Lorenzo Ghiberti - collegio ballerini

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Lorenzo Ghiberti - collegio ballerini
III A SCIENTIFICO
LORENZO
GHIBERTI
RICERCA DI GRUPPO:
GRETA MARIANI (CAPOGRUPPO)
ELETTRA MARIANI
GRETA RIGAMONTI
1
INDICE
x Biografia
Pag. 2
x Porta Nord del Battistero di Firenze
Pag. 3
x Formella del battesimo di Cristo
Pag. 4 – 5
x Statua di San Giovanni
Pag. 5 – 6 – 7
x Statua di San Matteo
Pag. 7 – 8 – 9
x Statua di Santo Stefano
Pag. 9 – 10
x Arca dei Tre Martiri
Pag. 10 – 11
x Arca di San Zanobi
Pag. 11 – 12 – 13 – 14
x Assunta
Pag. 14
x Bibliografia
Pag. 15
2
BIOGRAFIA
Lorenzo di Cione di ser Bonaccorto Ghiberti, nacque a Firenze nel 1378. Si formò
alla bottega di oreficeria di Bartoluccio di Michele e iniziò la sua attività artistica
dipingendo una camera del Palazzo Malatesta a Pesaro, successivamente svolse la sua
attività
esclusivamente
nella
città
di
Firenze
come
scultore.
Nel 1401 partecipò al concorso per la seconda porta del battistero di Firenze
risultandone il vincitore. Il tema del concorso era la realizzazione di una formella in
bronzo raffigurante il Sacrificio di Isacco. La scena realizzata dal Ghiberti presenta
ancora legami con la tradizione precedente seppur con accenti innovativi quali il
modellato delle figure e la cura per il dettaglio. Il nudo di Isacco è di evidente matrice
classica,
come
l'esatto
equilibrio
della
composizione.
Per la realizzazione della porta, Ghiberti mette su un'intera bottega da cui passeranno
artisti importanti come Donatello, Paolo Uccello e Masolino da Panicale.
La porta si compone di ventotto formelle quadrilobate in cui sono raffigurati gli
episodi della vita di Cristo, nella composizione delle quali è evidente l'influenza
esercitata
dall'arte
di
Andrea
Pisano.
Nel 1425 ricevette dall'arte dei Mercanti l'incarico di un'altra porta per il battistero di
Firenze che verrà detta porta del Paradiso. Nelle formelle che compongono la porta
Ghiberti decise di rappresentare scene tratte dell'antico testamento in dieci formelle
che
raggruppavano
più
storie.
Evidenti sono le differenze con le formelle che realizzò precedentemente, in queste
ultime utilizza la tecnica dello stiacciato, che consiste nel rappresentare le figure e gli
oggetti in lontananza con un rilievo bassissimo in modo da avere un maggior effetto
prospettico; di forme ancora gotiche sono le curve e le spirali che compongono i
panneggi.
Oltre alle porte per il battistero Ghiberti realizzò altre opere, per esempio i cartoni per
le vetrate del Duomo di Firenze, la scultura di San Giovanni Battista, la prima statua
in bronzo fusa in un unico pezzo che si trova in una nicchia di Orsammichele, inoltre
le statue di San Matteo e Santo Stefano sempre in Orsammichele .
Nel 1427 realizzò per Cosimo De' Medici l'Urna dei Tre Martiri oggi al Museo
Nazionale di Firenze; nel 1442 realizzò l'Arca di San Zanobi che si trova nel duomo.
Lorenzo Ghiberti morì a Firenze nel 1455.
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PORTA NORD DEL BATTISTERO DI FIRENZE
La Porta nord del battistero di Firenze fu realizzata da Lorenzo Ghiberti tra il 1403 e
il 1424 e rappresenta il suo primo capolavoro, prima della celeberrima Porta del
Paradiso. L'opera è firmata al centro, sopra le formelle della Natività e
dell'Adorazione dei Magi: "OPVS LAUREN/TII•FLOREN/TINI".
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FORMELLA DEL BATTESIMO DI CRISTO
Il Battesimo di Cristo è un rilievo bronzeo di Lorenzo Ghiberti, databile al 1417-1427
e facente parte della decorazione scultorea della fonte battesimale del Battistero di
San Giovanni a Siena.
