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Corriere del Ticino 30 Venerdì 24 giugno 2016 Banca dati OltreconfiniTI conta ora 500 biografie zxy La piattaforma multimediale OltreconfiniTi, dedicata all’emigrazione ticinese, ha esteso la propria banca dati sulle celebrità residenti in Ticino. Grazie al progetto di ricerca voluto dalla Divisione della cultura e degli studi universitari del DECS intitolato I personaggi illustri - La geografia dello spirito, oggi il portale raccoglie i profili biografici di oltre 500 personalità, incluse quelle di origini elvetiche. Nel corso dei suoi oltre due secoli di storia, il Ticino ha ospitato decine di personaggi illustri della politica, dell’economia, della cultura e dello sport, provenienti da ogni parte della Svizzera e del mondo (come il premio Nobel Hermann Hesse, nella foto). Il nostro cantone è stato una sicura terra d’approdo, anche in anni difficili come quelli della seconda guerra mondiale. Nel novembre 2014 OltreconfiniTi aveva già raccolto in una pagina internet (www.ti.ch/oltreconfiniti) oltre 180 profili biografici dedicati ad altrettante personalità internazionali che avevano eletto il Ticino a residenza. Tra il maggio 2015 e il giugno 2016 il coordinatore del portale Mattia Bertoldi e la collaboratrice esterna Alessia Bottaro hanno preso parte al progetto I personaggi illustri - La geografia dello spirito. Il risultato oggi è una banca dati comprendente oltre 500 schede biografiche. CULTURA «Il contadino deve uccidere le mucche e i polli per sopravvivere, e questo lo mette al riparo da uno sguardo ingenuo sulle cose» LAURA di CoRCiA zxy È ambientato nel 1976 il terzo, pluripremiato romanzo di Roland Buti, A metà dell’orizzonte (Jaka Book, 174 pagine, 14 euro): un’estate caldissima fa da contorno alle esistenze della famiglia di Gus, che da generazioni si occupa di una piccola fattoria. Fra un padre arido, concentrato su quella che Verga definiva «la roba» e una madre bisognosa di novità, Gus, sospeso fra infanzia e adolescenza, legge i fumetti e cerca nella natura e negli animali il senso della propria identità. Un orizzonte monotono, un po’ ottuso, dove fa improvvisa irruzione Cécile; la donna con le sue scollature e i suoi modi disinvolti entra nelle loro esistenze portando in quel contesto chiuso e quasi asfittico una ventata di novità. Risulta pericolosa, però, per gli equilibri da lungo sedimentatisi: la madre se ne innamorerà mettendo a repentaglio l’esistenza stessa della famiglia. A ridosso della presentazione a Parolario, organizzata in collaborazione con Piazzaparola domani, sabato, alle 17 a Villa Olmo (Como), abbiamo avvicinato l’autore che con questo romanzo si è aggiudicato il Premio svizzero di letteratura 2014. A metà dell’orizzonte propone l’incontro fra due tempi diversi, quello della tradizione e quello della modernità. Come si inserisce in questo contesto il tempo della natura? «Ho voluto parlare della vita dei contadini, concentrandomi nello specifico sui contadini svizzeri, dal momento che tutti abbiamo un legame con la natura e con la campagna se andiamo indietro di qualche generazione. Mi interessava anche raccontare come l’industria si è inserita nel mondo agricolo. Questo romanzo parte da uno spunto autobiografico: quando ero bambino andavo davvero nella fattoria di famiglia e un giorno la compagna di mio cugino – che allevava polli – ha avuto una relazione con un’altra donna. Parlare di natura è difficile, nel senso che non so se, al di fuori del nostro sguardo, essa esista davvero. Insomma, non credo che vi sia una separazione fra natura e cultura». A proposito di sguardo sulla natura, spesso nel suo romanzo si contrappongono quello di Cécile e quello del padre domani a como nato a Losanna nel 1964, roland Buti sarà ospite di Parolario per presentare il suo ultimo libro A metà dell’orizzonte edito da Jaka Book. L’inTeRvisTA zxy roLand Buti* «Tutti siamo legati alla natura» Un romanzo ambientato negli anni Settanta in una fattoria svizzera di Gus. Qual è la visione più ingenua? «Non c’è una visione giusta della natura, che alla fine si vendica un po’ sia con la pioggia che con la siccità, dimostrando di essere molto più forte dell’uomo. Cécile ha una visione più naïf, perché è estranea allo sguardo della natura quando si lavora. Il contadino deve uccidere le mucche e i polli per sopravvivere, ha un rapporto più utilitaristico con essi e questo lo mette al riparo da uno sguardo ingenuo sulle cose». Che cosa deve il nostro Paese alla società contadina? «La nostra identità culturale e storica è molto legata alla campagna; la stessa democrazia lo è, perché i contadini hanno combattuto contro gli Asburgo, cittadini e urbani. C’è sicuramente una mito- logia in questo senso: ai contadini si riconoscono virtù come la moralità e la capacità di custodire i valori autentici. Ma tutto ciò è anche paradossale, se pensiamo che il mestiere di contadino sta praticamente scomparendo. Anche politicamente coloro che lavorano la terra hanno meno peso, anche se, proporzionalmente