Fratelli crudeli? - Associazione Gea
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Fratelli crudeli? - Associazione Gea
Individuazione Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale a cura dell'Associazione GEA Sped. A.P. Comma 20/c - Art. 2 - Legge 549/95- GE- Reg.Trib.di Genova n.31/92 del 29/7/1992 Dir. Resp. A. Cortese Ass. GEA Via Palestro 19/8 16122 Genova; Via Salasco 20 Milano - http://www.geagea.com - Anno 11 - N.04 - Dicembre 2002 Il Gioco del Potere sprecato Fratelli crudeli? Siamo sommersi da notizie Saremmo davvero fratelli negative, costantemente a con- crudeli se coltivassimo radifronto con la nostra debolez- calmente la mutazione coscienza, il nostro limite, sospesi ziale? ormai da tempo tra il rischio Ho l’impressione non ci si dell’annientamento totale e la voglia svegliare del tutto. Che possibilità della umana tra- si voglia restare tra favola e sfigurazione. risveglio. Sappiamo che il pensabile Il cosiddetto Grande Risveè tutt’uno con il possibile e glio Spirituale non ha nulla a che il possibile, avendo a di- che fare con sentimentalismi, sposizione l’eternità del non romanticismi e umanesimi unitempo, prima o poi accade. laterali. Il risveglio consiste, raL’uomo può ciò che fin qua dunando tutte le nostre facoltà solo la natura poteva. Com- intellettive e senzienti, nel sopplice Prometeo, ha rubato il portare lo sguardo sulla nuda fuoco agli dei, ha sottratto Cosa. Al di là del Bene e del all’universo fisico quasi tutti i Male, senza voli verso il prima o suoi segreti. verso l’oltre, assistere anche solo L’uomo però ha anche ru- al grande Fenomeno del Monbato il cielo agli dei. Lo fece do. quando apparve sulla Terra Perché è così difficile acun uomo di nome Gesù. cettare la partenogenesi della Con la comparsa della co- natura, la sua crescita, il suo scienza cristica l’uomo resta dramma, senza dovere scaricare le tensioni su un Grande orfano di idoli e di divinità. Responsabile? E tanto, tanto libero. Perché è così difficile, acE tanto, tanto potente. Ma egli pare non sapere canto all’umana, composta e che farsene della sua libertà e silenziosa pietà, riconoscere quella necessità superiore a cui del suo potere. Una mutazione naturale gli la stessa Madre di tutte le Madri si è installata dentro, invisi- ha saputo sottomettersi? Ma avete presente gli infibilmente, silenziosamente. Una mutazione per cui tutte le niti volti della Madonna in cui cose terrene sentono di dipen- essa, la Pietà, è rappresentata? dere da lui come lui seppe in Avete presente lo sguardo della madre e del Figlio? Mai trapassato di dipendere da dio. Ma egli non osa ancora pela facile emotività, ma solo guardare al suo potere totale un dolore infinito che dice ansicché insiste ancora ad agire che l’infinita impotenza per irresponsabilmente come un quello che già si lascia intuire bimbo, pretendendo fantasma- essere un destino dolorosissiticamente eterna rassicurazio- mo ma necessario e finalizzane da una presenza più gran- to. Noi invece temiamo di dare de di lui. Da un Padre, da nome alle cose nel distacco. un’Autorità che 123456789012345678901234567890121234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789 ATTENZIONE: continuerà a dar- 123456789012345678901234567890121234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789 gli pane e sonno. 123456789012345678901234567890121234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789 Evento ECM a pag. 7 123456789012345678901234567890121234567890123456789 Prende il potere 123456789012345678901234567890121234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789 come un gioco e, proprio come Temiamo l’oscillazione tra l’alun bimbo, preferisce mano- gida osservazione scientifica e mettere, mani-polare, buttar- il bruciante coinvolgimento si goffamente e crudelmente affettivo. Eppure occorre spendere sui suoi compagni di gioco. Non ama ancora il gioco del due parole a favore della scienza se scienza è semplicemente cielo sulla terra. Non ama. Ma il possibile ha davanti a conoscenza. Ecco, noi non reggiamo avanti alla visione disè l'infinito per accadere. staccata dell’evoluzione di cui siamo parte. Non la vogliamo avere. Vogliamo restare ciechi e vicini al dolore. L’immagine che mi sovviene è di una Madonna che, per non reggere il dolore, non lascerebbe né riconoscerebbe a Cristo il suo destino salvifico. Quando avanzo la necessità che in me l’essere avverte di incoraggiare la mutazione che mi ha colpita nel venire al mondo, mutazione di logica e di struttura coscienziale, spesso mi sento dire che per noi, qui in questa parte tranquilla di Occidente, è facile parlare di compito spirituale, che ogni secondo al mondo muoiono tot bambini, che in Sud America esistono commerci vergognosi di carne umana, che i poveri e i barboni non possono essere rimossi. Ecco: mi sento di nuovo sola nel repentino e subdolo cambio di registro su cui l’altro si sposta e dal quale osserva, giudica e ascolta il mio esserci. Tutte le volte che si cerca di parlare oltre l’immediata immedesimazione (che non può durare troppo a meno di non decidere di dedicarci la vita), oltre la comunione naturale della carne e del destino fisico, tutte le volte, dicevo, che si tenta il nuovo discorso con totale determinazione e con radicale sentire, sembra che si compia il peccato immondo ed egoico della selezione solo perché si vuole consacrare la totalità del proprio essere al mondo all’evoluzione coscienziale dell’Essere! E la fiducia che questa esigenza provenga proprio dall’essere stesso che soffre e ha sofferto i limiti della “pre – mutazione” (quando persiste lo stato limbico del guado inoperoso), è sempre troppo fa- cilmente sottratta. Proprio nel momento cruciale! Quando occorrerebbe dire un no radicale alla radice della sofferenza! Quando si dovrebbe osare entrare nella stanza che già per noi è stata arredata di quella trasparenza e universalità concreta che saprebbe, nei secoli dei secoli, sottrarre il dolore nel mondo. Ma non si tollera la colpa di abbandonare e così si pretende di erigere a metodo la paralisi. Sì, perché paralizzante è restare nella figura spirituale del pensiero che coglie sempre e solo la contraddizione. Pavida è quella condizione psichica che accusa la necessaria nuova radicalità di “rimozione” unilaterale perché in realtà non fa che ribadire l’impossibilità sia di pensare il nuovo che, tanto meno, di tentarlo qui ed ora subito. Si rimuove, così, quel lato dell’animale uomo che non sa amare la libertà ed i grandi voli. E non sa non perché sia brutto e cattivo, ma perché tale ignoranza gli è elemento costitutivo in una certa sua fase evolutiva; lato, dunque, fisiologico e non moralistico. E così ancora una volta il Grande Inquisitore di Ivan Karamazov non molla la scena. Ancora una volta nel nome dell’amore per il genere umano, per i suoi fardelli, per la sua imperfezione, si preferisce restare al calduccio sotto l’ala anche se soffocante di qualche autorità ideologica che tolga l’abisso e l’angoscia dell’essere orfani e responsabili su questa Terra della fragilità di Dio. Non mi dispiace affatto tentare di cambiare tutto questo. A.C. AAA A. 2 METODO PARANOIA Considerazioni sulla struttura paranoide della psiche Siamo abituati a sentire parlare di paranoia prevalentemente in due accezioni: a) nel gergo giovanile come sinonimo di paura e/o di stato di confusione mentale b) come disturbo psichiatrico di psicosi paranoide. Nel primo caso è una “piacevole” sottolineatura linguistica di un stato di paura o di angoscia che possiamo incontrare nella quotidianità, nell’altro una vera e propria malattia mentale, delegata all’ambito “psichiatrico”. Questo è quanto galleggia in superficie nella percezione collettiva; due lati estremi quasi facilmente determinabili e in mezzo nulla, nulla o poco meno che arrivi alla coscienza. Cercheremo qui di esprimere proprio la dimensione mancante alla nostra percezione, ovvero la dimensione della paranoia nella sua trama meno visibile, peraltro ben presente nel pensiero e nel comportamento umano; cercheremo inoltre di focalizzare il rispecchiamento tra la sua dimensione individuale e quella collettiva. Para-noia significa etimologicamente disordine (para) della mente (nous), secondo Hillman “è esattamente ciò che il suo nome indica: para-noetica, mentale, cognitiva, quindi un disturbo del significato”. La prima osservazione è la seguente: la paranoia non è solo un modulo comportamentale ma è uno stato o livello di coscienza, latente o manifesto, presente in tutti gli esseri umani; esso è stato funzionale alla conservazione della specie, ma nel nostro tempo sta sempre più perdendo senso rispetto all’economia delle relazioni umane ed all’evoluzione della coscienza. La paranoia, attraverso uno stato di attivazione anche a livello neurofisiologico, predispone al controllo sulla potenziale ostilità dell’altro da sé; essa ha il suo fondamento nella geometria pericolo-sopravvivenza, “hunter and hunted”, persecutore-perseguitato. Ridotta all’osso, consiste nella paura archetipica di essere distrutti, mangiati, fatti a pezzi, paura vissuta da uno strato arcaico della nostra psiche, come è sempre stato nel mondo animale che ha lottato per la sopravvivenza nell’arco della filogenesi. Lo stato paranoide è “lucido” (anche nella forma palesemente psicotica) ovvero ben supportato da un impianto di razionalizzazioni associative che sostengono l’idea e la consistenza dell’ostilità e del “nemico”. In prossimità di momenti di destrutturazione parziale dell’Io, la pasta emotiva della sensazione paranoide è molto particolare, sembra caratterizzata da una percezione proveniente dal numinoso, dall’oltre, oppure da una sorta di ‘sesto senso’ col quale si è consapevoli di non essere sempre in contatto. Proprio questo elemento ricollega il nostro discorso alla teorizzazione sulla Mente Bicamerale di J. Janes, ovvero ad una forma di parziale regressione del funzionamento del pensiero, anteriore allo sviluppo della coscienza soggettiva. La teorizzazione di Janes non è qui riassumibile; per brevità possiamo riportare che essa fa riferimento proprio a livelli di coscienza, di cui quello bicamerale è legato alle percezioni di voci o sensazioni interiori, attribuiti a divinità che guidavano il comportamento umano nelle prime civiltà. La coscienza coincideva con quella situazione mentale in cui non esisteva alcuno spazio interno, “un analogo io” per rappresentare un dentro ed un fuori. Questo strato della psiche è rimasto sepolto ma non si può certo dire che sia inattivo od innocuo; la paranoia latente è proprio una via di mezzo tra uno stato fin troppo soggettivo (lucido), egoriferito e quella percezione del numinoso (o meglio della sua ombra) che rimanda a quell’antico stato di coscienza; una sorta di situazione “borderline” tra due livelli evolutivi. Peraltro, è noto quanto frequentemente la paranoia si accompagni a comportamenti ritualistici: essi hanno un valore propiziatorio rispetto a paure di annientamento e distruzione, proprio come facevano i nostri antichi predecessori. Il vissuto paranoide si incrocia con la situazione bicamerale rimossa e ne attinge tutta la legittimazione ‘divina’. L’ideazione paranoide viene ascoltata come voce dell’inconscio, con una caratteristica di lucidità ed autenticità di un qualcosa che invece è tragicamente fuori dalla relazione con l’Altro e con il “principio di realtà”. Proseguendo in questa direzione, la paranoia si presenta come patologia dell’Io o meglio ancora della libido dell’Io, tutta ricurva su se stessa, in cortocircuito con un egoriferimento ipertrofico, Ego a cui tutto si riferisce in una forzatura di associazioni mentali apparentemente razionali. Questo “cortocircuito libidico” è ben sostanziato dalla scissione tra l’Io e la dimensione più universale, quindi da un disturbo della facoltà di creare simbolo. E’ indubbio che lo stato di attesa, tensione e difesa dall’ignoto, dall’altro da sé vissuto come minaccioso nemico, uomo o fiera che fosse, è stato fondamentale per la conservazione della specie umana, attraverso tutte le sue tappe. Quindi considerando la stratificazione di questo meccanismo potremmo dire che questo stato di coscienza, rinforzato dallo strutturarsi del sociale, si è sedimentato (fino a perdere coscienza della sua stessa esistenza) in una serie di