L'allogazione di questo rilievo e della Cattura del Battista venne stipulata con un
contratto datato 21 maggio 1417. Gli altri autori dei rilievi, sei in totale, e delle
statuette della fonte battesimale furono il fiorentino Donatello e i senesi Giovanni di
Turino, Goro di Neroccio e Jacopo della Quercia.
La consegna inizialmente stabilita per i rilievi di Ghiberti era dieci mesi, anche se alla
fine l'opera richiese quasi dieci anni, dopo incalzanti solleciti dei committenti,
minacce di risoluzione del contratto, e giustificazioni e promesse da parte dell'artista.
Nella copiosa documentazione si evince che la gettata del primo rilievo avvenne
entro il 1420 (probabilmente la Cattura), mentre quella del secondo è da datarsi al
1424-1425. Proprio nel '25 uno dei due rilievi, privo delle rifiniture, venne spedito a
Siena da Firenze per ottenere l'approvazione. L'artista si adoperò per riavere
velocemente il rilievo per completarlo e per evitare di pagare "la ghabella", che
scattava come tassa per l'entrata delle merci, purché non uscite dalla città da meno di
tre settimane. Nella corrispondenza di quel periodo l'artista ricorda anche come l'altro
rilievo sia finito e chiede conferme su come regolarsi con la doratura, se debba recarsi
a Siena o se possa farla direttamente a Firenze («a me sarebbe molto più chomodo
doralle qui»).
Alla fine si accordò che la doratura avvenisse a Firenze e venne eseguita per primo
sul Battesimo, probabilmente la più recente ad essere stata gittata, e poi per la
Cattura. Le rifiniture finali risalgono alla primavera del 1427 e il 30 ottobre di
quell'anno, dopo essersi accordati adeguatamente per il compenso, le due formelle
vennero messe in opera. Ciascun rilievo venne pagato 210 fiorini. Alla Cattura
collaborò anche Giuliano di ser Andrea (che aveva l'opera in mano nell'aprile del
1425 e in quello del 1427, come si desume dalle lettere di Lorenzo), confermando che
in quel periodo il maestro era occupato da un'altra impresa, il completamento della
porta nord del Battistero di Firenze.
La scena sviluppa l'idea dell'analoga formella nella porta nord del Battistero, con la
rappresentazione della Trinità sull'asse centrale, in cui entra solo la mano del Battista
che impartisce il sacramento. Rispetto alla prova precedente l'artista evidenziò ancora
maggiormente il gruppo sacro, creando un'aura di luce attorno al Cristo ottenuta con
la doratura lisca, in contrapposizione a una corona d'angeli in rilievo differenziato,
dall'alto rilievo di quegli più a sinistra, fino a uno stiacciato quasi disegnativo in alto
al centro e a destra. Il battista, per assecondare la forma a mandorla attorno al Cristo,
appare inarcato più che mai, con una forzatura che a prima vista potrebbe apparire
con un ritorno alle pose artificiose del tardogotico, ma che a un'analisi più attenta
mostra, nella figura scarnificata ed essenziale, un gioco di chiaroscuri altamente
espressivo derivato da Donatello. Anche la fisionomia di Gesù, in posa benedicente
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come da tradizione, appare qui più sintetica, meno legata al modellato classico che si
riscontra, ad esempio, nella formella del battistero fiorentino.
A sinistra due donne conversano attendendo il compimento del sacramento,
confondendosi con la nube angelica. Esse sono rappresentate con una posata
signorilità e una varietà di atteggiamenti, una ruotata verso lo spettatore, l'altra quasi
di spalle. I panneggi mostrano ancora qualche concessione al gusto decorativo nel
disegno delle pieghe, ma si tratta ormai di un elemento del tutto secondario, non più
predominante come nelle opere giovanili di gusto tardogotico (visibile ad esempio nel
Battista della formella fiorentina). Alla tradizione gotica si rifà invece palesemente
l'esile alberello sulla destra, un elemento puramente decorativo scarsamente
rapportato nella grandezza con le figure. Le poche notazioni spaziali sono affidate ai
bordi del fiume Giordano, che scorre ai piedi di Gesù, e all'andamento delle due rive,
realizzate come rocce scheggiate.
Il Battesimo mostra già un'evoluzione successiva più sintetica, riferibile alla nuova
impresa della Porta del Paradiso. La Cattura è invece ancora assimilabile
stilisticamente agli ultimi rilievi della porta nord del Battistero di Firenze, soprattutto
a scene come il Cristo davanti a Pilato.
