1atmosfere esplosive - Diario per la Prevenzione

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1atmosfere esplosive - Diario per la Prevenzione
ATMOSFERE ESPLOSIVE: L’INDIVIDUAZIONE DI SOSTANZE E DI
PREPARATI ESPLODENTI. PERCORSO OPERATIVO PER
L’APPLICAZIONE DEL TITOLO VIII-BIS D.LGS.626/94 NEL
CASO DI UN IMPIANTO CHE IMPIEGA METANO PER LA
PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA E TERMICA
Celsino Govoni (1), Michele Franceschini (2)
(1) Dipartimento di Sanità Pubblica Azienda USL di Modena
(2) CERMET – Cadriano (Bologna)
INTRODUZIONE
La direttiva 1999/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre
1999 relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della
sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al rischio di atmosfere esplosive è stata
attuata nel nostro ordinamento legislativo nazionale con l’emanazione del decreto
legislativo 12 giugno 2003, n.233. Tale decreto legislativo ha aggiunto un altro
Titolo al decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626 (D.Lgs. 626/94), cioè il Titolo
VIII-bis D.Lgs.626/94 – Protezione da atmosfere esplosive. [1]
Per fortuna le esplosioni derivanti dall’accensione di miscele con l’aria di sostanze
infiammabili o combustibili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri non sono la
causa più frequente degli infortuni sul lavoro. Tuttavia, come peraltro può
immaginare chi ha visto le esplosioni solo in filmati professionali od al cinema, le
loro conseguenze sono spettacolari ed allo stesso tempo drammatiche in termini di
perdita di vite umane e di costi economici.
La necessità di conoscere meglio il fenomeno della formazione delle atmosfere
esplosive con la conseguenza di ridurre l’incidenza delle esplosioni o delle
cosiddette “fiammate” sul luogo di lavoro, proviene da considerazioni relative, in
prima istanza, alla sicurezza dei lavoratori, ma anche alle strutture degli ambienti di
lavoro che inevitabilmente coinvolgono aspetti prettamente economici. Infatti è
proprio dalla contestualizzazione di questi due aspetti, umanitario ed economico, che
nasce la direttiva ATEX 1999/92/CE, cioè dal connubio fra gli interessi legati alla
sicurezza dei lavoratori e quella “più venale”, ma allo stesso modo importante e
necessaria, degli ambienti di lavoro, nel senso più strutturale del termine. [2, 3]
Le considerazioni sulla sicurezza dei lavoratori sono facilmente prevedibili: le
esplosioni e gli incendi possono provocare orribili ferite ed anche la morte. Le
considerazioni di tipo economico figurano spesso in studi pubblici e privati sui costi
reali degli infortuni, da cui emerge che una migliore gestione dei rischi per la salute
e la sicurezza può far crescere sensibilmente i profitti dell’impresa.
Il fatto che l’Unione Europea abbia provveduto ad emanare una direttiva vincolante
sul tema della protezione da atmosfere esplosive riconosce in ogni caso la volontà e
l’impegno di integrare la salute e la sicurezza dei lavoratori nell’approccio globale di
benessere sul luogo di lavoro ed anche di consolidare e migliorare una vera e propria
cultura della prevenzione dei rischi.
LE MISCELE DI SOSTANZE INFIAMMABILI
Ai fini dell’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94 si intende per “atmosfera
esplosiva” una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze
infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo accensione, la
combustione si propaga all’insieme della miscela incombusta.
Già da questa definizione ci assalgono numerosi dubbi fra i quali i più banali sono:Quali sono le sostanze infiammabili? Si considerano sostanze infiammabili anche le
sostanze combustibili? Ed anche quella molto più complessa: - Quante possono
essere le sostanze ed i preparati infiammabili presenti negli ambienti di lavoro?
LA CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLE PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE
I criteri europei di classificazione di pericolo delle sostanze e dei preparati chimici in
base alle proprietà fisico-chimiche si riferiscono all’Allegato VI della Direttiva
67/548/CEE e successive modificazioni. [4] Nell’ordinamento legislativo nazionale
l’ultimo adeguamento di questi criteri di classificazione delle proprietà pericolose
intrinseche è stato introdotto nel decreto ministeriale 28 aprile 1997 e l’ultima
modificazione è stata effettuata con decreto ministeriale 14 giugno 2002. [5]
Secondo questi criteri sono considerati pericolosi per le proprietà chimico-fisiche i
prodotti chimici appartenenti a queste categorie di pericolo:
Esplosivo.
Comburente.
Estremamente Infiammabile.
Facilmente Infiammabile.
Infiammabile.
Esclusione dal campo d’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs. 626/94
Sostanze e preparati esplosivi e comburenti
Ai fini dell’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs. 626/94 non vengono considerati
gli esplosivi e i comburenti.
Le sostanze ed i preparati esplosivi sono definiti tali in quanto in grado di esplodere
in assenza di aria od ossigeno e semplicemente per urto o sfregamento
(sollecitazioni meccaniche), o per l’effetto di una fiamma (sollecitazioni termiche) o
altre sorgenti d’ignizione sulla base di metodi di prova ed informazioni
termodinamiche che sottolineano calori di formazione e di decomposizione derivanti
da una particolare struttura molecolare e dalla presenza di gruppi reattivi soggetti ad
una rapida decomposizione con sviluppo di gas o forte liberazione di calore.
Diversamente dai prodotti liquidi, per i prodotti solidi si considera anche lo
sfregamento.
Anche le sostanze ed i preparati comburenti sono definiti tali in quanto se vengono a
contatto con altre sostanze in particolare i combustibili, ma soprattutto gli
infiammabili, provocano una forte reazione esotermica. Infatti vi sono, ad esempio, i
perossidi inorganici, che possono infiammarsi o aggravare il rischio d’incendio
quando vadano a contatto con materiali combustibili. Gli stessi perossidi inorganici,
quali i clorati o i perclorati, diventano esplosivi se miscelati con materiali
combustibili. Vi sono invece dei perossidi organici, che possono infiammarsi anche
quando non sono a contatto con materiali combustibili.
Per quanto riguarda le proprietà esplosive e comburenti un’osservazione particolare
deve essere fatta proprio a riguardo dei perossidi organici. Questo fa capire come la
struttura molecolare sia fondamentale per valutare le proprietà fisico-chimiche
pericolose delle sostanze chimiche. In riferimento alle proprietà esplosive un
perossido organico o un preparato che lo contenga, viene classificato esplosivo sulla
base dei criteri definiti nell’Allegato V alla Direttiva 67/548 e successive
modificazioni.
In generale il metodo impiegato per determinare le proprietà esplosive fornisce uno
schema di prove per determinare se una sostanza solida o pastosa presenti un
pericolo di esplosione quando viene sottoposta all’effetto di una fiamma o ad urti o
sfregamenti e se una sostanza liquida presenti un pericolo di esplosione quando
viene sottoposta all’effetto di una fiamma o di un urto. Il metodo comprende tre
parti:
a) Una prova di sensibilità termica.
b) Una prova di sensibilità meccanica agli urti.
c) Una prova di sensibilità meccanica relativa allo sfregamento.
Il metodo fornisce dei dati per valutare la probabilità che certe sollecitazioni comuni
possano dar luogo ad una esplosione. Il metodo non è previsto per stabilire se una
sostanza sia in grado di esplodere in qualsiasi condizione. Il metodo è appropriato se
è basato sull’impiego di apparecchi usati e riconosciuti a livello internazionale, i
quali forniscono normalmente dei risultati significativi. Inoltre vi è da precisare che
non è necessario eseguire le prove quando le informazioni termodinamiche
disponibili, come il calore di formazione ed il calore di decomposizione e/o
l’assenza di certi gruppi reattivi nella formula di struttura premettano di stabilire al
di là di ogni ragionevole dubbio che la sostanza non è soggetta a rapida
decomposizione con sviluppo di gas o liberazione di calore, cioè il materiale non
presenta alcun rischio di esplosione. Per i liquidi non è richiesto un saggio di
sensibilità allo sfregamento.
Per le sostanze, i perossidi organici, non ancora classificati esplosivi, sono
classificati tali sulla base dell’analisi della struttura molecolare (ad es. R-O-O-H; R1O-O-R2).
I preparati non ancora classificati come esplosivi sono classificati utilizzando il
metodo di calcolo basato sulla percentuale di ossigeno attivo. Per questo motivo
qualunque perossido organico o preparato contenente un perossido organico non
ancora classificato come esplosivo è classificato come comburente se il perossido o
la sua formulazione contengono:
♦ più del 5% di perossidi organici oppure
♦ più dello 0,5% di ossigeno disponibile dai perossidi organici e più del 5% di
perossido d’idrogeno.
Da ciò se ne deduce che per determinare le proprietà comburenti dei perossidi
organici non possono essere applicati gli attuali metodi dell’Allegato V Direttiva
67/548/CEE.
Inclusione nel campo d’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs. 626/94
Sostanze e preparati estremamente infiammabili
Le sostanze e i preparati sono classificati come “Estremamente o Altamente
Infiammabili”, contrassegnati dal simbolo di pericolo “F+” e dall’indicazione di
pericolo “Estremamente o Altamente Infiammabile” e pertanto soggetti
all’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94 in funzione dei risultati delle
prove di cui all’Allegato V della Direttiva 67/548/CEE.
Si classificano altamente infiammabili, le sostanze e i preparati liquidi che hanno
un punto d’infiammabilità inferiore a 0°C e un punto di ebollizione (o, nel caso di un
intervallo di ebollizione, il punto iniziale di ebollizione) inferiore o uguale a 35°C.
Si classificano inoltre altamente infiammabili, le sostanze e i preparati gassosi che a
temperatura e pressione ambiente si infiammano a contatto con l’aria.
Sostanze e preparati facilmente infiammabili
Le sostanze e i preparati sono classificati come “Facilmente infiammabili” e
contrassegnati dal simbolo di pericolo “F” e dall’indicazione di pericolo”Facilmente
Infiammabile” e pertanto soggetti all’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94
in funzione dei risultati delle prove di cui all’Allegato V della Direttiva 67/548/CEE.
Si classificano facilmente infiammabili, le sostanze e i preparati solidi che possono
facilmente infiammarsi in seguito ad un breve contatto con una sorgente d’ignizione
e che continuano a bruciare o a consumarsi anche dopo l’allontanamento da tale
sorgente.
Si classificano inoltre facilmente infiammabili, le sostanze e i preparati liquidi il cui
punto d’infiammabilità è inferiore a 21°C, ma che non sono estremamente
infiammabili.
Sono considerati facilmente infiammabili, le sostanze e i preparati che, a contatto
con l’acqua o l’aria umida, sprigionano gas estremamente infiammabili in quantità
pericolose e almeno pari a 1 l/Kg/h.
Sono infine facilmente infiammabili, le sostanze e i preparati che a contatto con
l’aria, a temperatura ambiente e senza apporto di energia, possono scaldarsi e quindi
infiammarsi.
Sostanze e preparati infiammabili
Le sostanze e i preparati sono classificati come infiammabili in base ai risultati delle
prove di cui all’Allegato V della Direttiva 67/548/CEE. Tali prodotti sono soggetti
all’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94.
Si classificano infiammabili, le sostanze e i preparati liquidi il cui punto
d’infiammabilità è uguale o superiore a 21°C e inferiore o uguale a 55°C.
In ogni caso l’esperienza ha dimostrato che un preparato che ha punto
d’infiammabilità uguale o superiore a 21°C e inferiore o uguale a 55°C non deve
essere classificato come infiammabile se non può in alcun modo alimentare una
combustione e nella misura in cui non sussiste motivo per temere di esporre a
pericolo coloro che impiegano i preparati in questione od altre persone.
Altre proprietà chimico-fisiche
Vi sono inoltre altre sostanze e preparati il cui impiego rende applicabile il Titolo
VIII-bis D.Lgs.626/94 sul luogo di lavoro, ma che sulla base dei risultati delle prove
di cui all’Allegato V della Direttiva 67/548/CEE sarebbero esclusi. A questo
proposito possono essere citati alcuni esempi come nel caso di:
♦ sostanze e preparati instabili a contatto o senza contatto con l’aria (es. acetilene);
♦ preparati che non sono classificati come infiammabili in quanto tali, ma che
contengono componenti volatili infiammabili all’aria;
♦ preparati non classificati come infiammabili in quanto tali, ma che possono
divenire infiammabili in seguito alla perdita di componenti volatili non
infiammabili;
♦ sostanze e preparati che non sono classificati come esplosivi, ma che presentano
proprietà esplosive se riscaldati in un contenitore chiuso.
DETERMINAZIONE DELLE PROPRIETA’ INFIAMMABILI
Infiammabilità dei liquidi
Il punto d’infiammabilità
L’esecuzione di tale prova dipende dalle informazioni preliminari relative
all’infiammabilità del prodotto chimico. Tale determinazione è applicabile a
sostanze e preparati liquidi i cui vapori possono infiammarsi mediante sorgenti di
accensione.
I metodi sperimentali inseriti nell’Allegato V della Direttiva 67/548/CEE sono
affidabili solo per gli intervalli del punto d’infiammabilità specificati nei singoli
metodi. Inoltre quando si sceglie il metodo da usare, bisogna considerare la
possibilità di reazioni chimiche tra la sostanza ed il portacampioni.
Il punto d’infiammabilità è la temperatura più bassa, corretta alla pressione di
101,325 kPa, alla quale un liquido sviluppa vapori, nelle condizioni definite nel
metodo sperimentale, in quantità tali da produrre una miscela vapore/aria
infiammabile nel recipiente di prova.