gesti, pensieri, dinamiche collettive e quotidiane che riguardano tutti. Le ripercussioni sociali della stratificazione paranoide della psiche sono molteplici; è noto infatti quanto il controllo sociale venga attuato attraverso dinamiche di tipo paranoide, mi riferisco ad istituzioni (militari, giudiziarie, di potere) che favoriscono nell’individuo comportamenti e vissuti inconsci di paranoia. Le parole di Hillman ("La vana fuga dagli dei") sono illuminanti sulle ripercussioni della scissione paranoide: il non riconoscimento della polis la “città - stato” quale espressione simbolica del Sé fa sì che “quanto è stato escluso ritorni nella polis per quelle vie letterali e prive di anima che sono la burocrazia materialista e la teocrazia fondamentalista: la tediosa città della materia e la fanatica città dello spirito, né l’una né l’altra città dell’anima” Ed inoltre : “Viviamo in uno Zeitgeist (tempo spirituale) di minaccia, in uno stato animico e politico di paranoia... La minaccia della catastrofe giustifica le misure prese contro di essa, rendendo con ciò stesso sempre più letterale la minaccia: la paura della catastrofe tende quasi inevitabilmente a produrre la sindrome. Peggio: la sindrome ha bisogno della catastrofe. Il circolo vizioso della psicologia paranoide è la realtà politica di oggi…” Ma se l’umanità è sopravvissuta ai tragici effetti dell’ultima esplosione psicotica mondiale del secolo scorso, quale sarà la conseguenza della sua attuale insistenza nell’investire su un meccanismo psichico così primitivo quale quello paranoico? I grandi pericoli, però, si sa, risvegliano anche grandi antidoti. Così, pensando alle possibilità concrete di attivazione simbolica e salvifica del Sé nella “polis” mi viene incontro l’esperienza dell’analisi di gruppo; i sogni che raccogliamo, spesso all’inizio del lavoro, fanno riferimento a metafore di congiunzione, di iniziazione attraverso l’accettazione dell’inaccettabile, di amore per il nemico, di morte dell’egoriferimento, in altre parole il loro contenuto tende con grande evidenza ad indebolire la struttura paranoide e “le sue voci”. Ma di questo riparleremo prossimamente su questi fogli. P.C. 3 PROFILI Heinz Kohut Il Narcisismo e la Psicologia del Sè H. Kohut (Vienna 1913 - Chicago 1981) Laureatosi in Medicina a Vienna nel 1938, iniziò ad esercitare come neurologo per poi interessarsi sempre più di Psichiatria e di Psicoanalisi. Si trovò costretto, in seguito all’annessione tedesca dell’Austria, a trasferirsi negli Stati Uniti (1939) dove si specializzò in Neuropsichiatria a Chicago. Dopo il training psicoanalitico si dedicò alla pratica privata e di supervisione e all’insegnamento universitario in Psichiatria e Psicoanalisi. Fu presidente della American Psychoanalytic Association ('64'65) e vicepresidente della International Psychoanalytic Association ('65-'73). Partendo da una rigorosa visione psicoanalitica freudiana, elaborò gradualmente una propria teoria: la Psicologia del Sé. Contesto storico L’apparizione della psicologia del Sé, fondata da Kohut, costituì una sfida all’analisi tradizionale nell’America degli anni '70. Il panorama psicoanalitico di allora era dominato dall’analisi freudiana, di cui Kohut metteva in discussione alcuni principi basilari. Per questa portata fortemente rivoluzionaria, le sue idee non trovarono all’inizio grande eco tra gli analisti americani. Ci sono voluti infatti più di trent’anni prima che l’analisi tradizionale cominciasse ad integrare nell’approccio classico alcuni importanti contributi di Kohut. Oggi si può parlare di ripercussioni di grande entità del pensiero kohutiano nella pratica psicoanalitica americana (e non solo) oltre che nell’orientamento teorico. L’aspetto per noi più interessante di questa inversione di rotta riguarda sia l’ambito relazionale in cui si colloca, sia l’aver aperto la strada alle successive posizioni intersoggettive dei cosiddetti Neofreudiani. Il Pensiero La psicologia psicoanalitica del Sé è frutto del lavoro pionieristico di Kohut con pazienti sofferenti di disturbi narcisistici, i quali mostrano dei sensi indefiniti di depressione o insoddisfazione nei rapporti riconducibili a una forte vulnerabilità della stima di sé, ad una estrema sensibilità alle offese da parte degli altri, mancanza di empatia o di umorismo, stati maniacali e preoccupazioni eccessive per il corpo Tale mancanza di autostima sarebbe dovuta alla carenza di risposte empatiche adeguate nelle prime fasi dello sviluppo. Kohut considera le mutate condizioni sociali in cui si sviluppa la psiche infantile rispetto al contesto in cui fu elaborata la teoria freudiana: la meno assidua presenza dei genitori priva il bambino di un oggetto immediato per il suo bisogno di idealizzazione e provoca, invece del tradizionale complesso edipico, una malattia del Sé, un disturbo narcisistico della personalità. Kohut pone al centro del suo modello un apparato psichico primitivo, il Sé, la cui coesione ed integrazione è essenziale allo sviluppo successivo dell’Io. Il Sé è all’origine del sentimento per il quale l’individuo si sente un polo autonomo di percezione e di iniziativa. Ha quindi un ruolo funzionale: è una dimensione intrapsichica che si alimenta del rapporto con gli altri, (oggetti-Sé). Se viene a mancare un’adeguata relazione adulto-bambino il Sé si ripiega su se stesso e si fissa in una posizione narcisistica: in tal caso l’esperienza del Sé, normalmente appagante, si disintegra e si cristallizza, in modo difensivo, dando luogo a un Sé grandioso e onnipotente (narcisistico). La terapia proposta da Kohut è centrata sul contenimento e la ricostruzione del Sé frammentato. Egli individua con chiarezza nell’empatia il metodo principe per la raccolta dei dati in psicoanalisi nonché un elemento cardine del proprio orientamento teorico e clinico. Lo sviluppo della personalità I bisogni narcisistici permangono per l’intero corso della vita seguendo uno sviluppo parallelo a quello dell’amore oggettuale. La posizione classica sul narcisismo risulta quindi a suo avviso moralistica perché contrappone l’amore di sé con l’amore per l’altro, considerando negativo il primo. Al contrario esisterebbe un ‘doppio binario’: una libido oggettuale e una narcisistica, una che porta all’amore verso l’altro e una all’amore verso sé. Lo sviluppo della personalità origina da un equilibrio narcisistico primario ed evolve a partire dalla capacità della madre di disilludere gradualmente il bambino sottoponendolo alla frustrazione ottimale - concetto base - grazie a cui delusioni tollerabili dell’equilibrio narcisistico primario portano al graduale instaurarsi di strutture interne che permettono al bambino di imparare a calmarsi da sé e di tollerare la tensione narcisistica. L'esperienza della frustrazione è alla base dello sviluppo della capacità di percepire la realtà, interna ed esterna, distinguendola da fantasia ed allucinazione. Il processo di formazione delle strutture psicologiche è lento e passa attraverso due stadi contemporanei: - L’imago parentale idealizzata è lo stato in cui una parte della perduta esperienza di perfezione narcisistica è attribuita a un oggetto-Sé arcaico (genitore) che viene così idealizzato. Al genitore spetta di lasciar cadere gradualmente tale idealizzazione lasciando che il figlio incontri l’inevitabile esperienza di frustrazione, che sola porta al passaggio evolutivo successivo. Quando la frustrazione non è adeguata, si determina un danno permanente nella personalità, una fissazione (narcisistica) che può essere superata solo attraverso il trattamento psicoanalitico. - Il Sé grandioso, costituito da esibizionismo e grandiosità, è lo stato complementare a quello dell’imago parentale idealizzata. Se l’esperienza di frustrazione è ottimale il bambino impara ad accettare i propri limiti realistici, rinuncia alle fantasie grandiose e alle grossolane esigenze esibizionistiche, sostituendole con mete e scopi sintonici all’Io e con l’autostima realistica. Se invece il bambino subisce gravi traumi narcisistici il Sé grandioso si conserva nella sua forma inalterata e arcaica generando patologia. Nei disturbi narcisistici e in qualche misura anche nelle nevrosi, il lavoro di consolidamento del Sé non è avvenuto sufficientemente e deve essere rafforzato con l’aiuto del processo analitico. Sul piano del transfert Kohut notò che tali pazienti tendevano a instaurare due tipi di transfert: il transfert speculare (in cui il paziente cerca di ottenere una risposta di conferma) e il transfert idealizzante (in cui il paziente vive il terapeuta come un genitore estremamente potente, la cui sola presenza può consolare e risanare). In entrambi i casi Kohut ipotizza un soggetto con un Sé difettoso o carente, fermo a uno stadio in cui è fortemente incline alla frammentazione. La meta del trattamento nei disturbi narcisistici della personalità consiste nel portare il paziente a riconoscere la presenza, accanto ai fini realistici, di mete narcisistiche e perverse, vincendo le resistenze che si oppongono al riconoscimento e all’elaborazione del comportamento e delle fantasie grandiose. La descrizione di Kohut del processo analitico è coerente con le premesse relazionali che fondano la sua posizione teorica: la situazione analitica è posta come un campo interpersonale. Lo sforzo prolungato e coerente di comprensione analitica, sul piano terapeutico, permette (insieme agli inevitabili fallimenti empatici che diventano altrettante occasioni di frustrazione ottimale) di recuperare situazioni deficitarie. Opere principali Narcisismo e analisi del Sé (1971); La guarigione del Sé (1977); La ricerca del Sé (1978) La cura psicoanalitica (1984) A.G. 4 SCHEDE Le città possibili brevi riflessioni tra individuale e collettivo “La città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitarla non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti.” (I. Calvino- Le città invisibili) La città , nel corso della storia, ha sempre rispecchiato le idee fondamentali su cui si basa una cultura: è il palcoscenico ideale per mettere in scena gli eventi che caratterizzano ogni società. Ogni forma urbana diventa immagine del tempo e delle regole di convivenza del gruppo. Senza entrare nella complessa storia delle città, bastano alcune considerazioni per sottolineare certi cambiamenti fondamentali: la città tradizionale aveva lo spazio pubblico costituito dalla piazza, luogo esterno, aperto; la città contemporanea racchiude lo spazio pubblico, sia fisicamente che simbolicamente. Se nelle città greche il teatro, i templi, l’agorà erano a diretto contatto con il mondo esterno, via via questi luoghi sono diventati sempre più contenuti in muri e si sono scollegati dalle altre parti della città. Questo non solo per fattori di comodità o di clima, ma perché lo spirito di comunità della polis antica, basato sulla partecipazione attiva in cui individuale e sociale si intersecavano, si è perso in favore di una specializzazione delle varie forme di attività, con conseguente creazione di compartimenti stagni. Come altro esempio possiamo pensare alle città cresciute con la rivoluzione industriale, dove si formarono immensi quartieri dormitorio e divenne evidente la specializzazione dei vari luoghi: per lavorare, per dormire, per divertirsi. L’alienazione non era quindi solo a livello del lavoro svolto, non più legato alla propria unicità umana, ma lo stesso vivere diventava uno spostarsi in zone specifiche in cui occorreva vestire gli abiti adatti al luogo. Gli esempi potrebbero continuare, vorrei solo accennare al dibattito che si accese tra gli urbanisti verso la fine dell’Ottocento, divisi tra progressisti e culturalisti. I primi ipotizzavano un’architettura razionalista, una città altamente funzionale in cui le varie zone specializzate avrebbero ottimizzato la vita urbana. Le basi teoriche, rintracciabili nell’utopista Fourier a cui Le Courbusier si ispirerà, riguardano una giustizia sociale attuata attraverso un’organizzazione spaziale che consenta a tutti i cittadini di fruire dei benefici della tecnologia. Il collettivo prende il sopravvento ma, partendo da fini nobili, certe forme di razionalizzazione radicali sfociano poi in autoritarismi dove il cittadino si ritrova in una struttura che non riconosce più sua. Viceversa, i culturalisti