la libera circolazione dei lavoratori subordinati e la
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CAPITOLO TERZO LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI SUBORDINATI E LA SICUREZZA SOCIALE SOMMARIO: 1. La libera circolazione e il soggiorno dei lavoratori e dei cittadini dell’Unione europea. – 2. La direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE. Il d.lgs. di recepimento 6 febbraio 2007, n. 30 e successive modifiche. – 3. Segue: i familiari comunitari ed extracomunitari del cittadino migrante.– 4. La libera circolazione dei lavoratori e la nozione comunitaria di subordinazione. – 5. Il contenuto del principio di libera circolazione dei lavoratori: il divieto di discriminazioni, il diritto di soggiorno, il diritto al coordinamento delle normative nazionali in tema di sicurezza sociale. – 6. Il divieto di discriminazioni con riguardo all’accesso al lavoro. – 7. La parità di trattamento nello svolgimento del rapporto. – 8. Lo status di lavoratore dopo la cessazione del rapporto. – 9. I limiti alla libertà di circolazione: ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. – 10. Segue: l’impiego pubblico. – 11. Il regolamento n. 1408/71 sull’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori migranti. Il campo di applicazione soggettivo. – 12. Segue: il campo di applicazione oggettivo. – 13. Il lavoratore comunitario ed il lavoratore extracomunitario. – 14. Segue: il regolamento 14 maggio 2003, n. 2003/859/CE. La direttiva 22 settembre 2003, n. 2003/86/CE. La direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE. La direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/83/CE. – 15. La direttiva n. 96/71 in tema di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. – 16. Il recepimento della direttiva nell’ordinamento interno. Il d.lgs. n. 72 del 2000. – Bibliografia. 1. LA LIBERA CIRCOLAZIONE E IL SOGGIORNO DEI LAVORATORI E DEI CITTA- DINI DELL’UNIONE EUROPEA Alla luce della precedente disamina, non meraviglia che la libera circolazione delle persone sia stata intesa nella prima formulazione del Trattato esclusivamente con riferimento allo status di lavoratore, distinguendosi al riguardo a seconda che quest’ultimo intenda svolgere in altro Stato membro attività subordinata ovvero attività autonoma, di carattere a sua volta permanente o temporaneo. La scelta non è casuale, visto che tale diritto è stato l’unico a carattere sociale sovranazionale riconosciuto in un testo, che, come si è detto, è preoccupato quasi esclusivamente della dimensione economica del mercato comune. Nell’attuale struttura sistematica del Trattato – molto più aperta alla vi- 94 Diritto comunitario del lavoro sione di un’Europa sociale e politica – la libera circolazione delle persone si arricchisce di ulteriori nuclei precettivi, dedicati in generale ai cittadini comunitari. Infatti, viene riconosciuto il diritto fondamentale di ogni cittadino dell’Unione – considerato tale in quanto abbia la cittadinanza di uno Stato membro, secondo i criteri di attribuzione della nazionalità fissati in via esclusiva dallo Stato 1 – di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso (art. 18) 2. In altre parole, il diritto alla libera circolazione delle persone viene riconosciuto a prescindere dalla condizione economica di lavoratori, cioè dallo svolgimento di un’attività lavorativa, ed è invece collegato ad uno status di carattere politico. Tale libertà fondamentale è garantita da un generale divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità, sancito dall’art. 12 del Trattato. In tale prospettiva, le altre norme del Trattato che assicurano la libera circolazione dei lavoratori subordinati (art. 39), non subordinati (artt. 4348) o autonomi (artt. 49-55) assumono un ruolo specificativo del principio di libera circolazione del cittadino comunitario. È ben vero che la libera circolazione del cittadino comunitario può essere esercitata solo nei limiti previsti dalla normativa comunitaria. Tuttavia, è possibile al riguardo formulare alcune considerazioni. La prima è che l’art. 18, par. 2 del TCE affida al Consiglio il potere di adottare disposizioni intese a facilitare l’esercizio del diritto in esame. Al riguardo, il legislatore comunitario è intervenuto con la direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Tale direttiva – che doveva essere recepita entro il 30 aprile 2006, mentre il nostro legislatore lo ha fatto col d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 – codifica e rivede gli strumenti comunitari già esistenti, che trattano separatamente i lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi, gli studenti e le altre persone inattive, al fine di semplificare e rafforzare il diritto alla libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione. A partire dalla data indicata, le fonti attualmente in vigore sono state 1 Cfr. Corte giust. 