Non è necessario utilizzare sostanze di riferimento ogni volta che si esamina una
nuova sostanza. Esse servono principalmente per controllare periodicamente la
precisione del metodo e per permettere il confronto con risultati ottenuti mediante
altri metodi.
Il prodotto chimico viene posto in un recipiente di prova e riscaldato o raffreddato
alla temperatura sperimentale secondo la procedura descritta nei singoli metodi
sperimentali. Vengono eseguite le prove di accensione allo scopo di accertare se il
campione si infiamma o non si infiamma alla temperatura di prova.
La ripetibilità varia secondo l’intervallo del punto di infiammabilità e secondo il
metodo sperimentale usato di un massimo di 2°C. La sensibilità dipende dal metodo
sperimentale applicato. La specificità di alcuni metodi sperimentali è limitata a
particolari intervalli di punto d’infiammabilità e dipende dalle caratteristiche dei
prodotti chimici come ad esempio l’elevata viscosità.
Infiammabilità dei solidi
Prima di effettuare tale determinazione è necessario disporre di informazioni
preliminari sulle eventuali proprietà esplosive dei prodotti chimici. La prova si
applica esclusivamente a materiale in polvere, granulare e pastoso.
La prova si esegue su prodotti chimici capaci d’infiammarsi e che bruciano
rapidamente o il cui comportamento alla combustione presenta particolari pericoli di
qualsiasi genere. Vengono considerati facilmente infiammabili soltanto i prodotti la
cui velocità di combustione supera un certo valore limite. La prova può essere
particolarmente pericolosa se l’incandescenza si propaga lungo una polvere
metallica a motivo della difficoltà di controllare le atmosfere esplosive o estinguere
gli incendi. Le polveri metalliche sono da considerarsi facilmente infiammabili se
sostengono la diffusione dell’incandescenza attraverso la massa entro un tempo
specificato. Le sostanze in polvere, granulari o pastose sono da considerarsi
facilmente infiammabili se il tempo di combustione, in una qualunque delle prove
eseguite secondo le procedure sperimentali descritte nell’Allegato V della Direttiva
67/548/CEE, è minore di 45 secondi. Le polveri di metalli o leghe metalliche sono
considerate facilmente infiammabili quando sono suscettibili di accensione e la
fiamma o la zona di reazione si propaga sull’intero campione in 10 minuti o meno.
Infiammabilità dei gas
Tale determinazione ha l’obiettivo d’individuare se un gas o una miscela di gas
miscelata con l’aria a temperatura ambiente (circa 20°C) e a pressione atmosferica
sia infiammabile ed in quale intervallo di concentrazione lo sia. Miscele a
concentrazioni crescenti del gas o dei gas in esame con l’aria vengono esposti ad una
scintilla elettrica e si osserva se ha luogo l’accensione. L’intervallo d’infiammabilità
è l’intervallo di concentrazione compreso fra il limite minimo ed il limite massimo
di esplosione. I limiti minimo e massimo di esplosione sono quei limiti di
concentrazione del gas infiammabile in miscela con l’aria ai quali non si verifica la
propagazione della fiamma.
Il metodo si basa sul fatto che la concentrazione del gas nell’aria viene aumentata
gradualmente e ad ogni livello di concentrazione la miscela viene esposta ad una
scintilla elettrica. Risulta utile rilevare che la propagazione della fiamma è l’unico
fenomeno significativo per la determinazione di questa proprietà.
Infiammabilità per contatto con l’acqua
Lo scopo di questa determinazione è quella di individuare se la reazione di un
prodotto chimico con acqua o aria umida porta allo sviluppo di quantità pericolose
di gas che possono essere facilmente infiammabili. Tale metodo è applicabile ai
materiali chimici solidi o liquidi, ma non è applicabile ai materiali che si
infiammano spontaneamente a contatto con l’aria. Sono pertanto facilmente
infiammabili i prodotti chimici che, a contatto con l’acqua o con l’aria umida,
sviluppano gas altamente o facilmente infiammabili o spontaneamente infiammabili
o in quantità pericolose ad una velocità maggiore di 1 litro/kg di prodotto chimico
per ora.
LA QUALITA’ DEI DATI DELLE SCHEDE DI SICUREZZA DELLE
SOSTANZE E DEI PREPARATI: PRESUPPOSTO FONDAMENTALE PER
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA ATMOSFERE ESPLOSIVE E
L’ADOZIONE DELLE MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Secondo il Decreto Legislativo 3 febbraio 1997, n.52 ed il Decreto Legislativo 14
marzo 2003, n. 65, in combinazione al D.M. 7/09/2002 che detta il regolamento
riguardante le modalità dell’informazione su sostanze e preparati pericolosi,
chiunque immetta sul mercato dei prodotti chimici, deve fornire gratuitamente al
destinatario, cioè all’utilizzatore professionale su supporto cartaceo ovvero, se
l’utilizzatore professionale dispone dell’apparecchiatura informatica necessaria per il
ricevimento, su supporto informatico o magnetico, una scheda informativa in
materia di sicurezza (SDS) in occasione o anteriormente alla prima fornitura del
prodotto chimico. In realtà questo non è sufficiente in quanto se al fine di una
corretta valutazione del rischio chimico per la salute e la sicurezza, un utilizzatore
professionale ritiene che le informazioni introdotte nella SDS di un agente chimico
pericoloso non siano sufficienti per adottare le adeguate misure di prevenzione e
protezione o per effettuare una completa valutazione del rischio, ai sensi del
D.Lgs.25/02 e del D.Lgs.233/03 può, richiedere in qualsiasi momento le ulteriori
informazioni necessarie al produttore o al fornitore, cioè al responsabile
dell’immissione sul mercato dell’agente chimico pericoloso (RIMSPP). [6,7,8,9]
Le informazioni contenute nella SDS devono soddisfare in particolare i requisiti di
cui ai Titoli VII-bis e VIII-bis D.Lgs.626/94 (D.Lgs.25/02 e D.Lgs.233/03) sulla
protezione della salute e della sicurezza contro i rischi derivanti da agenti chimici e
da atmosfere esplosive durante il lavoro. La SDS deve permettere all’utilizzatore
professionale (UP) o destinatario finale del prodotto di determinare la presenza sul
luogo di lavoro di qualsiasi agente chimico pericoloso e di valutare l’eventuale
rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori derivante dal loro uso.
Per quanto riguarda esclusivamente le proprietà pericolose di natura chimico-fisica
quando normalmente si va a consultare la voce n.9 “Proprietà fisiche e chimiche”
della SDS, in molti casi riscontriamo che il RIMSPP, non fornisce le informazioni di
natura sperimentale che sono di estrema importanza per l’UP, al fine di effettuare
una corretta valutazione del rischio da agenti chimici e da atmosfere esplosive nei
luoghi di lavoro, impedendogli persino di valutare il rischio chimico tramite
l’ausilio di modelli, algoritmi o procedure di calcolo. Se per la compilazione delle
SDS delle sostanze queste informazioni sono desumibili dalla letteratura
internazionale esistente, ciò non può accadere per i preparati le cui proprietà sono
da determinare per via sperimentale dal RIMSPP in base alle prescrizioni
dell’Allegato V Parte A del D.Lgs.52/97 e succ. mod. o con altri metodi comparabili
che solo lui può approntare. Tuttavia si riscontrano carenze ed inaccuratezze anche
per quanto riguarda l’ufficialità e la correttezza delle informazioni sulle proprietà
chimico-fisiche delle sostanze.
In un’indagine compiuta in Regione Emilia-Romagna su 98 preparati pericolosi per
la sicurezza, 80 SDS risultarono carenti ed inaccurate relativamente a questo punto.
Le inadempienze più ricorrenti riguardavano l’assenza del dato dell’aspetto fisico,
della solubilità, del coefficiente di ripartizione, della viscosità, della tensione
superficiale e in particolare del punto d’infiammabilità e degli altri dati
riguardanti l’infiammabilità e l’esplodibilità dei preparati. [10,11]
Inoltre non dobbiamo dimenticare che nel 29° adeguamento dell’Allegato I alla
direttiva 67/548/CEE sono elencate in maniera ufficiale solo 400 sostanze rientranti
nelle tre categorie di pericolo specifiche degli infiammabili: 56 sostanze
estremamente infiammabili, 193 facilmente infiammabili e 151 infiammabili, a
fronte delle circa 4000 sostanze infiammabili contenute nell’inventario EINECS.
PERCORSO OPERATIVO PER L’APPLICAZIONE DEL TITOLO VIII-BIS
D.LGS.626/94.
Il Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94 ”Protezione da atmosfere esplosive” assieme agli
Allegati XV-bis XV-ter e XV-quater
ha fondamentalmente l’obiettivo di
regolamentare un aspetto molto particolare del rischio chimico per la sicurezza dei
lavoratori. Tale Normativa riguarda non solo l’operatività dei lavoratori, ma in
particolare la progettazione del luogo di lavoro e la corretta realizzazione
dell’impiantistica connessa ai processi di produzione.
Il Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94 è pertanto una Normativa che prescrive non solo dei
comportamenti, che peraltro sono obbligatori in Italia fino dal 1955 (D.P.R.547/55),
ma soprattutto la costruzione o l’adeguamento di ambienti di lavoro che devono
essere in grado di tenere sempre sotto controllo, restando molto al di sotto della
soglia del danno per le cose e per le persone, il rischio da atmosfere esplosive,
mediante l’adozione di macchine e di impianti sicuri, scelti sulla base di una
corretta valutazione del rischio. [12]
Tale Normativa definendo con precisione cosa si intende per atmosfera esplosiva,
prescrive obblighi specifici per il datore di lavoro che deve:
valutare i rischi di esplosione;
adottare le misure tecniche ed organizzative per la prevenzione e la protezione
contro le esplosioni;
salvaguardare la sicurezza dei lavoratori sempre e comunque;
costruire ambienti di lavoro sicuri;
adottare impianti di produzione che non elevi il rischio di esplosione;
coordinare l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione in presenza di
altre imprese che lavorano nel stesso luogo di lavoro;
ripartire in zone le aree di lavoro in cui possono formarsi atmosfere esplosive;
adottare le prescrizioni del documento sulla protezione dei lavoratori contro le
esplosioni.
Come già evidenziato, l’articolo 88-ter D.Lgs.626/94, prendendo spunto dalla norma
CEI EN 60079-10:1996-10 (Norma CEI 31-30), chiarisce che per “atmosfera
esplosiva” si intende una ”miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze
infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo accensione, la
combustione si propaga all’insieme della miscela incombusta”. [13]
In definitiva gli obblighi a carico del datore di lavoro sono i seguenti:
prevenire la formazione di atmosfere esplosive e, se ciò non è possibile, evitarne
l’accensione ed attenuarne i possibili effetti.
effettuare una attenta valutazione dei rischi tenendo conto di fattori quali la
probabilità e la durata della presenza di atmosfera esplosiva, la possibilità che
siano presenti e attive delle fonti di innesco, le caratteristiche specifiche
dell’impianto e la gravità degli effetti ipotizzabili.
suddividere l’area soggetta al rischio di formazione di atmosfera esplosiva in
zone, classificate in base alla frequenza e alla durata del pericolo, secondo
quanto scritto nell’Allegato XV-bis:
♦ Zona 0: presenza permanente o per lunghi periodi o frequente di atmosfera
esplosiva.
♦ Zona 1: probabile presenza occasionale di un’atmosfera esplosiva durante
la normale attività.
♦ Zona 2: presenza non probabile di un’atmosfera esplosiva e, se ciò avviene,
solo di breve durata.
Per la definizione pratica di tali zone si fa riferimento alla normativa tecnica
CEI EN 60079-10 (CEI 31-30).
Nelle suddette zone è prevista l’adozione di idonee misure tecniche ed
organizzative di prevenzione e protezione, in accordo all’Allegato XV-ter;
queste prevedono, innanzi tutto, un’attenta formazione professionale da parte
dei lavoratori in materia di protezioni dalle esplosioni, comprendenti anche
l’obbligo di attenersi a istruzioni scritte e autorizzazioni. In secondo luogo sono
da adottare provvedimenti riguardanti il pericolo di accensione dovuto a
scariche elettrostatiche (occorre che il personale utilizzi appositi indumenti)
oppure dovuto ad una qualsiasi apparecchiatura presente nell’area: ognuna di
queste infatti dovrà essere idonea all’utilizzo in atmosfera esplosiva come
prevede anche il DPR 23/3/1998 n.126. Occorre anche la presenza di appositi
sistemi di allarme e di evacuazione del personale. [14]
In tutte le aree soggette ad atmosfera esplosiva sono poi obbligatori sistemi ed
apparecchi di protezione, suddivisi in categorie a seconda del livello di
sicurezza che garantiscono (si veda sempre DPR 23/3/1998 n.126):
Categoria 1 -> utilizzabili in zona 0, zona 1, zona 2.
Categoria 2 -> utilizzabili in zona 1, zona 2.
Categoria 3 -> utilizzabili in zona 2.
apporre, nei punti di accesso alle aree a rischio di formazione di atmosfera
esplosiva, una specifica cartellonistica di forma triangolare con lettere in nero su
fondo giallo bordato di nero, come prevede l’Allegato XV-quater.
redigere un “documento sulla protezione contro le esplosioni”, parte integrante
del documento sulla valutazione dei rischi, che precisi il recepimento e
l’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94, l’individuazione e valutazione
dei rischi, la classificazione in zone e le misure di protezione contro le
esplosioni. Tale documento, oltre a fornire una precisa fotografia degli attuali
rischi presenti, vuole anche essere uno strumento di individuazione, analisi e
programmazione di eventuali interventi di miglioramento delle condizioni di
sicurezza.