STATUA DI SAN GIOVANNI
La statua di San Giovanni Battista di Lorenzo Ghiberti fa parte del ciclo delle
quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze nelle nicchie esterne della chiesa
di Orsanmichele. Fu commissionata dall'Arte di Calimala e risale al 1412-1416. È in
bronzo ed è alta 268 cm. Oggi si trova conservata all'interno del Museo di
Orsanmichele, mentre all'esterno è sostituita da una copia.
La statua fu la prima della serie di tre commissionate a Ghiberti da una corporazione
(le successive furono il San Matteo e il Santo Stefano) e la prima in bronzo di tutta la
serie. Il bronzo era un segno di prestigio per l'Arte che l'aveva commissionata, dato
che arrivava a costare circa dieci volte di più del marmo. Nello stesso periodo
Ghiberti era impegnato nella fusione delle formelle della Porta Nord del Battistero di
Firenze.
La statua viene considerata la prima grande opera a tutto tondo fusa a Firenze col
metodo della cera persa, recuperando la tecnica usata nell'antichità. La
preoccupazione dell'artista per l'impresa è testimoniata da alcuni brani del suo diario,
dove annotò il rischio di dover pagare a proprie spese in caso di una fusione senza
successo. Per cautelarsi la statua venne fusa separatamente in quattro parti principali,
poi assemblate, come ha dimostrato il restauro del 1994.
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Il tabernacolo venne concepito dallo stesso artista, ma realizzato da Albizo di Piero.
La statua originale venne rimossa dalla
nicchia dove si trovava nel 1992 e
sottoposta
a
restauro,
curato
dall'Opificio delle Pietre Dure, nel 1994,
poi collocata nel museo nell'anno
successivo.
La
statua
ritrae san
Giovanni
Battista adulto, con la tipica pelle
indosso, coperta in larga parte dal
mantello. La scelta di raffigurare il santo
adulto si rifaceva alla tradizione
trecentesca, che venne sostituita nel
Rinascimento alla preferenza per la
raffigurazione
come
fanciullo
o
bambino. La statua è firmata sull'orlo
inferiore della veste come OPUS
LAURENTII.
Nella mano destra reca un cartiglio,
mentre in quella sinistra era presente il
lungo bastone con la croce, suo attributo
tipico, oggi scomparso. Ha una postura
incurvata, col peso del corpo sulla
gamba sinistra e leggermente inclinata.
Il volto è modellato con sottigliezza, ma
l'espressione e la fisionomia sono
genericamente
ascetiche.
Grande
importanza nella figura ha il panneggio
del mantello, impostato su ampie falcate
ritmiche che nascondono le membra e
che sono una chiara adesione al
gusto gotico internazionale. Proprio in
quegli anni, per circa un decennio, il gusto gotico trovava finalmente spazio a
Firenze, seppure con gli adattamenti alla tradizione e al gusto locale, affiancandosi
nelle commissioni parallelamente allo stile rinascimentale. Ghiberti fu un po' il
mediatore tra i due stili, creando figure d'impostazione classica ma con elementi
decorativi lineari ispirati all'arte gotica.
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Il Vasari apprezzò nella statua la testa, in "buona maniera moderna", il braccio e le
mani, mentre la critica dal Sei al primo Novecento è stata più severa, relegandola tra
le opere meno riuscite dello scultore.
Più recentemente si è invece apprezzato l'evoluzione stilistica di Ghiberti,
apprezzandone le caratteristiche tardo gotiche intese come sviluppo piuttosto che
come "regressione".
La nicchia
Anche il disegno della nicchia è attribuito al Ghiberti, ma manca qualsiasi riscontro
documentario. Originale è il coronamento mistilineo, di sapore tardogotico, così
come i lobi che evidenziano l'arco a sesto acuto, altrimenti di una luce inusitata,
incorniciando armoniosamente la statua: l'arco delle spalle richiama infatti
l'andamento della nicchia e la grande falda diagonale del manto va a collocarsi in
corrispondenza perfetta al centro dell'arco. Alla nicchia lavorarono Albizzo di Piero,
mastro scalpellino che fu incaricato materialmente della costruzione, il
pittore Pesello, forse autore del disegno, del mosaico o di altre decorazioni, e il frate
domenicano Bernardo di Stefano, mosaicista: esisteva infatti un mosaico nella
cuspide testimoniato fino al XVII secolo.
STATUA DI SAN MATTEO
La seconda statua del ciclo delle quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze
è la statua di San Matteo di Lorenzo Ghiberti, situata precedentemente nelle nicchie
esterne della chiesa di Orsanmichele e oggi conservata nel Museo di Orsanmichele.
Fu commissionata dall'Arte del Cambio e risale al 1419-1422/23. È in bronzo ed è
alta 270 cm.
La statua venne commissionata per rivaleggiare con quella dell'Arte di Calimala,
il San Giovanni Battista sempre di Ghiberti, completato pochi anni prima: nei
documenti infatti si menziona continuamente l'altra statua riguardo alle dimensioni
finali (è infatti più alta di circa 20 centimetri). La testa e il corpo erano stati modellati
nel 1420 ed erano stati fusi separatamente e poi uniti. La prima fusione del 1421 fu
fallimentare, per questo il Ghiberti dovette farne una seconda a sue spese, nel corso
del 1422. In una di questi documenti è ricordato come assistente del Ghiberti, tra gli
altri, il giovane Michelozzo. Tale notizia generò una certa confusione negli
storiografi cinquecenteschi, assegnando erroneamente l'intera statua a Michelozzo; in
vecchiaia Ghiberti la ricordò nei suoi Commentari.
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La nicchia venne commissionata al Ghiberti,
e risulta in via di costruzione quando la
statua era già terminata: solo nel marzo 1423
la statua poté essere collocata. Pare che vi
collaborò nelle fasi finali Michelozzo, anche
se il suo apporto dovette essere piuttosto
limitato.
Il bronzo è stato oggetto di un complesso
restauro da parte dell'Opificio delle Pietre
Dure, che si è concluso dopo quattro anni
nel 2005, l'ultima statua della serie a venire
completata. Nel 2006 venne presentata nel
corso della Settimana della Cultura, ma
problemi di statica ne hanno permesso un
ricollocamento solo nel 2007.
I danni molto consistenti erano stati causati
anche dalla sporgenza dalla nicchia poco
profonda, poiché in quel pilastro dell'angolo
nord-ovest corre, all'interno, la scala
originaria che portava ai piani superiori, per
cui dispone del pieno spessore. Poiché al
termine
del
restauro
il Museo
di
Orsanmichele era già stato chiuso a data
indefinita, l'opera originale è stata
ricollocata nella nicchia, diventando, almeno
per ora, l'unica statua originale oggi visibile all'esterno.
La statua ritrae san Matteo evangelista in piedi, con una mano avvicinata al petto e
nell'altra un libro aperto. È vestito all'antica con un'ampia toga. L'opera è permeata di
forte classicità, soprattutto nella testa barbuta e ricciuta. Rispetto al San Giovanni
Battista e ai rilievi finali della porta nord del Battistero di Firenze testimonia
l'abbandono da parte di Ghiberti delle suggestioni del gotico internazionale,
prendendo parte al mondo dell'umanesimo fiorentino, ispirato da Donatello.
L'apostolo appare infatti invigorito nelle membra e col panneggio dall'andamento
sfrondato. La ridotta capacità della nicchia diede una maggiore illuminazione, che
l'artista sfruttò, incorniciando l'opera con la nicchia composta da due eleganti
pilastrini scanalati e una valva a raggi che forma una specie di aureola al santo. L'arco
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acuto ricorda comunque come Ghiberti fu una figura di mediazione tra il retaggio
tradizionale e le novità rinascimentali.
Nel bordo inferiore del mantello, tra tracce di doratura, si può leggere la data del
modello e l'iscrizione OPUS UNIVERSITATIS CANSORUM FLORENTIA ANNO
MCCCCXX.(1420)
La nicchia venne realizzata su disegno di Ghiberti dai lastraioli Jacopo di Corso e
Giovanni di Niccolò. Sul tabernacolo, al posto dei pinnacoli, si trovavano due
statuette con l'Annunciata e l'Arcangelo Gabriele attribuite a Piero di Niccolò
Lamberti (1419), oggi in deposito: per esse si era fatto anticamente anche il nome
di Michelozzo.
STATUA DI SANTO STEFANO
La statua di Santo Stefano di Lorenzo Ghiberti è l’ultima del ciclo delle quattordici
statue dei protettori delle Arti di Firenze nelle nicchie esterne della chiesa di
Orsanmichele. Come le precedenti fu commissionata dall'Arte della Lana e risale
al 1427-1428. È in bronzo ed è alta 260
cm. Oggi si trova conservata all'interno
del Museo di Orsanmichele, mentre
all'esterno è sostituita da una copia.
Quando la statua venne fusa era la quarta
scultura in bronzo per Orsanmichele, un
segno di prestigio per l'Arte che l'aveva
commissionata, dato che il bronzo
arrivava a costare circa dieci volte di più
del marmo. La decisione risale al 2
aprile 1425 e andava a sostituire il Santo
Stefano di Andrea Pisano, già nella
nicchia, non ritenuto ormai più consono al
prestigio dell'arte: risaliva infatti ormai
al1340 ed era stata la prima statua ad
essere collocate a Orsanmichele; essa
venne venduta e il ricavato servi in parte
per finanziare le quattro libbre di bronzo
per l'artista. Nella dichiarazione di intenti
si menzionò esplicitamente la volontà di
superare, col più costoso bronzo, il
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prestigio delle nicchie delle altre Arti Maggiori, l'Arte di Calimala e l'Arte del
Cambio.
Dai verbali di un riunione dell'Arte, nell'agosto 1427 si deliberava di procedere
all'acquisto del metallo poiché tutto era già pronto per il getto della statua. L'impresa
è ricordata anche nel secondo dei Commentarii dell'artista.
Il restauro fu tra gli ultimi ad essere messo in atto e venne curato tra il 2001 e
il 2002 grazie al finanziamento della Ross Family Charitable Foundation di New
York.
La statua ritrae santo Stefano secondo le fattezze tradizionali di fanciullo con
la dalmatica, avvolto da un mantello che disegna un elaborato panneggio. Nella mano
sinistra tiene un libro chiuso e in quella destra un pennino che è andato perduto.
La statua non è particolarmente apprezzata dalla critica, che la colloca nel percorso
artistico dell'autore come un lavoro dove prevale il cesello sulla scultura, con una
certa cura nel colletto e nei lineamenti del volto, ma più approssimativa nei capelli,
nelle mani e nel bordo del mantello; il piede sinistro che sporge è appena abbozzato.
Il Vasari ne apprezzò solo la verniciatura in bronzo. Rilevando il confronto col
vicino San Matteo e col San Giovanni Battista, sempre di Ghiberti, si nota uno stile
più manierato, con un panneggio che sembra un'involuzione verso il tardo gotico. La
critica più recente ha però messo in luce anche l'attenzione tutta rinascimentale alle
volumetrie, alle proporzioni ed all'impostazione classica del volto. Nella destra
doveva anticamente tenere la palma del martirio.
ARCA DEI TRE MARTIRI
L'Arca dei Tre Martiri è un monumento funebre in bronzo (56x106x39 cm)
di Lorenzo Ghiberti, databile al 1427-1428 circa e conservato nel Museo del
Bargello a Firenze.
Le reliquie dei santi Proto, Giacinto e Nemesio erano state portate a Firenze verso
il 1422 prelevandole dall'abbazia di San Salvatore di Selvamonda, abbandonata
all'inizio del secolo e soppressa quell'anno. Nella portata al catasto del1427 l'arca si
trovava in buono stadio di lavorazione nella bottega di Ghiberti.
La cassa era destinata al Monastero di Santa Maria degli Angeli, l'abbazia
camaldolese fiorentina. Un resoconto del 1591 ricorda come la cassa si trovasse
incassata nel muro della chiesa abbaziale vicino all'altare, sotto un
semplice archetto di pietra decorato da pitture. Doveva avere un basamento
marmoreo, sulle cui due facce si trovavano iscrizioni riportate integralmente
dal Vasari e
allusive
ai
committenti: CLARISSIMI
VIRI COSMAS ET LAURENTIUS FRATRES e la data "1428".
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In seguito fu spostata sotto la mensa d'altare di una cappella laterale, accessibile da un
ambiente antistante la chiesa principale.
Con la soppressione del convento alla fine del Settecento, la cassa venne rubata, fatta
a pezzi e venduta al peso del bronzo, ma la Direzione delle Gallerie la intercettò e
recuperò in due fasi (1814 e 1821), ricomponendola malamente e, dopo averla
restaurata, facendola esporre agli Uffizi. Con l'apertura del Museo Nazionale venne
destinata al nascente nucleo di scultura fiorentina del Rinascimento.
L'arca ha una forma tradizionale, a parallelepipedo, con base e coperchio rastremato.
Vari elementi decorativi tratti dall'architettura classica, come le cornici modanate e i
dentelli, incorniciano i riquadri con bassorilievi sui quattro lati. Il coperchio è
decorato da girali vegetali. La parte tergale è perduta e sostituita con una lastra liscia.
Sulla parte frontale si trovano due angeli in volo che, al pari dei genietti di tanti
sarcofagi romani, tengono una ghirlanda circolare, in cui si trova un'iscrizione
latina: HIC CONDITA SUNT CORPORA SANCTORUM MARTURUM PROTI ET
HUACINTHI ET NEMESII. Nelle testate laterali si trova invece una corona di foglie
di palma,simbolo del martirio, con all'interno uno scudo piccolo con le palle medicee.
L'opera è interessante come recupero e rielaborazione del modello classico del
sarcofago, con la riproposizione dei temi e della misura classica, anche se interpretati
secondo una sensibilità contemporanea, estranea a un meccanico revival
"archeologico".
ARCA DI SAN ZANOBI
L'Arca di san Zanobi è un monumento funebre in bronzo (85x193 cm) di Lorenzo
Ghiberti, databile al 1432-1442 circa e conservato nella Cattedrale di Santa Maria del
Fiore a Firenze, sotto la mensa d'altare della cappella di San Zanobi.
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Il 15 luglio 1428, dopo un serie di consultazioni svoltesi con cittadini e con artisti
attivi nel cantiere della cattedrale, venne deciso di intitolare una delle cappelle della
tribuna a san Zanobi, in particolare quella in asse con l'ingresso principale della
basilica. Nell'altare della cappella venne deciso di inumare le spoglie del santo,
facendo approntare appositamente una nuova cassa bronzea o marmorea.
L'attuazione delle delibere fu però rimandata di qualche anno, nell'attesa che la
costruzione della cupola fosse più avanzata. Nel gennaio del 1431 venne richiesto
a Brunelleschi e al capomastro di fare un modello per l'altare, che venne costruito a
partire dal marzo di quell'anno.
Per l'arca si indisse un vero e proprio concorso aperto a chiunque. Nel 1432 circa si
appesero al portale del palazzo dell'Arte della Lana, al portale della cattedrale e al
portale della sede dell'Arte dei Maestri di Pietra e Legname uno scritto che invitava
chiunque volesse a fare un modello per la sepoltura, presentandolo entro cinque
giorni. Nel frattempo si dispose l'acquisto di bronzo.
La scelta del progetto vincitore avvenne tramite una commissione mista di Operai e
nove cittadini, che optò, tra tutti i modelli presentati, per quello di Ghiberti.
Il dettagliatissimo contratto con Ghiberti risale al marzo 1432, con un tempo di
consegna stabilito in tre anni e sei mesi a partire dal 15 aprile dell'anno in corso.
L'artista vi lavorò con solerzia per i primi due anni.
Nel 1439 i lavori dovevano essersi arrestati e l'artista è di nuovo incaricato
formalmente di procedere al completamento della cassa, specificando che la parte
tergale doveva essere a sportello e contenente un'iscrizione che avrebbe dettato il
cancelliere Leonardo Bruni. Mentre i lavori procedevano, nel marzo del '40, non
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essendo ancora stato disposto niente riguardo al testo dell'iscrizione, gli operai
decisero di utilizzare le parole che ancora oggi sono presenti.
Nel gennaio del 1492 la cassa doveva essere completata, poiché venne fatta
verniciare. A fine del Cinquecento si decise di dorare la cassa, con un procedimento
che si rivelò poco durevole, infatti, sebbene il metallo prezioso si mantenne almeno
fino a tutto il seicento, oggi non ve ne è più traccia.
L'arca ha una forma tradizionale, a parallelepipedo, con base e coperchio rastremato.
Vari elementi decorativi tratti dall'architettura classica, come le cornici modanate e i
dentessi, incorniciano i riquadri con bassorilievi sui quattro lati. Lo schema è quello
dell'Arca dei tre martiri.