19 ottobre 2004, causa C-200/02, in Guida al diritto, 2004, 42, 101. La sentenza afferma che, se la legge irlandese prevede che sia cittadino dello stato – e dunque anche dell’Unione – chiunque nasca sul territorio dello stesso, tale deve considerarsi il figlio nato in Irlanda da una donna extracomunitaria, la quale di conseguenza acquisisce il diritto di soggiorno nell’Unione per non privare di ogni effetto utile il diritto riconosciuto al minore. 2 Cfr. in argomento Corte giust. 17 settembre 2002, C-413/99, in Giur. it., 2003, 861. La libera circolazione dei lavoratori subordinati e la sicurezza sociale 95 parzialmente abrogate – come nell’ipotesi degli artt. 10 ed 11 del regolamento n. 1612/68 del 15 ottobre 1968 – o interamente abrogate come nelle seguenti ipotesi: la direttiva n. 64/221 del 25 febbraio 1964; la direttiva n. 68/360 del 15 ottobre 1968; la direttiva n. 73/148 del 21 maggio 1973; la direttiva n. 90/364 del 28 giugno 1990; la direttiva n. 90/365 del 28 giugno 1990; la direttiva n. 93/96 del 29 ottobre 1993. Ne consegue dunque che le fonti secondarie principali che disciplinano la libera circolazione dei cittadini e dei lavoratori comunitari sono ora le seguenti: – il regolamento n. 1612/68; – la direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che costituisce il nuovo testo unitario di riferimento, inteso a superare il carattere settoriale e frammentario della precedente legislazione. Un’ulteriore considerazione attiene alla funzione creatrice di diritto svolta dalla Corte di giustizia, che ha già posto in essere i primi interventi intesi da un lato a considerare restrittivamente i limiti alla libertà di circolazione dei cittadini comunitari 3 – ora fondata su una disposizione precisa del Trattato – dall’altro ad interpretare la normativa del diritto alla libera circolazione dei lavoratori autonomi e subordinati alla luce del più generale principio della libera circolazione dei cittadini dell’Unione 4. In particolare, la Corte di giustizia ritiene che i limiti e le condizioni posti al soggiorno dei cittadini dell’Unione garantito dall’art. 18 TCE debbano essere rispettosi del principio di proporzionalità e che il divieto di discriminazioni in base alla nazionalità sancito dall’art. 12 TCE obblighi gli Stati membri a giustificare le differenze di trattamento praticate in casi simili. 2. LA DIRETTIVA 29 APRILE 2004, N. 2004/38/CE. IL D.LGS. DI RECEPIMENTO 6 FEBBRAIO 2007, N. 30 E SUCCESSIVE MODIFICHE Il diritto dei cittadini dell’Unione di circolare liberamente nell’area comunitaria viene perseguito anzitutto per il tramite di misure idonee ad eliminare i controlli all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne e ad armonizzare le regole per l’ingresso dei cittadini extracomunitari nello spazio senza frontiere. 3 V. Corte giust. 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Grzelczyk, in Racc., 2003, 989; Corte giust. 7 settembre 2004, causa C-456/02, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 395. 4 V., ad esempio, Corte giust. 23 marzo 2004, causa C-130/02, Collins, in Guida al diritto, 2004, 17, 110. 96 Diritto comunitario del lavoro Tali misure sono adottabili dal Consiglio ai sensi del Titolo IV del TCE (artt. 61-69), che ha incorporato parte del contenuto dell’accordo di Shengen, comunitarizzandolo 5, per quanto attiene alle politiche connesse alla libera circolazione delle persone. Altra parte dell’accordo viene recepita nel Titolo VI del Trattato sull’Unione, che prevede azioni di cooperazione intergovernativa fra forze di polizia e autorità giudiziarie dei paesi aderenti, andando a costituire il cosiddetto terzo pilastro dell’Unione europea. Per quanto attiene al diritto di soggiorno, la direttiva n. 2004/38 riconosce a tutti i cittadini dell’Unione il diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta di identità o di un passaporto in corso di validità (art. 6, par. 1). Peraltro, tale diritto è riconosciuto finché il cittadino o un suo familiare non diventi un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello stato ospitante (art. 14, par. 1). Il diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi è condizionato ad una delle seguenti condizioni: – lo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata od autonoma; – la disposizione di risorse economiche sufficienti, nonché di un’assicurazione malattie; – l’iscrizione presso un istituto pubblico o privato per seguire un corso di studi o di formazione professionale, godendo di un’assicurazione malattia e disponendo di risorse sufficienti; – la situazione di familiare che accompagni o raggiunga un cittadino che soddisfi una delle tre precedenti condizioni (art. 7, par. 1). Si tratta di condizioni che possono essere soggette a verifica in caso di dubbio ragionevole circa la loro sussistenza (art. 14, par. 2). Per quanto riguarda le risorse economiche sufficienti, tali sono considerate comunque quelle rispondenti alla pensione minima sociale (art. 8, par. 4). Inoltre, lo stato ospitante può richiedere l’iscrizione del cittadino co- 5 Il Trattato di Shengen è del 14 giugno 1985, mentre i successivi accordi di applicazione sono del 19 giugno 1990. Il Trattato prevede una cooperazione rinforzata fra alcuni stati dell’Unione europea, che sono Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Finlandia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda. Con decisione del Consiglio del 24 febbraio 2005, n. 2005/211/GAI, sono state introdotte alcune nuove funzioni del sistema di informazione Schengen, anche nel quadro della lotta contro il terrorismo. Ai sensi di Protocolli allegati al TCE, il Titolo IV dello stesso è inapplicabile al Regno Unito, all’Irlanda e alla Danimarca. Peraltro quest’ultima, a differenza degli altri due stati, è vincolata all’accordo di Shengen in forza di diritto internazionale. La libera circolazione dei lavoratori subordinati e la sicurezza sociale 97 munitario presso le autorità competenti al fine di verificare il possesso dei requisiti per il soggiorno (art. 8, par. 1). Il cittadino dell’Unione già occupato come lavoratore subordinato o autonomo, conserva il diritto di soggiorno quando (art. 7, par. 3): – è temporaneamente inabile al lavoro a seguito di malattia o infortunio; – è in stato di disoccupazione involontaria, dopo avere esercitato un’attività per meno di un anno, con diritto di soggiorno per almeno sei mesi; – frequenti un corso di formazione professionale. I cittadini comunitari ed i loro familiari acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo che abbiano soggiornato in via continuativa per cinque anni (art. 16, par. 1) o per il minore periodo previsto dall’art. 17. La direttiva n. 2004/38/CE è stata recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 – entrato in vigore l’11 aprile 2007 – e modificato dal d.lgs. 28 febbraio 2008, n. 32. Esso prevede che il cittadino comunitario che intenda soggiornare in Italia per un periodo inferiore a tre mesi non sia tenuto ad osservare alcuna formalità amministrativa. Per i soggiorni di durata superiore a tre mesi, egli deve iscriversi all’anagrafe della popolazione residente nel Comune dove lavora ed il Comune verifica il possesso dei requisiti che consentono il suo soggiorno in Italia 6. Il cittadino dell’Unione che soggiorna legalmente e in via continuativa sul territorio nazionale per cinque anni acquisisce il diritto di soggiorno permanente (art. 14 del d.lgs. n. 30 del 2007). Limitazioni al diritto di ingresso possono essere adottate per motivi di sicurezza dello Stato, motivi imperativi di pubblica sicurezza, altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Per i titolari del diritto di soggiorno permanente l’allontanamento dal territorio nazionale è previsto per motivi di sicurezza dello stato e motivi imperativi di pubblica sicurezza o altri “gravi” motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Per coloro che abbiano soggiornato per almeno dieci anni o che siano minorenni le possibilità di allontanamento sono ancora più limitate. 3. SEGUE: I FAMILIARI COMUNITARI ED EXTRACOMUNITARI DEL CITTADINO MI- GRANTE La definizione di familiare è fornita dall’art. 2 della direttiva, che a tal 6 Cfr. anche le circolari del Ministero dell’interno 6 aprile 2007, n. 19 e 8 agosto 2007, n. 45. 