pensavano al ritorno a vecchie forme urbane: nessun prototipo né standard urbanistici, ogni edificio sarebbe stato diverso dall’altro e l’attenzione avrebbe riguardato soprattutto gli spazi comunitari. Se quindi i razionalisti hanno l’obiettivo di una società ideale su larga scala, i culturalisti pensano alla comunità nella sua specificità. Le differenze sono sostanziali: nella comunità l’uomo attivo, il cittadino politico diventa protagonista: individuale e sociale nuovamente si mescolano. La città rispecchia i due lati dell’uomo: l’individuale e il collettivo. Entrambi convivono in noi e la storia del pensiero umano potrebbe essere vista come un continuo interrogarsi sulle interazioni tra queste due dimensioni. Oggi l’equilibrio è sempre più difficile, talvolta prevale una delle due, spesso c’è una totale schizofrenia e noi assumiamo ora l’una ora l’altra, identificandoci totalmente con un singolo lato. Prevale allora un individualismo egoistico o una folla che diventa gregge. Il cittadino, simbolo di singolo individuo che forma ed è formato da una rete sociale, tende a scomparire. La città attuale è ancora una volta concreta attuazione di questa schizofrenia del nostro tempo. Da un lato esistono singole abitazioni sempre più mono familiari, in cui i nuclei sono ormai singoli o coppie con figli annessi, dall’altro crescono ogni giorno nelle periferie i centri commerciali: capannoni dove ci si sente tutti uguali, nel rito dell’acquisto facile che ci fa illudere di essere individui consapevoli. In mezzo non c’è niente: il mercato tende a scomparire, la piazza è solo un luogo di passaggio, i luoghi della decisione politica sono estranei. Le vecchie aree di coesione sociale hanno perso l’originale funzione. L’antico cittadino, che poteva provare un senso di comunità incidendo attivamente su di essa, non esiste più: sembriamo individui che, quasi casualmente, si ritrovano a vivere nello stesso luogo. L’adagio della Gestalt, per cui singole parti messe insieme costituiscono qualcosa di più e di diverso rispetto alla loro semplice somma, non è più vero: le città sembrano essere diventate solo un elenco anagrafico senza identità specifica. Il bene comune è perso di vista, nell’esagerata attenzione al proprio bene personale. Una riunione di condominio è uno spaccato emblematico di tutto questo: l’aspetto importante non è l’edificio, ma il singolo interesse. Si potrebbe continuare con gli esempi, ma credo che ognuno di noi abbia presente questo stato delle cose, che è ormai talmente radicato che quasi nessuno può proclamare la propria innocenza. Sembra che non siamo più in grado di far parte di una comunità. Certamente esempi in senso contrario esistono, ma spesso sono relegati a localismi isolati, piccole isole felici o anacronistiche che non incidono sull’andamento generale. Oppure la comunità ritorna solo quando c’è un nemico esterno da combattere: lo straniero che mette in pericolo le proprie credenze sicure. Eppure individuale e sociale non possono essere separati, proprio perché l’uno non esiste senza l’altro. Il collante tra le due dimensioni è la relazione. Se perdiamo questa o non siamo più abituati ad attivarla, allora solitudine nelle proprie piccole abitazioni e alienazione nei grandi magazzini aumentano. Conciliare individuale e sociale non è facile, soprattutto ora che nessuno vi è più abituato, ma è l’unica strada contro la schizofrenia. Solo così possiamo tornare a essere cittadini. Vorrei però finire con una nota di speranza che riguarda proprio la mia città. In questi ultimi tempi Genova è in contro tendenza. E’ una delle poche città che, invece di peggiorare nel suo aspetto e nella sua vita, è riuscita a migliorare. Penso al centro storico che sta ridiventando vero centro della città. Non c’è la forza centrifuga che porta illusione di vita attiva nelle periferie dei centri commerciali, ma piuttosto un’attenzione al nucleo centrale della città. Non so se questo episodio possa incidere davvero nell’atteggiamento dei cittadini, comunque è un segnale che qualcosa si sta muovendo. Quando passo per piazza De Ferrari le uniche persone che abitano la piazza e non sono di passaggio sono ormai solo gli extracomunitari. Solo loro rendono a quel luogo il suo senso originale, e anche questo è un segno dei tempi. T.T. 5 RIDERE PER RIDERE La differenza tra un genio e uno stupido è che un genio ha i suoi limiti. (Anonimo) Se vuoi assaporare la tua virtù, pecca qualche volta. (Ugo Ojetti) Zelo: malattia nervosa che colpisce talvolta i giovani e gli inesperti. (Ambrose Bierce) La filantropia serve da copertura a coloro che desiderano seccare il prossimo. (Oscar Wilde) Quando un uomo ti dice: “Ti amerò sempre” penso: cos’è, una minaccia? (Brunella Andreoli) Si è buttato nel Ticino. L’hanno ripescato nel Po. Ne ha fatta di strada! (Marcello Marchesi) Nuova Delhi: autobus investe una mucca: cinquanta morti. (dai giornali dell’agosto 1993) Non vedo perchè sia legittimo amare insieme Cimarosa, Bach e Strawinski, e sia da fedifraghi amare a un tempo Carolina, Claudia e Maria. (Gesualdo Bufalino) Quando fracassate monumenti, salvate i piedistalli. Tornano sempre utili. (Stanislw J. Lec) E’ difficile riconoscere un gatto nero in una stanza buia soprattutto quando il gatto non c’è. (Proverbio cinese) E’ primavera: nella serra, in ogni fiore c’è un’orgia. Chi riuscisse a inventare un motel per insetti farebbe i milioni. (Stefano Benni) Non sono un atleta. Ho cattivi riflessi. Una volta sono stato investito da un’automobile spinta da due tizi. (Woody Allen) Eravamo così poveri che mia madre non poteva avermi. Così mi ha avuto la vicina di casa. (Mel Brooks) Certo che ti amo! La bellezza e l’intelligenza non sono tutto, a questo mondo! (Anonimo) Questa la chiamano musica classica, vero? L’ho capito perchè non cantano. (Marilyn Monroe) ...sono stufo di non portare mai a termine le cose che inizio. Mi analizzo e mi chiedo: “Ma è mai possibile che...” (Franco Pennasilico) Amare significa poco dolci. (Maurizio Sangalli) Non picchiatevi mai con persone brutte, perchè non hanno niente da perdere. (Anonimo) Il mondo è diventato così pericoloso che quando uno se ne va, ringrazia il cielo per esserne uscito vivo. (Boris Makaresko) Secondo i meteorologi la previsione era giusta, era sbagliato il tempo. (Henri Tisot) Odio le discussioni di ogni tipo. Sono sempre volgari e spesso convincenti. (Oscar Wilde) Le conversazioni dal parrucchiere sono la prova inconfutabile che le teste sono fatte per i capelli. (Karl Kraus) Un buon ascoltatore di solito sta pensando a qualcos’altro. (Kin Hubbard) Quando sentirai il telefono che non suona, sarò io che non ti chiamo. (Fannie Flagg) Se i pesci non abboccano all’amo provate con: “La stimo profondamente”. (Mario Zucca) Mi ricordo con affetto ancora adesso tutti i momenti in cui non l’ho incontrata. (Oscar Levant) Rifletti, prima di pensare! (Stanislaw J. Lec) Sono gli uomini che sbagliano o siamo noi donne nel giusto? (Syusy Blady) L’unica cosa che detesto del mio passato è che è lunghissimo. Se dovessi vivere un’altra volta farei gli stessi errori, però prima. (Tallulah Bankhead) Ho una famiglia da farmi mantenere. (Mino Maccari) Non mi ricordo mai una faccia, in compenso però dimentico i nomi. (Leopold Fetchner) Solitudine: quando sono nato, mia madre non c’era. (Ivan Della Mea) Riduzionismo: i sette Re di Roma erano tre. Romolo e Remo. (Anonimo) Ho una vasta collezione di conchiglie, che tengo sparse per le spiagge di tutto il mondo. (Steven Wright) Vedere in tutti i lati positivi e partire da essi: Hitler era non fumatore. (Tobias Inderbitzin) a: i u cu ertezz s e c s . t o r e o due co are con ra? t t o l a D l t ' l o n E n o s o s s o c o ria... o s i o p c m a i i o è la me m . r o più.. Una o d r rico a l me non . . . ra L'alt 6 BACHECA 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 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d'ufficio 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Telfax: 010 - 8391814 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 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per raccogliere 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 proposte ed iniziative ludico - culturali 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 per completare GRUPPO DI INCONTRO 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 il programma delle Attività per il 2003 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Trainer: Simonetta Figuccia 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Iscrizioni entro il 7 Marzo 2003 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Vi ricordiamo che il trimestrale 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Individuazione 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 può essere letto e scaricato dal nostro sito web: 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 http://www.geagea.com 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 ore 21 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 E-mail: [email protected] 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 presso la sede di Genova Chi invece desiderasse riceverlo a casa in versione cartacea, 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 può richiederlo utilizzando il coupon qui sotto riportato. 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Via Palestro 19/8 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Nome e cognome ..................................................... 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Indirizzo ................................................................... 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Un'occasione per migliorare 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Cap ............................. Città .................................... 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 conoscenza reciproca e sinergie. 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Tel ...................... Professione .....................Età ....... 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Ricordiamo che sono soci tutti coloro 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 che sono in regola con il pagamento 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 desidero ricevere il trimestrale 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 della quota e, pertanto, chiediamo 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 “INDIVIDUAZIONE” 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 gentilmente collaborazione nella 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 CONTRIBUENDO col versamento quota associativa 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 verifica della Vostra situazione 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 di Euro 25 sul c/c postale N. 19728161 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 Associazione G.E.A. - Via Palestro 19\8 - 16122 Genova associativa. 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 1234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121 GEA ORGANIZZA Domenica 23 Gennaio Amori Difficili: GoGea Venerdì 14 Marzo Atteggiamento ludico Mercoledì 19 Febbraio Assemblea Annuale dei Soci 7 ATTIVITA' 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789012123456789012345678901234567890121234567890 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psicoterapeuti, ecc.), sono tenuti ad ottemperare al principio della Formazione Continua, la nostra Associazione ha deciso di diventare un “Provider” dell’ECM, ossia un ente riconosciuto dal Ministero della Salute quale organizzatore e dispensatore di eventi formativi ECM. Così abbiamo presentato il primo evento, un programma di quattro giornate di studio sul tema “L’archetipo dell’Ombra: il limite e la malattia nel rapporto psicoterapeutico” ed esso è stato accreditato presso il Ministero della Salute. Siamo in grado, quindi, di riportare già fin da ora e su queste pagine il programma nel dettaglio chiedendo agli interessati solo la pazienza dei tempi tecnici per quanto riguarda l’esatto numero dei crediti riconosciuti al nostro evento. Comunicheremo la notizia appena essa ci giungerà dall’ente deputato. I Destinatari L’evento si rivolge a psicologi e medici. Ai primi perché è tema specifico del loro lavoro. Ai secondi perché ormai è nella sensibilità scientifica generale il riconoscere al colloquio medico - paziente la delicatezza e il valore terapeutico che si riconosce ad un vero e proprio colloquio psicoterapeutico stante la nuova e davvero salutare tendenza a considerare il malato non più un insieme di organi ambulante, una inerte “cosa”, bensì un soggetto umano dotato di psicologia, anima e carattere. Il Programma Si propone di approfondire quelle dinamiche psichiche, transferali e controtransferali, presenti nel rapporto psicoterapeutico e psicologico, che nella Psicologia Analitica vengono riassunte sotto il nome di archetipo dell’Ombra. L’Obiettivo E’ il miglioramento, attraverso l’elaborazione dei vissuti conflittuali, della capacità di riconoscere la natura di tali vissuti presenti nel setting psicoterapeutico e psicologico, per imparare a gestirli e a trasformarli a fini terapeutici. In particolare ci si prefigge di porre attenzione allo smascheramento delle forme di cattivo rapporto con il limite e la malattia fisicamente e psichicamente intesi tra le quali: - situazioni di ipercompensazione attraverso comportamenti generatori di stress; - situazioni di negazione del limite o/e della malattia con sbocco nei classici sintomi nevrotici (fobie e ossessioni); - situazioni di parassitismo psicologico con attaccamento al vantaggio secondario che il limite e la malattia possono offrire; - situazioni di identificazione con il limite e la malattia con impoverimento della personalità globale e sbocco in modalità depressive. Si prevede inoltre la focalizzazione su alcune strategie metodologiche che permettono di trasformare il rapporto con il limite in nuova risorsa disponibile. Altro punto qualificante il nostro programma è lo sviluppo di quel particolare atteggiamento di ascolto e di disponibilità dello psicoterapeuta quando egli si trovi a dover trattare con pazienti malati gravi e/o terminali. La sede Associazione GEA, Genova, Via Palestro 19/8 Il calendario Mercoledì 5 Marzo 2003, Sabato 8 Marzo 2003, Mercoledì 19 Marzo 2003, Sabato 22 Marzo 2003. Le Fasce Orarie ore 9 - 12; ore 15 - 18 I Docenti Prof. Carla Pezzani, medico, psicoterapeuta, già Associata all’Università degli studi di Parma, Facoltà di Medicina e Chirurgia, presso la Cattedra di Psicopatologia Generale dell’Età Evolutiva. Docente GEA. Dott. Ada Cortese, psicoterapeuta e psicoanalista, Presidente dell’Associazione GEA “Psicologia Analitica e Filosofia Sperimentale” di Genova. Docente GEA. Il Programma in dettaglio Mercoledì 5 Marzo 2003 Ore 9 – 12: Lezioni Magistrali della Prof. Pezzani sulle dinamiche inerenti: * L’ipercompensazione attraverso comportamenti generatori di stress; * La negazione del limite o/e della malattia con sbocco nei classici sintomi nevrotici (fobie e ossessioni); Ore 15 – 18: Esercizi di role-playng a due, restituzioni del gruppo condotte dalla Dott. Cortese Sabato 8 Marzo 2003 Ore 9 – 12: Lezioni Magistrali della Dott. Cortese sulle dinamiche inerenti: * Il parassitismo psicologico con attaccamento al vantaggio secondario che il limite e la malattia possono offrire; * L’identificazione con il limite e la malattia con impoverimento della personalità globale e sbocco in modalità depressive. Ore 15 – 18: Esercizi di role-playing a due, restituzioni del gruppo condotte dalla Prof. Pezzani Mercoledì 19 Marzo 2003 Ore 9 – 11: Lezioni Magistrali della Prof. Pezzani sulle dinamiche inerenti: * Le strategie metodologiche che permettono di trasformare il rapporto con il limite in nuova risorsa disponibile. Ore 15 – 18: Esercizi di role-playng a due, restituzioni del gruppo condotte dalla Dott. Cortese Sabato 22 Marzo 2003 Ore 9 – 11: Lezioni Magistrali della Dott. Cortese sulle dinamiche inerenti: * La presenza e l’ascolto empatico dello psicoterapeuta nel trattamento con pazienti malati gravi e/o terminali. Ore 15.00 – 16: Drammatizzazione con partecipazione guidata di tutto il gruppo. Ore 16.30 – 18.00: Casi clinici e Presentazione di problemi. Conduce la Prof. Pezzani. Per iscrizioni e prenotazioni rivolgersi alla Segreteria dell'Associazione. 8 Masochismo morale e masochismo fisico Due tra i più inquietanti prodotti del micidiale connubio tra paura e aggressività. Se il masochismo morale può affondare le proprie radici in esperienze primarie e sistematiche di cortocircuito nel rapporto frustrazione - aggressività, il masochismo fisico pare trovare la propria origine in violenze realmente subite da figure familiari in epoche più evolute della maturazione psico - fisica. Il ruolo dei sintomi E’ ancora attualmente accolta l’ipotesi secondo cui la paura sarebbe al centro di tutti i disturbi psichici. Essa ci offrirebbe la possibilità di individuare il punto d’incontro tra soma e psiche. Si parla, ovviamente, di paura patologica, non legata a pericoli reali e va inoltre ricordato che, nell’universo della patologia, va distinta la paura manifesta, con valore di sintomo, dalla paura latente, coperta da un sintomo. I quadri nosologici estremi sono per la paura manifesta: le nevrosi fobiche, per quella latente: le nevrosi ossessive. Il fobico sa d’aver paura; l’ossessivo la maschera dietro il rituale. Spesso le nevrosi ossessive sono precedute da fasi fobiche, l’ossessione interviene come difesa dalla consapevolezza della paura. Il sintomo come difesa dalla coscienza della paura lo si ritrova alla base di certi deliri. Ma qual è la funzione della paura? Essa segnala il pericolo, mobilita l’energia con lo stato di allerta che predispone l’organismo all’azione di difesa. E qual è allora il ruolo clinico dei sintomi? Essi si sostituirebbero all’azione in ciò spezzando la tensione dovuta allo stato di all’erta. Nel soggetto cosiddetto ossessivo il rituale come sintomo lo difende, oltre che dalla coscienza della paura, anche dalla coscienza della sua forte aggressività. Il soggetto ossessivo pare essere più rigido del soggetto fobico. Egli pare, da un lato, caratterizzato da una debolezza primaria dell’Io che deriva da un minor grado di organizzazione di quest’ultimo e, dall’altro, da tendenze aggressive più forti che un Io debole non riesce a dominare. L’origine della paura patologica pare allora essere legata alla pulsione aggressiva. La paura ha la funzione di segnalare la forza di tale pulsione in quanto pericolo che minaccia il soggetto. I travestimenti della paura Nel suo percorso verso il travestimento che la renda in qualche modo gestibile dall’Io, la paura può trasformarsi o in ansia (e questa in angoscia) o in depressione. Se la paura si dice tale perché permane in rapporto diretto con il pericolo che la provoca, via via che essa si allontana dalla causa originaria, proprio perché “sconnessa”, “slegata” e “irrelata”, diventa ansia che può ancora mascherarsi ulteriormente dietro il sintomo fobico e/o ossessivo; oppure si fa angoscia, più difficile da nascondere e “legare” dietro un sintomo ben definito. L’angoscia, come già notava Freud, tende a riprodurre se stessa e ciò che l’ha fatta sorgere in un estenuante quanto fallimentare tentativo di “abrearla” all’origine. Stessa dinamica per la depressione. Se per Freud erano solo l’insoddisfazione sessuale ed i traumi a produrre angoscia, è da tempo ormai accolta l’ipotesi che ogni stato di frustrazione possa dar luogo all’angoscia. Nonostante ripensamenti, Freud non risolse il problema dell’angoscia e neppure Jung. Forse perché non venne sufficientemente compresa la natura delle relazioni esistenti tra aggressività e paura. La relazione tra aggressività e paura Guidati da M. Klein e da S. Nacht, possiamo ipotizzare che il più remoto rapporto tra aggressività e paura risalga al mondo infantile neonatale (secondo questa tradizione psicoanalitica, dai sei mesi in avanti ). L’aggressività sarebbe la reazione pulsionale alla mancata soddisfazione di bisogni elementari primari e quindi alla persistenza della tensione. Il bambino però, sappiamo, non può esprimere aggressività verso la persona da cui dipende per la sopravvivenza; quindi nasce la paura della propria aggressività che condurrebbe all’autodistruzione. Questa sarebbe la prima paura ed anche la più difficilmente sradicabile. Da allora in avanti ogni pulsione ag- gressiva verso l’oggetto di una frustrazione o di un’insoddisfazione rimarrà associata, ancorata alla paura, poiché tale oggetto verrà confuso dall’inconscio personale che lo identificherà con quello che fu all’origine delle prime frustrazioni. Più il bambino reprime l’aggressività, più la tensione persiste ed aumenta in quanto l’energia, provocata dall’inibizione dell’aggressività, resta bloccata. E a questo punto intervengono anche fattori costituzionali a decidere il grado di disagio psichico futuro: la sopportabilità alla tensione, la forza dell’istinto… Masochismo morale (o Depressione) L’aggressività che non può trovare sbocco all’esterno viene rivolta dal bambino su se stesso. E qui sta forse la radice del cosiddetto masochismo morale¹, ovvero la convivenza subita dall’Io con una sorta di Superego percepito come carnefice e giudice inquisitore. Il masochismo morale è una figura di quella condizione psico - fisica più genericamente chiamata “depressione”. Distinguendo poi la depressione tra vera e propria patologia e predisposizione alla condizione “depressiva”, l’unità fondamentale di ogni stato depressivo pare essere l’accoppiata tra senso di colpa cosciente e notevole riduzione della propria autostima con diminuzione provvisoria dell’attività mentale e psico - motoria, nonché delle funzioni or- ganiche. Essendo il depressivo un soggetto che originariamente non ha concluso affermativamente l’elaborazione del lutto (conseguente alla percezione dell’indipendenza dell’oggetto d’amore: la madre), ne consegue che egli sia tale proprio perché imprigionato nel limbo della modalità relazionale narcisistica. Ciò significa che l’oggetto del suo amore deve essere onnipotente, infallibile, buono e sempre pre- 9 sente. Poiché l’oggetto reale non possiede mai queste qualità, e poiché il soggetto cortocircuita la relazione in una identificazione introiettiva, l’aggressività per la frustrazione diventa immediatamente autoaggressività. Il soggetto si trova a vivere come una mutilazione di quella che considerava la parte migliore di sé (l’oggetto buono) e si trova esposto senza riparo alla potenza scatenata della sua aggressività e alla messa in minoranza delle sue pulsioni d’amore. Anche se non si può negare la validità dell’ipotesi relazionale, resta ad essa affiancabile la teoria del Freud maturo sulla primarietà della pulsione di morte, accanto all’altrettanto primaria pulsione di vita. Anche per l’intensità della sua mani- f e stazione valgono gli elementi fisiologici e psichici già sopra citati. Da un punto di vista filosofico esistenziale resta il fatto che ogni nostra angoscia, ogni nostra depressione, può essere fatta risalire alla paura che tutti ci accomuna e che ha un preciso inesorabile nemico: la morte. Morte voluta dalla madre che non ci delizia con il latte che vorremmo, morte voluta dal compagno che ci abbandona, morte voluta da un Dio paradossale, morte voluta dalla Necessità. Ma reimmergiamoci nelle profondità, torniamo verso quelle posizioni intermedie che ci consentono di rimuoverla quel tanto che basta per continuare a vivere e a scrivere. Allontaniamoci da linee di confine così inquietanti e perturbanti e torniamo al masochismo. Masochismo fisico Accanto al masochismo morale e alla depressione che salvano sempre gli altri a proprio discapito, va però segnalato un altro masochismo: quello fisico. Se il masochismo morale può affondare le proprie radici in esperienze primarie e sistematiche di cortocircuito tra frustrazione e aggressività , il masochismo fisico pare affondare la sua origine in violenze realmente subite da familiari (non necessariamente la madre) in epoche più evolute della maturazione psico - fisica. Diciamo “violenze realmente subite” con ciò intendendo la partecipazione della coscienza del bambino nella relazione entro cui egli ha subito la violenza (psichica e o fisica). Se da un lato essa, quando si mostra con l’evidenza della ferita fisica, ci inquieta e immediatamente ci fa pensare ad un sintomo di tipo psicotico, è anche vero dall’altro lato, che questa naturale repulsione all’autodistruttività