a Ischia
dalla frana di un costone se
qualcuno avesse impedito di
edificare la casa, poi colpita,
in un luogo così pericoloso.
Sono alcuni esempi di tragedie che si sarebbero potute
evitare se solo si fosse cominciato a ricorrere, invece
di annunciare infrastrutture
mirabolanti, alla prima, vera
opera pubblica di cui il nostro
Paese ha bisogno: un’accorta
manutenzione del territorio e
una rigorosa tutela dell’equilibrio idrogeologico.
La piena del Tevere, nella sua
potenza stavolta per fortuna
poco dannosa, deve rappresentare per tutti un monito:
non aspettiamo la tragedia
per intervenire. Stanziare dei
fondi per le opere di tutela del
territorio deve diventare una
priorità assoluta, non una
voce di spesa come le altre
dove tagliare indiscriminatamente. Magari per dirottare
i fondi su altri interventi solo
perché dal carattere tipicamente più “elettorale”.
2
lunedì 15 dicembre 2008
Troppi speculatori dietro la crisi
Il messaggio del pontefice in occasione della “Giornata mondiale della pace 2009”: «A rischio i bisogni di base» dalla prima
D
ietro l’attuale crisi alimentare, che
«mette a repentaglio
il soddisfacimento dei bisogni di base» non c’è tanto «l’insufficienza di cibo»,
quanto piuttosto la «difficoltà di accesso a esso» e i «fenomeni speculativi» a esso
collegati. L’analisi non è di
un estremista “no global” né
di un pericoloso sovversivo,
bensì di sua santità Benedetto XVI, ed è contenuta nel
messaggio per la “Giornata
mondiale della pace 2009”, in
programma il prossimo primo gennaio. Un’osservazione che sembrerebbe peraltro
confermata dagli ultimi dati
della Fao, secondo cui i senza cibo del pianeta sono ben
963 milioni (circa il 14% della popolazione mondiale),
40 milioni in più dell’anno
scorso e 115 milioni in più
rispetto al biennio 20032005. Il tutto non tiene però
ancora conto della crisi in
corso, che quasi certamente
ha ulteriormente aggravato
il già pesante bilancio.
Il pontefice ha avuto parole
dure anche nei confronti dei
governi, ricordando che la
crisi alimentare è provocata
da «fenomeni speculativi e
quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche
ed economiche in grado di
fronteggiare le necessità e
le emergenze. La malnutrizione - ha aggiunto il papa
- può anche provocare gravi
danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle energie necessarie
per uscire, senza speciali
aiuti, dalla loro situazione di
povertà. E questo - ha continuato il papa nell’appello
- contribuisce ad allargare la
UN PO’ DI PEPE
forbice delle disuguaglianze, provocando reazioni che
rischiano di diventare violente. I dati sull’andamento
della povertà relativa negli
ultimi decenni indicano tutti un aumento del divario tra
ricchi e poveri».
Le «cause principali di tale
fenomeno», secondo Benedetto XVI, sono da una parte «il cambiamento tecnologico, i cui benefici si con-
centrano nella fascia più alta
della distribuzione del reddito e, dall’altra, la dinamica
dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto
più velocemente dei prezzi
dei prodotti agricoli e delle
materie prime in possesso
dei Paesi più poveri. Capita
così - ha concluso papa Ratzinger - che la maggior parte
della popolazione dei Paesi più poveri soffra di una
Tra le cause principali del
fenomeno, per Benedetto XVI,
«il cambiamento tecnologico, i
cui benefici si concentrano nella
fascia più alta della distribuzione
del reddito, e la dinamica dei
prezzi dei prodotti industriali»
doppia marginalizzazione,
in termini sia di redditi più
bassi sia di prezzi più alti».
Parole che sembrano trovare una triste conferma nei
dati contenuti nello “Stato
dell’insicurezza alimentare
nel mondo (Sofi)” dell’agenzia Onu. Alla base del
«drammatico quanto rapido» aumento del numero di
affamati cronici nei Paesi del
Sud del mondo c’è l’impennata dei prezzi delle materie
prime agricole, che ha fatto
precipitare nell’insicurezza
alimentare milioni di poveri
e ridotto drasticamente la
quantità e la qualità del cibo
a loro disposizione. «I prezzi
dei principali cereali - si legge nel rapporto - sono calati di oltre il 50% rispetto al
picco raggiunto agli inizi del
2008, ma rimangono più alti
del 20% rispetto all’ottobre
2006».
La situazione più grave si
registra nell’Africa subsahariana, dove una persona su
tre, ovvero circa 236 milioni,
soffre cronicamente la fame.