IL CASO DI UN IMPIANTO CHE IMPIEGA METANO PER LA
PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA E TERMICA
Costruzioni elettriche per atmosfere esplosive per la presenza di gas in base alla
NORMA CEI EN 60079-10 (CEI 31-30)
Questa norma tecnica è applicabile alla maggior parte dei luoghi in cui è possibile
l’innesco di un’atmosfera esplosiva formata da gas o vapori infiammabili in miscela
con l’aria e in condizioni atmosferiche normali: tra questi è da includere il caso di
nostro interesse, che rappresenta semplicemente un esempio di riferimento per
l’applicazione del Titolo VIII-bis D.Lgs.626/94.
Il contenuto della norma riguarda principalmente il metodo per la classificazione dei
suddetti luoghi pericolosi, “allo scopo di permettere la corretta scelta ed
installazione degli apparecchi da impiegarsi in tali luoghi”; fornisce inoltre gli
strumenti per il calcolo di grandezze caratteristiche necessarie per lo studio del
problema.
Come detto un’atmosfera esplosiva è definita come una “miscela in aria di una
sostanza infiammabile sotto forma di gas o vapore, in condizioni atmosferiche
normali, in cui, dopo l’accensione, la combustione si propaga alla miscela
incombusta”. Se tale situazione si presenta in quantità tale da richiedere
l’installazione di apparecchi particolari di protezione, allora si ha a che fare con un
“luogo pericoloso”.
Origine di un’atmosfera esplosiva è, innanzi tutto, la presenza di una o più sorgenti
di emissione di gas: ogni parte dell’impianto che contiene una sostanza
infiammabile è da considerarsi come potenziale sorgente di emissione, a meno che
tale emissione non sia altamente improbabile o dovuta ad un guasto catastrofico non
prevedibile (ad esempio in una tubazione completamente saldata).
Accertato ciò, occorre quindi determinare il “grado di emissione”, tenendo presente
che ogni singola sorgente può essere classificata nei modi di seguito elencati:
a)
Emissione di grado continuo: emissione continua o che può avvenire per
lunghi periodi.
b) Emissione di primo grado: emissione che può avvenire periodicamente od
occasionalmente durante il funzionamento normale. Ad esempio le tenute di
valvole, pompe, compressori, quando si prevede che possano emettere sostanze
infiammabili durante il funzionamento normale.
c)
Emissione di secondo grado: emissione non prevista durante il funzionamento
normale, e che se avviene è possibile solo raramente e per brevi periodi. Ad
esempio le flange, le giunzioni, i raccordi delle tubazioni, le valvole, pompe,
compressori, quando si prevede l’emissione durante il funzionamento anomalo a
seguito di guasti prevedibili.
E’ importante ricordare che anche le aperture di comunicazione tra ambienti diversi
sono da considerarsi sorgenti di emissione, definite in funzione della frequenza e
durata di apertura, dell’efficacia di eventuali giunti o tenute, della differenza di
pressione tra i luoghi interessati (la classificazione delle aperture è stabilita in
quattro categorie, da “Tipo A” a “Tipo D”, in ordine crescente di sicurezza).
Si introduce ora l’oggetto cui vuole arrivare la realizzazione pratica della presente
norma, ovvero la classificazione del luogo pericoloso, in relazione alla frequenza e
alla permanenza di un’atmosfera esplosiva:
a)
Zona 0: luogo dove è presente continuamente o per lunghi periodi un’atmosfera
esplosiva per la presenza di gas.
b) Zona 1: luogo dove è possibile sia presente durante il funzionamento normale
un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas.
c)
Zona 2: luogo dove non è possibile sia presente un’atmosfera esplosiva per la
presenza di gas durante il funzionamento normale o, se ciò avviene, è possibile
sia presente solo poco frequentemente e per breve periodo.
Nei casi reali classificare tali zone non è cosa facile, in quanto si presuppone la
conoscenza di un grande numero di dati inerenti sia le caratteristiche chimico-fisiche
del gas in oggetto, sia parametri impiantistici che dovranno essere poi elaborati.
Note le sorgenti e i gradi di emissione, l’estensione di ciascuna zona dipenderà
quindi da:
Densità relativa all’aria del gas, che tenderà a salire o a depositarsi al livello del
terreno a seconda che questa risulti minore o maggiore di uno.
Limite inferiore di esplodibilità (LEL), ovvero la concentrazione di gas al di
sotto della quale l’atmosfera non è esplosiva.
Portata di emissione del gas, che a sua volta dipende dalla geometria della
sorgente di emissione e dalla velocità di emissione (ovvero la pressione interna
del contenitore del gas).
Presenza di barriere fisiche o di una sovrappressione statica nel caso in cui
l’atmosfera esplosiva provenga da un altro ambiente.
Ventilazione.
Va da se che in sede di progettazione dell’impianto occorre evitare la possibilità che
si formi un’atmosfera esplosiva, e, se questo non fosse possibile, bisogna adottare
soluzioni che permettano di avere il minimo volume di Zona 0 e Zona 1, cioè le più
pericolose, e massimo volume di Zona 2.
Normalmente, senza considerare gli effetti della ventilazione, si verificano le
seguenti corrispondenze biunivoche:
Emissione di grado continuo ↔ Zona 0
Emissione di primo grado ↔ Zona 1
Emissione di secondo grado↔ Zona 2
La ventilazione riveste un ruolo di primaria importanza in quanto può andare ad
influire, sia in positivo che in negativo, sulle precedenti relazioni, ovvero rendere
una zona più o meno pericolosa. Condizione ideale sarebbe quella di progettare una
portata di ventilazione adeguata per il locale in modo tale da diminuire la
concentrazione del gas sotto al suo limite inferiore di esplodibilità.
Si distingue inizialmente una ventilazione naturale originata dal vento e/o gradienti
di temperatura e una ventilazione artificiale dovuta a ventilatori o estrattori, da
collocare in posizioni idonee, al fine di ridurre l’estensione delle zone e diminuire il
tempo di permanenza dell’atmosfera esplosiva (tale grandezza verrà definita nel
seguito).
Si definiscono poi i gradi di efficacia della ventilazione:
a)
Alto: la ventilazione riduce la concentrazione di gas in maniera quasi istantanea
vicino alla sorgente di emissione. La zona pericolosa è di piccola estensione,
quasi trascurabile.
b) Medio: la ventilazione influisce sulla concentrazione, in quanto questa rimane
su valori stabili e su valori inferiori al LEL oltre i limiti della zona pericolosa;
inoltre il tempo di persistenza dell’atmosfera esplosiva dopo l’arresto
dell’emissione non è molto elevato.
c)
Basso: la ventilazione non influisce sulla concentrazione durante l’emissione e
il tempo di persistenza è elevato dopo l’arresto dell’emissione.
Vengono ora introdotte alcune grandezze caratteristiche del problema, utili al fine di
determinare il tipo di zona ed il grado di ventilazione, noti i dati di emissione: il
volume ipotetico e il tempo di persistenza.
VOLUME IPOTETICO
Vengono definiti:
portata minima volumetrica di aria fresca (m3/s)
portata massima di emissione di gas (kg/s)
limite inferiore di esplodibilità (kg/m3)
fattore di sicurezza applicato al LEL (k=0,5 per emissioni
di secondo grado, k=0,25 per emissioni di grado continuo
e primo)
temperatura ambiente (K)
(dV/dT)min
(dG/dT)max
LEL
K
T
(dV/dT) m i n
(dG/dT) m a x
T
=  ⋅ 
k ⋅ LEL
293
Vengono definiti:
C
dVtot/dT
Vo
numero ricambi di aria fresca per unità di tempo (s-1)
portata totale di aria fresca (m3/s)
volume totale da ventilare (m3)
Per un luogo al chiuso, vale:
dV t o t /dT
C = 
Vo
Viene definito:
f
coefficiente che esprime l’efficacia della ventilazione in termini di effettiva
diluizione dell’atmosfera esplosiva, varia da f=1 (situazione ideale) a f=5
(flusso d’aria impedito da ostacoli).
Si calcola infine il volume ipotetico Vz:
f ⋅ (dV/dt) m i n
V z = 
C
Tale grandezza rappresenta il volume ipotetico di atmosfera potenzialmente
esplosiva intorno alla sorgente di emissione, ovvero il volume al di là del quale la
concentrazione media del gas infiammabile è 0,25 o 0,5 volte il LEL, a seconda del
grado di emissione. Ciò significa che, al limite del volume Vz, la concentrazione è di
molto inferiore al LEL, e che il volume in cui la concentrazione è effettivamente
superiore al LEL è più piccolo di Vz.
Lo scopo di calcolare Vz è che questo permette di valutare se il grado di ventilazione
è alto, medio o basso, ad esempio a valori piccoli di Vz corrisponde un grado di
ventilazione alto, e viceversa; nel caso di un ambiente chiuso, Vz può addirittura
eccedere il volume del locale: in tal caso tutto questo è da considerarsi luogo
pericoloso.
Vz, infine, non dà alcuna indicazione sul tempo di persistenza dell’atmosfera
esplosiva dopo l’arresto dell’emissione, cosa che è rilevante solamente se il grado di
ventilazione è medio o basso.
TEMPO DI PERSISTENZA
Vengono definiti:
Xo
C
f, k, LEL
concentrazione iniziale della sostanza infiammabile (kg/m3)
numero di ricambi d’aria nell’unità di tempo (s-1)
definiti nella pagina precedente
-f
LEL ⋅ k
t =  ⋅ ln 
C
Xo
Il tempo di persistenza t calcolato sopra rappresenta il tempo richiesto per fare
scendere la concentrazione media da un valore iniziale Xo a k volte il LEL, dopo
l’arresto dell’emissione.
Il modo di utilizzare questo dato è differente dal Vz, in quanto rappresenta
un’informazione addizionale che deve essere inserita nel contesto della situazione
reale, a conferma dei risultati dei calcoli eseguiti per determinare il tipo di zona.
Tramite t è possibile stimare il grado di ventilazione necessario affinchè un luogo
soddisfi le definizioni di Zona 0, 1 o 2, inoltre, vista la sua definizione, non è
applicabile ad emissioni di grado continuo.
Oltre al grado di ventilazione si classifica anche la disponibilità della stessa in tre
livelli:
a)
Ventilazione buona: presente con continuità.
b) Ventilazione adeguata: presente durante il funzionamento normale, anche con
brevi e rare interruzioni.
c)
Ventilazione scarsa: se non risponde ai due casi precedenti.
Questa classificazione è particolarmente importante per ambienti chiusi dotati di
ventilazione artificiale: la disponibilità della ventilazione sarà infatti strettamente
correlata alla affidabilità dei ventilatori o estrattori e alla presenza di apparecchi di
riserva.
Naturalmente anche la disponibilità della ventilazione concorre alla definizione delle
estensioni dei diversi tipi di zone pericolose (Zona 0, 1 e 2).
In definitiva, come si può dedurre dalla Figura 1, al fine di determinare i tipi di zone,
è necessario conoscere:
1)
Il grado di emissione.
2)
Il grado di ventilazione.
3)
La disponibilità di ventilazione.
Se la disponibilità di ventilazione è buona oppure se il grado di ventilazione è basso
sarà presente un unico tipo di zona; in tutti gli altri casi possono essere presenti tipi
di zona aggiuntivi più pericolosi, principalmente nei periodi di tempo in cui viene a
mancare la ventilazione assunta.
La sigla NE sta ad indicare una zona pericolosa di estensione piccola, praticamente
trascurabile.
E’ inoltre raccomandato produrre una documentazione completa sul rischio dovuto
ad atmosfera esplosiva: questa dovrebbe comprendere un gran numero di
informazioni, ad esempio raccomandazioni delle norme tecniche in materia,
proprietà chimico-fisiche del gas utilizzato (densità, limiti di esplodibilità…) e
condizioni di esercizio dell’impianto (temperatura, pressione…), l’ubicazione delle
sorgenti di emissione, la posizione delle aperture negli ambienti (corredato da piante
e sezioni dell’edificio) e le caratteristiche di ventilazione.
NORMA CEI 31-35 – GUIDA ALL’APPLICAZIONE DELLA NORMA CEI
EN 60079-10
La presente Norma fornisce le linee guida per una corretta applicazione della Norma
CEI EN 60079-10 (CEI 31-30), relativa alla sicurezza di luoghi con pericolo di
formazione di un’atmosfera esplosiva per la presenza di gas. [15]
Figura 1: Determinazione delle estensioni dei diversi tipi di zone
V ent ila zione
G rado
G rado
d e lla
e m iss ion e
A lto
Zon a
non
p er ico los a
Zon a 1
NE
Zon a
0
NE
Zon a
0
NE
Zon a
0
Zon a
2
Zon a
1
Zon a
1
NE
Zon a
1
NE
P r imo
S e condo
Ba s so
Buona ,
ad egua ta
Buona Ad egua ta S car sa Buona Ad egua ta S car sa
o sca r sa
Zon a
0
NE
Con tin uo
M ed io
D ispon ib ilità
Zon a
non
p er ico los a
Zon a
2
Zon a
2
NE
Zon a
2
NE
Zon a
Zon a
non
non
p er ico - p er ico los a
los a
Zon a
2
Zon a
1
Zon a
0
Zon a
0
+
+
Zon a
2
Zon a
1
Zon a
1
Zon a
1
Zon a
1
+
+
o
Zon a
2
Zon a
2
Zon a
2
Zon a
0
Zon a
1
Zon a
2
Zon a
2
Zon a
2
Zon a
2
o an che
Zon a
0
Come noto, per prevenire tale rischio, è dapprima opportuno studiare tutte le
soluzioni impiantistiche che riducano al minimo la possibilità di fuoriuscita di gas;
in secondo luogo occorre progettare in modo da avere minori emissioni possibili,
una buona ventilazione e nessuna fonte di innesco all’interno delle zone pericolose:
tutto questo significa solitamente Zone di tipo 1 e 2.
