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LA SEDUZIONE : UNA FORZA, UN RESPIRO, UNA PASSIONE LIRICA
di Francesca Guerrasio e Claudia Delle Palme
Nel panorama letterario, filosofico e musicale, la seduzione – simbolicamente trasposta nella figura
maschile – ha assunto diverse determinazioni concettuali secondo le epoche e le culture, inserendosi
in prospettive ermeneutiche spesso lontane e divergenti. In generale, il personaggio del seduttore è
sempre stato oggetto di demistificazione e celebrazione, simbolo di trionfo e di dissoluzione
dell’eros, rappresentazione della rivolta della ragion pratica contro i freni dell’etica e della teologia.
Soggetto poliedrico, il seduttore è stato inizialmente dipinto come “viveur” insaziabile, motivato da
un sentimento di voracità amorosa e dalla sottile crudeltà che prova alla vista delle possibili prede.
Quindi, è divenuto vittima della sua stessa cupidigia, esteta effimero che pur vivendo intensamente
ogni attimo della propria vita, anela, intimamente, di fuggire dai propri istinti.
In ambito letterario e musicale, una delle figure emblematiche del desiderio e della concupiscenza
dell’universo femminile è senza dubbio Don Giovanni, la cui seduzione è veicolata dalla voce,
mezzo assolutamente personale che permette di rivelare l’evidente e l’indicibile allo stesso tempo.
Don Giovanni compare per la prima volta ne El Burlador de Sevilla y Convitado de pietra (1630) di
Tirso de Molina, formalizzando lo schema tematico che sarà alla base delle rielaborazioni
successive. Esperto di seduzione, maestro della burla graziosa animato più dal bisogno di tradire
che da un reale piacere1, Don Giovanni contravviene al principio feudale per eccellenza: alla
fedeltà2 . Il suo desiderio, frutto di istinti esplosivi, bisogni e impulsi incontrollabili, traduce il
conflitto ancestrale dei rapporti umani, l’inevitabile deviazione dell’amore che altro non è che una
forma di odio. Il passaggio da una conquista all’altra descrive, infatti, un processo di
concretizzazione dell’amore superficiale che lo affranca da qualsiasi funzione ontologica e dalla
minima implicazione teologica. L’eccezionale varietà della vita amorosa caratterizzata dalla
ripetizione insignificante di successi, si apparenta per opposizione alla fissità della morte e della
statua: eros diventa sinonimo di thanatos, riflesso di una doppia dimensione nella quale la vita si
sovrappone alla morte e il naturale si trasfigura nel sovrannaturale.
L’ossimoro più evidente della personalità del seduttore è, in questo senso, la coabitazione del
sentimento di libertà con la necessità di esistere, ovvero l’incurabile conflitto primordiale che rende
il mito di Don Giovanni intimamente legato al tragico. Il rituale macabro della cena con il
1
MOLINA, Tirso, El burlador de Sevilla, Madrid, Cátedra, 2007, 15 e edizione. Traduzione italiana dallo spagnolo :
« Gusto que en mi puede haber es burlar una mujer y dejarla sin honor ».
2
BORCHMEYER, Dieter, « Plaidoyer pour un Don Giovanni soustrait au XIXe siècle », in MORTIER, Gérard, Il
dissoluto punito ossia il Don Giovanni, Publication de l’Opéra National de Paris, 2005-2006, p. 47.
Commendatore ne El Burlador (atto II, scena XV), rappresenta infatti la rottura del tabù mitico
della morte, la sfida al sovrannaturale che colloca Don Giovanni al limite della tragedia3.
Il seduttore “burlone” di Tirso da Molina, si trasforma in libertino (nell’accezione barocca del
termine), nella prima reincarnazione europea di Molière, Don Juan ou le Festin de pierre (1655).
Libero da qualsiasi valore etico, morale e politico, Don Giovanni affronta la vita con cinismo e
ipocrisia ergendosi a “difensore” della società soppiantata dall’Assolutismo4, ad “avvocato”
dell’amor frivolo contro l’amore costante5. Il libertino, che pone le proprie ambizioni amorose
nell’ambito del discorso galante, sarà tale fino all’epoca romantica, sovvertito in seguito dalla
caratterizzazione di Tenorio di José Zorilla6 il quale lo erge a seduttore/eroe/redentore dell’amore. Il
Tenorio infatti non è dissoluto in senso strettamente sessuale ma soprattutto in senso religioso: è
una sorta di anti-Cristo che interviene per capovolgere in modo sistematico ciò che il Figlio
dell’uomo e il suo Verbo tende a riunire e a ricomporre. Tant’è che il suo passaggio nello spazio
della rappresentazione teatrale è metafora della funzione disgiuntiva delle relazioni interpersonali e
della coscienza intima di ogni individuo.