fisica potrebbe condurre noi terapeuti fuori strada inducendoci ad un tipo d’intervento che anziché curativo, come nelle nostre naturali intenzioni, rischia di diventare ulteriormente patogeno. Non stiamo dicendo che non siano clinicamente gravi i segnali anticonservativi soprattutto negli adolescenti e nei giovani, ma stiamo sostenendo che questi sintomi, confortati dai dati clinici, rimandano ad un’origine e ad un tempo storico nell’evoluzione del paziente in cui la sua soggettività ed il suo Io erano già sufficientemente strutturati ed integrati, a tal punto da non aver potuto né “voluto” rimuovere la ferita e l’offesa subita (in genere sessuale o “sensuale”) ma di “scegliere” la sua ripetizione sistematica in un rituale autoindotto e in un luogo simbolico e reale a tutti visibile: sulla propria pelle. Non è un caso che le ferite che i bambini ed i giovani s’infliggono sono soprattutto sulle braccia, sulle mani e, infine, anche sul viso: bruciature con sigarette, ferite con cutter, sevizie al pro- prio viso con le unghie (quest’ultimo luogo meno ghiotto perché meno fruibile visivamente dal celebrante e destinatario del rito). La sofferenza delle bambine E non è un caso che nell’autoaggressività fisica “dimostrativa” primeggino le donne. I casi clinici, a questo proposito, evidenziano spesso esperienze infantili remote di abusi e molestie a sfondo sessuale, sistematiche o episodiche, che vennero consumate nell'omertà familiare che proteggeva l'adulto (spesso un nonno o una zia)e abbandonava la piccola bambina. Lo sviluppo psichico consequenziale all'esperienza abbandonica comporta il vissuto di corruzione irreversibile del proprio corpo e della propria anima. La risposta sintomatica, l'autoaggressione fisica, ripercorre - secondo l'ancora attuale tentativo freudiano di comprendere la nevrosi d'angoscia, - e ripete la ferita, l'oltraggio, la profanazione subiti invano ricercando il capovolgimento del copione: sostituire a quella bambina che è stata e si è sentita oggetto, il soggetto che a suo tempo ne ha fatto uso. E ciò che la bambina non può dire, ella lo incide a lettere di fuoco nel suo corpo. La storica identicità donna - oggetto contribuisce ad amplificare il significato di questo grido adolescenziale femminile che non al singolo individuo si rivolge ma a tutta la società umana. La sua inscrizione nel corpo si fa sintesi dell'assurda sopravvivenza psichica di questa corrispondenza donna - oggetto. Maturità dei giovani Il potenziale messaggio d’aiuto, tut- t’uno con un segnale di potenziale maturità comunque presente, può giungere non solo dagli atteggiamenti concreti, ma anche dal materiale onirico: Il giovane sognatore viene accoltellato più volte alle spalle. Senso di morte imminente. Angoscia terribile. (Si sveglia). Lo stesso sognatore assiste ad una scena in cui un suo amico, simbolo di pensiero e vita superficiali, sta morendo sotto le coltellate sferrate da un gruppo di neri. Sconvolto, cerca di soccorrerlo ma egli stesso resta ferito gravemente. (Si sveglia). Seguendo le sue stesse associazioni che egli ha portato in gruppo: “se nel primo sono ancora tutt’uno con la mia superficialità tanto da dover essere attaccato mortalmente dall’inconscio, nel secondo è come potessi meglio vederla. E quindi forse è giusto che quella parte di me così indifferente, qualunquista, superficiale appunto, debba subire i colpi del mio inconscio, la banda dei neri, nonostante la mia angoscia”. Alcune differenze Abbiamo altrove segnalato varie forme autodistruttive: dalla onicofagia alla tricotillomania. La dinamica di fondo riguarda sempre il trinomio “ frustrazione, paura e aggressività”. Vorremmo qui introdurre un elemento di differenza che troviamo abbastanza significativo: l’autodistruttività del corpo sul corpo e l’autodistruttività attraverso oggetti extracorporei. Premesso che in realtà si assiste sempre a mescolanze di sintomi, proprio per tal ragione è importante saper discernere tra gli stessi, quelli che sono o possono essere intesi come messaggi più densi di presenza soggettuale, seppure con altrettanta e proporzionale densità di dramma, da quelli più primari e primitivi. Va da sé che stiamo trattando fenomeni di “piccolo” masochismo (attraverso cui ci si procura ferite superficiali a connotazione “dimostrativa”). E utilizziamo il termine “masochismo” proprio perché nella “detensione” che questo sintomo, quale rito dimostrativo, provoca, si realizza quello stato confuso di piacere e senso di colpa latenti che tanto incoraggiano e rendono credibile (i dati clinici sembrano confermarlo) la relazione con aspetti pregenitali della vita sessuale. Noi ipotizziamo che là dove sia presente il masochismo fisico, ci sia anche il ricordo dell’evento traumatico più facilmente riaffio- 10 rabile o mai andato perso. Ipotizziamo anche che, quando si tratti di masochismo tramite uso di oggetti, possa esserci una facoltà di premeditazione, in cui si esprime perversamente la capacità della mediazione. Sappiamo che non è tanto il ricordo dell’evento drammatico, né l’isterico ossessiva “premeditazione” gli aspetti sui quali deve svolgersi il lavoro analitico: questo deve tenersi saldo al processo che può rendere dicibile l’indicibile, attraverso la costruzione di un rapporto psicoanalitico in cui il paziente o più spesso la paziente possa respirare quella fiducia che lo condurrà all’affidamento e dunque al superamento, più che della rimozione, della vergogna e del senso di colpa per voler dire a qualcuno finalmente il “grande segreto”. Nella maggior parte del masochismo fisico c’è ciò che vuole essere svelato ma che deve restare velato. L’importante è non cascare nella trappola, ossia non cedere al lato psicotico, alla gravità dell’”acting –out” esibito, ma sapere che esso può essere l’urlo silenzioso di una soggettualità che è solo imbavagliata da una patologica omertà affettiva. Interdipendenza dei fenomeni psichici e dei fenomeni endocrini La paura della propria aggressività e la percezione della propria aggressività producono alla lunga effetti di estrema importanza: le funzioni dell’Io tendono ad esaurirsi nello sforzo di eliminare un’energia pulsionale che non riescono ad integrare e che finisce anzi per disorganizzarle. La loro azione ne risulta turbata sia per ciò che concerne la risposta alle esigenze della realtà esterna, che per ciò che attiene alle pulsioni provenienti dall’inconscio. Si formerebbe così una sorta di Io debole: dalle varie difficoltà di adattamento e di ideazione fino alla disintegrazione quasi totale della personalità. C’è da sperare che anche le ricerche in campo fisiologico possano dare un contributo per fenomeni tuttora oscuri. Alcune ricerche (Selye) pare abbiano mostrato che la paura può agire sull’organismo al pari di un qualsiasi agente traumatizzante come ad esempio, un shock fisico esterno, e può scatenare, al pari di questo, le medesime reazioni funzionali producendo eventualmente le medesime lesioni. Secondo le ricerche di M. Ribble nel bambino che non resti a sufficiente contatto con la madre si assiste ad un certo irrigidimento muscolare diffuso accompagnato da una diminuzione del ritmo e dell’ampiezza della respirazione, fenomeno che indica che questo stato ansioso potrebbe essere la risposta alla frustrazione e all’aggressività che questa scatena. Si registra inoltre una carenza d’ossigeno nella circolazione sanguigna particolarmente al livello della circolazione cerebrale. Si vede, così, come l’ansia conseguente ad una frustrazione affettiva possa esercitare un’azione perturbante sul nutrimento delle cellule e dunque sullo sviluppo e sulla maturazione dei centri nervosi. Ora, i centri nervosi e soprattutto i centri subcorticali svolgono un ruolo d’importanza fondamentale a livello dell’apparato nervoso generale preposto all’integrazione delle forze pulsionali che a tutt’oggi parrebbe costituire la sede somatica delle funzioni dell’Io. Alcuni aspetti dell'Io debole Posto l’Io come insieme di funzioni, se le funzioni e lo sviluppo dell’Io possono dipendere dalla maturazione di certi apparati fisiologici, possiamo chiederci se non sia ugualmente probabile l’azione inversa. Si potrebbe concludere che la debolezza dell’Io è determinante in tutti i processi psicopatici anche quando abbiano un’origine, per così dire, puramente organica. Le principali conseguenze dell’Io debole si manifestano come: -incapacità totale o parziale di integrare le forze pulsionali provenienti dall’inconscio e di utilizzarle rielaborandole (debolezza della personalità); -incapacità totale o parziale di distinguere il segno dell’aggressività, se positiva o negativa, con conseguente inibizione permanente e totale dell’attività; -incapacità di ridurre l’ambivalenza profonda e quindi di instaurare rapporti affettivi durevoli; -incapacità totale o parziale di sopportare frustrazioni senza reazioni aggressive e regredite. L’eccesso di paure primarie predisporranno il bambino a mal tollerare le altre; quindi anche il conflitto edipico. Il bambino, trovandosi in una situazione di rivalità e gelosia che potrebbe scatenare un’aggressività troppo temuta, cercherà di evitarla con un atteggiamento di estrema passività che potrebbe condurlo alla personalità omosessuale. La paura di perdere l’oggetto amato e la paura della castrazione sono precisamente i due poli dell’angoscia ed entrambi sono intimamente connessi a reazioni aggressive. L'analisi come “correttivo” dell’Io primario debole La situazione che si crea attraverso il rapporto analitico, ed in particolare attraverso il cosiddetto “transfert”, offre innanzitutto al paziente, in un’atmosfera necessariamente frustrante, la possibilità di “agguerrirsi”, di imparare gradualmente a vincere la paura in seguito ad ogni impulso aggressivo. I rapporti fra il paziente ed il suo analista riproducono, “inizialmente” e a grandi linee, i rapporti esistenti a suo tempo fra il bambino ed i suoi genitori, ma il clima in cui ciò avviene è completamente diverso e l’atmosfera affettiva che lo caratterizza deve permettere al paziente di ritrovare progressivamente quella sicurezza minima che gli è indispensabile. E’ infatti grazie a questa atmosfera che le paure di un tempo possono essere rivissute, divenire consce e quindi eliminate e che l’Io può trovare infine la possibilità dapprima di padroneggiare e poi di integrare utilmente le forze provenienti dalle pulsioni aggressive. La cura psicoanalitica come esperienza biologica Il paziente arriva a rinunciare a comportamenti che gli erano familiari e arriva ad adottarne dei nuovi che fanno perno, inizialmente, sulla persona dell’analista, per poi proseguire velocemente in sufficiente autonomia critica ed autogoverno. Non crediamo ci sia da stupirsi avanti all’ipotesi seguente: che a fronte dell’eliminazione della paura latente, s’inscrivano simultaneamente delle modificazioni nelle funzioni endocrine. S. Nacht ne parlava già più di trenta anni fa e ci piace qui ricordare la sua definizione della “cura analitica” come di un’esperienza biologica e della paura come nucleo unico di ogni elemento patogeno. Si potrebbe così tentare di riassumere il suo pensiero sull’argomento fin qui svolto: -non esistono una paura e un’aggressività soggettiva ma paura e aggressività primarie ossia “organiche” (parrebbe essere una teoria contro la presunta “scelta” della malvagità umana); -la paura turberebbe lo sviluppo del sistema fisiologico; -l’analisi viene intesa come esperienza correttiva dei disturbi funzionali con rispecchiamento nel sistema fisiologico. Se compariamo gli atteggiamenti bio simbolici in area psicoanalitica, come per l’appunto ha testimoniato S. Nacht, con gli atteggiamenti bio - simbolici della biologia più moderna (secondo la quale non sarà la fisiologia ma il simbolo a guidare futuri cambiamenti evolutivi nella specie umana), ne deriva una speranza più solida sulle potenzialità trasformative della scienza psicoanalitica che potrebbero darle vita socialmente necessaria spostandola da quell’area angusta in cui essa stessa si è spesso autoreclusa per non rischiare azzardate quanto vitali “contaminazioni”. 1) S. Nacht – La presenza dell’analista – ed. Astrolabio . A.C. 11 RICERCHE Il fantasma “...