Per le apparecchiature viene introdotto il concetto di “grado di sicurezza”, che indica
il livello di protezione rispetto ad un evento non desiderato: un tale apparecchio si
ritiene normale con grado di sicurezza 1 se è idoneo, da solo, a resistere alle
sollecitazioni per le quali è progettato; un grado di sicurezza “n” sarà garantito da
“n” apparecchi normali posti in serie. Le norme per gli impianti elettrici in tali
luoghi prescrivono almeno un grado di sicurezza pari a 3, che permette di conseguire
una certa sicurezza probabilistica; il requisito fondamentale è l’assenza di cause
comuni di inefficacia, cosa che ovviamente diminuirebbe il grado di sicurezza
globale.
Per evitare inneschi di un’atmosfera esplosiva, ad oggi è anche obbligatorio seguire
le Direttive 1999/92/CE e 1994/9/CE (recepite in Italia dal D.Lgs.12/6/2003 n.233 e
dal D.P.R. 23/3/1998 n.126). [16]
SORGENTI DI EMISSIONE
In presenza di più sorgenti, è di solito molto oneroso definire le zone generate da
ciascuna emissione, per cui si può considerare una emissione come rappresentativa
di altre emissioni se rappresenta il caso peggiore per portata, durata, caratteristiche
delle sostanze e della ventilazione.
Le sorgenti sono già classificate esaurientemente nella Norma CEI 31-30, ora ne
viene approfondita in dettaglio un nuovo tipo, da intendersi come emissione di grado
continuo: le “emissioni strutturali”. Queste sono generate ad esempio dalla eventuale
presenza di punti di discontinuità nelle condotte, per cui la superficie di emissione
potrebbe non essere puntiforme ma uniformemente distribuita sull’intera
discontinuità stessa. La portata di emissione di tali sorgenti è naturalmente molto
piccola, è quindi logico trascurarle quando sono poste all’aperto, così come è
ragionevole farlo se i componenti sono nuovi o hanno subito da poco un intervento
di manutenzione; altrimenti è bene considerarle, ed anzi classificarle come emissioni
di grado continuo perché in effetti ne rispondono alla definizione, ovvero sono
presenti durante il funzionamento normale. Questo se, a maggior ragione, tali
discontinuità sono in numero elevato. È da sottolineare che non sono emissioni
strutturali le tubazioni saldate a regola d’arte e i collegamenti a tenuta, mentre lo
sono le flange, tutti i tipi di valvole, le pompe, i compressori, giunzioni filettate,
sfiati, punti di drenaggio e prelievo campioni.
Nella Tabella 1 sono presentati dati statistici di emissioni strutturali per i diversi
componenti.
Tabella 1: Dati statistici di emissioni strutturali per i diversi componenti
COMPONENTI
EMISSIONI STRUTTURALI
(kg/s)
Connessioni (filettate o a flangia), accessori di
tubazioni
1,9 ⋅ 10-8
Valvole manuali e automatiche (escluse di
sicurezza e di rilascio all’atmosfera)
5,6 ⋅ 10-7
Sfiati, drenaggi, spurghi, intercettati da valvole
5,6 ⋅ 10-8
Sfiati di valvole di sicurezza chiuse, valvole di
rilascio in atmosfera chiuse, tenute di pompe e
compressori
1,5 ⋅ 10-6
In Tabella 2 sono invece indicate le perdite massime iniziali di tenuta esterna nei
luoghi di installazione di impianti termici alimentati a gas metano (ρ=0.66 kg/m3), in
relazione al Diametro Nominale (DN) dei dispositivi e in condizioni ambientali
standard (P = 101325 Pa, T = 20°C):
Tabella 2: Perdite massime iniziali di tenuta esterna nei luoghi di installazione di
impianti termici alimentati a gas metano
Dispositivi di
intercettazione,
regolazione e
sicurezza
Dispositivi
automatici di
intercettazione e/o
regolazione
PORTATA
(cm3/h)
PORTATA
(kg/s)
DN fino a 10 mm
60
1,1 ⋅ 10-8
DN da 10 a 80 mm
120
2,2 ⋅ 10-8
DN fino a 10 mm
20
3,7 ⋅ 10-9
DN da 10 a 25 mm
40
7,4 ⋅ 10-9
DN da 25 a 80 mm
60
1,1 ⋅ 10-8
DN da 80 a 150 mm
100
1,9 ⋅ 10-8
DN oltre 150 mm
150
2,8 ⋅ 10-8
In definitiva le portate di emissione, nel caso di emissioni strutturali, sono fornite
dalla statistica, se non direttamente dai produttori dei dispositivi.
Diverso è il caso di una generica emissione, per cui è possibile determinare
matematicamente tali valori di portata. La trattazione seguente è valida per portate di
gas in singola fase.
Dapprima è necessario valutare il tipo di flusso (turbolento/non turbolento) che si ha
nel sistema di contenimento (es.condotta):
Pa
 ≤ [2/(γ + 1)]
P
γ / (γ - 1)
dove:
Pa
P
γ
pressione atmosferica (Pa)
pressione interna al mezzo di contenimento nel punto di
emissione (Pa)
rapporto fra i calori specifici (per il gas metano γ = 1,31)
Se la disuguaglianza è verificata, allora il regime è turbolento, altrimenti è non
turbolento.
La portata di emissione Qg (in kg/s) è quindi data da:
Q g = ϕ ⋅ c ⋅ A ⋅ [ γ ⋅ ( 2 / (γ + 1) ) β ]
0,5
P
⋅ 
(R⋅T /M) 0 , 5
dove:
c
A
coefficiente di efflusso (c = 0,97 per valvole, c = 0,80 altrimenti)
sezione del foro di emissione (m2)
R
T
M
costante universale dei gas (R = 8314 J/kmol ⋅ K)
temperatura all’interno del mezzo di contenimento , vicino al foro (K)
massa molare (kg/kmol). Per il metano, vale M = 16,04 kg/kmol
β
ϕ
dato da (γ + 1) / (γ - 1). Per il metano, vale β = 7,45
rapporto critico del flusso.
Con ϕ = 1 per regime turbolento, altrimenti è da calcolare con la seguente formula:
ϕ = (P a / P) 1 / γ ⋅ [1-(P a /P) ( γ - 1 ) / γ ] 0 , 5 ⋅ [(2/(γ-1))⋅((γ+1)/2) β ] 0 , 5
Ora che sono note le portate in tutti i casi di nostro interesse, si applicano tali valori
per calcolare il volume ipotetico Vz (già visto nella Norma CEI 31-30), la
concentrazione Xm% e la distanza pericolosa dz.
VENTILAZIONE
Ritenendo, come al solito, già noto tutto ciò che riguarda la ventilazione contenuto
nella CEI 31-30 (grado, disponibilità, volume ipotetico, tempo di persistenza…),
viene ora introdotta una nuova grandezza, valida solamente per gli ambienti chiusi:
la concentrazione media di sostanza infiammabile Xm% nell’atmosfera del volume
totale dell’ambiente Va. Tale valore avrà un andamento esponenziale, dal momento
iniziale dell’emissione, ragion per cui vi saranno diversi metodi di calcolo, a
seconda del tipo di emissione:
a)
per emissioni di primo o secondo grado, si deve considerare il transitorio
iniziale, quindi si calcola:
Qg
X m % = X T e % =  ⋅ (1 - e
Qa ⋅ ρgas
– Ca ⋅ Te
) ⋅ 100
dove:
Qg
Qa
portata di emissione (kg/s)
portata di aria di ventilazione nell’intero ambiente (m3/s)
ρgas
Te
Ca
densità del gas a temperatura ambiente (kg/m3)
tempo di emissione (s)
numero di ricambi d’aria nell’unità di tempo (s); Ca = Qa/Va
b) per emissioni di grado continuo, il transitorio iniziale si può trascurare, quindi si
avrà:
Qg
X m % = X r % =  ⋅ 100
Qa ⋅ ρgas
c)
per emissioni contemporanee di grado continuo:
X m % = ∑X r
d) per emissioni di tutti i gradi:
X m % = ∑X r + ∑X T e
primo grado
+ XTe
secondo grado
Nella presente norma viene quindi specificato il significato del “fattore di efficacia”
della ventilazione f, che nella pratica deve essere valutato da personale tecnico
esperto: può riferirsi a tutto l’ambiente se la ventilazione è ovunque uniforme,
altrimenti ad ogni singola sorgente di emissione.
La seguente classificazione vale solo per ambienti chiusi:
f=1
libera circolazione dell’aria e assenza di impedimenti che possono ridurre
l’effettiva capacità di diluizione dell’atmosfera esplosiva nel volume
interessato dalle emissioni di sostanze infiammabili;
f=2
presenza di qualche impedimento alla libera circolazione dell’aria che
può ridurre in modo poco significativo l’effettiva capacità di diluizione
dell’atmosfera esplosiva;
f=3
presenza di un medio numero di impedimenti alla libera circolazione
dell’aria che possono ridurre in modo significativo l’effettiva capacità di
diluizione dell’atmosfera esplosiva;
f=4
presenza di un grande numero di impedimenti alla libera circolazione
dell’aria che possono ridurre molto la sua effettiva capacità di diluizione
dell’atmosfera esplosiva;
f=5
presenza di un grandissimo numero di impedimenti alla libera
circolazione dell’aria che possono ridurre molto la sua effettiva capacità
di diluizione dell’atmosfera esplosiva.
Noti i valori della concentrazione Xm% e del fattore f, il passo successivo è quello di
calcolare il limite inferiore di esplodibilità (LEL) per una miscela di n gas, comprese
quelle con inerti:
1
LEL m i x = 
∑ i (y i /LEL i )
in cui i LEL sono espressi in percentuale di volume e yi è la frazione molare del
componente i-esimo. Da questa può discendere che una miscela di n gas
infiammabili può risultare esplosiva anche se ognuno degli n gas è presente in
quantità minore del rispettivo limite inferiore di infiammabilità.
Infine, ora che sono stati introdotti Xm%, f, LELmix si descrive la seguente relazione:
k ⋅ LEL m i x
X m % ≤ 
f
(1 )
dove k è il fattore di sicurezza.
L’importanza di questa disuguaglianza deriva dal fatto che contribuisce a definire,
assieme al volume ipotetico Vz, il grado della ventilazione:
Se la concentrazione Xm% rispetta largamente la disuguaglianza e il volume Vz
è trascurabile, allora il grado di ventilazione è ALTO. In questo caso il tempo di
persistenza non influisce e l’entità dell’eventuale danno arrecato dall’innesco
dell’atmosfera esplosiva è anch’esso trascurabile.
Se la concentrazione Xm% non rispetta la disuguaglianza, allora tutto il locale è
classificabile come zona pericolosa e il grado di ventilazione è BASSO.
Se la concentrazione Xm% rispetta la disuguaglianza, ma non rientra nel primo
caso, il grado di ventilazione è MEDIO.
ZONE PERICOLOSE
Determinare le zone pericolose dovute alla formazione di un’atmosfera
potenzialmente esplosiva significa sostanzialmente definirne la forma e le
dimensioni, essendo noti un certo numero di dati e grandezze.
Per quanto riguarda la forma delle suddette zone, occorre dapprima conoscere la
sostanza con cui si ha a che fare: ciò significa conoscerne la massa molare, la massa
volumica, i limiti di esplodibilità, i calori specifici, la densità relativa all’aria, il
coefficiente di diffusione, etc…; quindi è bene conoscere in maniera approfondita le
caratteristiche del sistema di contenimento di tali sostanze, ovvero il tipo di
contenitore, i dispositivi di tenuta, la pressione di esercizio, le condizioni di
manutenzione, ecc… Infine devono essere note le modalità e le sorgenti di
emissione ed il tipo di ventilazione presente.
È anche possibile utilizzare la concentrazione media Xm% per verificare se, in un
ambiente chiuso, la zona pericolosa si deve estendere a tutto il volume (la relazione
(1) non è verificata) o solo a parte di esso (relazione (1) verificata).
Nota la forma della zona in cui vi è la formazione di un’atmosfera esplosiva, si deve
determinarne le dimensioni: uno strumento fondamentale in questo senso è il calcolo
della “distanza di sicurezza” dz, ovvero la distanza, a partire dalla sorgente di
emissione, oltre la quale la concentrazione di gas è inferiore al LEL.
Si deve però specificare che questa grandezza non vuole fornire una misura esatta
delle dimensioni della zona, che devono essere definite con valutazioni più
specifiche, bensì solamente un ordine di grandezza della reale estensione.
Per gli ambienti chiusi, dz si usa solamente quando si verifica la disuguaglianza (1)
perché, in caso contrario, la zona pericolosa si estende a tutto l’ambiente, come già
spiegato in precedenza.
Il valore numerico di dz è ottenibile da una delle due seguenti formule, da utilizzare a
seconda del tipo di emissione, come spiegato in seguito:
d z = (42300⋅Q g ⋅f/M⋅LEL%vol ⋅ w ) 0 , 5 5 ⋅ 1,2 ⋅ k z
(2)
Oppure:
-5 0,5
d z = 16,5 (P⋅10 )
⋅M
-0,4
100
⋅ ⋅A 0 , 5 ⋅1,5 ⋅ k z
LEL%vol
(3)
dove:
Qg
f
M
LEL%vol
w
P
A
kz
portata di emissione (kg/s)
fattore di efficacia della ventilazione
massa molare (kg/kmol)
limite inferiore di esplodibilità, in percentuale di volume
velocità dell’aria (m/s)
pressione all’interno del sistema di contenimento (Pa)
sezione del foro di emissione (m2)
coefficiente per ambienti chiusi, calcolabile tramite la seguente
formula (se dal calcolo risulta kz < 1, si deve assumere kz = 1):
76 ⋅ X m %
k z = 0,9 ⋅ exp ()
M ⋅ LEL%vol
La relazione (2) è adatta a tutti i tipi di emissioni strutturali , ma anche emissioni di
gas con densità relativa all’aria compresa fra 0,5 e 2, a temperatura ambiente, portata
inferiore a 1 kg/s e velocità di emissione inferiore a 10 m/s. In questo caso, ovvero
con velocità di emissione bassa o trascurabile, la forma della zona pericolosa
dipenderà essenzialmente dalla direzione della ventilazione e dalla densità del gas.
