IL BUON COSTUME. OGGI. Numerose norme del codice civile
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IL BUON COSTUME. OGGI. Numerose norme del codice civile
IL BUON COSTUME. OGGI. di DAVIDE LAURINO Numerose norme del codice civile, specificamente nel libro quarto dedicato alle obbligazioni, menzionano come criterio di liceità il buon costume. E’ opportuno sin da subito sottolineare che una lettura costituzionalmente orientata di tali norme, impone di considerare tale limite come esterno, potendo l’autonomia privata sostanzialmente perseguire i più disparati interessi purché essi risultino meritevoli di tutela1 (nel momento della tipizzazione) e purché questo assetto di interessi non risulti, geneticamente o funzionalmente, contrario a norme imperative, ordine pubblico e, appunto, buon costume. (c.d. giudizio di liceità). Non è inutile precisare, altresì, che quando il legislatore parla soltanto di liceità (relativamente, ad esempio, all’oggetto2) del contratto (rectius, del negozio), intende ricompresi i tre diversi paradigmi summenzionati, e, argomentando ab contrario, laddove si concretizzi un atto contrario al buon costume questo sarà illecito3. Il buon costume consta di regole extragiuridiche, le quali assumono rilevanza nell’ordinamento esclusivamente in quanto richiamate da norme di legge. Questo rinvio comunque non le attribuisce alcuna positività in senso stretto4. Il concetto di buon costume non può, peraltro, essere considerato dall’interprete quale strumento volto al miglioramento di alcuni aspetti della società. Esso, come ho detto, è da intendere quale limite, ossia, in altre parole, «si apprezza in negativo». Ciò comprende la considerazione, da tempo avallata dalla dottrina, per cui l’atto contra bonos mores è illecito in quanto offensivo della morale comune (o «sociale»5) e non in quanto, ad 1 2 3 4 5 Cfr. art. 1322 cod. civ. Cfr. art. 1346 cod. civ. TRABUCCHI, Buon costume, Enc. dir., V, Milano, Giuffrè, 1959, p. 700. F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, p. 188. Definizione di derivazione giurisprudenziale menzionata in A. DI MAJO, Causa del contratto in M. BESSONE (a cura di), Istituzioni di Diritto Privato, Torino, Giappichelli, 2007, p. 608. esempio, si discosti da un altro comportamento egualmente finalizzato ma maggiormente conforme all’etica. Lo studio del diritto penale, e soprattutto del suo codice, potrebbe indurre taluni a ricollegare, erroneamente, il concetto di buon costume a quello di decenza, morale sessuale. Le norme penalistiche che possono considerarsi a fondamento dell’intero Titolo IX6, del Libro II, del codice penale, sono probabilmente quelle che puniscono gli atti osceni7, compiuti in luogo pubblico ovvero esposti in pubblicazioni o spettacoli. Analogo, esclusivo, riferimento alla sessualità lo si evince, in generale, da tutto il Titolo IX, ad esempio nella stessa definizione che dà l’art. 529 di «atto osceno», secondo cui sono, appunto, osceni «gli atti e gli oggetti, che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore»; oppure nella intitolazione dei capi I e II8, i quali fanno riferimento sempre e solo alla sessualità. Per non parlare della precedente posizione di reati come la violenza carnale, che prima del 1996 erano posti in questo titolo (ora, a mio sommesso avviso, sono meglio posizionati9 tra i delitti contro la libertà personale). In verità, oltre la riprovevolezza sessuale, esistono altri ed egualmente fertili terreni ove si può ravvisare una contrarietà a quei principi etici fatti propri dalla società. Basti pensare al gioco d’azzardo, o in generale alle pattuizioni che hanno per oggetto libertà fondamentali, rese tali, soprattutto con l’avvento della Costituzione repubblicana. Si pensi ad una pattuizione per la quale un soggetto si obblighi ad astenersi dal commettere un illecito verso il pagamento di un corrispettivo, ovvero ai casi in cui un corrispettivo venga previsto nei confronti di una parte che si obblighi ad ebbrarsi. In quest’ultimo caso, dal punto di vista della tipizzazione, ci troviamo di fronte ad un sinallagma perfetto, il romanistico do ut facias, in cui però una delle prestazioni è eticamente sconveniente. Partendo da questi esempi già può affrontarsi una norma, specificamente inerente al buon costume, molto particolare per il suo concreto 6 7 8 9 Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume. Cfr. Artt. 527 ss. cod. pen. Rispettivamente dei delitti contro la libertà sessuale e delle offese al pudore e all’onore sessuale. Il capo I è stato, come si dirà immediatamente dopo, abrogato nel 1996. Cfr. Artt. 609-bis ss. cod. pen. 2 funzionamento: l’art. 2035 del codice civile. Questa norma, che è per certi versi la positivizzazione nel nostro ordinamento della massima secondo cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis, prevede la irripetibilità della prestazione eseguita quale atto solutorio di un obbligo, nascente da un negozio il cui scopo sia ritenuto contrario al buon costume. Sembra ragionevole ritenere che tale limitazione a sfavore del solvens, sia applicabile anche quando il negozio, casualmente contrario al buon costume, sia anche contrario all’ordine pubblico e/o alla legge, non essendo, a mio avviso, ravvisabile un rapporto gerarchico tra le varie possibilità accolte dal legislatore di illiceità della causa, la cui esistenza porterebbe ad escludere ad es. una valutazione di contrarietà al buon costume quando il negozio sia già viziato per violazione di norme