é l’errore che nasce da se stesso, il terrore paralizzante di quell’inafferrabile non-essere, che non ha forma e divora i limiti del nostro pensiero” (*) Dal greco phàntasma: “apparizione”. Viene spesso indicato come “ombra, spettro, soprannaturale di solito malefico, immaginato dalla fantasia popolare”, oppure: “immagine non corrispondente a realtà, simulacro ingannatore, cosa inesistente, illusione, puro prodotto di fantasia.” Se con la fantasia si può volare, per quanto riguarda il fantasma, nell’immaginario collettivo, è solo lui a volare e a spaventarci. In filosofia incontriamo il fantasmatismo: concezione psicologica e gnoseologica secondo cui ciò che viene percepito non è che il fantasma, appunto, della realtà. Proprio come nel mito della caverna di Platone. Vi si può far rientrare anche la dottrina di Democrito nonché di certe scuole moderne che vi sono approdate attraverso una sorta di commistione tra idealismo e sensualismo. In psicoanalisi fantasma “è un termine freudiano che indica la scena immaginaria in cui il soggetto è presente come protagonista e come osservatore, in cui si realizza l’appagamento dei suoi desideri inconsci”. Intimamente collegato al desiderio (Freud parla di fantasma di desiderio) e al contempo al suo opposto (il divieto), il fantasma è il luogo di processi difensivi per lo più primitivi, come la proiezione e la conversione nell’opposto. La dimensione del fantasma è il luogo del rischio mortale che corrono i grandi sogni dell’umanità, quando essa, non riuscendo ad affidarsi a se stessa, preferisce brancolare nel buio della propria istintualità conservativa. Il fantasma è una metafora che l’uomo ha creato con la sua fantasia per evocare realtà interiori e soprasensibili, dove il gioco tra realtà e apparenza tocca corde profondissime che coinvolgono il senso dell’esistenza e la mancanza di sicurezze. Laudisi in “Così è se vi pare” di Luigi Pirandello, parlando con la propria immagine riflessa allo specchio, si dice: “Il guaio è che, come ti vedo io, non ti vedono gli altri! E allora, caro mio, che diventi tu? Dico per me che, qua di fronte a te, mi vedo e mi tocco – tu, per come ti vedono gli altri – chi diventi? – Un fantasma, caro, un fantasma! – Eppure, vedi questi pazzi? Senza badare al fantasma che portano con sé, in se stessi, vanno correndo, pieni di curiosità, dietro il fantasma altrui! E credono che sia una cosa diversa.” Il fantasma ci rimanda al nostro perderci dentro l’abisso delle nostre singole vite, smarrendo la percezione universale e facendo del frammento il tutto e del tutto un incubo notturno. Il fantasma è l’invisibile consapevole di sè e della propria invisibilità; simboleggia, a mio avviso, i diversi livelli in cui l’uomo può vivere la propria esistenza e l’impossibilità di trovarsi con l’altro nella relazio- ne contemporaneamente allo stesso livello o nello stesso registro concreto, simbolico, metasimbolico. Il fantasma interessa dunque la relazione, ha a che fare con la proiezione ed interessa l’orizzonte clinico, quello psicologico e quello spirituale. Dal punto di vista spirituale il fantasma è lo spirito negato quale realtà esistente; diventando l’Ombra di se stesso, ci spaventa ma non lo vediamo. A questo proposito riportiamo il discorso dell’inconscio: La sognatrice è con altre persone con cui lavora analiticamente, incontrano un cane lupo che fa loro da guida e che li porta in un bosco dove ci sono gli spiriti delle stesse persone pronti ad incontrarsi. La sognatrice e i compagni non vedono i loro spiriti e passano oltre. L’uomo che non si riconosca anche spirito rende se stesso un fantasma ai propri occhi. Dal punto di vista psicologico il fantasma è ciò che la nostra mente crea; è l’incoscienza della ragione, sono i pensieri senza realtà che ci portano via dalla vita. Da un punto di vista clinico, il sentirsi un fantasma produce l’urlo di dolore che esce dalla bocca di chi viene investito dal vissuto psicotico: è la frantumazione del soggetto come persona, è la sua morte, è l’irrealtà di tutta l’esistenza. In tutti e tre i livelli il fantasma simboleggia qualcosa di negativo in quanto non ha uno statuto di realtà e in ciò è ingannevole, ciò spaventa proprio perché mette in crisi il nostro bisogno di certezze sensibili. Spaventa simbolicamente perché denuncia il rischio di ogni novità coscienziale che non siamo disposti ad accogliere. E’ ciò che ci perseguita, è l’ombra che trova nell’irreale il suo dominio per farsi ascoltare. Il fantasma rimanda al sonno della ragione dogmatica che Goya, nelle sue incisioni, ha così bene colto: esso domina quel momento psicologico in cui, nella nostra mente, galoppano fantasie sul reale che denunciano la nostra assenza. Il fantasma ci richiede un gesto concreto per sparire, per non inseguirci più, ci richiede di non scindere, di passare ad altra logica rispetto a quella “naturale”, come suggeriscono i sogni già da tanto tempo; come pure le usanze primitive australiane ricordate da Freud, in cui i vincitori avevano cura di chiedere scusa al morto, da loro ucciso, per non essere inseguiti dal suo spettro. Jung ci fa notare come l’atteggiamento di tranquilla curiosità di Faust davanti ai fantasmi antichi della Notte di Valpurga sia dovuto all’aiuto di Mefistofele, simbolo dell’intelletto, considerato dunque come il male e come il “figlio del caos”. Sappiamo che l’intelletto “separato”, ossia l’intelletto che perda il contatto con l’inconscio si vota all’impotenza, allo “sradicamento” del pensiero e dunque all’atteggiamento di sfiducia verso se stesso in quanto percepisce, a un qualche livello, un anello mancante nella relazione con la “realtà” sicché non si fa mai persuaso delle sue attività e relega se stesso nel fantasmatismo. Il fantasma è anche, a mio avviso, l’espediente attraverso cui l’inconscio non ci permette di dimenticare la scissione che nel nostro quotidiano operiamo tra la vita e la morte. Già nell’Alto Medio Evo, la Chiesa si preoccupava della credenza secondo cui i morti possono tornare al mondo per visitare i loro parenti; i padri della Chiesa reputano le credenze popolari sull’opposizionismo degli spiriti sopravvivenze del paganesimo. Anche S. Agostino sbarra la strada, da un punto di vista cristiano, ai fantasmi. Il fantasma nella letteratura ha spesso segnalato un disagio esistenziale dell’umanità; da Goethe a Pirandello il fantasma è stato spesso un soggetto affascinante per la letteratura dell’orrore, per le storie del terrore; oggi la paura del fantasma viene esorcizzata deridendolo in film come “Gostbuster”, addolcendolo in film come “Casper”, o rendendocelo romantico in film come “Gost”. In Amleto il fantasma del padre, chiedendo vendetta per la propria morte, dà coraggio alla follia del cuore di Amleto. Il fantasma ci rimanda alla domanda esistenziale per eccellenza che nella filosofia antica coinvolgeva l’essere e nella modernità l’uomo: essere o non essere? Questo è il problema, o questo è il problema di un’umanità fantasma che non sa? Nel Golem di Meyrink il protagonista rifiuta l’iniziazione respingendo dal fantasma i grani perché lo riconosce fantasma. Ma che differenza c’è tra il fantasma e lo spirito? Forse il dramma del fantasma è che appare anche se non esiste; il dramma dello spirito è di non essere visto pur esistendo. L’uomo non può fare a meno di recuperare una dimensione soprannaturale, (senza limiti, misteriosa ma consapevole) dimensione a cui il fantasma rimanda denunciando i limiti della propria. C.A. (*) Gustav Meyrink - Il Golem 12 RECENSIONI L'empatia psicoanalitica in un lavoro di Stefano Bolognini (*) In questo lavoro Bolognini esplora il concetto di ‘empatia’ (einfühlung) cercando di fare chiarezza, evitando facili mistificazioni ed evidenziandone criticamente il troppo frequente “alone semplificante, buonistico, dolciastro e confusionale” che sfocia in quella degenerazione che egli chiama ‘empatismo’. Ne emerge un concetto più sano di empatia che prevede “separatezza e differenziazione, attenzione e capacità di mantenere operante il pensiero teorico”. E’ una riflessione estremamente stimolante, ricca di riferimenti teorici e bibliografici e al contempo vivacizzata da stralci di ‘diario clinico’ in cui l’autore, mettendosi direttamente in gioco, ci accompagna nel vivo di ciò che concerne l’essere immersi in una seduta psicoanalitica. La bellezza di questo lavoro consiste nel nominare in maniera diretta e il più possibile ‘semplice’, qualcosa di estremamente complesso, che riguarda il ‘sentirsi’ dei due soggetti coinvolti nel processo analitico, sviluppando una riflessione profonda e coraggiosa, che non cede alla tentazione di una qualche esaustività. L’empatia psicoanalitica dunque, tema centrale di questo lavoro, è argomento delicato e complesso, in quanto mette in gioco, nel realizzarsi del processo analitico, il prezioso intrecciarsi di due mondi interni che entrano in contatto profondo. La disposizione empatica dell’analista, quale autentica capacità di sentire l’altro ‘dal di dentro’, ne è quindi una variabile determinante. tra loro che avviene a vari livelli di scambio (verbale e non verbale) tra i due. Costruire tale rete empatica è lavoro lungo e paziente, che si apprende nel tempo, non potendo essere ‘insegnato’. Il maggiore ostacolo che l’analista deve affrontare in seduta sembra essere la paura dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, il che attiva difese (tra cui l’identificazione) per eluderli: questo può ostacolare o impedire l’ascolto empatico. Identificazione ed empatia Mentre l’identificazione è un meccanismo che mettiamo in atto per evitare sentimenti di angoscia, colpa o perdita, prendendo la scorciatoia della (con)fusione tra noi e l’altro, l’empatia serve piuttosto a sentire e comprendere queste condizioni interne. La differenza fondamentale sta nel livello di consapevolezza presente: chi si identifica normalmente non ne è conscio, mentre chi empatizza sì. Quindi, mentre l’identificazione è un processo prevalentemente inconscio, l’immedesimazione empatica accade invece a livello conscio e preconscio, è un evento transitorio e non sostitutivo, pertanto prevede la consapevolezza della separazione. Ciò permette di imparare ad entrare ed uscire dall’atteggiamento empatico. Infatti, citando Kohut, “se non è dotato di empatia, l’analista non può percepire e raccogliere gli elementi di cui ha bisogno; ma se non sa andare al di là dell’empatia, non può stabilire ipotesi e teorie, e in definitiva non può arrivare a una spiegazione dei dati osservati”. Bolognini non manca di citare autori (Ping-Nie Pao) che ne hanno evidenziato l’aspetto di reciprocità: sia colui che desidera essere capito che colui che desidera capire devono partecipare attivamente all’esperienza: ciò fa sì che si stabilisca una intricata rete di comunicazioni connesse E’ pur vero che, se non può controllare il proprio sentire, nè può decidere i propri affetti, l’analista può però imparare a riconoscerli e utilizzarli come risorsa. Ma finché non li accoglie per quello che sono, l’analista rischia di mettere in atto un’empatia inautentica e forzata. Il controtransfert, a differenza dell’empatia, scaturisce da un settore conflittuale della personalità dell’analista, che si attiva nella relazione col paziente, facendo vibrare emozioni che, in quanto non ancora elaborate, tendono all’agito. L’empatia dunque costituisce l’esito finale armonico di un processo, che può passare attraverso vissuti controtransferali, mentre l’esperienza controtransferale è un passaggio, spesso necessario ma di per sé non sufficiente, per avvicinarsi alla condizione empatica. Ciò evidenzia la condizione complessa, articolata e poco decidibile dell’empatia psicoanalitica: ci si può arrivare grazie a molto tempo, molta pazienza e molto lavoro. Empatia e controtransfert Il fantasma della neutralità dell’analista, quale garanzia di professionalità e di scientificità è un’ombra che ha accompagnato la psicoanalisi fin dal suo sorgere. Imparare a mettere in ballo la propria vita affettiva, a coinvolgersi sul piano del sentire profondo comporta il reggere un lutto profondo: la caduta dell’arcaica illusione onnipotente di poter controllare i propri affetti fino a poterli decidere. Empatia e condivisione Bolognini sottolinea inoltre come serpeggi tra gli analisti contemporanei il rischio di un pericolosa ‘retorica della condivisione’, mentre è risaputo che in