alla loro presenza numerica, non ne hanno nemmeno poco, anzi. Quello che va riconosciuto ai contadini in Svizzera è di avere una grande capacità di adattamento; molti di loro, infatti, si stanno adeguando alle nuove esigenze dei consumatori». Cosa vede la madre di Gus in Cécile? «Cécile è un elemento estraneo che arriva a far esplodere il mondo familiare. C’è una grande fascinazione, all’inizio: è bella, è piena di idee liberali e novità. Ma alla fine la madre capisce che è una nemica e la rifiuta». Come si inserisce la violenza all’interno di questo contesto familiare? «Il padre contiene la violenza fino a quando diventa troppo ed esplode. Non capisce quell’evento, che per lui non si inserisce nella normalità delle cose: tutto il mondo nel quale credeva sta svanendo e si sente minacciato. La violenza gli si ritorce contro, in fondo: si chiude in camera, beve, passa quasi tutto il tempo da solo. Anche perché in campagne la gestione della casa è di pertinenza femminile». Qual è il personaggio al quale Roland Buti si sente più legato? «Io avevo 13 anni nel ’76, quindi proba- bilmente Gus è il personaggio che mi assomiglia di più. Come lui sono un gran lettore di fumetti e ho una spiccata sensibilità per la natura. C’è molto di mio nel ragazzino, anche se Gus non sono io, così come l’autobiografia è solo uno spunto e nel romanzo ci sono anche molte cose inventate». Sta scrivendo un nuovo romanzo? «La mia professione di insegnante liceale, a dire il vero, mi lascia poco tempo per lavorare e la promozione di questo libro (che sta per essere tradotto anche in inglese) è già di per sé impegnativa. Nonostante ciò, sì, ho iniziato a buttar giù una nuova opera. Il tema sono i grandi alberghi svizzeri e il turismo ad esso collegato». * scrittore orme di lettura Quando il calcio è d’autore con Umberto Saba e Gianni Brera «C alcio d’autore»; ovvero un libro pubblicato con i tipi dell’Editrice La Scuola e che fa la storia letteraria del calcio raccontato attraverso poeti, scrittori, giornalisti, cantautori e tifo da stadio. Ne è autore non uno storico ma un altro poeta: Antonio Donadio. Le sue pagine – scrive nella postfazione Alessandro Bonan – tolgono «la polvere dagli armadi» restituendo «luce al calcio». Da quell’8 maggio 1898, giorno in cui a Torino si svolse il I Campionato Federale di Football, al primo romanzo sul calcio «Novantesimo minuto» (1933) di Franco Ciampitti con interessanti testimonianze come la descrizione della «toeletta di gioco» del giocatore di quegli anni o la «nascita del tifoso di calcio» di Massimo Bontempelli. Dai grandi poeti che amarono il calcio – come Umberto Saba con «Goal» o Pasolini che ravvisò in questo gioco un vero linguaggio, o come Giudici, Sanguineti, Penna,... ai contemporanei come Ramat, De Angelis, Maffia,… presenti con liriche inedite. Spazio anche alle voci di dissenso, ad esempio quelle di Montale e di Maria Luisa Spaziani che detestavano il mondo del pallone. Una parte del libro è dedicato a noti giornalisti sportivi, in primis Gianni Brera, «poeta» della parola dal linguaggio fat- antonio donadio Calcio d’autore La Scuola, pp. 153, € 11. to di arditi neologismi e uso spregiudicato di citazioni. Beppe Viola, autore della canzone «Quelli che…», che ha dato nome alla nota e longeva trasmissione su Rai 2. E ancora Gino Palumbo, Enzo Tortora, Giorgio Tosatti, figlio di Renato Tosatti, giornalista come lui, scomparso nella tragedia di Superga del ’49. E poi scrittori e giornalisti di ieri e di oggi come Giorgio Bocca e Massimo Gramellini. Senza dimenticare Niccolò Carosio: la voce del calcio italiano nei «mitici anni ’60 e ’70». Anni che ritornano nei versi di Damiani, di Perilli che raccontano d’interminabili partite giocate da ragazzo quando totale era l’i- dentificazione con gli eroi del pallone; delle domeniche pomeriggio allo stadio «a guardare tutto il calcio minuto per minuto» come nel ricordo di Marino Bartoletti. Non mancano i grandi campioni come Maradona (cui sono dedicati inediti versi da Paolo Ruffilli), o Gianni Rivera, Dino Zoff né gli indimenticabili Scirea e Facchetti. La convocazione in Nazionale di Paolo Maldini per i Mondiali del 1994, viene raccontata da Fabio Fazio con divertente taglio da pièce teatrale. Un capitolo sugli «orrori del calcio»: dalle partite truccate agli atti di violenza, ai morti, con l’illuminante denuncia di Dario Fo, ma anche di Giovan- ni Arpino, super tifoso ormai deluso. Parte del libro è dedicato alle canzoni calcistiche, dalla «Partita di pallone» di Rita Pavone a quelle dei cantautori: da «Una vita da mediano» di Ligabue a «La leva calcistica del ’68» di De Gregori; ma anche a canzoni meno note come «Baggio…Baggi» o di Lucio Dalla e «Tango della Buena Sorte» di Pino Daniele. Chiude il volume un capitolo su striscioni, cori, invettive del tifo da stadio. Striscione memorabile, quello con il quale, all’indomani del primo scudetto del Napoli (1987), i tifosi vincitori «informarono» i defunti del cimitero cittadino: «Non sapete RED. cosa vi siete persi».