imperative10. Problema diverso è se la soluti retentio di cui all’art. 2035 cod. civ., possa essere applicabile, per analogia, oltre che al contratto immorale ob turpem causam, anche ai contratti illeciti per altro genere di violazioni. Questa estensione, a parere di chi scrive, non sarebbe giustificabile11 alla luce del rapporto di genere a specie che tale norma opera nei confronti della regola generale di cui all’art. 2033 c.c. relativa all’indebito oggettivo, secondo cui è ripetibile quanto è stato pagato indebitamente. Norma che appunto opera generalmente, ragionando sulla circostanza che il negozio fulminato di nullità è inidoneo a produrre effetti, e tra gli effetti è compreso anche il sorgere di obbligazioni: per cui non esistendo obbligazione non v’è nulla da adempiere. La problematica dell’eventuale sovrapposizione di cause di illiceità, pone un'altra questione soprattutto per chi considera le regole del buon costume come norme imperative, ancorché non verbalizzate dalla legge12. 10 11 12 In tal senso, TRABUCCHI, Buon costume, Enc. dir., V, Milano, Giuffrè, 1959, p. 701. Sembra di questo avviso GIORGIANNI, Causa (diritto privato), Enc. dir., VI, Milano, Giuffrè, 1960, p. 573, in cui pur non affrontando il problema direttamente, sostiene, in una nota, che la giurisprudenza è concorde nell’affermare che la norma contemplata nell’art. 2035 c.c. non si applica ai contratti illeciti od in frode alla legge; anche F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, p. 188 ss. in cui vi è menzione anche di una giurisprudenza che estende la soluti retentio in generale al negozio illecito. G. BOLLINI, Invalidità del contratto in M. BESSONE (a cura di), Istituzioni di diritto privato, cit., p. 701. 3 Le norme confluenti nel limite normativo del buon costume, appaiono, concepite in questo modo, facilmente ricomprensibili nello stesso riferimento alle norme imperative, con la conseguenza che nel codice in talune norme13 sia ravvisabile una inutile ripetizione. Né vale, a mio parere, scavalcare il problema adducendo a motivazione che non ci sarebbe in tale caso alcuna ripetizione poiché le une (norme imperative) sono «esplicitate nelle varie parti dell’ordinamento», mentre le altre sono «implicite». Sembra preferibile, dunque, anche sotto questo aspetto, ritenere che il buon costume consista, invece, in «norme di carattere n o n g i u r i d i c o»14, dato che problema simile, intendendo così le regole di buon costume, neanche sembra porsi. Cercando di restare quanto più possibile sul piano giuridico, occorre ribadire che il buon costume assume una sua rilevanza giuridica propria in quanto questo tipo di norme siano, con una c.d. clausola generale, all’uopo richiamate dal legislatore. È forse pleonastico, ma giova sostenere, dunque, che quest’ultimo può derogare esplicitamente a norme che si assumono far parte della morale comune, fino, addirittura, a poter cancellare la stessa clausola generale con cui tali norme entrano nel giuridicamente rilevante. Salvo, in tale ultimo caso poter prospettare una incostituzionalità dell’effetto abrogativo, potendosi forse, ma non è il caso in questa sede, enucleare dalla Costituzione un principio a tutela della morale sociale, la quale risulterebbe così sprovvista di alcuna tutela. Si è parlato di buon costume inteso come morale cristiana15, in un certo senso anche per dare maggiore concretezza ad un insieme di norme dai confini per lo più grigi. Concepito in questo senso, tale insieme si discosta da quella definizione, che qui si preferisce, secondo cui il buon costume rappresenta l’idea a cui facciamo riferimento per indicare determinate regole del buon vivere; e, si badi bene, non “buone” in quanto ritenute tali dalla maggioranza dei cittadini, ma tali in quanto condivise, e rispettate, dagli individui “migliori”. 13 14 15 E.g. art. 1343 cod. civ. V. nota 4 TRABUCCHI, Buon costume, cit., p. 703. 4 Guardando, se fosse plausibile, alle astrattamente possibili ipotesi16 di violazione del buon costume, da un punto di vista fenomenologico troveremo differenze piuttosto rilevanti a seconda dell’epoca storica a cui vogliamo applicarle. E’ ontologico alla stessa morale, a mio avviso, cambiare con il passare del tempo. Ciò che resta fermo è la regola. E tale regola non si assume violata quando è lo stesso insieme delle ipotesi lesive a cambiare. Inoltre, laddove muti lo sfavore verso determinati comportamenti e di conseguenza questi si ritengano, in un tempo diverso, conformi alla morale comune, un giudizio negativo di illiceità in tal senso è l’effetto di un cambiamento di valori, che potrebbe non già essere soltanto frutto di un disvalore dato ad un determinato ideale, ma, altresì, un valore aggiunto datone ad un altro. Ritengo, in definitiva, poco civile guardare con staticità al buon costume, così come lo è, se non ancor peggior, vederci dentro il vuoto, come una categoria ormai appassita e priva di alcuna rilevanza nella società. Rischiando di sfociare nella banalità, o, il che forse è peggio, nella retorica, ritengo che l’interprete dovrà utilizzare l’oraziana aurea mediocritas17, allorquando andrà a valutare l’offesa alla morale sociale che può scaturire da un qualunque fatto rilevante per l’ordinamento. D’altronde: est modus in rebus18. 16 17 18 TRABUCCHI, Buon costume, cit., p. 705, l’Autore offre una ampia, «pur senza pretese di completezza», rassegna delle categorie di atti contrari a buon costume. ORAZIO, Odi, 2, 10, 5 ORAZIO, Satire, 1, 1, 106-107 5