Se, al contrario, la velocità di emissione supera il limite dei 10 m/s, allora si utilizza
la relazione (3): la forma della zona dipenderà quindi soprattutto da questo fattore;
inoltre, se è nota la direzione di emissione, la distanza dz definisce l’estensione in
questa direzione, mentre nelle altre direzioni si possono assumere distanze inferiori.
Se la direzione non è nota, invece, si deve supporre che possa avvenire in tutte le
direzioni, quindi con una sorgente puntiforme la zona pericolosa avrà forma sferica.
Dopo avere stabilito i tipi di zona esistenti, in relazione al grado di emissione, grado
e disponibilità di ventilazione, per verificarne a posteriori la correttezza si può fare
riferimento ad un metodo basato su dati statistici riguardanti il tempo (in ore) in cui
vi è la presenza di una atmosfera esplosiva in un dato ambiente nell’arco di un anno;
a zone pericolose corrisponderanno periodi e probabilità maggiori. (Tabella 3)
Tabella 3: Riferimenti statistici per l’individuazione della probabilità e della durata
di un atmosfera esplosiva in un anno
ZONA
Probabilità di atmosfera
esplosiva in un anno
Durata complessiva di
atmosfera esplosiva in un anno
Zona 0
P > 10-1
Oltre 1000 h
Zona 1
10-1 ≥ P > 10-3
Tra 10 h e 1000 h
Zona 2
10-3 ≥ P > 10-5
Tra 0,1 h e 10 h
APPLICAZIONE DELLA NORMA CEI 31-30: MAPPATURA DELLE ZONE
A RISCHIO DI ESPLOSIONE
L’utilizzo del gas metano all’interno di un impianto comporta inevitabilmente un
certo pericolo dovuto dalle caratteristiche di infiammabilità ed esplosività del gas
stesso.
Si vuole a questo punto effettuare una classificazione delle zone pericolose
internamente ad uno dei locali dell’impianto in cui sono alloggiati i motori
cogenerativi, ed anche esternamente, nelle immediate vicinanze dello stesso locale;
nel fare ciò, si utilizzeranno principalmente le indicazioni fornite dalla norma CEI
EN 60079-10 (Norma CEI 31-30) e dalle sue linee guida (Norma CEI 31-35).
Come spiegato in precedenza, si tratta di calcolare tutta una serie di grandezze
(volume ipotetico, tempo di persistenza…) che, studiate nell’insieme, andranno a
definire il tipo, la forma e le dimensioni delle zone pericolose.
I dati di input necessari per studiare il problema sono essenzialmente di due tipi:
1) Devono essere note tutte le principali caratteristiche chimico-fisiche della
sostanza pericolosa in oggetto, ovvero il gas metano.
Composizione chimica
Massa molare
Limite inferiore di esplodibilità (LEL)
Limite superiore di esplodibilità (UEL)
Densità relativa all’aria
CH4
16,04 kg / kmol
4,4%
17%
0,554
Densità in condizioni standard
ρ = 0,6674 kg / m3
Rapporto fra i calori specifici
Temperatura di accensione
γ = Cp / Cv = 1,31
537°C
La densità in condizioni standard si ottiene moltiplicando la densità relativa
all’aria per la massa volumica dell’aria nelle condizioni standard (T = 20°C,
pa = 101325 Pa, Altitudine s.l.m.= 0 m):
ρ = 0,554 ⋅ 1,2047 = 0,6674 kg/m 3
2)
Occorre conoscere la geometria e il volume del locale, il tipo e la portata di
ventilazione, individuare le possibili sorgenti di emissione del gas con le
relative portate e tempi di emissione, le condizioni ambientali e le
caratteristiche del gas in condotta.
Per quel che riguarda quest’ultimo gruppo di dati, nell’effettuazione della mappatura
delle zone pericolose la maggior parte di questi dati non sono disponibili. Per
sopperire a ciò, anche in questo caso sono state fatte delle ipotesi che possano essere
plausibili in un tale contesto.
SORGENTI DI EMISSIONE
Il primo passo per effettuare una classificazione delle aree pericolose è individuare
tutte le possibili sorgenti di emissione del gas.
Si è assunta come ipotesi semplificativa, ma del tutto plausibile, che tutte le
giunzioni dei tubi e dei raccordi avvengano tramite saldatura, escludendo quindi
collegamenti meccanici di qualunque tipo (filettature, flange…): la norma CEI 3130, infatti, esclude che una giunzione saldata a regola d’arte possa costituire una
sorgente di emissione.
Alla luce di questo, non saranno presenti sorgenti di emissione (e quindi zone
pericolose) lungo la linea di adduzione del gas all’utenza.
Prendiamo quindi in considerazione la rampa di accesso del gas chiamata altrimenti
“linea gas”, ovvero l’insieme di tutti i dispositivi di comando e di sicurezza, posti
nelle immediate vicinanze del motore cogenerativo, attraverso i quali il gas viene
convogliato prima di giungere alle bocche di aspirazione e quindi nei cilindri.
La linea gas è formata normalmente da:
una valvola di arresto manuale a chiusura rapida, posta a monte di tutti i
dispositivi, per poter interrompere l’alimentazione del gas, azionabile tramite
una rotazione di 90° di una leva;
un filtro che elimini la presenza di impurità;
un regolatore di pressione del gas, per assicurare che la pressione di
alimentazione al motore rimanga pressoché costante;
un dispositivo di sorveglianza della pressione del gas, cioè che determini un
arresto di sicurezza quando la pressione scende al di sotto di un valore minimo;
un dispositivo di regolazione della portata;
almeno due valvole automatiche di arresto (elettrovalvole) poste in serie l’una
all’altra.
Consideriamo inoltre la presenza di due ulteriori valvole (una manuale ed una
automatica) poste all’esterno, in corrispondenza dell’ingresso della condotta di
alimentazione all’interno del locale. Queste si rendono necessarie per intercettare il
flusso del gas alla condotta interna all’impianto, in caso di necessità.
Come indica la norma, sono da considerarsi come sorgenti di emissione tutti i tipi di
valvole (automatiche o manuali) presenti.
Si deve assumere poi che ogni valvola abbia due diversi gradi di emissione:
1.
Emissioni di grado continuo, ovvero che avvengono durante il normale
funzionamento dell’impianto, dovute alle cosiddette “emissioni strutturali”:
queste sono caratterizzate da portate di gas, solitamente piccole, fuoriuscenti
dagli steli delle valvole stesse.
2.
Emissioni di secondo grado, causate da un guasto della valvola, evento
comunque da considerare come poco frequente e non previsto durante il
funzionamento normale.
Una volta individuate tutte le possibili sorgenti, occorre determinarne le relative
portate di emissione, indicate nel seguito con Qg.
Per quanto riguarda le emissioni strutturali, tali valori sono generalmente di difficile
valutazione, perché possono dipendere da un elevato numero di variabili, quali la
manutenzione, le condizioni di esercizio e l’età dei componenti; la norma CEI 31-35
fornisce valori di portate basate su dati statistici, per ogni sorgente di emissioni
strutturali: le valvole di sicurezza comportano una emissione stimata di:
Q g = 1,5 ⋅ 10 - 6 kg/s
equivalente a una portata in volume:
Q g = 1,5 ⋅ 10 - 6 ⋅ 3600/0,6674 = 0,0081 m 3 /h
Più complesso è il calcolo della portata di emissione relativamente ai guasti delle
valvole stesse.
Occorre dapprima stabilire il regime di flusso con cui il gas fuoriesce dal sistema di
contenimento, tramite la relazione:
Pa
 ≤ [2 / (γ + 1)]
P
γ / (γ - 1)
Come già specificato, γ è il rapporto fra i calori specifici del metano, che risulta γ =
1,31. Pa è la pressione atmosferica, si assume Pa ≅ 1 bar. P rappresenta la pressione
assoluta all’interno del sistema di contenimento nel punto di emissione; per
semplicità e a titolo cautelativo tale valore viene considerato a meno delle perdite di
carico, che comunque non sono elevate. Inoltre per le valvole di sicurezza tale valore
deve essere aumentato del 10%:
P = 1,2 bar + 10% = 1,32 bar = 132000 Pa
Inserendo nella disuguaglianza i suddetti valori, si ottiene:
0,757 ≤ 0,544
La relazione non viene quindi verificata, il che permette di affermare che il flusso
del gas in uscita è in regime di moto non turbolento o subsonico.
Nota questa informazione, si può calcolare il valore del rapporto critico del flusso ϕ
tramite la seguente formula, valida solo per regime di moto subsonico:
ϕ = (P a /P) 1 / γ ⋅ [1 - (P a /P)
(γ-1)/γ
] 0 , 5 ⋅ [(2/(γ-1)) ⋅ ((γ+1)/2) β ] 0 , 5
In essa l’unica grandezza incognita è:
β = (γ + 1)/(γ - 1) = 2,31/0,31 = 7,45
Il calcolo risulta:
ϕ ≅ 0,88
In generale, per un gas in singola fase che fuoriesce da un sistema di contenimento,
vale la seguente espressione:
β
Q g = ϕ ⋅ c ⋅ A ⋅ [γ ⋅ ( 2/(γ + 1) ) ]
0,5
P
⋅ 
(R ⋅ T/M ) 0 , 5
Per valvole di sicurezza dotate di guarnizione fra sede e otturatore, la Norma CEI
31-35 stabilisce che la superficie del foro di emissione sia:
A = 0,25 mm 2 = 2,5 ⋅ 10 - 7 m 2
Si definisce poi il coefficiente di efflusso che, per valvole di sicurezza, vale c = 0,97.
Inoltre si hanno:
R = 8314 J / kmol ⋅ K
costante universale dei gas
M = 16,04 kg / kmol
massa molare del metano
T = 250 °C = 523°K
temperatura in prossimità del foro
Sostituendo nella formula tutte queste grandezze, si ottiene:
Q g ≅ 3,6 ⋅ 10 - 5 kg/s
Questo valore rappresenta, come detto, la portata di emissione di gas dovuta al
guasto di una valvola: conoscerlo rappresenta il punto di partenza fondamentale per
lo studio del problema e la mappatura delle zone, infatti si utilizza nel calcolo del
volume ipotetico Vz, della concentrazione media di sostanza infiammabile Xm% e
della distanza pericolosa dz.
VENTILAZIONE
Una buona e corretta ventilazione, sia essa naturale o forzata, è fondamentale per
garantire un elevato livello di sicurezza, a maggior ragione in un ambiente, come
quello oggetto di studio, nel quale sono presenti potenziali emissioni di gas
infiammabile.
Nel locale è nota la presenza di due ventilatori di estrazione (di portata ancora da
determinare) che garantiscono una ventilazione forzata, inoltre è presente una
apertura di aerazione nell’unica parete esterna, avente una superficie di 7,2 m2.
Siccome la superficie in pianta del locale è di 116,93 m2, si può calcolare il rapporto
fra le due grandezze, che risulta:
7,2 m 2
1
 ≅ 0.062 ≅ 
116,93 m 2
16
Tale valore è da considerarsi abbastanza elevato, ovvero la superficie di aerazione è
dimensionata in sicurezza rispetto all’estensione del locale: come risulta dal
progetto, infatti, il suddetto rapporto deve risultare non inferiore a 1/40, il che
corrisponde ad una apertura di circa 2,92 m2.
È da notare poi che la finestratura è posta in corrispondenza del punto più elevato
della parete, per il fatto che il metano è un gas leggero, avente cioè una densità
relativa all’aria minore di uno.
Occorre quindi individuare il livello di disponibilità della ventilazione (buona,
adeguata o scarsa): noi supporremo la presenza di un ulteriore ventilatore di
estrazione normalmente non in funzione, ma pronto ad esserlo nel caso di guasto di
uno dei due principali. Inoltre si ipotizza che l’intero sistema di ventilazione forzata
sia presente con continuità, in modo da avere una disponibilità buona.
Al fine di determinare la portata di aria fresca totale da immettere nel locale, si è
dapprima calcolata la portata di aria stechiometrica necessaria alla combustione
all’interno del motore, quindi si è scelto un numero di ricambi orari di aria che sia
superiore a tale portata.
La reazione di combustione del metano è la seguente:
CH 4 + 2O 2 → CO 2 + 2H 2 O
Siccome è nota la portata in volume di metano richiesta dal motore:
P v , C H 4 = 566 m 3 /h
si calcolerà la quantità stechiometrica di ossigeno necessaria ogni ora, quindi la
portata di aria, nota la composizione dell’aria stessa.