Il lato frontale della cassa è decorato con il grande rilievo della Resurrezione di un
fanciullo, miracolo del santo avvenuto tradizionalmente in città, in Borgo degli
Albizi, e a miracoli simili alludano anche i due rilievi laterali: la Resurrezione del
famiglio di sant'Ambrogio e la Resurrezione di un fanciullo travolto da un carro di
buoi. La parte tergale presenta sei angeli che sostengono una ghirlanda di foglie
d'olmo, contenente un epitaffio in latino in onore del santo: CAPUT BEATI
ZENOBII FLORENTINI EPISCOPI IN CUIUS HONOREM HEC ARCA INSIGNI
ORNATU FABRICATA FUIT.
La scena principale è ambientata in uno scorcio cittadino ideale, descritto con edifici
classicheggianti e con una città murata alla sinistra, in cui al centro avviene la scena
miracolosa che ha come protagonisti la madre affranta, a sinistra, il fanciullo ora
disteso, ora in piedi per simboleggiare la resurrezione e il vescovo Zanobi. Essi si
trovano al centro di una strada tra due affollate quinte di cittadini, in prospettiva
centrale esattamente simmetrica, una scelta particolarmente azzeccata per la
collocazione, al centro dell'asse della navata principale nella chiesa. Se nelle figure
laterali domina un senso di placida contemplazione, animate dalla variazione del
rilievo che restituisce la diversa distanza, altorilievo per le figure più vicine, fino
allo stiacciato per quelle più lontane, i protagonisti al centro sono animati da una forte
espressività: la madre che distende le braccia affranta, il fanciullo in doppia posa e il
santo che invoca intensamente il cielo levando il braccio e lo sguardo. La presenza di
personaggi con abiti di foggia orientale ricorda l'evento fiorentino del Concilio del
1439. Tipiche di Ghiberti sono l'estrema cura dei dettagli e la stilizzazione di alcuni
di essi, in linea con un gusto decorativo del mai dimenticato retaggio gotico e della
sua minuzia da orefice. Ne sono esempio i gruppi d'alberi, qua e là, mai
realisticamente rapportati alla scala delle figure, oppure i valori prettamente
disegnativi di alcuni dettagli, come lo svolazzare di alcuni panneggi, la popolosa città
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murata di sapore così goticheggiante, le rocce scheggiate che formano la base della
rappresentazione. La commistione di questi elementi ne fa un ottimo esempio dello
stile di mediazione di Ghiberti, che tanto successo riscosse per aver saputo coniugare
la tradizione con le più innovative scoperte dei colleghi del filone più "puro" dell'arte
del primo Rinascimento: Brunelleschi, Donatello e, con minor influsso, Masaccio.
ASSUNTA
L'Assunta è un rilievo in bronzo parzialmente dorato (126x75 cm) attribuito a
Lorenzo Ghiberti, databile al 1400 e conservato nella chiesa di Santa Maria dei Servi
a Sant'Angelo in Vado.
L'opera è di solito attribuita al soggiorno pesarese di Ghiberti, quando accompagnò
un pittore "egregio", come scrisse nei suoi
Commentari per un lavoro perduto nel palazzo
di Malatesta IV Malatesta. Nella scarsità di
menzioni antiche, l'opera venne pubblicata da
G. Marchini, che scoprì anche il nome del
committente, Matteo Grifoni.
Nel luglio 1909 l'opera venne trafugata,
recuperandola due giorni dopo con qualche
danno. Nel 1962 venne restaurata a Firenze.
La pala bronzea si trova in un altare in fondo
alla navata sinistra. Maria è rappresentata tra
angeli di sapore ancora gotico, con un evidente
scarto gerarchico nelle proporzioni. Essi la
incoronano, suonano arpre e liuti e le reggono
il manto. Appare ancora ignota la lezione della
Porta della Mandorla, con gli angeli senza peso
disposti ritmicamente, secondo una simmetria
quasi speculare (ne scampano solo i due angeli
col liuto, con lo strumento rivolto entrambi allo stesso lato). Più solida appare la
figura di Maria, anche se rigidamente frontale, come prevede l'iconografia, e con le
pieghe del panneggio che disegnano ampie falcate, ritmate ma non stereotipate,
secondo il gusto tardogotico.
Ai due angoli si trova uno stemma con grifone e le lettere M e A, di foggia antica,
riferibili al committente. Alcuni indizi fanno pensare che manchino le ultime finiture,
compatibilmente con la partenza frettolosa dello scultore diretto a Firenze nel 1401.
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BIBLIOGRAFIA
SITI INTERNET
www.wikipedia.it
http://www.storiadellarte.com
RIFERIMENTO CARTACEO
Ghiberti di Aldo Galli (Giunti)
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