psicoanalisi tutto ciò che è troppo intenzionale e programmatico è a forte rischio di inau- tenticità e di fallimento. Come l’empatia anche la condivisione non può ‘essere decisa’ a priori: si può solo essere più o meno attenti all’imprevedibilità del suo accadere. Il rapporto tra condivisione ed empatia consiste nel fatto che “l’empatia costituisce, quando le cose vanno particolarmente bene, l’esito integrativo maturo del processo di comprensione, allorchè si organizzano un sentire e un pensare armonicamente comuni, di cui la condivisione è la necessaria premessa grezza, ma non il prodotto finale, né tanto meno - di nuovo - la garanzia.” Empatia ed empatismo Per entrare davvero in empatia, evidentemente, è necessario uscire dal buonismo e disporsi a contattare anche sentimenti sgradevoli, che sfiorano l’odio e l’ostilità, o riconoscere umilmente di ‘non riuscire a sentire’ l’altro, pena il cadere nell’illusione di un contatto proprio mentre invece lo si sta evitando. Rinunciare a sentirsi ‘un analista buono’, insomma, per poter eventualmente diventare ‘un buon analista’. Evidentemente l’autore, a differenza di alcuni psicologi del Sé, tende a vedere l’empatia come una meta, più che come un metodo del processo psicoanalitico. Là dove non sono state viste e superate residue illusioni narcisistico onnipotenti da parte dell’analista, si può incorrere in incongruenze teoriche (circa il ‘dover essere empatico’) che possono derivare da un cattivo uso di questo concetto fino a cadere nel suo prodotto degenerativo che viene qui chiamato empatismo. In esso l’analista tende a sforzarsi di essere empatico al di là del suo reale ed effettivo coinvolgimento inconscio nelle vicissitudini della relazione analitica, immerso in un pericoloso autocompiacimento, rischiando così di perdere la capacità di riflettere su ciò che realmente prova, di osservare e di attendere gli sviluppi della vicenda analitica stessa. Una tendenza al controllo, insomma. In conclusione non possiamo che concordare con Bolognini nell’affermare che la vera empatia non è una marcia che si può ingranare a comando: l’analista può tentare di disporsi alla recettività empatica, ma nulla di più. E’ la meta di un processo che va al di là dell’Io. Non a caso la comprensione empatica vera spesso si realizza solo dopo periodi anche lunghi di non comprensione e di confusione, durante i quali all’analista spetta il compito di restare in posizione di ascolto fiducioso, senza per questo cadere nello sforzo coatto di ricercare il contatto a tutti i costi. (*) L'empatia psicoanalitica Stefano Bolognini Boringhieri 2002 A.G. 13 MITI E LEGGENDE Gnomi, Elfi... & Co. “Sono molto meravigliato di sapere che c’è gente che non ha mai visto uno gnomo. Non posso fare a meno di provare compassione per costoro. Qualcosa non va. Certamente la loro vista non funziona bene.”(*) Gnomi, folletti, elfi, silfidi e fate... sono questi i personaggi di tante fiabe che hanno popolato la fantasia di quando eravamo bambini. Paracelso ed Elephos Levi dividono il piccolo popolo fatato in spiriti della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Il popolo dei boschi esiste sulla Terra da molto tempo prima dell’uomo. Egli ha condiviso con gli animali e le piante il pianeta per molti lustri. Poi sono arrivati gli uomini, numerosi e pieni di esigenze e il piccolo popolo si è ritirato negli angoli più tranquilli dei boschi e delle foreste. La parola “elfo” viene dal latino “Albs” che vuol dire bianco. Il nome venne attribuito dalla tradizione germanica; è nei paesi del nord che essi sono più frequenti. Gli Elfi sono in genere alti, chiari di pelle ed emanano un’intensa luce lunare che si affievolisce nei momenti di pericolo, e si intensifica se sono molto felici o arrabbiati. Nelle grandi foreste del Nord è possibile incontrarli, ma è difficile vederli perché, se è vero che sono luminosi, è anche vero che si mimetizzano molto bene. Ci sono molti tipi di Elfi, come ci sono molti tipi di gnomi, fate, folletti e altro. Anche gli gnomi sono personaggi importanti della mitologia nordica. Oggi sono quasi dimenticati ma, in passato, erano membri ben integrati nella società degli uomini: circolavano per le strade ed era normale che aiutassero o ostacolassero gli uomini a seconda dei loro meriti. Gli gnomi lavorano di notte nei boschi o, in campagna, nelle case degli uomini. Abitano spesso nelle travi dei grandi granai e, se trattati bene, danno un’occhiata al bestiame ed al raccolto. Proteggono dagli influssi malefici, dai trolls e dagli spiriti maligni. Nell’immaginario popolare lo gnomo ha l’aspetto di un nano, spesso barbuto; è custode delle miniere e degli spiriti della terra. Da quando l’uomo è diventato padrone assoluto della Terra, infatti, gli gnomi sono stati costretti a ritirarsi in angoli nascosti, spesso sotto terra, dove si tengono ben lontani dalla nostra vista. Le fate, altre creature del popolo fatato, sono conosciute dai bambini di tutto il mondo. Recentemente, con il film “Pinocchio” è tornata in auge la nota Fata Turchina, buona, dolce e leggiadra, capace di compiere incantesimi, come tutte le fate che si rispettino. E’ curioso soffermarsi sull’etimologia delle parole. Fatale, per esempio, viene proprio da fata ma ha una connotazione perloppiù negativa. Significa infatti “voluto dal fato”, dal destino, e si riferisce spesso a eventi tragici, imprevedibili quanto drammatici. Fata Morgana, personaggio importante della storia in chiave mitologica di Re Artù, compagna e “collega” del Mago Merlino, è un termine usato per indicare un fenomeno ottico dovuto alla riflessione e rifrazione della luce per cui gli oggetti appaiono capovolti nell’aria: un vero incantesimo! Figurativamente sta ad indicare una vana speranza, un’illusione. Ora, per tornare ai nostri piccoli esseri, Yeats li descrive come “angeli caduti in peccato, nè buoni abbastanza per essere salvati, nè cattivi al punto d’essere dannati.” In questo li sento molto simili agli uomini... Molti sono gli aspetti per cui si possono ritenere angeli caduti, fra questi: la loro natura volubile, la loro estrosità, il loro modo di essere buoni con i buoni e cattivi con i cattivi, la loro mancanza di responsabilità, l’instabilità di carattere che mostrano. Il piccolo popolo fatato è fatto di creature estremamente suscettibili: bisogna assolutamente evitare di parlarne spesso e non desiderano che si conosca il loro nome. Ma sono anche molto facili da compiacere: basta solo lasciar loro, in qualche nascondiglio, un po’ di latte o un po’ di cibo, e faranno ogni cosa per tenere lontano dai loro amici, gli uomini, ogni sventura. Sono angeli caduti, ma senza malizia di peccato per cui non furono dannati; vivono nel mondo visibile, come gli uomini, senza far parte nè del cielo nè della terra, e non hanno una forma propria ma mutano a seconda dell’umore e del capriccio del momento. Il loro mondo è quello del sogno, in questo ci appaiono, ci parlano, agiscono per noi. Il loro mondo è fatto di feste, di lotte, d’amore e di musica. Nell’ambito della loro vita sociale sono soliti celebrare tre feste all’anno; la festa di maggio, quella di mezza estate e la festa di novembre. A maggio escono all’aperto e benedicono le sementi germogliate. A San Giovanni, quando i falò sono accesi, fanno fiorire le miniere d’argento. A novembre si scaldano al fuoco degli uomini e possono predire il futuro. Ma perché, pur somigliando tanto agli uomini e pur nella loro ambivalenza, non ci è mai dato di vederli? Forse perché, come afferma Paracelso, “gli spiriti in genere provano avversione per le persone presuntuose e ostinate come i dogmisti, gli scienziati, gli ubriaconi e gli ingordi e per ogni persona volgare e litigiosa; amano invece i semplici, innocenti e sinceri. Quelli che conservano un animo infantile. Solitamente da costoro si lasciano avvicinare, ma con difficoltà, perché sono timidi come gli animali del bosco.” La fondatezza di questa antica ipotesi ci arriva da una testimonianza onirica che, proprio come una favola, sa regalare profonde emozioni: Atmosfera fine Anni Cinquanta. Una spider di quei tempi, un gruppo di giovincelli che evoca la “Gioventù bruciata” del film di James Dean, s’avvicina ad un casolare situato ai margini della città. La porta d'ingresso fa mostra di sè in cima ad una discreta, agevole e tondeggiante scalinata. Essa dà su di un' ampia area sterrata priva di recinzioni. Si sapeva che in quel casolare periferico vivevano persone pericolose. Erano orchi. Nessuno osava avvicinarvisi. Ma con l’incoscienza della gioventù, la baldanza del sentirsi in “branco” e in “banda”, protetto dal mezzo motorizzato regalato ad uno di loro con ricca negligenza paterna, il gruppo, in macchina , si avventura fino avanti alla casa compiendo prodezze acrobatiche automobilistiche ed impestando l'aria di osceno rumore e ancor più oscena tracotanza... Infine i ragazzi scendono e, più per sfida reciproca che per sfida verso l'interlocutore esterno, provocano gli abitanti. Esce il capo orco e quelli, presi dalla paura che si fa subito terrore, risalgono a bordo e mettono in moto. Solo uno di loro resta e si lascia avvicinare dall’orco che, stupito, gli chiede: “perché non hai paura?” e il giovane di rimando “perché in ciascuno di noi c’è un orco e tu non mi sei estraneo”. L’orco, stupito, rientra. Tutti i suoi compagni sono seduti, per il desco, attorno a un lungo tavolo. Egli non si siede ma va avanti ad uno specchio appeso alla parete antistante la fine di una scala che collega i diversi piani della casa . Si guarda e si vede nel suo infinito orrore. E di orrore e dolore urla continuando a guardarsi e intanto la sua faccia si fa fiamma che arde. E la fiamma si trasforma in un bellissimo volto di uomo. (*) A.Munthe L.O. 14 RICERCHE La Pietra Filosofale Il lapis, capace di trasformare in oro tutti gli altri metalli, nonchè l’elisir di lunga vita, che avrebbe dovuto dare all’uomo il dono dell’immortalità. Nel Rinascimento l’alchimia, già viva presso gli Arabi e largamente praticata nel Medioevo, si diffuse in tutta l’Europa. Con le sue effettive scoperte essa preparò l’avvento della chimica moderna. Le ricerche degli alchimisti erano tutte dominate dalla speranza di trovare la pietra filosofale, il lapis, capace di trasformare in oro tutti gli altri metalli, nonché l’elisir di lunga vita, che avrebbe dovuto dare all’uomo il dono dell’immortalità. Nonostante l’illusorietà di tali speranze, l’ideale di una sempre maggior potenza e del dominio dell’uomo sulla natura agivano profondamente sulla mentalità degli scienziati di quel tempo. L’idea di una trasformazione dei metalli non era “campata in aria” in quanto tale possibilità non urtava contro nessuna delle cognizioni scientifiche del tempo e aveva gli stessi scopi che si propone oggi la sintesi chimica che prevede e controlla il raggruppamento molecolare di sostanze diverse. Secondo le aspettative del tempo chi fosse riuscito a trovare la pietra filosofale non solo sarebbe diventato l’uomo più ricco del mondo, ma avrebbe anche goduto di perpetua giovinezza e salute. Eppure, come osserva Jung attraverso lo studio comparato di miti e antichi testi, l’alchimia, archetipo dell’Anthropos, illustra quella stessa fenomenologia psichica che il terapeuta osserva durante il confronto con l’inconscio. Il simbolismo alchemico è l’emblema di quel fenomeno noto non solo in ambito psicoanalitico ma anche nei normali rapporti umani: la traslazione. Vi sono stretti rapporti tra l’alchimia e la psicologia dell’inconscio ed è nella proiezione - emergente nelle relazioni - che l’inconscio si manifesta, attraversando le sue tappe per giungere al compimento dell’Opus (l’unione). Nel Medioevo, attraverso l’opera degli alchimisti, si mette a fuoco per la prima volta in modo chiaro il desiderio dell’uomo di oltrepassare i limiti imposti alla natura umana; l’alchimia, in questo senso, anticipa e prepara l’avvento della moderna civiltà. Sull’onda di tale profondo desiderio che, com’è noto, C.G. Jung interpreta simbolicamente come cammino interiore alla ricerca del Sè, anche sul finire del Cinquecento, quando il metodo sperimentale aprì alla scienza nuove vie, l’alchimia continuò a godere di una notevole fama e ad offrire a strane figure di avventurieri la possibilità di rapidi arricchimenti e di