La portata in massa si ottiene moltiplicando per la densità:
P m , C H 4 = (566 m 3 /h) ⋅ (0,6674 kg/m 3 ) ≅ 377,7 kg/h
La massa molare corrisponde a:
M C H 4 = 16,04 g/mol = 0,01604 kg/mol
Il numero di moli di metano necessario ogni ora risulta allora:
(377,7 kg/h)/(0,01604 kg/mol) ≅ 23547 mol/h
Come si deduce dalla reazione precedente, questa quantità di metano si dovrà
combinare con un ugual numero di moli di 2 O2, la cui massa molare è:
M 2 O 2 = 15,9994 ⋅ 4 = 63,9976 g/mol = 0,0639976 kg/mol
Moltiplicando questo valore per 23547 mol/h, si ottiene la portata in massa di
ossigeno:
P m , 2 O 2 = 1506,95 kg/h
Considerando che l’aria contiene circa il 21% di ossigeno, una semplice proporzione
fornisce la portata in massa di aria:
21 : 100 = 1506,95 : P m , a r i a
P m , a r i a = 1506,95 ⋅ 100/21 = 7175,95 kg/h
Per avere la portata in volume occorre dividere per la densita (ρaria = 1,2047 kg / m3
se T = 20 °C e altitudine s.l.m. = 0 m):
P v , a r i a = (7175,95 kg/h)/(1,2047 kg/m 3 ) ≅ 5956 m 3 /h
La portata di aria fresca garantita dal sistema di ventilazione dovrà essere quindi
superiore a tale valore.
Siccome sono noti superficie in pianta e altezza del locale, è immediato ricavarne il
volume:
V o = 116,93 m 2 ⋅ 7,5 m ≅ 877 m 3
Si può allora supporre un ricambio di aria fresca pari a:
C = 10 ricambi/h = 2,778 ⋅ 10 - 3 ricambi/s
Essendo noto dalla Norma CEI 31-30 che:
C = P v , t o t /V o
dove Pv,tot è la portata totale di aria fresca immessa dal sistema di ventilazione
forzata, si ricava:
P v , t o t = C ⋅ V o = (10/h) ⋅ (877 m 3 )= 8770 m 3 /h
Come si voleva, tale valore risulta maggiore della portata di aria necessaria per la
combustione, quindi il numero di ricambi di aria orari ipotizzato (C=10/h) si può
ritenere plausibile.
Il grado della ventilazione (alto, medio, basso) si definirà poi nel seguito, una volta
che saranno stati calcolati il volume ipotetico Vz e la concentrazione media di
sostanza infiammabile Xm%.
Tutto quanto esposto finora sulla ventilazione è da ritenersi valido all’interno del
locale contenente il motore cogenerativo. Siccome sono considerate, come si è detto,
anche sorgenti di emissione poste all’esterno di tale ambiente, se ne studierà la
ventilazione separatamente. Infatti le condizioni ambientali in un luogo all’aperto
risultano ovviamente molto differenti.
La Norma CEI 31-30 specifica che velocità del vento anche molto basse
determinano un numero elevato di ricambi d’aria. Ad esempio, considerando un
ipotetico cubo all’aperto avente dimensioni di pochi metri e una velocita del vento
pari a v = 0,5 m/s, si ha:
C = 100 ricambi/h = 0,03 ricambi/s
Utilizzando nei calcoli questo dato o comunque valori minori, si propenderà sempre
per la sicurezza, in quanto la dispersione dei gas è normalmente più rapida in un
luogo all’aperto.
Si definisce infine il fattore di efficacia della ventilazione f; noi considereremo f = 1
(assenza di ostacoli o impedimenti) per l’ambiente aperto, invece f = 2 internamente
al locale (presenza di qualche impedimento alla libera circolazione dell’aria).
STUDIO DELLE EMISSIONI STRUTTURALI
Pur comportando piccole portate, le emissioni strutturali sono da considerarsi perché
anch’esse possono determinare zone pericolose.
Si studiano innanzi tutto le emissioni delle valvole poste all’interno del locale:
dapprima viene calcolato il volume ipotetico Vz che rappresenta il volume oltre il
quale la concentrazione del gas metano è 0,25 volte il limite inferiore di esplodibilità
(LEL).
Si considera:
Qg = 1,5 ⋅ 10-6 kg/s
T = 20 °C = 293,15°K
k = 0,25
portata di emissione
temperatura ambiente
fattore di sicurezza (emissioni continue)
LELCH4 = 4,4% = 0,416 ⋅ 10-3 ⋅ 16,04 ⋅ 4,4 = 0,029 kg/m3
La portata minima volumetrica di aria fresca risulta:
(dV/dT) m i n
Qg
T
1,5⋅10 - 6 ⋅293,15
=  ⋅  =  = 2,07⋅10 – 4 m 3 /s
k⋅LEL 293 0,25⋅0,029⋅293
Essendo già noti:
f=2
fattore di efficacia della ventilazione
C = 2,778 ⋅ 10-3/s
ricambi di aria fresca per unità di tempo
Si calcola il volume ipotetico:
f ⋅ (dV/dt) m i n
2⋅2,07⋅10 – 4
V z =  =  = 0,15 m 3 = 150 dm 3
C
2,778⋅10 - 3
Il tempo di persistenza, invece, non è da calcolarsi per le emissioni di grado
continuo perché non avrebbe alcun senso, visto come è definito (infatti è il tempo
necessario per fare scendere la concentrazione di gas fino a k volte il LEL, dopo
l’arresto dell’emissione).
Il passo successivo è il calcolo della concentrazione media Xm% di gas metano
nell’ambiente, dovuta all’emissione strutturale di una singola valvola.
Sono noti:
ρgas = 0,6674 kg/m3
3
densità gas metano
3
Pv,tot = 8770 m /h = 2,4361 m /s
portata di ventilazione
Allora:
Qg
1,5 ⋅ 10 - 6
X m % =  ⋅100 =  ⋅100 = 9,226⋅10 - 5 %
P v , t o t ⋅ρ g a s
2,4361⋅0,6674
Si ricava infine la distanza pericolosa dz, cioè la distanza al di là della quale la
concentrazione di gas è inferiore al LEL; tale valore non si deve però leggere in
modo acritico, infatti si deve interpretare come l’ordine di grandezza delle
dimensioni della zona pericolosa e non come valore esatto. Inoltre, se non è nota la
direzione di emissione, tale distanza deve essere assunta per definire l’estensione in
tutte le direzioni.
Per gli ambienti chiusi, gas con densità relativa all’aria compresa tra 0,5 e 2, portata
di emissione inferiore a 1 kg/s e velocità di emissione inferiore a 10 m/s (il flusso è
non turbolento), vale la relazione:
d z = (42300 ⋅ Q g ⋅ f/M ⋅ LEL%vol ⋅ w ) 0 , 5 5 ⋅ 1,2 ⋅ k z
In cui w è la velocità dell’aria (si è ipotizzato w = 0,5 m/s) e kz è un coefficiente dato
da:
76⋅X m %
76⋅9,226⋅10 - 5
k z = 0,9⋅exp() = 0.9⋅exp() ≅ 0,9
M⋅LEL%vol
16,04⋅4,4
La Norma CEI 31-35 specifica che se dal calcolo risulta kz < 1, allora nel calcolo
della distanza pericolosa si considera kz = 1.
Essendo note tutte le altre grandezze, si calcola:
d z = (42300⋅1,5⋅10 - 6 ⋅2/16,04⋅4,4⋅0.5) 0 , 5 5 ⋅1,2⋅1 ≅ 0,054 m
A parte è poi da studiare il caso di emissioni strutturali provenienti da una valvola
posta all’esterno. Come è ovvio le condizioni di ventilazione risultano differenti.
Il volume ipotetico è ora dato da:
f⋅(dV/dt) m i n
1⋅2,07⋅10 – 4
V z =  =  = 0,0069 m 3 = 6,9 dm 3
0,03
0,03
Il denominatore C=0,03/s rappresenta il ricambio di aria per unità di tempo,
supponendo una velocità del vento molto bassa (w = 0,5 m/s).
Siccome per gli ambienti all’aperto non si calcola la concentrazione media Xm%, si
ricava subito la distanza pericolosa dz :
d z = (42300 ⋅ Q g ⋅ f/M ⋅ LEL%vol ⋅ w ) 0 , 5 5 ⋅ 1,2
Sostituendo si ottiene:
d z ≅ 0,037 m
Non deve risultare strano che, per la stessa emissione, la distanza pericolosa risulti
all’aperto non molto inferiore rispetto all’interno del locale. Come già detto, infatti,
nel caso di emissione in luogo aperto si è adottata un’ipotesi molto conservativa
(velocità del vento quasi trascurabile) che permette di operare in sicurezza.
Inoltre è giusto soffermarsi sul motivo per il quale la distanza pericolosa dz e il
volume ipotetico Vz possono assumere valori che, se correttamente raffrontati (si
vedano le differenti unità di misura), hanno qualche ordine di grandezza di
differenza. Infatti, se per ognuno dei casi in esame costruissimo una sfera di raggio
dz, si noterebbe che il suo volume è decisamente più piccolo del volume ipotetico. A
prima vista potrebbe sembrare una discrepanza notevole, invece non lo è, ed è giusto
che sia così, perché Vz si definisce come quel “volume al di là del quale la
concentrazione media del gas è 0,25 o 0,5 volte il LEL”. Ciò significa che al limite
del volume Vz la concentrazione è significativamente inferiore al LEL, e quindi la
zona effettivamente pericolosa è decisamente più piccola di Vz, come risulta dal
confronto con dz.
Segue un esempio numerico nel caso di emissione strutturale all’interno del locale:
d z ≅ 0,054 m = 0,54 dm
La sfera avente raggio dz ha un volume di:
V = 4 ⋅ π ⋅ d z 3 /3 ≅ 0,66 dm 3
Tale valore è, infatti, notevolmente minore del volume ipotetico:
V z = 150 dm 3
STUDIO DELLE EMISSIONI DI SECONDO GRADO
Ogni valvola possiede un certa probabilità di guasto, che, per quanto piccola sia, non
si può ritenere trascurabile, come suggerisce la norma CEI 31-35. Un tale evento
genera allora una emissione classificabile di secondo grado, ovvero che non avviene
durante il funzionamento normale dell’impianto e, se avviene, solo per brevi periodi
e poco frequentemente.
È bene specificare che in questa sede si considera guasto la rottura dello stelo della
valvola.
In maniera analoga al paragrafo precedente, in primo luogo si analizza l’emissione
all’interno del locale in cui è alloggiato il motore cogenerativo, quindi si studia la
stessa emissione nell’ambiente all’aperto, considerando le diverse condizioni di
ventilazione.
Per calcolare il volume ipotetico Vz, si ricava in primo luogo la portata volumetrica
minima di aria fresca (dV/dT)min, essendo noti:
Qg = 3,6 ⋅ 10-5 kg/s
portata di emissione
T = 20 °C ≅ 293°K
LEL = 4,4% = 0,029 kg/m3
k = 0,5
temperatura ambiente
limite inferiore di esplodibilità
fattore di sicurezza per emissioni di secondo grado
(dV/dT) m i n
Qg
T
3,6⋅10 - 5 ⋅293
=  ⋅  =  = 2,48⋅10 – 3 m 3 /s
k⋅LEL 293 0,5⋅0,029⋅293
Inoltre con:
f =2
C = 2,778 ⋅ 10–3/s
fattore di efficacia della ventilazione
ricambi di aria fresca per unità di tempo
Si può ora calcolare il volume ipotetico:
f⋅(dV/dt) m i n 2⋅2,48⋅10 - 3
V z =  =  ≅ 1,78 m 3 = 1780 dm 3
C
2,778⋅10 - 3
A differenza delle emissioni strutturali, è corretto ora calcolare il tempo di
persistenza t, cioè il tempo necessario affinchè la concentrazione di gas metano
scenda dal valore iniziale Xo a un valore che sia k volte (k < 1) il LEL, dopo
l’arresto dell’emissione.
Nella seguente formula il tempo t è espresso in secondi se C = [s-1]:
-f
LEL ⋅ k
t =  ⋅ ln 
C
Xo
Tutte le grandezze sono già state definite, tranne la concentrazione iniziale Xo, che si
può ritenere pari al 100% nelle immediate vicinanze della sorgente di emissione,
come riportato nella Norma CEI 31-30 (esempi in Appendice B).
Risulta allora:
-2
4,4 ⋅ 0,5
t =  ⋅ ln  ≅ 2748 s ≅ 0,76 h
2,778 ⋅ 10 - 3
100
Si passa poi a calcolare la concentrazione media Xm% dovuta all’emissione da
guasto di una valvola:
Qg
X m % =  ⋅ (1 - e
Pv,tot ⋅ ρgas
– C ⋅ Te
) ⋅ 100
Questa formula, rispetto al caso di emissione continua, tiene conto dell’andamento
esponenziale della concentrazione media, e anche del tempo di emissione medio Te;
si stima che questo possa essere pari a 5 minuti (o 300 secondi).
Essendo poi:
ρgas = 0,6674 kg / m3
Pv,tot = 8770 m3 / h = 2,4361 m3/s
densità gas metano
portata di ventilazione
Si ricava:
3,6⋅10 - 5
X m % =  ⋅(1-e
2,4361⋅0,6674
– 2,778⋅10–3⋅300
)⋅100 = 1,25⋅10 - 3 %
Si calcola poi la distanza pericolosa dz:
d z = (42300 ⋅ Q g ⋅ f/M ⋅ LEL%vol ⋅ w) 0 , 5 5 ⋅ 1,2 ⋅ k z
In cui:
76⋅X m %
76⋅1,08⋅10 - 3
k z = 0,9⋅exp() = 0.9⋅exp() ≅ 0,9
M⋅LEL%vol
16,04⋅4,4
Bisogna quindi porre kz = 1, inoltre si considera w = 0,5 m/s.
Risulta allora:
d z = (42300⋅3,6⋅10 - 5 ⋅2/16,04⋅4,4⋅0,5 ) 0 , 5 5 ⋅ 1,2⋅1 ≅ 0,31 m
Si studia infine l’emissione di secondo grado in ambiente aperto.