Nella rielaborazione musicale di Mozart-Da Ponte, il sulfureo imbroglione, l’alter ego del Cristo,
diviene, infine, l’incarnazione emblematica della genialità sensuale. Più volgare e discinto rispetto
ai suoi predecessori, Don Giovanni è spinto da una smisurata carica erotica, da una seduzione a
tratti animalesca che lo porta a fiutare, a mo’ di segugio, l’“odor di femmina7” (atto I, scena IV).
Eppure, l’eccezionale energia vitale che anima il protagonista mozartiano non deve essere
interpretata, a nostro avviso, come mutazione del desiderio in violenza bensì come ricerca perpetua
dell’inaccessibile. Don Giovanni non è un violentatore impenitente ma semplicemente un uomo
infedele, un “collezionista di farfalle” più preoccupato della quantità delle sue seduzioni che della
qualità.
3
Una riflessione più specificamente filosofica mette in luce una delle macroscopiche incoerenze delle letture
tradizionali ovvero sia l’impossibilità di spiegare, a colui che si è reso colpevole di aver sedotto delle donne, la
punizione atroce che gli viene inflitta. Per quale motivo, in una storia basata sulla legge del contrappasso, al burlador di
Tirso da Molina, è attribuita la pena capitale ! Umberto Curi spiega che alla base di questa condanna, vi sarebbero delle
ragioni filosofiche e teologiche significative dell’età moderna: il rapporto tra l’uomo e l’eternità; il problema della
grazia e dell’insufficienza della fede per la salvezza dell’anima; la concezione dell’amore come attività di conquista
assimilabile ad un’impresa bellica; il limite reversibile tra identità e alterità che ricorre sistematicamente nell’inganno e,
infine, l’attitudine davanti alla morte. CURI, Umberto, Filosofia del Don Giovanni. Alle origini di un mito moderno,
Paravia Bruno Mondadori, Editori, 2002.
4
BORCHMEYER, Dieter, « Plaidoyer pour un Don Giovanni soustrait au XIXe siècle », in MORTIER, Gérard, Il
dissoluto punito ossia il Don Giovanni, Publication de l’Opéra National de Paris, 2005-2006, p. 47.
5
Ibidem.
6
Per sottolineare la positività del personaggio di Don Giovanni e la perpetua corrispondenza amorosa tra i vivi e i morti,
l’opera di José Zorilla, è spesso programmata in Spagna in occasione della commemorazione dei defunti. Il teatro
spagnolo ha propriamente creato una forma d’arte auto sacramentale per il giorno del Corpus Domini. Per un
approfondimento si consiglia GASPARETTI, Antonio, « Nota », in ZORILLA, José, Don Giovanni Tenorio, Milano,
1957, p. 5-6-.
7
MOZART, Wolfgang Amadeus, Don Giovanni ossia il dissoluto punito, (I,4): “ mi pare sentir odor di femmina...”.
La prova tangibile delle sue facoltà amatorie, quel “catalogo” che Mozart celebra con la famosa aria
di Leporello (atto I, scena V), è ciò che lo interessa maggiormente: 640 donne in Italia, 231 in
Germania, 100 in Francia, 91 in Turchia,1003 in Spagna. Tale accumulazione di successi è
sottolineata dalla reiterazione del “facile” ritornello mozartiano e dal climax ascendente di
numeri/conquiste8. La rapida e smisurata successione verbale accompagnata dalla frenesia musicale
degli archi è, infatti, la cifra della seduzione di Mozart, il principio sonoro sul quale costruire e
sviluppare l’opera intera. Già nell’ouverture9, l’alternanza della tonalità minore e maggiore
“duplica” la sequenza recitativo/aria e preludia all’uso di due figure ricorrenti quali lo iato e la
ripetizione.
Allo iato dei sentimenti più diversi (come il riso, la sorpresa, l’inquietudine, lo spavento etc.) , si
aggiunge e si sovrappone quello musicale, particolarmente incisivo grazie al recitativo secco che
opera su due livelli diversi: dialoghi parlati su pochi accordi al clavicembalo e canto/arie con
accompagnamento orchestrale. La scena IV dell’atto I ne è un esempio: qui il dialogo burlesco di
Don Giovanni e Leporello si oppone idealmente all’aria di furore di Elvira alla ricerca del
“barbaro” che l’ha tradita. Nel recitativo che segue, gli interventi ironici di Leporello irradiano la
violenza del dialogo tra il suo padrone e Elvira10. Mozart arricchisce dunque i recitativi di una carica
emozionale notevole accentuando l’effetto di contrasto con le arie.