gigantesche truffe a danno di principi e nobili piuttosto ingenui. L’idea delle enormi ricchezze che la pietra avrebbe potuto dare colpiva, infatti, a tal punto l’immaginazione che gli alchimisti ricevettero, al pari degli artisti, denaro e ospitalità presso governi desiderosi di incrementare la loro potenza. Molte persone di talento credettero fedelmente nella reale possibilità di ottenere l’oro: la regina Cristina di Svezia, ad esempio, ma anche personalità di grande prestigio come il filosofo Bacone o il grande matematico e filosofo Leibniz ebbero, su questo argomento, convinzioni fermissime. Jung ha trattato il mito della pietra filosofale facendone l’emblema della psicoterapia. Il Lapis, infatti, la materia prima che gli uomini cercarono inutilmente per secoli, va rintracciata nell’essere umano stesso. Per questo gli alchimisti possono essere considerati dei mistici la cui esistenza è stata dedicata al processo individuativo. Non si sa fino a che punto fossero consapevoli della vera natura della loro arte. Di fatto, da un lato correvano il rischio di errare o d’esser sospettati di pratiche fraudolente, dall’altro rischiavano il rogo destinato agli eretici. Alcuni, come il famoso Paracelso, furono perseguitati e costretti a lavorare nell’ombra, altri si arricchirono alle spalle di principi bramosi quanto ingenui. Uno dei più noti fu Bragadino che compì una delle più grandi truffe della storia ai danni della Repubblica di Venezia. Per ottenere credito invitava centinaia di persone ai suoi esperimenti. Dopo che i notabili avevano preparato il crogiuolo e vi avevano versato le sostanze indicate (carbone, mercurio, ferro ecc.), Bragadino versava un po’ di polverina nel miscuglio, rimescolando il tutto con una bacchetta. Puntualmente, dopo ogni esperimento il fondo del recipiente era ricoperto di uno strato di purissimo oro. Quando il truffatore ebbe accumulato una ingente somma di denaro, fuggì da Venezia e di lui non si seppe più nulla. Molto più tardi fu scoperto l’inganno: la verga di ferro di cui si serviva per rimescolare, era piena di una sottile polvere d’oro trattenuta da un tappo che, a contatto col calore, si scioglieva facendo discendere la limatura sul fondo. A differenza di questo disonesto avventuriero, l’alchimista, come il moderno terapeuta, prende molto sul serio il suo lavoro che lo porta inevitabilmente a confrontarsi con l’Ombra (fase della nigredo). E’ una situazione difficile che lo porta al coinvolgimento e alla trasformazione. Vi sono trattati che analizzano a fondo la natura dell’Opera. Scrive l’anonimo autore del Rosarium Philosophorum, intorno al 1500: “...E’ la pietra il Maestro dei Filosofi... perciò il Filosofo non è il Maestro della pietra, bensì ne è il servo. Di conseguenza, chiunque tenti, con l’arte o con un artificio non naturale, di introdurre nell’arcano qualcosa che per natura non vi si trovi, erra e si pentirà del suo errore.” Commenta C.G. Jung: “ E’ chiaro che l’artista non procede secondo il suo capriccio creativo, ma è spinto ad agire dalla pietra stessa; e questo maestro a cui egli è subordinato non è altri che il Sè. Il Sè vuol rendersi manifesto nell’opera, e perciò l’Opus è un processo d’individuazione o di divenire del Sè.” Tornando ai giorni nostri e tentando un parallelismo tra le pratiche mistiche dell’alchimista e i miti moderni di redenzione, mi chiedo a cosa può corrispondere, oggi, la ricerca della pietra filosofale. Cosa cerca, oggi, l’uomo? Quali sono le sue mete più ambite? Quali le truffe, i nuovi giochi di prestigio??? ... Nella sua variante ombrosa, al negativo, il nuovo mito che illusoriamente sembra garantire potere e felicità eterne, è il denaro, mentre nell’aspetto etimologico positivo del religere la ricerca è quella che, da sempre, muove lo spirito umano, oltre le colonne d’Ercole, nella vita di ogni giorno. E’ la ricerca di Dio, dell’anima, del benessere interiore e della serenità. E’ la ricerca della salute, del giusto e del bene non solo personale. E’ ricerca che si dà attraverso il confronto autentico con l’ombra e la conflittualità che, pur lacerando la coscienza, ogni volta, reintegrandosi in un terzo punto, superiore, contribuisce, dopo la coniunctio, la morte e la fermentatio, all’ascesa dell’anima ed alla purificatio di una coscienza rinnovata, nella percezione dell’essere e del divenire umano. L.O. 15 Stream of Consciousness In memoria di Giangy Una sensazione di grande turbamento mi assale. Poi scoppia il dolore misto a commozione per un pezzetto di vita passata che torna a toccarmi svegliandosi in me. Non so perché ma ho come la sensazione che la morte non ti abbia colto di sorpresa: come tu sapessi che stava arrivando. Come lo sapessi anch’io. Poi d’un tratto, all’improvviso, esplode un dolore sordo, potentissimo; mi annichilisce mentre scoppio in un pianto che temo possa non fermarsi mai più. Evocazione del medesimo antico dolore, dolore di morte, dolore di vita. Dolore. D’un tratto è come capissi chi sei stato per me ed è come temessi di non averti mai compreso, mai accolto veramente. Eppure a mio modo so di averti molto amato. Sei stato l’incarnazione del male di vivere, la testimonianza vivente del male che la vita comporta, non di un male particolare: il male che abita l’umano vivere. Non hai mai tollerato chi legge all’affermativo la vita perché da costoro ti sentivi negato. Eppure hai sempre provocato dialetticamente chi afferma la vita perché ne avevi bisogno: non ti è mai bastato chi ti dava ragione, chi era come te disperato. Sei la persona che più ho sentito vicina quando sono stata disperata anch’io; non hai mai cercato di consolarmi: sapevi stare lì, accanto al mio dolore, come sei sempre stato inesorabilmente accanto al tuo, senza contrapporvi nulla. Mi domando quanto ti ho dovuto rimuovere per tornare a sentire la gioia della vita. Ho cercato di dimenticarti, di prendere distanza da quella fetta di vita che mi aveva schiacciata nella disperazione, nella negatività, in quella che mi pareva esplicita voglia di morire. Mi è sembrato di doverti dimenticare per ritrovare la gioia, il sorriso, la leggerezza. Poi sei tornato nei miei sogni, inaspettatamente solare, intimamente vicino: figura dolce; sei tornato nei miei sogni con un’insistenza tale che mi ha costretta a venirti a cercare, a rimettermi in contatto con te, dopo tanti anni. Così è ripreso, 4 o 5 anni fa, il nostro dialogo, per lo più epistolare, qualche volta telefonico. Oggi capisco che il bisogno era reciproco: tu di contattare quella fiducia che io ho avuto l’intento di ritrovare, io di recuperare la realtà di quella disperazione, di quel non senso che è parte dell’esistenza e che tu continuavi ad incarnare. Molto spesso ho risposto alle tue provocazioni ma, oggi mi accorgo, con un filo di giudizio, forse, che non sono mai riuscita a superare del tutto: come fossero state, le nostre, due scelte diverse. Ma è poi davvero così? Abbiamo davvero scelto? E’ stata tutta disperazione la tua? E’ davvero tutta fiducia la mia? Oggi come non mai ci sento, entrambi, profondamente uno. Sento e riconosco in me la disperazione che ho interpretato essere tua; hai mai sentito in te la fiducia che interpretavi essere mia? Non c’è stato in entrambi, forse, un riconoscersi complementare? Sei sempre stato attratto da ciò che al contempo giudicavi: la psicologia, quella scienza dell’umana mente che, come ti piaceva sottolineare, mente continuamente. Spesso mi hai provocata proprio su questo aprendo vivaci dialoghi. E torna in me l’interrogativo circa il senso profondo del mio lavoro. Risponde in me ad un bisogno profondissimo, questo l’ho sempre saputo; fino a ieri mi bastava intendere ciò come qualcosa di grande, denso di valore. Oggi è caduto il vanto, c’è forse più lucidità mentre mi domando: bisogno di che? La disperazione che in passato ho incontrata è rimasta dentro come un abisso, una domanda costante che, più che una risposta, richiede spazio, apertura, esistenza. Ho trovato spazio per la gioia, la serenità, un equilibrio che mi permette di vivere, ma l’abisso non è stato mai colmato: esiste, di tanto in tanto mi ci trovo affacciata. E’ la sensazione, a volte, di aprirmi ad un pianto che potrebbe non fermarsi più. Non è più un dolore preciso, non ha più una causa specifica. Basta talvolta un evento inatteso che l’abisso si riapre: sempre quello. Il lavoro che svolgo è allora l’occasione che ho trovato per restare aperta a quell’abisso, corrisponde al bisogno di elaborazione profonda, che durerà tutta la vita, del non senso del dolore e della sofferenza che la vita comporta. Più che elaborazione forse si tratta di un tentativo di accettazione. La risposta ad un’atavica richiesta della vita di restarvi di fronte, di provare ad accoglierla per quella che è, senza finzione, senza aggiustamenti. Ho attraversato una fase in cui (come con Giangy) ho teso a contrapporre la fiducia (‘mia’) alla disperazione (‘dell’altro’) in un tentativo di compensazione che ha lasciato troppo spesso dei buchi: un senso in me di parola vuota. Oggi lo intendo diversamente: è una necessità profonda in me di imparare a stare accanto al dolore, al non senso, alla sofferenza dell’umano vivere, per provare a reggerlo, per non doverlo più allontanare, per smettere di giudicarlo ma anche di combatterlo. Faccio questo lavoro perchè mi aiuta ad accettare la vita per quella che è. E’ come sentissi la necessità di trovarmi accanto al nodo, all’inghippo, alla sofferenza per sentire legittimo il mio tentativo, comunque, di tornare a sorridere, a provare gioia, a nutrire fiducia nella bellezza che la vita pure regala. Non mi sento più di parlare in termini di senso o di non senso. Il dolore c’è, il male esiste, è esperienza reale. Possiamo solo imparare a reggerlo, senza farci, per quanto possibile, schiacciare. Questa è la tua eredità Giangy, il compito che la tua sottile ironia mi ha affibbiato: cogliermi in fallo ogni volta che il mio atteggiamento diviene falso, o facilone, in una positività che è negazione del male, il quale, che ci piaccia o no, continua ad esistere e ad interrogarci. A.G. Programmazione GoGea 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 Sabato 8 Febbraio Mercoledì 22 Gennaio 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 * Incontro con * La Grande Ribelle: Evento Multimediale 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 M. Mencarini, G. Moretti, C. Pezzani. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 Mercoledì 29 Gennaio Coordina A. Cortese. 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 * Oltre il Sistema Uomo: Evento Multimediale 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 Gradita la prenotazione. * Gruppo di lettura contemplativa 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 Ulteriori informazioni a pag. 16 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 123456789012345678901234567890121234567890123456789012345678901212345678901234567890123456789 Incontriamo Silvia Montefoschi 16 GEA - Milano in Via Salasco 20 Domenica 19 Gennaio 2003 ore 16 Incontriamo Sigmund Freud *Il Teatro e la Psicoanalisi: Evento multimediale *La voce di Freud Per maggiori informazioni rivolgersi ai numeri: 328.4729231 - 339.5407999 GEA - Genova in Via Palestro 19/8 Sabato 8 Febbraio 2003 ore 16 Relazione, Anima ed Evoluzione Incontro con la Psicoanalisi Dialettica. Carla Pezzani Relazione di Potere e Relazione d'Amore Mario Mencarini e Giorgia Moretti Amore e Paura Ada Cortese Le Potenze dell'Anima nel Laboratorio Evolutivo Per maggiori informazioni rivolgersi alla Segreteria al numero: 010.8391814 http://www.geagea.com - e mail: [email protected] Individuazione Trimestrale di psicologia analitica e filosofia sperimentale Organo dell'Associazione GEA Via Palestro 19/8 - 16122 Genova Tel (010) 8391814 - (010) 888822 E mail: [email protected] http://www.geagea.com Anno 11, Numero 4 - Dicembre 2002 Direttore responsabile: Dott. Ada Cortese Redazione: C.Allegretti, P.Cogorno, S.Figuccia, A.Galotti, C.Manfredi, L.Marsano, L.Ottonello, M.Quaglia, V.Sarti, T.Tommasi, A.Toniutti. La segreteria è aperta tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 18 dal lunedì al venerdì. Sped. A.P. Comma 27- Art. 2 Legge 549/95 - Genova Registrazione del Tribunale di Genova n. 31/92 del 29 Luglio 1992 Stampato in proprio.