98 Diritto comunitario del lavoro fine richiama non solo il coniuge, ma anche il partner 7 che abbia contratto con il cittadino un’unione registrata sulla base di una legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello stato ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante. Sono poi considerati familiari sia i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner, sia gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner. In altre parole, la direttiva trova applicazione anche per figure di familiare – quali il convivente di fatto o coloro che siano a carico o conviventi nel paese di provenienza o devono essere assistiti per problemi di salute – se lo stato ospitante, sulla base della propria legislazione nazionale e dopo approfondito esame ritenga di non rifiutarne l’ingresso (art. 3, par. 2). Occorre poi distinguere a secondo che i familiari siano: a) cittadini comunitari: in caso di soggiorno superiore a tre mesi, devono avere il possesso di documenti attestanti la qualità di familiare ai fini dell’eventuale iscrizione presso l’autorità amministrativa competente (art. 8, par. 5 della direttiva n. 2004/38). I familiari comunitari del cittadino deceduto o partito dal territorio dell’Unione, ovvero soggetti a provvedimenti di divorzio, annullamento e scioglimento del matrimonio, conservano il diritto di soggiorno subordinatamente al possesso delle condizioni previste per il diritto di soggiorno superiore a tre mesi per tutti i cittadini (artt. 12 e 13); b) cittadini extracomunitari: se accompagnano o raggiungono il cittadino dell’Unione (art. 6, par. 2), essi devono essere in possesso di un passaporto in corso di validità e del visto di ingresso (art. 5, par. 1). Per i familiari extracomunitari, la nuova disciplina conferma la necessità del visto di ingresso – già prevista dalla direttiva n. 68/360 del 15 ottobre 1968 – ed il requisito della carta di soggiorno, subordinata alla presentazione di determinati documenti, qualora il periodo sia superiore a tre mesi (artt. 9, 10 e 11 della direttiva n. 2004/38). Attualmente l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto per l’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri è fissato dal regolamento n. 2317/95, sostituito dal regolamento n. 574/99, a sua volta sostituito dal regolamento n. 539/2001. La normativa comunitaria non specifica le misure che uno Stato mem7 In tal senso v. già la giurisprudenza della Suprema Corte, che ha esteso il diritto di soggiorno anche al convivente more uxorio. Cfr. Corte giust. 13 febbraio 1985, causa 267/83, Diatta, in Racc., 1985, 567; Corte giust. 17 aprile 1986, causa 59/85, Reed, in Racc., 1986, 1283. La libera circolazione dei lavoratori subordinati e la sicurezza sociale 99 bro può adottare nel caso in cui il famigliare cittadino extracomunitario voglia entrare nel territorio comunitario senza essere in possesso o del documento di identità o di passaporto valido o dell’eventuale visto. Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che uno Stato membro non può respingere alla frontiera il cittadino di un paese terzo coniugato con un cittadino dello Stato membro, che tenti di entrare nel suo territorio senza i prescritti documenti, né espellerlo, se è entrato illegalmente nel territorio stesso, quando il suddetto coniuge possa provare la sua identità nonché il legame coniugale e se non esistono elementi in grado di stabilire che egli rappresenti un pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza o la sanità pubblica, ai sensi della direttiva n. 68/360 8. Infatti, il respingimento o l’espulsione sarebbero misure sproporzionate, tenuto conto dell’importanza che il legislatore comunitario dà alla tutela della vita familiare dei lavoratori migranti e del fatto che è lo status di coniuge di un cittadino di uno Stato membro, una volta accertato, a fornire la base giuridica del diritto di soggiorno riconosciuto dalla normativa comunitaria, indipendentemente dall’osservanza di formalità di legge relative al controllo degli stranieri. D’altra parte, l’inadempimento di tali formalità non potrebbe essere considerato da parte dello Stato membro come comportamento contrario all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza e quindi giustificare misure di respingimento o di espulsione, ai sensi dell’art. 3 della direttiva n. 64/221 del 25 febbraio 1964. I familiari extracomunitari, a differenza di quelli comunitari, conservano il diritto di soggiorno in caso di decesso del cittadino, qualora abbiano soggiornato per almeno un anno e dimostrino di essere lavoratori subordinati o autonomi ovvero di non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale (art. 12, par. 2). Nell’ipotesi delle citate vicende matrimoniali, vi sono alcuni requisiti di carattere restrittivo (art. 13, par. 2). 4. LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI E LA NOZIONE COMUNITARIA DI SUBORDINAZIONE Anche dopo le più recenti innovazioni, il Trattato continua a contenere titoli dedicati ai lavoratori subordinati (artt. 39-42), ai lavoratori non subordinati che intendono spostarsi a titolo definitivo e permanente (artt. 43-48), ai lavoratori autonomi che intendono spostarsi temporaneamente (artt. 49-55). 8 Cfr. Corte giust. 25 luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, in Racc., 2002, 6591; Corte giust. 31 gennaio 2006, causa C-503/03, in Guida al diritto, 2006, 9, 114, secondo cui, ai fini dell’espulsione, occorre che la presenza del familiare costituisca una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per l’interesse fondamentale della collettività. 100 Diritto comunitario del lavoro Nella prima ipotesi si parla di libera circolazione dei lavoratori (art. 39), nella seconda di diritto di stabilimento (art. 43), cioè del diritto del cittadino comunitario di svolgere in qualsiasi Stato membro un’attività “non salariata”, nonché di costituire e gestire imprese, in modo stabile e continuativo. La terza ipotesi è compresa nel titolo dedicato ai servizi, per i quali si intendono sia lo spostamento della persona in via temporanea ai fini di svolgere attività di lavoro autonomo, sia la circolazione della prestazione indipendentemente dalla persona. Benché prevista in parti diverse del Trattato, la regolamentazione della circolazione dei lavoratori subordinati e dei lavoratori autonomi è ispirata al comune principio del divieto di discriminazioni fondate sulla “nazionalità” dei cittadini degli Stati membri. La ratio della diversità di disciplina risiede nel fatto che per i lavoratori autonomi, specie se liberi professionisti, spesso sono previsti requisiti per lo svolgimento dell’attività – quali, ad esempio, titoli di studio, abilitazioni all’esercizio della professione, appartenenza ad un ordine professionale – che variano in modo significativo fra lo stato di provenienza e quello ospitante, sicché si pone il problema di un’armonizzazione delle normative degli Stati membri o comunque dell’individuazione di criteri comuni al fine di eliminare gli ostacoli alla libera circolazione (art. 47 TCE). Se la distinzione fra la mobilità del lavoratore subordinato e quella del lavoratore autonomo è ben evidente nel Trattato, quest’ultimo invece non offre alcuna definizione specifica delle due figure di lavoratore. A ciò provvede la Corte di giustizia, la quale fin dagli anni sessanta ha elaborato una nozione di subordinazione definita dallo stesso giudice europeo “di portata comunitaria”, come tale in grado di impedire agli Stati membri di escludere determinate categorie di persone dalla sfera di applicazione del Trattato. Si tratta di una nozione ricavata alla luce di principi fondamentali comuni ai diversi contesti europei e pertanto strutturata secondo canoni sostanzialmente accolti anche nel nostro ordinamento interno. Infatti, si considera lavoratore subordinato chiunque svolga, in posizione di “soggezione” nei confronti di un altro soggetto e dietro corrispettivo, un’attività lavorativa, che, sia pure caratterizzata da un impegno lavorativo ridotto, sia reale ed effettiva, e non già talmente esigua da porsi come puramente marginale ed accessoria 9. 9 Cfr. Corte giust. 19 marzo 1974, causa 75/63, Unger, in Racc., 1974, 364; Corte giust. 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, in Foro it., 1984, IV, 182; Corte giust. 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum, in Racc., 1986, 2121; Corte giust. 12 maggio 1998, causa C85/96, Martinez Sala, in Racc., 1998, 2691; Corte giust., 8 giugno 1999, causa C-337/97, Meeusen, in Guida al diritto, 1999, 30, 134; Corte giust. 23 marzo 2004, causa C-138/02, La libera circolazione dei lavoratori subordinati e la sicurezza sociale 101 In tale ampia prospettiva, devono ritenersi inclusi nell’ambito della tutela i dipendenti dei datori di lavoro non imprenditori e tutti coloro che prestino la loro attività in rapporti di lavoro “atipici” o speciali, come quelli a tempo determinato ed interinale, a tempo parziale 10, a domicilio, a causa formativa 11, di lavoro domestico, di lavoro sportivo. A quest’ultimo riguardo, sono ormai famose la sentenza Bosnam 12 sui calciatori professionisti e la sentenza Lehtonen 13 sui giocatori professionisti di pallacanestro, le quali confermano che anche il lavoro sportivo rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 48 del Trattato, se