Quanto alla ripetizione, tutto prende forma a partire dal catalogo, simbolo della teoria dei numeri
del dongiovannismo. L’aria Fin ch’han dal vino cantata da Don Giovanni (atto I, scena XV)
sottolinea ulteriormente l’obiettivo del seduttore : adoperarsi al fine che la sua lista si allunghi.
Ancor più che nell’aria del catalogo, la reiterazione appare qui in maniera quasi brutale, a causa
delle numerose ripetizioni dell’ultimo verso: “Ah!, la mia lista doman mattina d’una decina devi
aumentar”.
Tale esortazione, che la maggior parte dei cantanti sottolinea con una risata fatalmente diabolica,
conferma l’esaltazione che l’accrescimento esuberante provoca in Don Giovanni. L’appetito
barbaro che lo spinge a vivere ogni attimo in maniera frenetica, è infine ironicamente trasposto
nell’ultimo pasto del libertino, un momento tragico che Mozart preannuncia già nell’Ouverture con
il primo accordo minore (tonalità di Requiem). La modulazione da re minore a re maggiore nel
8
Paradossalmente però, proprio il carattere ripetitivo di tali imprese amorose annulla o rende vana l’enumerazione.
Come scrive Pierre Brévignon, “1+1+1+1 = 0”, il seduttore deve riprende la caccia. BRÉVIGNON, Pierre, « Don Juan
ou l’ultime hiatus », in MORTIER, Gérard, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, Publication de l’Opéra National
de Paris, 2005-2006, p. 83.
9
“In poco più di dieci minuti, lo spettatore [del Don Giovanni] alternerà il riso e la sorpresa, l’inquietudine e lo
spavento, la compassione e il divertimento, la tristezza e la collera… senza il minimo preavviso”. BRÉVIGNON Pierre,
« Don Juan ou l’ultime hiatus », in MORTIER, Gérard, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, Publication de
l’Opéra National de Paris, 2005-2006, p. 81.
10
BRÉVIGNON, Pierre, « Don Juan ou l’ultime hiatus », in MORTIER, Gérard, Il dissoluto punito ossia il Don
Giovanni, Publication de l’Opéra National de Paris, 2005-2006, p. 82.
momento della dannazione di Don Giovanni, appare dunque come una sorta di liberazione (anche
musicale) durante la quale “il paradiso è, almeno per un istante, restaurato11”. Eppure Mozart non
sembra pensarla così; la fuga del finale, ordinata e calma, pare anzi denunciare metaforicamente, la
noia di tale condizione che impone, a questo punto, una riflessione più specificamente filosofica:
Don Giovanni è effettivamente l’incarnazione del male o semplicemente la trasfigurazione ideale,
benché esasperata, di un’ambizione che appartiene, dopo tutto, ad ogni individuo?
L’analisi raffinata che Søren Kierkegaard consacra al nostro seduttore, risponde ad un interesse che
va ben oltre l’edificazione del puramente negativo. In Enten-Eller12 (1843), il filosofo e teologo
danese, distingue infatti due figure di seduttori, quello psichico (Johannes) e quello sensuale (Don
Giovanni), accordando superiorità assoluta a quest’ultimo. Don Giovanni resta il solo modello di
seduttore che non abbia bisogno di un progetto; vedere, desiderare e amare, sono per lui la
declinazione di una seduzione immediata e spontanea alimentata da una pulsione vitale, elementare
e inesauribile, che coincide con il trionfo della vita.
Ben diverso è invece l’obiettivo del seduttore psichico sul quale riposa la sensazione di morte.
Immerso nella temporalità o meglio nella caducità del processo di seduzione, non è il numero delle
conquiste che lo stimola (le mille e tre donne di Don Giovanni) bensì la pratica dell’arte suprema
della seduzione. Il seduttore Johannes è pertanto la personificazione della sensualità come principio,
la sintesi vivente di demoniaco sensuale13 al servizio del demoniaco spirituale, cosciente del
proprio potere e per questo attratto dall’egoismo “raffinato” di sapere la donna ridotta ad uno stato
di prostrazione totale. Presente, furioso, interessato, dolce “come uno strumento musicale
armonicamente ricco14”, è spinto dallo scopo di rendere la relazione interessante e la donna
soggiogata, prima di congedarsi con un colpo da maestro15. Johannes rappresenta, invero, l’esteta
raffinato privo di reale soggettività che, avendo scelto di non rivelarsi mai, esiste sono
nell’immaginario femminile collettivo. La sua vita illusoria è priva della nozione di durata, il suo
sopore, sempre ideale, è aperto all’infinito.