Il volume ipotetico sarà:
f⋅(dV/dt) m i n
1⋅2,48⋅10 - 3
V z =  =  = 0,0827 m 3 = 82,7 dm 3
0,03
0,03
Il tempo di persistenza sarà:
-f
LEL⋅k
-1
4,4⋅0,5
t =  ⋅ ln  =  ⋅ ln  ≅ 1374 s = 0,38 h
C
Xo
2,778⋅10 - 3
100
La distanza pericolosa sarà:
d z = (42300⋅3,6⋅10 - 5 /16,04⋅4,4⋅0,5 ) 0 , 5 5 ⋅ 1,2 ≅ 0,213 m
DEFINIZIONE DELLE ZONE PERICOLOSE
Una volta note tutte le grandezze caratteristiche sia delle emissioni strutturali che
delle emissioni dovute a guasti, il passo successivo consiste nell’analizzare in
maniera critica tutti i dati ottenuti, in modo tale da estrapolare da essi il tipo, la
forma e la dimensione delle zone pericolose a rischio di esplosione.
Per fare ciò è utile seguire l’approccio schematico alla classificazione delle zone
pericolose che descrive l’influenza della ventilazione nella definizione del tipo di
zona, per ogni grado di emissione.
Come noto esiste una relazione biunivoca tra il tipo di zona pericolosa ed il grado di
emissione che la genera; senza tener conto degli effetti dovuti alla ventilazione,
avremo:
emissioni strutturali ⇔ zona 0
emissioni dovute a guasti ⇔ zona 2
Stabilito ciò, il procedimento per ambienti chiusi è il seguente:
1.
Si verifica che le zone pericolose si estendano a solo una parte del locale.
2.
Si stabilisce il grado di ventilazione.
3.
Si definisce il tipo e l’estensione delle zone pericolose per ogni emissione
presente.
La Norma CEI 31-35 definisce la seguente disuguaglianza:
k ⋅ LEL m i x
X m % ≤ 
f
(1)
Una volta inserite tutte le grandezze, se risulta soddisfatta allora la zona pericolosa si
estende solo per una porzione del volume del locale; al contrario, se non risulta
soddisfatta, l’intero locale è da ritenersi zona a rischio di esplosione.
LELmix rappresenta il limite inferiore di esplodibilità nel caso di una miscela di gas
(esclusa l’aria): in questo caso, essendo presente il solo gas metano e non una
miscela, si pone:
LEL m i x = LEL C H 4 = 4,4%
Per quanto riguarda la concentrazione media di sostanza infiammabile Xm%, questa
è stata calcolata in precedenza per ogni tipo di emissione e per ogni singola valvola:
Xm% = 9,226 ⋅ 10-5 % ← emissione strutturale di una valvola
Xm% = 1,08 ⋅ 10-3 % ← emissione dovuta al guasto di una valvola
Si è ipotizzata la presenza di tre valvole all’interno del locale, e siccome interessa
valutare la contemporaneità delle emissioni, il valore della concentrazione media
dovuto a tutte le emissioni strutturali sarà:
X m , s t r u t % = (9,226 ⋅ 10 - 5 ) ⋅ 3 = 2,77 ⋅ 10 - 4 %
Le emissioni di secondo grado, invece, non si possono considerare contemporanee,
ed anzi sarebbe un errore farlo, perché si suppone altamente improbabile che due
guasti avvengano nello stesso istante.
Quindi la concentrazione media totale sarà data dalla somma della concentrazione
dovuta a tutte le emissioni strutturali più la concentrazione dovuta al guasto di una
singola valvola:
X m , t o t % = 2,77 ⋅ 10 - 4 + 1,08 ⋅ 10 - 3 = 1,357 ⋅ 10 - 3 %
Ponendo poi f = 2 e k = 0,25, la disuguaglianza risulta allora:
1,357 ⋅ 10 - 3 ≤ 0,55
Tale condizione è quindi largamente soddisfatta, così come doveva essere, altrimenti
tutto il volume del locale sarebbe stato da classificare come zona pericolosa: in
questo caso, invece, le dimensioni delle zone saranno fornite dai valori della
distanza pericolosa dz.
Una volta effettuata questa verifica, si deve definire il grado di ventilazione relativo
ad ogni grado di emissione; come suggeriscono le due norme in parola, questo
avviene alla luce dei valori del volume ipotetico Vz e della concentrazione media di
metano Xm%.
Per le emissioni strutturali si ha:
X m % = X m , s t r u t % = 2,77 ⋅ 10 - 4 %
V z = 0,15 m 3
Il volume ipotetico è piccolo, anche se non proprio trascurabile, e la concentrazione
media rispetta largamente la disuguaglianza (1), quindi il grado di ventilazione si
può ritenere alto.
Per le emissioni di secondo grado dovute a guasto invece si ha:
X m % = X m , t o t % = 1,357 ⋅ 10 - 3 %
V z = 1,78 m 3
Il volume ipotetico è non trascurabile in relazione all’emissione e la condizione (1) è
rispettata largamente, quindi in questo caso il grado di ventilazione si può valutare
come medio.
Ultimo passo è infine la definizione delle zone pericolose per ogni sorgente di
emissione, note le condizioni di ventilazione.
Per quanto riguarda le emissioni strutturali, si può desumere l’esistenza di una zona
pericolosa di tipo 0 nelle immediata vicinanze di ogni valvola: come suggerisce la
Norma CEI 31-35, poiché non è nota a priori l’esistenza di una direzione
preferenziale di emissione, la forma di tale zona è da considerarsi sferica con la
sorgente di emissione puntiforme posta nel centro della sfera.
Per il dimensionamento della sfera, e quindi per definire l’estensione della zona, si
fa riferimento al valore della distanza pericolosa calcolato in precedenza:
d z ≅ 0,054 m
E’ giusto poi osservare che tale valore non deve essere inteso come una distanza
esatta al di là della quale la zona non è più pericolosa, bensì fornisce semplicemente
l’ordine di grandezza dell’estensione dell’area a rischio.
In conclusione le zone di tipo 0 nell’intorno di ogni valvola sono piccole e
praticamente trascurabili, come d’altronde è giusto che sia per delle emissioni
strutturali (le portate, come è noto, sono molto basse).
Riguardo poi le emissioni di secondo grado dovute a guasti, si può dedurre che sia
presente una zona di tipo 2, anch’essa estesa in forma sferica nell’intorno di ogni
valvola perché anche in questo caso non è presente una direzione preferenziale di
emissione.
A differenza delle emissioni continue, si ha ora a disposizione uno strumento in più
per valutare se è corretto ipotizzare una zona 2: tramite il tempo di persistenza t,
infatti, è possibile stimare il grado di ventilazione necessario affinchè un luogo
soddisfi la definizione di zona 2.
Siccome risulta:
t ≅ 2748 s ≅ 0,76 h
ovvero, un intervallo di tempo molto piccolo rispetto a che si verifichi un evento di
guasto; allora si può dire che la definizione di zona 2 è rispettata e quindi una tale
classificazione è corretta.
Come prima, l’ordine di grandezza del raggio della sfera è dato dalla distanza
pericolosa:
d z ≅ 0,31 m
Quindi, effettuando una valutazione conservativa, ovvero dalla parte della sicurezza,
possiamo considerare la zona 2 nell’intorno di ogni valvola estesa fino a 50 cm in
ogni direzione dalla valvola stessa.
Un volume di queste dimensioni, cioè non molto elevato, risulta poi in accordo al
grado di ventilazione (medio) e alla disponibilità di ventilazione (buona) presenti.
Sono infine da valutare le zone pericolose dovute alle emissioni delle due valvole
poste all’esterno del locale. Dai calcoli precedenti si è ottenuto:
dz ≅ 0,037 m ⇒ emissioni strutturali
dz ≅ 0,213 m ⇒ emissioni dovute a guasto
Analogamente al caso precedente, si può considerare trascurabile la zona pericolosa
generata dalle emissioni strutturali, invece si avrà una zona 2 sferica con un raggio
stimato di 25 cm causata da emissioni dovute a guasti.
DOCUMENTO SULLA PROTEZIONE CONTRO LE ESPLOSIONI
Ai sensi dell’articolo 88-novies D.Lgs.233/03 (Titolo VIII bis D.Lgs.626/94) il
datore di lavoro ha l’obbligo di redigere un “Documento sulla protezione contro le
esplosioni”, parte integrante di un più ampio documento di valutazione dei rischi,
redatto ai sensi dell’art. 4 comma 2 D.Lgs.626/94.
I luoghi di lavoro che comprendono aree in cui possono formarsi atmosfere
esplosive già impiegati prima del 30 giugno 2003 devono soddisfare le prescrizioni
minime stabilite dal D.Lgs.233/03, entro il 30 giugno 2006.
Nell’ambito del caso studiato si vuole quindi sviluppare una procedura
standardizzata per lo studio del problema che tratta appunto di un locale al cui
interno è alloggiato un motore endotermico alternativo alimentato a gas metano e
con questa soddisfare i dettati dell’art.88-novies D.Lgs.233/03.
ZONE PERICOLOSE
Come noto, affinchè abbia luogo un esplosione, devono essere presenti, sotto certe
condizioni, un combustibile, un comburente e una fonte di accensione.
Precedentemente è già stata effettuata, in maniera estesa, l’individuazione delle
sorgenti di emissione di gas e la definizione di tipo, forma e dimensione delle zone
pericolose in relazione al pericolo di esplosione; in Tabella 4 vengono riportati solo i
risultati ottenuti per le emissioni all’interno del locale.
Tabella 4: Individuazione delle sorgenti di emissione di gas con definizione del
tipo, della forma e della dimensione delle zone pericolose
So rg ent i d i em iss io ne
V a lvo le
Tipo d i zona pe r ico losa
Zon a 2
Fo r ma
S fer ic a
D im en s ion e
Ragg io = 50 c m
Le uniche sorgenti di emissione sono quindi costituite dalle valvole, che peraltro
sono componenti necessari e insostituibili in un impianto di adduzione del gas; tutte
le altre possibili sorgenti di emissione si è provveduto ad eliminarle (ad esempio
evitando raccordi meccanici per collegare i tubi a favore delle saldature), in
ottemperanza all’art.88-quater comma 1. D.Lgs.626/94 (“...il datore di lavoro
previene la formazione di atmosfere esplosive.”).
Se, come in questo caso, esistono sorgenti di emissione ineliminabili, allora occorre
“evitare l’accensione dell’atmosfera esplosiva” ed “attenuare gli effetti
pregiudizievoli di un’ esplosione in modo da garantire la salute e la sicurezza dei
lavoratori” (art.88-quater comma 2. D.Lgs.626/94).
È però importante sottolineare che la classificazione in zone, pur fondamentale, non
può costituire da sola la valutazione del rischio di esposizione ad atmosfere
esplosive, in quanto manca la contestualizzazione. Occorre perciò conoscere in
modo approfondito il locale dell’impianto, i processi che avvengono, le sostanze
presenti e, soprattutto, la presenza o meno di lavoratori.
DESCRIZIONE DEL LOCALE
Il locale oggetto di studio dispone di 116,93 m2 di superficie e di una altezza di 750
cm.
L’accesso avviene tramite un disimpegno e un filtro posti ad una estremità del
locale; sull’unica parete che si affaccia su spazio a cielo libero è invece presente una
porta di emergenza con apertura a spinta verso l’esterno. Sempre sulla stessa parete
vi è anche un’apertura di ventilazione avente una superficie pari a 7,20 m2, posta a
filo del soffitto.
Sono inoltre previsti una compartimentazione orizzontale e verticale realizzata con
materiali aventi caratteristiche di resistenza al fuoco pari a REI-120, e una dotazione
standard di presidio antincendio, costituita da naspo ed estintori a polvere e a
schiuma.
Al suo interno sono alloggiati tutti i macchinari e i dispositivi necessari per la
produzione di energia elettrica e termica:
♦ un motore endotermico alternativo, completo di sistemi ausiliari,
♦ un alternatore,
♦ sistema di recupero termico da circuiti a bassa entalpia,
♦ sistema di recupero termico dai prodotti di combustione,
♦ sistema di scarico dei prodotti di combustione,
♦ sistema di dissipazione di emergenza del calore non utilizzato,
♦ sistema di ventilazione forzata.
L’intero impianto, e in particolare anche il locale di cogenerazione, non è presidiato
in maniera permanente; l’unico personale a cui è autorizzato l’accesso è quello che
si occupa della manutenzione: è dunque rivolta alla loro incolumità l’applicazione di
tutte le misure di riduzione del rischio.
CICLO PRODUTTIVO
Nel locale ha luogo la trasformazione di energia di tipo chimico in energia elettrica
ed energia termica (calore).
Il combustibile utilizzato è il gas metano, proveniente dalla rete cittadina e ridotto a
bassa pressione da appositi dispositivi.
Il processo di combustione avviene all’interno del motore endotermico alternativo,
dotato di dodici cilindri, tramite ciclo otto a quattro tempi, dopodiché l’energia
meccanica prodotta viene convertita, a meno di perdite, in energia elettrica grazie
all’alternatore trifase adiacente al motore.
L’energia termica viene invece fornita da appositi scambiatori di calore che
consentono un recupero termico sia dai prodotti della combustione ad alta
temperatura, sia da circuiti a bassa entalpia (sistema di raffreddamento del motore).
I fumi, ormai ad una temperatura più bassa, vengono infine convogliati ad un
camino per l’emissione in atmosfera, mentre l’acqua surriscaldata viene inviata,
tramite pompe, alla rete di teleriscaldamento.
VALUTAZIONE DEI RISCHI
Detto che per rischio si intende la “combinazione di probabilità e di gravità di
possibili lesioni o danni alla salute, in una situazione pericolosa, cioè tale che esista
esposizione ad uno o a più pericoli” (Norma UNI EN ISO 12100 - ex Norma UNI
EN 292), la valutazione dei rischi rappresenta l’argomento cardine del “Documento
sulla protezioni contro le esplosioni”.[17, 18]
Tale valutazione deve avvenire attraverso un procedimento logico che sia
sistematico e rigoroso, ma anche di facile interpretazione; in esso si articolano tre
fasi fondamentali:
1.
Identificazione dei pericoli: in questa fase si individuano tutte le fonti
potenziali di pericolo e tutti i possibili soggetti esposti ad essi. È di
fondamentale importanza che ciò sia effettuato nella maniera più esaustiva
possibile, in quanto una fonte di pericolo tralasciata in questa fase non sarà poi
considerata nel seguito. Per questo motivo è comodo utilizzare Liste di
Controllo o Check List in cui sono elencati tutti i fattori di rischio.
2.
Valutazione dei rischi: può avvenire in due modalità differenti, a seconda della
criticità o meno dei rischi.
Il primo metodo, è costituito da un modello matematico in cui il rischio R
è una funzione della magnitudo del danno potenziale e della probabilità di
una correlazione fra la carenza riscontrata ed il danno ipotizzato:
R = f (p, M) = p ⋅ M
Ognuna delle due variabili avrà poi quattro livelli di intensità:
Magnitudo:
1 ≡ lieve,
2 ≡ medio,
3 ≡ grave,
4 ≡ gravissimo.
Probabilità:
1 ≡ improbabile,
2 ≡ poco probabile,
3 ≡ probabile,
4 ≡ altamente probabile.
Si arriva a definire una matrice di rischio i cui valori sono dati dal
prodotto delle due variabili corrispondenti. (Figura 2) Si giudica infine il
livello del rischio a seconda del valore di R che si ottiene: per R > 5 il
rischio si può considerare già alto. Questo metodo, oneroso sotto tutti i
punti di vista, si applica di solito solo per rischi particolarmente critici
oppure se si vuole approfondirne la conoscenza.
Figura 2: Matrice di rischio in funzione della probabilità e della magnitudo (colore
grigio = rischio alto; colore bianco = rischio basso)
M = 1
M = 2
M = 3
M = 4
p = 1
R = 1
R = 2
R = 3
R = 4
p = 2
R = 2
R = 4
R = 6
R = 8
p = 3
R = 3
R = 6
R = 9
R = 12
p = 4
R = 4
R = 8
R = 12
R = 16
3.
Il secondo metodo è un approccio sicuramente meno sofisticato, ma di
utilizzo molto più semplice, usato per emettere un giudizio qualitativo di
gravità per la maggior parte dei rischi identificati: consiste nel valutare il
singolo rischio in relazione alle normativa tecniche, alle leggi in materia,
ai principi generali della prevenzione e al contesto aziendale.
Determinazione delle misure di prevenzione e/o protezione: per ogni rischio
giudicato di gravità elevata, è necessario adottare le misure di prevenzione
(diminuisce il parametro probabilità) oppure di protezione (diminuisce il
parametro danno) dettate dalla buona tecnica, non prima di avere stabilito un
ordine di priorità.
Si procede a questo punto all’applicazione delle tre fasi nel caso reale.
È già stato detto che una esplosione avviene per la contemporanea presenza di una
sostanza esplosiva, un comburente ed una sorgente di accensione, in determinate
condizioni ambientali: eliminando anche solo uno di questi tre fattori, l’esplosione
non può avere luogo.
Per quanto riguarda la sostanza esplosiva, nella fattispecie il gas metano, si è già
operato per ridurre al minimo le sorgenti di emissione, le zone pericolose generate
dalle valvole sono però ineliminabili.
Anche la sostanza comburente, cioè l’aria, non si può eliminare dal locale perché
dovrebbero essere presenti sistemi di inertizzazione incompatibili col funzionamento
dello stesso motore cogenerativo.
Sarà allora sul terzo fattore, cioè le sorgenti di accensione, che bisognerà operare,
individuando per prima cosa tutte le possibili situazioni in cui queste possono essere
presenti all’interno del locale.
Si può aggiungere che questo discorso è valido anche in riferimento al rischio di
incendio, oltre che quello di esplosione.
Nel seguito sono elencate le fonti di innesco probabili nel locale:
Scintille e fiamme libere di qualsiasi natura.
Apparecchiature che si possono surriscaldare.
Abbigliamento del personale.
Impianti e apparecchiature elettriche.
Apparecchiature o tubazioni a diverso potenziale elettrico in cui si possono
accumulare cariche elettrostatiche.
Impianto di riscaldamento.
Insolazione.
Se consideriamo che ognuno di questi fattori comporti un livello di rischio elevato
(senza utilizzare il modello matematico per la valutazione del rischio), allora ci si
può riferire alle norme generali di buona tecnica per definire le misure appropriate di
protezione e prevenzione.
Ai sensi dell’Allegato XV-ter D.Lgs.626/94, unitamente ai dispositivi di protezione,
è fondamentale adottare provvedimenti di prevenzione a livello organizzativo,
occorre cioè definire le procedure della manutenzione tramite istruzioni scritte,
autorizzazioni e permessi di lavoro rilasciati dal datore di lavoro.
In un ambiente di questo tipo gli addetti saranno tenuti a:
indossare indumenti e calzature con caratteristiche antistatiche,
non fumare,
conoscere l’uso delle attrezzature antincendio,
conoscere il percorso delle vie di fuga e la segnaletica,
conoscere i rischi per la sicurezza cui è soggetto.
Congiuntamente a questi, saranno poi presenti numerosi altri accorgimenti di tipo
tecnico:
Impianti elettrici:
Tutte le apparecchiature elettriche (macchine, impianti,…) elettriche devono
essere realizzate secondo le norme CEI, ossia secondo “la regola dell’arte” .
Gli impianti elettrici devono essere manutenuti in modo tale da prevenire
eventuali guasti, secondo le indicazioni contenute nelle norme di buona tecnica.
Rete di distribuzione gas:
Le tubazioni e tutte le apparecchiature della rete sono da realizzare in
conformità alle relative norme UNI.
La manutenzione deve essere effettuata su tutti gli elementi della rete di
distribuzione.
Presenza di un rivelatore di gas metano.
Le tubazioni sono da ubicare in zone protette da urti esterni.
Le tubazioni sono colorate e i dispositivi della rete devono essere
contrassegnati da segnaletica di sicurezza.
Le tubazioni del gas non possono essere utilizzate come dispersori di terra,
devono però essere messe a terra per evitare l’accumulo di cariche
elettrostatiche.
Ventilazione:
Presenza di un sistema di ventilazione forzata correttamente dimensionato per
la funzione che deve assolvere.
La corrente di aria deve allontanare il gas dalle sorgenti di emissione, diluendo
così più facilmente l’atmosfera potenzialmente esplosiva.
Manutenzione da effettuare regolarmente sul sistema di ventilazione.
Assenza di correnti d’aria ortogonali alla direzione del flusso di aspirazione.
Rischio di incendio ed esplosione:
Presenza di sistemi per il rilevamento di focolai di incendio.
Presenza di sistemi per il rilevamento di miscele infiammabili.
Presenza di dotazioni fisse e mobili per la protezione contro gli incendi, ubicati
in punti idonei, opportunamente segnalati.
Le dotazioni antincendio devono essere regolarmente mantenute.
Vie di fuga ben segnalate e visibili in caso di incendio.
Presenza del segnale di avvertimento per indicare le aree in cui possono
formarsi atmosfere esplosive.
Compartimentazione del locale per evitare la propagazione dell’incendio nei
locali adiacenti.
MESSA A NORMA DELLE APPARECCHIATURE
Ai sensi del D.P.R. 126/98 tutti gli apparecchi e sistemi di protezione destinati ad un
utilizzo in atmosfera potenzialmente esplosiva devono avere particolari
caratteristiche tali da non innescare un’esplosione.
Il suddetto Decreto di recepimento della direttiva 94/9/CE è importante perché per la
prima volta viene presa in considerazione la possibilità che la sorgente di
accensione, oltre che di natura elettrica, possa essere di tipo meccanico, come ad
esempio la generazione di una scintilla dal contatto o surriscaldamento di
componenti, appunto, meccanici.
Tali apparecchi vengono divisi in tre categorie, a seconda del livello di protezione
che garantiscono:
Categoria 1 → Livello di protezione molto elevato
Categoria 2 → Livello di protezione elevato
Categoria 3→ Livello di protezione normale
Gli apparecchi dovranno poi essere appositamente marcati CE, ponendo in evidenza
il simbolo che li autorizza ad essere utilizzati in atmosfera esplosiva.
In base al tipo di zona pericolosa si stabilisce, infine, la/e categoria/e di macchinari e
dispositivi utilizzabili: nel caso di zona 2, cioè quella presente all’interno del locale
di cogenerazione, saranno adatte apparecchiature di categoria 1, 2, o 3, perché è il
tipo di zona meno pericoloso.
BIBLIOGRAFIA
[1]
DECRETO LEGISLATIVO 12/6/2003, N.233. Attuazione della direttiva
1999/92/CE relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della
tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori esposti al rischio di
atmosfere esplosive, pubbl. su G.U.R.I. n.197 del 26/8/2003.
[2]
DIRETTIVA 1999/92/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16
dicembre 1992, relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della
tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti
al rischio di atmosfere esplosive, pubbl. su G.U. dell’Unione Europea n.L
23/57 del 28/1/2000.
[3]
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE DELLE COMUNITA’
EUROPEE, relativa alla Guida di buone prassi a carattere non vincolante per
l’attuazione della direttiva 1999/92/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio, relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela
della sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al
rischio di atmosfere esplosive, COM(2003) 515 definitivo, Bruxelles,
25/8/2003.
[4]
DIRETTIVA 67/548/CEE del Consiglio del 27 giugno 1967, concernente il
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio ed
all’etichettatura delle sostanze pericolose, pubbl. su G.U. delle Comunità
Europee n.L 196 del 16/8/1967.
[5]
DECRETO DEL MINISTRO DELLA SALUTE 14/6/2002, “Recepimento
della direttiva 2001/59/CE recante XXVIII° adeguamento al progresso
tecnico della direttiva 67/548/CEE, in materia di classificazione, imballaggio
ed etichettatura di sostanze pericolose”, S.O. N.197 alla G.U.R.I. n.244 del
17/10/2002.
[6]
DECRETO LEGISLATIVO 3/2/1997, N.52, Attuazione della direttiva
92/32/CEE concernente classificazione, imballaggio ed etichettatura delle
sostanze pericolose, pubbl. su S.O. N.53/L alla G.U.R.I. n.58 del 11/3/97.
[7]
DECRETO LEGISLATIVO 14/03/2003, N.65, Attuazione delle direttive
1999/45/CE e 2001/60/CE relative alla classificazione, all’imballaggio ed
all’etichettatura dei preparati pericolosi, pubbl. su S.O.N.61/L alla G.U.R.I.
n. 87 del 14/4/2003.
[8]
DECRETO DEL MINISTRO DELLA SALUTE 7/9/2002, “Recepimento
della direttiva 2001/58/CE riguardante le modalità della informazione su
sostanze e preparati pericolosi immessi sul mercato” pubbl. su G.U.R.I. n.
252 del 26/10/2002.
[9]
CIRCOLARE DEL MINISTERO DELLA SALUTE 7/1/2004, Indicazioni
esplicative per l’applicazione del decreto legislativo del 14 marzo 2003,
n.65, di recepimento della direttiva 1999/45/CE del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 31 maggio 1999 e della direttiva 2001/60/CE della
Commissione del 7 agosto 2001, concernente la classificazione, imballaggio
ed etichettatura dei preparati pericolosi, pubbl. su G.U.R.I. n.70 del
24/3/2004.
[10]
GOVONI C., Normativa quadro in materia di preparati pericolosi, Lavoro
Sicuro, (5):68-78, settembre 2004.
[11]
GOVONI C., Prodotti chimici: verifiche delle “schede di sicurezza”, Lavoro
Sicuro, (6):46-55, ottobre 2004.
[12]
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27/4/1955, N.547,
Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, pubbl. su S.O. alla
G.U.R.I. n. 158 del 12/7/1955.
[13]
NORMA CEI EN 60079-10, Costruzioni elettriche per atmosfere esplosive
per la presenza di gas. Parte 10: Classificazione dei luoghi pericolosi, 1996.
[14]
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23/3/1998, N.126,
Regolamento recante norme per l'attuazione della direttiva 94/9/CE in
materia di apparecchi e sistemi di protezione destinati ad essere utilizzati in
atmosfera potenzialmente esplosiva, pubbl. su G.U.R.I. n. 101 del 4/5/1998.
[15]
NORMA CEI 31-35, Costruzioni elettriche per atmosfere potenzialmente
esplosive per la presenza di gas - Guida all'applicazione della norma EN
60079-10 (CEI 31-30) - Classificazione dei luoghi pericolosi, 2001.
[16]
DIRETTIVA 94/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 marzo
1994, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative agli apparecchi e ai sistemi di protezione destinati ad essere utilizzati
in atmosfera esplosiva, pubbl. su G.U. delle Comunità Europee n.L 100 del
19/04/1994. Avvisi di rettifica su G.U. delle Comunità Europee L 257 del
10/10/1996 e L 21 del 26/1/2000.
[17]
NORMA UNI EN ISO 12100-1:2005, Sicurezza del macchinario - Concetti
fondamentali, principi generali di progettazione - Parte 1: Terminologia di
base, metodologia, 2005.
[18]
NORMA UNI EN ISO 12100-2:2005, Sicurezza del macchinario - Concetti
fondamentali, principi generali di progettazione - Parte 2: Principi tecnici,
2005.