si tratta di attività svolta in regime di subordinazione, cioè in modo continuativo e a titolo oneroso. Come poi afferma la Corte di giustizia, la presenza della subordinazione non è incompatibile con la sussistenza di vincoli familiari, quali un rapporto matrimoniale con il direttore e unico azionista della società datrice di lavoro 14. Vale la pena sottolineare che la Corte di giustizia, nell’elaborare una nozione comunitaria di lavoratore in materia di libera circolazione dei lavoratori, intende dare massima efficacia al principio stesso, perché sottrae agli Stati membri la possibilità di configurare tante nozioni di lavoratore subordinato quanti sono gli ordinamenti. Si tratta di un’interpretazione che la Corte invece non si è sentita di formulare nell’ipotesi, in cui il legislatore comunitario abbia demandato direttamente agli Stati membri la definizione di lavoratore subordinato, come nell’ipotesi della direttiva 14 febbraio 1977, n. 77/187 in tema di trasferimento di azienda 15. Tuttavia, al fine di evitare un’applicazione eccessivamente difforme della direttiva da parte degli Stati membri sotto il pro- Collins, in Guida al diritto, 2004, 110; Corte giust. 7 settembre 2004, causa C-456/02, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 395, secondo cui occorre constatare il carattere reale ed effettivo dell’attività subordinata. 10 Cfr. Corte giust. 3 maggio 1990, causa 2/89, Kits van Hejningen, in Racc., 1990, 1755. 11 Cfr. Corte giust. 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum, in Racc., 1986, 2121 con riferimento al tirocinio preparatorio alla professione di insegnante svolto, dietro compenso, dal tirocinante sottoposto alla sorveglianza della scuola alla quale è assegnato, che gli impone le prestazioni da fornire e gli orari di lavoro. 12 V. Corte giust. 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, in Corriere giur., 1996, 2, 221. 13 Cfr. Corte giust. 13 aprile 2000, causa C-176/96, Lehtonen, in Racc., 2000, 2714. 14 Cfr. Corte giust. 8 giugno 1999, causa C-337/97, Meeusen, in Guida al diritto, 1999, 30, 134. 15 V. Corte giust. 11 luglio 1985, causa 105/84, Foreningen af arbeidsledere i Danmark/Danmols Inventar, in Racc., 1985, 2646. 102 Diritto comunitario del lavoro filo del campo di applicazione soggettiva, specie a causa dell’utilizzo sempre più frequente di forme flessibili di lavoro, la direttiva 29 giugno 1998, n. 98/50, modificativa della precedente, ha vietato agli Stati membri di escludere lavoratori a tempo parziale o determinato o interinale. La nozione comunitaria di lavoratore subordinato è invece sostanzialmente confermata sul piano legislativo dalla direttiva 12 giugno 1989, n. 89/391 in tema di sicurezza, con l’eccezione dei lavoratori domestici e di alcuni settori della pubblica amministrazione, diversi da quelli tenuti in considerazione ai fini dell’art. 39 del TCE. 5. IL CONTENUTO DEL PRINCIPIO DI LIBERA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI: IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONI, IL DIRITTO DI SOGGIORNO, IL DIRITTO AL COORDINAMENTO DELLE NORMATIVE NAZIONALI IN TEMA DI SICUREZZA SOCIALE La libera circolazione dei lavoratori subordinati viene assicurata dal Trattato per il tramite di tre fondamentali garanzie: – il divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro (art. 39, par. 2); – il diritto di soggiornare sul territorio dello Stato membro al fine di svolgere un lavoro ed anche dopo avere occupato un impiego conformemente alle disposizioni che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali (art. 39, par. 3, lett. b, c e d). Di tale diritto già si è precedentemente parlato; – il diritto di godere di un sistema di sicurezza sociale che consenta da un lato il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste, dall’altro il pagamento delle prestazioni nel luogo di residenza dei lavoratori, indipendentemente dal luogo in cui sono stati versati i contributi (art. 42). Le tutele citate sono fra loro strettamente collegate. Infatti, non sarebbe possibile accedere all’impiego in uno Stato membro, se non venisse garantito anche il diritto di soggiornare in esso. D’altra parte, la libera circolazione dei lavoratori sarebbe un principio privato della sua stessa “effettività”, qualora non venisse assicurato un coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale dei vari Paesi membri nei termini prima descritti. Le uniche eccezioni previste al principio di libera circolazione sono quelle relative a: