Il nuovo asse Mosca-Pechino

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Il nuovo asse Mosca-Pechino
Il nuovo asse Mosca-Pechino
Mercoledì 27 Marzo 2013 00:00
di Mario Lombardo
Lo scorso fine settimana, il leader del Partito Comunista cinese, Xi Jinping, è stato protagonista
del suo primo viaggio all’estero da quando è stato nominato presidente della Repubblica
Popolare a inizio marzo, incontrando a Mosca in una tre giorni carica di significato il suo
omologo russo, Vladimir Putin. Altrettanto significativamente, la gran parte dei media americani
ha pressoché ignorato l’importante evento, il quale ha confermato il progressivo riavvicinamento
tra i due paesi nell’ultimo decennio in risposta alla minaccia per i rispettivi interessi
rappresentata dalla crescente aggressività dell’imperialismo statunitense.
Le dichiarazioni ufficiali dei protagonisti del vertice russo-cinese, andato in scena tra il 22 e il 24
marzo scorso, hanno fatto continuamente riferimento alla salute dei rapporti bilaterali e al rilievo
strategico sia dell’incontro stesso che della partnership costruita tra Mosca e Pechino. Le
discussioni tra Putin e Xi hanno toccato un’ampia gamma di questioni, dalle relazioni
commerciali a quelle energetiche, dagli scambi culturali alle minacce militari che incombono su
entrambi i paesi.
Le relazioni tra Cina e Russia hanno iniziato ad imboccare una parabola ascendente dopo il
crollo dell’Unione Sovietica ed hanno fatto registrare un ulteriore miglioramento a partire dal
2001, quando i due paesi hanno trasformato, assieme ad alcune repubbliche centro-asiatiche, il
cosiddetto Gruppo dei Cinque (o Gruppo di Shanghai) nell’Organizzazione di Shanghai per la
Cooperazione (SCO) per contrastare la presenza americana in quest’area del globo.
La solidità dei rapporti bilaterali è dimostrata in ogni caso dagli scambi commerciali che,
secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, dovrebbero raggiungere i 100
miliardi di dollari all’anno nel 2015 e i 200 miliardi nel 2020. Anche sul fronte militare la
partnership russo-cinese si è ormai evoluta fino quasi a diventare una vera e propria alleanza.
Pechino ha infatti già piazzato una serie di consistenti ordini per sofisticati armamenti
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provenienti dalla Russia, la quale a sua volta ha solo recentemente acconsentito a fornire alla
Cina equipaggiamenti di natura offensiva. A sottolineare i progressi sul fronte della
cooperazione militare, nel corso della sua visita il presidente Xi è stato ammesso all’interno del
quartier generale del comando delle forze armate russe, cosa che non era mai concessa a
nessun leader di un paese straniero.
Pur senza mai essere citati esplicitamente, gli Stati Uniti sono stati come previsto al centro
dell’attenzione durante il vertice di Mosca. Parlando all’Istituto Nazionale per le Relazioni
Internazionali, il presidente cinese ha così ammonito che “nessun paese o gruppo di paesi può
da solo dominare gli affari mondiali”, aggiungendo che “solide relazioni tra Cina e Russia…
rappresentano una garanzia per la pace e gli equilibri strategici internazionali”.
In una dichiarazione congiunta, inoltre, i due leader hanno condannato quei paesi che “in
maniera unilaterale e senza restrizioni rafforzano i loro sistemi anti-missilistici, mettendo a
rischio la stabilità strategica e la sicurezza internazionale”. Il riferimento in questo caso è stato
chiaramente agli Stati Uniti e ai loro progetti di installare nuove strutture anti-missilistiche in
Europa Orientale e in Corea del Sud, ufficialmente per prevenire ipotetici attacchi di Iran e
Corea del Nord contro i loro alleati ma in realtà studiati per indebolire il deterrente nucleare di
Russia e Cina.
La “svolta” asiatica dell’amministrazione Obama rappresenta più in generale una nuova
ulteriore minaccia per Mosca e, soprattutto, Pechino, come conferma il riesplodere di confitti
latenti nel Mare Cinese Meridionale e Orientale attorno ad una manciata di isole rivendicate,
oltre che da Pechino, dal Giappone e da svariati altri paesi del sud-est asiatico.
Su tale questione, il presidente Putin ha assicurato il proprio sostegno alla posizione cinese,
lasciando intendere come le responsabilità per il riemergere di queste annose rivalità siano
correttamente da attribuire agli Stati Uniti, i quali assecondano o, più probabilmente, spingono
alleati come Giappone o Filippine a mettere in atto azioni provocatorie per aumentare le
tensioni con il governo cinese.
Gli interessi di Cina e Russia sono poi messi in pericolo anche in altre aree del globo, a
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cominciare dall’Africa e dal Medio Oriente, come testimonia il coinvolgimento più o meno diretto
degli USA e dei loro alleati arabi ed europei in operazioni militari che vanno dalla Libia alla Siria
e dalla Costa d’Avorio al Mali, paesi spesso strategicamente vicini a Mosca o con legami
commerciali molto stretti con Pechino. A questo scopo, Xi e Putin hanno discusso del
coordinamento delle loro posizioni sulle questioni internazionali più delicate, verosimilmente
concentrando i loro sforzi sul contenimento delle crisi in Siria, in Iran e in Corea del Nord.
L’ambito nel quale le relazioni russo-cinesi promettono di consolidarsi in maniera definitiva è
però quello energetico, fino a poco tempo fa segnato invece da profondi disaccordi nonostante i
due paesi siano rispettivamente il primo produttore mondiale di gas naturale - nonché il
secondo di petrolio - e il secondo consumatore di risorse energetiche.
Partendo da vari protocolli di intesa già siglati nel recente passato, i due presidenti nello scorso
fine settimana hanno dato un impulso probabilmente decisivo alla loro implementazione. Il
gigante russo del petrolio Rosneft, ad esempio, dovrebbe triplicare le forniture alla Cina nel
prossimo quarto di secolo, mentre Gazprom sembra avere superato i contrasti sul prezzo di
vendita del gas naturale a Pechino, facendo di quello cinese il primo mercato per il proprio
export energetico nel prossimo futuro. Il governo di Mosca, da parte sua, ha ottenuto tra l’altro
una promessa di nuovi investimenti cinesi pari a 2 miliardi di dollari per sviluppare le risorse
localizzate nelle regioni orientali dello sterminato paese.
Con l’aumento del fabbisogno energetico cinese, il regime di Pechino si trova d’altra parte a
dover diversificare le proprie fonti di approvvigionamento. Le già ricordate manovre statunitensi
in varie aree del globo minacciano infatti sia le operazioni cinesi in svariati paesi africani ricchi
di petrolio sia le rotte navali che trasportano greggio dal Medio Oriente passando attraverso lo
Stretto di Malacca in Asia sud-orientale per giungere in Cina.
Nonostante la complessiva disattenzione dei media d’oltreoceano, l’importanza del summit di
Mosca non deve essere sfuggita al governo americano, all’interno del quale non mancano le
preoccupazioni per l’evoluzione dei rapporti tra Russia e Cina.
A dare voce al nervosismo indubbiamente diffuso in alcune sezioni della classe dirigente
americana per gli effetti della “svolta” asiatica decisa dalla Casa Bianca è stato Stephen Harner
di Forbes, uno dei pochi commentatori che nei giorni scorsi ha analizzato a fondo l’incontro tra
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Putin e Xi.
Per Harner, ciò che “è emerso dall’incontro tra i leader di Cina e Russia rappresenta un
problema, se non un totale disastro, per gli interessi degli Stati Uniti” e ha evidenziato “in
maniera brutale la sconsideratezza della svolta asiatica voluta da Obama, [dall’ex segretario di
Stato] Hillary Clinton e [dall’ex segretario alla Difesa] Leon Panetta”.
Infatti, continua il giornalista di Forbes, la visita di stato del presidente cinese a Mosca
“potrebbe realmente avere segnato l’inizio di una storica alleanza geo-politica e, purtroppo [per
Washington], potenzialmente anti-americana in Asia orientale”.
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