Quello che colpisce particolarmente è il deciso peggioramento avvenuto nel corso
degli anni: se infatti dal 1992
al 1997, sempre dati Fao alla
mano, il numero degli affamati era sceso del 12% (da
842 a 832 milioni circa), un
decennio dopo, negli ultimi
tre anni (dal 2005 al 2007),
il numero delle persone a
rischio di fame è aumentato
di 115 milioni di unità (dagli 848 milioni del 2005 agli
attuali 963 milioni, +14%).
Un’ecatombe che, in assenza di una seria inversione
di marcia, rischia di irridere
gli “obiettivi del millennio”
Onu, che fissavano per il
2015 il dimezzamento dei
morti per fame. 
La “mal’aria” del Belpaese
Da un’indagine di Legambiente emerge che il 65% dei capoluoghi ha sforato i limiti consentiti di Pm10
Antonio Barone
[email protected]
L’
Natale
Lenticchie biologiche
in oltre 60 piazze d’Italia
Un piatto di lenticchie caldo, saporito e benefico, al costo
di 5 euro. È l’iniziativa natalizia della Lega italiana protezione uccelli per aiutare la tutela della biodiversità, favorire il
ritorno di specie in forte diminuzione e garantire prodotti
sicuri per la nostra salute. I volontari dell’associazione sono
stati ieri in 63 piazze di città italiane, tra cui Milano, Torino,
Roma, Palermo, Venezia, Perugia, Padova e Verona e centri
minori, oasi e riserve per offrire le “Lenticchie della Lipu”.
La manifestazione sostiene i progetti dell’associazione
in favore di un’agricoltura più sana e rispettosa dell’ambiente e degli uccelli selvatici. Le lenticchie, realizzate attraverso coltivazioni biologiche, nel pieno rispetto
dell’ambiente, sono state offerte al pubblico in cambio di
un contributo a partire da 5 euro. A Milano il banchetto
si è tenuto in Piazza San Babila, a Torino in Via Roma, a
Palermo in Via Cavour e a Roma in Via Aldrovandi presso il Centro recupero fauna selvatica Lipu al Bioparco.
Testimonial del “Natale per la natura”, che quest’anno giunge
alla sua 13esima edizione, è stato Danilo Mainardi, presidente onorario dell’associazione, che spiega: «Le lenticchie della
Lipu portano con sé un messaggio forte: la tutela dell’ambiente, la salute degli agricoltori e dei consumatori, ma anche il ritorno di numerose specie di uccelli selvatici tipiche
dell’habitat agricolo, alcune delle quali dimezzate negli ultimi
30 anni, passa attraverso un modello di agricoltura sana, che
non utilizza prodotti chimici, e che fa bene all’ambiente».
aria delle città italiane è
malata. A confermare quella che, purtroppo, è una
quotidiana certezza dei cittadini è
stata un’iniziativa di Legambiente
che, attraverso un blitz nelle vie
dello shopping natalizio, ha diffuso i dati sulla qualità dell’aria nelle
maggiori città italiane.
A giudicare dai dati dell’associazione ambientalista il superamento dei livelli di Pm10 nei nostri
centri urbani è diventato, ormai,
una drammatica abitudine. Anche
il 2008, come gli anni precedenti,
ha visto alti livelli di polveri sottili
in molte città. Il 65% dei capoluoghi di provincia monitorati non ha
rispettato il limite consentito, superando i 50 μg/m3 in alcuni casi
ben oltre i 35 giorni consentiti dalle normative nazionali ed europee.
In testa alla classifica stilata da Legambiente, confrontando i livelli di
Pm10 di 78 capoluoghi, c’è Torino
con ben 118 superamenti. Seconda
è Venezia dove il limite è stato oltrepassato per 102 giorni. Ma anche altre grandi città non riescono
a tenere i livelli delle polveri sottili
sotto i valori consentiti: Milano (94
superamenti), Firenze (86), Roma
(67), Salerno (63), Bologna (57) e
Bari (44). Le città più virtuose della
classifica sono Siena e Isernia con
4 e 6 superamenti, gli unici due capoluoghi a rimanere sotto la soglia
dei 10 giorni di superamento.
Secondo il presidente nazionale
di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, questi dati «dimostrano come il problema della qualità
dell’aria nelle nostre città sia ancora tutto da risolvere, in particolare per alcuni inquinanti, come il
Pm10, che costituiscono una grave
minaccia anche per la salute».
Viene da chiedersi che fine abbiano fatto le risorse che il precedente governo di centrosinistra aveva
destinato per combattere lo smog
e l’inquinamento delle nostre metropoli. Già nella prima finanziaria
del governo dell’Unione erano stati
previsti 270 milioni di euro in tre
anni (90 per ogni anno) per migliorare la qualità dell’aria nelle città
italiane. Si trattava di risorse indirizzate a progetti per la mobilità
sostenibile, per favorire l’intermodalità e per potenziare il trasporto pubblico. Altri 210 milioni erano stati invece destinati in modo
specifico ai “Piani per la qualità
dell’aria”, nota spesso dolente della
programmazione regionale e che è
costata all’Italia diverse procedure
d’infrazione comunitaria.
A poco meno di sei mesi dall’inse-
In testa alla classifica c’è Torino con ben 118
superamenti. Seconda è Venezia dove il limite è
stato oltrepassato per 102 giorni. Ma anche altre
grandi città non mantengono le polveri sottili
sotto i valori di legge
diamento del governo Berlusconi
di molte di queste risorse si sono
perse le tracce. In larga parte sono
state le prime vittime del ministro
Tremonti che considera le politiche ambientali un bancomat da cui
prelevare per realizzare le promesse elettorali (vedi taglio dell’Ici),
nell’assoluta indifferenza (o complicità) del ministro dell’Ambiente
Stefania Prestigiacomo. È il caso,
ad esempio, dei 150 milioni per
i nuovi parchi cittadini, che di sicuro avrebbero contribuito a migliorare la qualità della vita in aree
assediate dallo smog.
Certo è che tutti noi, quotidianamente, continuiamo a respirare
veleni. Che le nostre città assomigliano sempre più a lugubri camere a gas e che le normative europee
a tutela della salute restano, per lo
più, lettera morta.
A pochi giorni dall’accordo europeo sul “pacchetto energia e clima”,
sottoscritto nonostante l’imbarazzante ritrosia italiana e i patetici
mercanteggiamenti di Berlusconi,
ormai in balia della parte più retriva di Confindustria, l’Italia continua a essere la cenerentola della
lotta all’inquinamento e all’orizzonte non si profila alcuna inversione di marcia. 
lunedì 15 dicembre 2008
MUSICA
Dario Parascandolo - [email protected]
The Killers - “Day & Age” Che la musica popolare occidentale stia vivendo, se non
sopravvivendo, grazie a vari revival dei bei tempi che furono, e grazie a un numero infinito di citazioni, è cosa
già risaputa. Fra new wave, dark, elettro-pop, il gioco
dei rimandi a queste o a quelle sonorità pare divertire
chiunque, dal musicista fino ai discografici e al pubblico.
Come accostarsi all’ultimo disco dei The Killers, la band
americana più “british” del pianeta, pioniera del recupero
del suono dei primi anni Ottanta (leggi Cure, U2, New
Order, Killing Joke) in salsa dance? Capaci di irrompere
nel mercato con singoli irresistibili (come dimenticare
il tormentone “Somebody told me”?), i quattro di Las
Vegas hanno licenziato un disco a metà strada fra il dirompente esordio al fulmicotone di Hot Fuss e l’inutile
Sam’s Town, che tentava di coniugare la tradizione rock
americana con la loro rock-dance, con risultati disastrosi.
In Day & Age le canzoni hanno recuperato freschezza e
immediatezza e, in questo,
i The Killers hanno dimostrato di essere una band
che ha ancora cartucce da
sparare, senza contare una
giusta ruffianeria che tante strade ha spianato nel
music business. Il singolo
“Human” è tutto ciò che
il pubblico attendeva da
loro: melodia epica e d’impatto, voce limpida e rassicurante, perennemente
a metà strada fra Bono e
Robert Smith senza possederne il carisma, loop ritmico
ballabile e incessante, chitarre ridotte a meno dell’essenziale e un tappeto di sintetizzatori invadente e pomposo.
Sulle stesse coordinate si muove tutto il disco, che nelle
intenzioni vuole essere un’opera rock variegata e universale, ma che è stato appiattito da un cantante sempre
identico a se stesso, e quindi ad altri di cui potremmo
sentire la mancanza, e da una ricerca perenne dell’epicità
a tutti i costi, pasticciando anche buone canzoni come il
funk di “Joy ride” o la trascinante “This is your life”, che affogano in un mare ridondante di banalità, eccezion fatta
per la conclusiva e stupenda “Goodnicht, travel well”, che
può realmente darci l’illusione di trovarci di fronte a una
grande band, in grado di commuoverci con un maestoso
crescendo come solo i grandi maestri hanno insegnato.
Non un brutto disco di sicuro, Day & Age si lascia ascoltare con piacere. Ma ne avevamo realmente bisogno?
CINEMA
D.P.
“Stella”
Un film di Sylvie Verheyde.
Cast: Leora Barbara, Karole Rocher, Benjamin Biolay,
Guillaume Depardieu, Thierry Neuvic
Francia 2008, drammatico, 102’
Distribuzione Sacher
Toccante, sensibile, commovente, reale e mai retorico. Presentato allo scorso Festival del cinema di
Venezia, Stella, il film di Sylvie Verheyde tocca le
corde dell’animo umano più labili senza mai limitarsi
a strappar lacrime fini a se stesse, ma raccontando
una storia che rimane incisa nel cuore. Ma, si sa, il
cinema francese da sempre ha raccontato le storie
più belle di tutta la filmografia mondiale, andando
sempre ben oltre la scorza superficiale con gusto e
delicatezza. Quando poi al centro della vicenda vi è
una bambina disadattata che lotta con l’aiuto delle
sue sole forze per emergere in un ambiente di fatto
ostile, il gioco è fatto.
Parigi 1977. Stella è nata e cresciuta nel bar dei genitori, perennemente in crisi fra bugie e tradimenti.
Gli unici suoi amici ed educatori sono i clienti del
bar, ovvero giocatori e alcolisti che però non mancano mai di dare tanto affetto alla bambina. Stella sa
tutto sul gioco delle carte, sul flipper, sul campionato di calcio, ma «nulla delle cose importanti», fino
a quando non viene ammessa alla scuola media più
ricca della città, frequentata da ragazzi di elevata
estrazione sociale. La piccola Stella qui è un pesce
fuor d’acqua, lenta nell’apprendimento e nella socializzazione, trova nell’amica Gladys, peraltro brava e
studiosa, l’unica alleata nell’affrontare le nuove difficoltà. Il bar non è più l’unico mondo a renderla felice
e protetta, e la scuola diventerà l’unica chance nella
ricerca di una felicità che stenta ad aprire le porte alle
realtà più difficili.
L’impenetrabile sguardo della piccola Leora Barbara
scruta ostile lo spettatore, che non esiterà nel sentirsi colpevole e inerme di fronte alla forza e alle insicurezze, talvolta paranoiche, di una preadolescente
sola, o quasi, nel combattere contro un mondo più
ostile. Fino a una meritata vittoria.
3
La satira anti premier
Gli strali del Cavaliere hanno investito tutti, ma il vero fronte sono i comici e gli anchorman
Alessio Postiglione
[email protected]
politiche.wordpress.com
I
più indomabili “nemici”
del governo si chiamano Fabio Fazio, Sabina
Guzzanti, Daniele Luttazzi,
Maurizio Crozza, Luciana
Littizzetto e Beppe Grillo.
O, almeno, questa è la visione di Berlusconi. Una visione che riduce tutto a percezione e ignora la realtà.
Già: perché la realtà è che
Berlusconi, come imprenditore, controlla le principali
tre reti commerciali d’Italia.
Come premier, influenza le
reti pubbliche. E, grazie a
Villari, ha il pallino anche
della commissione di Vigilanza Rai. Questi sono i
fatti.
Ma la percezione pidiellina è
un’altra. Berlusconi sarebbe
«attaccato in modo incivile, violento e continuo» dai
principali mezzi d’informazione. In atto, c’è una «campagna orchestrata contro di
lui». Ma, in realtà, controllando quasi tutto quello che
vomita il tubo catodico, più
di “orchestra”, si tratta di “pochi solisti” che - nonostante
il conformismo imperante dicono quello che pensano:
e quello che pensano non
piace a Berlusconi.
Gli strali del premier hanno investito tutti: Corsera,
Stampa, Biagi, Annunziata,
Primo piano, Tg3, Santoro, Travaglio, Report… Ma
il vero fronte, per il nostro
cavaliere, oramai, è un altro.
I comici e gli anchorman.
Sono loro i moderni “monarcomaci”.
Alcuni potrebbero legittimamente sostenere che Berlusconi esagera. Malignare che
si tratti di una vera e propria
ossessione televisiva. Visioni mistiche come quella
dei cosacchi a San Pietro: la
paura di sentirsi zar durante
la presa del palazzo d’Inverno; il timore di una “presa
del palazzo dei Cigni”, con
i cosacchi che fanno breccia a Milano 2: con l’edilizia
palazzinara a sostituire i colonnati michelangioleschi. E
Mike Bongiorno spedito in
Siberia. Insomma, Fazio è il
nuovo Lenin, Che tempo che
fa la nuova “Pravda”.
Ma chi crede che Berlusconi
esageri, sbaglia. Egli ha perfettamente ragione ad avercela con Fazio. Nonostante
alcuni opinionisti credano
che le televisioni del cavaliere
in politica non contino molto, Berlusconi sa che è perfettamente vero il contrario. Le
televisioni, per l’unto dell’auditel, contano. E non basta
che il 90% dei programmi
Berlusconi controlla quasi tutta la
televisione, eppure è spaventato da
Fazio, Grillo, Littizzetto, perché nella
teledemocrazia un personaggio tv
muove più voti di un intellettuale
di professione
non sia contro di lui. Anche
un solo oppositore televisivo
- pur non essendo giornalista
e socialmente legittimato a
esprimere opinioni politiche
- dà fastidio.
Ecco che quelle che per molti di noi sarebbero solo flebili voci di dissenso, diventano
una “campagna orchestrata”
che mina il consenso del teleautocrate.
Le Stützen der Gesellschaft,
le “colonne della società” di
Berlusconi, non sono i “padroni del ferro e del vapore”,
ma i “volti tv”. È più facile
per Mussolini avere un Benedetto Croce contro, che
per un teleautocrate tollerare una Sabrina Ferilli che
vota Pd. Ad avercela Sabrina
ministra delle Pari opportunità! 
Preso il capo della ’Ndrangheta
Ecco chi è Giuseppe De Stefano, ricercato dal 2003 e catturato dalla squadra mobile di Reggio Calabria
Simone Di Meo
[email protected]
è
il capo di una delle cosche
più potenti di Reggio Calabria, Giuseppe De Stefano,
latitante da oltre cinque anni, catturato il 10 dicembre scorso dal
personale della squadra mobile
reggina. Erede del boss Paolo De
Stefano, ucciso in un agguato nel
1985, “Peppe”, 39 anni, inserito
nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia del ministero dell’Interno, era assieme alla moglie e ai
due figli in un appartamento nella
zona Eremo, zona alta della città. In
casa, dove forse si era ricongiunto
alla famiglia in vista delle festività
natalizie, De Stefano, condannato
a 28 anni dai Tribunali di Messina
e Reggio Calabria per traffico di
sostanze stupefacenti e associazione mafiosa e a 30 per omicidio, è
stato bloccato nel primo pomeriggio. Quando gli uomini della sezione “Catturandi” della Questura
hanno bussato all’appartamento,
Giuseppe De Stefano ha aperto la
porta al sesto piano dello stabile e
non ha opposto alcuna resistenza.
La latitanza del capo del clan De
Stefano durava dal 2003. A portare gli investigatori al nascondiglio
del latitante è stato anche un suo
fiancheggiatore, Giovanni Tavella, uno dei “fedelissimi” del boss,
che abita nello stesso edificio. De
Stefano era con la moglie e i due
figli, gli stessi bambini per i quali,
Il padrino di una delle cosche più potenti della città
si era rifugiato in un appartamento con la moglie
e i due figli, gli stessi bambini per i quali, in base a
una sentenza del Tribunale dei minori di Reggio
Calabria, il boss aveva perso la patria potestà
in base a una sentenza del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, aveva perso la patria potestà.
Nella recente decisione che aveva
destato clamore, i giudici avevano
sostenuto che Giuseppe De Stefano «finora appare essere rimasto
estraneo all’educazione dei figli,
che è stata gestita totalmente dalla
moglie. Il suo prolungato stato di
latitanza ha privato i figli dell’ineliminabile figura paterna e del ruolo che essa è chiamata a svolgere
nell’equilibrata formazione del carattere». Soddisfatti i vertici di polizia di Stato e magistratura. «Oggi
- ha detto il procuratore capo della
Repubblica di Reggio Calabria,
Giuseppe Pignatone incontrando i
giornalisti - è stato conseguito un
risultato di particolare valore perché Giuseppe De Stefano significa
il “top” della ’Ndrangheta. Da oggi
in poi - ha proseguito - cominceremo alacremente a lavorare per
ulteriori obiettivi. Nei prossimi
giorni comunque, con il prosieguo
delle indagini, cercheremo di capire quali ripercussioni avranno gli
assetti di mafia in città con l’arresto di Giuseppe De Stefano». 
4
lunedì 15 dicembre 2008
Europa chiama Italia
di Alessandro
Zan
[email protected]
Il Vaticano
contro i diritti umani
In Mauritania due uomini adulti che commettano sodomia sono uccisi tramite lapidazione, come
recita l’articolo 308 del Codice penale del 1984. In
Nigeria un omosessuale può cavarsela con quattordici anni di prigione, ma non se vive in uno dei
14 Stati del Nord in cui è in vigore la legge islamica, che prevede la morte per lapidazione, come
anche in Arabia Saudita, Yemen, Emirati Arabi
Uniti, Sudan. In altri 79 Stati l’omosessualità è illegale e comporta lunghe carcerazioni o addirittura
l’ergastolo. In altri 7 Paesi un gay rischia l’arresto
anche in assenza di
una legge specifica,
Se l’argomento,
com’è accaduto vaapplicato alle
rie volte negli ultirichieste nostrane mi anni in Egitto.
Di fronte a tale ordi una legge
un governo di
contro l’omofobia, rore,
destra come quello francese aveva
poteva
preso
l’iniziativa
sembrare poco
e annunciato una
misericordioso,
proposta per la depenalizzazione uniappare davvero
versale dell’omosesdisumano
sualità. Nei giorni
se riferito al
scorsi il ministro
francese per i Diritti
fenomeno
umani, Rama Yade,
tanto brutale
ha
formalizzato
quanto esteso
all’Assemblea genedell’uccisione
rale delle Nazioni
unite la richiesta,
o della
che aveva registrato
carcerazione di
anche il consenso
uomini e donne
del ministro italiano alle Pari opporsolo perché
tunità Mara Carfaamano una
gna («sono pronta a
persona dello
sollecitare il nostro
ambasciatore italiastesso sesso
no presso le Nazioni unite perché si faccia portavoce della richiesta
di depenalizzazione universale dell’omosessualità» aveva dichiarato in giugno).
Arriva quindi come una doccia fredda la presa di
posizione di monsignor Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa sede presso le
Nazioni unite, che ha annunciato l’opposizione
vaticana alla proposta francese. Non pago di una
storia costellata da persecuzioni e roghi contro i
“sodomiti” (a cui nessun papa ha mai chiesto scusa) il Vaticano continua a perorare la criminalizzazione dei comportamenti omosessuali. Perché?
C’è una motivazione più ottusamente politica
dietro queste posizioni. Le dichiarazioni recenti
riprendono, a un livello di crudeltà inaudito, la teoria del piano inclinato che è il leit motiv di “oltretevere” quando si parla di diritti di gay e lesbiche:
se si riconosce un qualche minimo diritto a gay e
lesbiche, si finirà inesorabilmente per delegittimare chi non sia disposto a riconoscere la piena dignità alle persone omosessuali e alle loro unioni.
Se l’argomento, applicato alle richieste nostrane
di una legge contro l’omofobia, poteva sembrare
poco misericordioso, appare davvero disumano
se riferito al fenomeno tanto brutale quanto esteso dell’uccisione o della carcerazione di uomini e
donne solo perché amano una persona dello stesso sesso.
A questo punto il Vaticano, com’è accaduto in casi
analoghi, cercherà di fare asse con i Paesi islamici
per bloccare l’iniziativa francese: sarà interessante vedere quanto queste posizioni peseranno sul
comportamento dell’Italia.
Se hai un termosifone che poggia su una
parete esterna inserisci tra il termosifone
e la parete un pannello di polistirolo avvolto
dall’alluminio. Ridurrai notevolmente
la dispersione di calore!
Francesco Benetti [email protected]
La guerra fredda è finita La Russia si dimostra intrinsecamente
legata agli andamenti del resto del mondo,
una debolezza cui forse non si era abituati.
Le possibili ripercussioni di una crisi
industriale del colosso euroasiatico, per
i mercati energetici di mezza Europa, è
solamente intuibile
D
opo la “zona euro”, anche la Russia è entrata in crisi.
È ufficiale, dichiarato dal ministro dello Sviluppo
economico Andréi Klepach, e lo riportano le maggiori agenzie di stampa europee. Il quotidiano spagnolo El
Pais sottolinea però che, comunque, «nonostante l’annunciata caduta di quest’ultimo trimestre, nei primi nove mesi
dell’anno il Pil è cresciuto del 7,3%». La Russia, quindi, non
più Unione sovietica, mostra il fianco e, per la prima volta
dalla fine della Guerra fredda, si dimostra intrinsecamente
legata agli andamenti del resto del mondo, una debolezza
cui forse non si era abituati. Le possibili ripercussioni di
una crisi industriale del colosso euroasiatico, per i mercati
energetici di mezza Europa, è solamente intuibile.
Dall’altra parte del mondo, intanto, continua la discesa
verso gli inferi del “sogno americano”: la sua città industriale più rappresentativa, Detroit, è sull’orlo del collasso non solo economico, ma anche del degrado sociale e
urbano, dopo che il Senato Usa ha bocciato il piano da
14 miliardi di dollari che era stato preparato per salvare i
due colossi statunitensi dell’automobile: General motors e
Chrysler. L’amministrazione Bush, ormai definitivamente
uscente, ha incassato così l’ultima pugnalata da ex amici e
neo nemici, obbligata ad annunciare la possibile perdita di
oltre un milione di posti di lavoro.
In mezzo alle intemperie dei due poli del mondo, intanto,
naviga a vista la “vecchia Europa”, un tempo auspicato terzo polo (economico, tecnologico, sociale, ambientale…) e
oggi più che mai legato agli sbalzi d’umore delle lavagne
luminose di Wall street e/o alle condizionalità del Cremlino. La stabilità e la forza della nostra moneta, in crescita
rispetto a tutte le altre valute internazionali, non ci assicura infatti sonni tranquilli: il settore finanziario sta perdendo posti di lavoro a un ritmo costante. Il gruppo spagnolo
Santander ha annunciato un taglio di quasi 2.000 lavorato-
ri nelle sue filiali inglesi, pari a
circa l’8% del totale del personale. Giusto appena prima di
Natale, “it’s business, baby!”.
The Guardian, da Londra,
conferma intanto i peggiori
timori dei sudditi della regina: l’isolamento della moneta
inglese, che negli anni passati
aveva rafforzato la Gran Bretagna rispetto all’euro, oggi
potrebbe essere un pesante
macigno attaccato ai piedi
dell’economia della sterlina:
«La Gran Bretagna potrebbe entrare in una recessione
ancora più grave di quella
prospettata… la produzione
industriale è scesa del 5,2%
dall’inizio dell’anno, il declino più veloce da l991».
Riscontro immediato: i lavoratori stanno perdendo il
loro posto di lavoro. In Irlanda, fino a qualche mese fa
ancora la “tigre celtica”, Vodafone si appresta a licenziare 150 persone, il 10% esatto
dei suoi impiegati sul territorio nazionale. Secondo l’Irish
Independent, «la compagnia
spera di realizzare questa
misura di riduzione dei costi
attraverso un programma di
riduzione volontaria del personale». La Nissan, in Catalunya, secondo quanto riportato da El Pais, ha approvato
un programma di sospensione pre-licenziamento per
3.500 operai: a questi, si sono
sommati 200 casi di licenziamento volontario, evidentemente la nuova moda per
la regolazione dei contratti
d’impiego. Sembra sempre
più che la crisi sia colpa degli
operai, così ansiosi di ricevere lo stipendio ogni fine del
mese. In Francia, a far fronte
di una simile ondata di licenziamenti (nell’ordine delle
migliaia per il colosso delle
telecomunicazioni Alcatel),
è arrivato un piano di rilancio del governo che dovrebbe creare, secondo il ministro dell’Economia Christine
Lagarde, circa 100mila nuovi posti di lavoro attraverso sovvenzioni alle piccole
aziende. Ma un allarme per
ora trascurato arriva da una
voce indipendente, il settimanale spagnolo Diagonal:
«La recessione si sfamerà
con i lavoratori stagionali».
Secondo la cronaca, la crisi
del mercato delle costruzioni sta spostando importanti
flussi di lavoratori verso le
campagne, rendendo la già
difficile situazione degli immigrati lavoratori stagionali
ancora più insostenibile per
la concorrenza: i permessi
di lavoro non vengono rinnovati, nelle campagne si
sta assistendo ai primi episodi di violenza e giustizia
sommaria. Il risultato è un
incremento
drammatico
della schiavitù moderna, che
vede questi immigrati offrire
la propria forza lavoro per
miserie ingiustificabili nella
società moderna nella quale
ci fregiamo di vivere. Area marina protetta “Punta Campanella”
Gianni Milano - [email protected]
Anche questo lunedì condividerò con i lettori di Notizie Verdi una sintesi della pubblicazione che ho personalmente curato per conto del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare intitolata Alla scoperta
delle ventisei Aree Marine Protette italiane, attualmente distribuita gratuitamente dallo stesso ministero. Visitiamo allora insieme, seppur virtualmente, un’incantevole parte della Campania
A
pochissimi chilometri da Sorrento, da Vico Equense, da
massa Lubrense e da Positano,
di fronte alla magnifica isola di Capri è
situato il promontorio di Punta Campanella, che ospita l’Area marina protetta
(Amp) e che deve il suo nome ovviamente a una campana. Esistono due
differenti versioni circa il legame tra il
territorio e la campana. La più semplice
delle due teorie sostiene che sulla Torre
Minerva, dove si trovavano i soldati di
guardia per avvistare eventuali navi saracene in avvicinamento, esisteva una
piccola campana che veniva suonata in
caso di pericolo. L’altra è molto più colorita e fantasiosa e di conseguenza anche
più conosciuta. Si narra che in una delle
scorribande dei Saraceni nella Penisola
Sorrentina (probabilmente proprio in
quella tristemente famosa del 1558) fu
saccheggiata anche la chiesa di Sant’Antonino Abate, protettore di Sorrento.
Quando la flotta pirata giunse alla Punta
della Campanella, la nave che trasportava la campana e gli altri oggetti trafugati nella chiesa fu bloccata da una forza
misteriosa e, nel tentativo di procedere
e di raggiungere le altre imbarcazioni
che intanto si allontanavano, i predoni
cominciarono ad alleggerire l’imbarcazione gettando in mare parte del loro
bottino. Ma solo quando si liberarono
della campana di bronzo di Sant’Antonino riuscirono a doppiare la punta. La
leggenda vuole che, non appena la campana fu gettata in mare, si levò un improvviso e fortissimo vento che consentì
al vascello pirata di raggiungere in pochi
attimi le altre imbarcazioni. C’è anche
chi sostiene che ogni 14 febbraio, festa
del santo protettore di Sorrento, si sente
la campana suonare sott’acqua. Il territorio interessato da questa AMP è gremito di turisti in ogni periodo dell’anno,
ma c’è sempre l’opportunità di godere in
serenità di queste magnifiche zone, fare
un bagno nelle acque cristalline della
spiaggia bandiera blu di Massa Lubrense oppure in quella della Marinella a
Sant’Agnello, visitare Positano, la spiaggia bandiera blu, che con il suo borgo
aggrappato alla roccia e i suoi negozi
caratteristici e romantici fa innamorare
anche i più scettici e solitari, provare la
famosa pizza a metro di Vico Equense
e poi assolutamente assaggiare una fetta
di provolone del monaco e una delizia al
limone nel centro storico di Sorrento. Le
acque della “Terra delle Sirene”, celano
mutevoli habitat da scoprire in entusiasmanti immersioni. Falesie a picco si alternano a pareti dolcemente degradanti;
più al largo dal fondo si ergono improvvisamente alcune secche, vere e proprie
oasi naturalistiche in cui si concentrano
paesaggi subacquei tra i più belli del
Mediterraneo. In questo tratto di mare
è possibile incontrare una notevole varietà di organismi animali e vegetali
che vivono stabilmente a contatto con
il fondo, a partire dai primi metri per
procedere verso ambienti più profondi.
Numerose specie di vegetali iniziano a
colonizzare il substrato fin dalla fascia
di marea; in questa zona predominano
le alghe verdi, brune e rosse. La posidonia oceanica, la più diffusa tra le piante
superiori marine, forma in alcune aree,
estese e verdi praterie. Fra le fronde e i
rizomi della posidonia vivono migliaia
di organismi: ricci, stelle di mare, rosse
ascidie, chiocciole, lumache e tantissimi
altri molluschi gasteropodi e altre specie
che vivono sulle foglie della pianta, come
i graziosi cavallucci di mare, o tra le radici sotto la sabbia. L’intrigo delle fronde
rappresenta l’habitat per scorfani, labridi, castagnole e salpe. All’aumentare
della profondità cambia il paesaggio e si
incontrano scenari spettacolari: colonie
di Parazoanthus axinellae giallo-arancio che tappezzano intere pareti, la paramuricea o gorgonia con i suoi ventagli
arborei fatti dai polipi espansi elegantemente come ad accarezzare l’acqua e,
ovviamente, i più noti anemoni di mare
multicolori. Le corolle color fagiano degli anellidi sedentari, i cosiddetti spirografi, ondeggiano in corrente come se
danzassero una sinfonia della natura.
Ogni centimetro di roccia disponibile è
soggetto a una continua competizione
per il substrato dove milioni di piccoli
animali invertebrati, di alghe, anemoni
di mare e altri organismi si fanno spazio tra le coloratissime spugne. Sullo
sfondo di questo incantevole scenario si
muovono numerose specie di pesci che
si spostano freneticamente alla ricerca
di cibo. Si possono ammirare guizzanti
cefali a cui fanno compagnia branchi di
salpe, latterini, guarracini neri, ma anche argentei saraghi, sospettose spigole
e timide orate, e ancora piccoli serranidi
come cernie e sciarrani e diverse schiere
variopinte di labridi.