Viceversa, la seduzione sensuale incarnata da Don Giovanni è la chiave di volta per sottrarsi
all’estetica, al determinismo del pensiero, alla giurisdizione dell’etica e render loro una dignità
legittimamente manifesta.
11
MORTIER, Gérard, « Wolfgang Amadé Mozart, notre contemporain », in MORTIER, Gérard, Il dissoluto punito
ossia il Don Giovanni, Publication de l’Opéra National de Paris, 2005-2006, p. 23.
12
KIERKEGAARD, Søren, « Il diario del seduttore » in Enten-Eller, Milan, Adelphi, 1978. Traduzione italiana di
Alessandro Cortese.
13
CHAPLAIN, Denise, Etudes sur In vino veritas de Kierkegaard, Annales Littéraire de l’ université de Besançon, vol.
69, Paris, Les Belles Lettres, 1964, p. 88.
14
KIERKEGAARD, Søren, « Il diario del seduttore » in Enten-Eller, Milan, Adelphi, 1978, p. 22.
15
Come scrive Kierkegaard, per Johannes “introdursi nell’animo di una donna è un’arte, uscirne è un capolavoro”.
Don Giovanni vive di fatto il presente senza progettare il futuro; la sua sensualità non è peccato
poiché non è supportata da una vera coscienza individuale. Si capisce perciò perché Kierkegaard lo
consideri l’incarnazione emblematica della genialità sensuale. Seduttore insaziabile (che nessuna
donna soddisfa, come da catalogo), cerca di soddisfare il proprio bisogno di superare i limiti di una
realtà nella quale la pesantezza del pensiero, lo spirito della riflessione e di conseguenza il peccato,
non trovano posto. Il suo mondo è abitato unicamente dalla voce elementare della passione, dal
gioco dei desideri, dal trionfo assoluto del dionisiaco, dal piacere di vivere al di là dell’etica e della
logica. Se l’arte della seduzione implica, in generale, l’esercizio della riflessione e della coscienza
morale, Don Giovanni più che seduttore, è un amante che trova nel desiderio sessuale la propria
ragione d’essere, il riflesso dell’immediatezza della natura che nulla ha a che fare con il peccato
della coscienza. Elevarlo a simbolo della solitudine e della caducità dell’istante, dell’uomo
crocifisso dalla contraddizione inevitabile tra natura finita e infinite aspirazioni, equivale, di
conseguenza, a identificarlo ad eroe della privazione, a personaggio negativo.
Nella nostra lettura influenzata dalla filosofia di Kierkegaard, Don Giovanni è invece eroe
dell’incontinenza, incarnazione della carne rappresentata come principio positivo; metafora di una
sorta di deontologia della sfera etica ovvero dell’estetica (aisthétsis) vissuta senza alcuna
interferenza della coscienza e priva del sentimento angosciante del peccato che si insinua a turbare
la gioia e la spontaneità.
All’opposto delle manovre amorose di questo rubacuori dai facili piaceri, si colloca, nell’albo dei
seduttori,
il
diabolico
ammaliatore,
Giacomo
Casanova
(1725-1798),
protagonista
16
dell’autobiografia Histoire de ma vie . Nelle sue memorie, il seduttore è un collezionista prodigo
con le proprie conquiste malgrado l’indifferenza che le conseguenze delle sue attitudini gli ispira.
Quest’avido mangiatore di donne, unicamente concentrato sul numero delle vittime, si riflette nella
figura del Rigoletto17 di G. Verdi: il duca di Mantova che ammalia e abbandona Gilda. La
seduzione del personaggio verdiano è esclusivamente veicolata dalla voce di tenore brillante
caratterizzata, tra l’altro, dalla leggerezza del timbro. Come scrive Stendhal: “E’ impossibile che
una donna innamorata resista al richiamo18” di tale voce, così com’è impossibile che il pubblico
(paragonato ad una donna) si mostri indifferente alla sua passionalità.
16
CASANOVA, Giacomo, Histoire de ma vie, Paris, Gallimard, 1986.
VERDI, Giuseppe, Rigoletto, opera in tre atti su un libretto di Francesco Maria Piave, ispirato alla pièce di Victor
Hugo Le Roi s’amuse, Milan, Ricordi, 1851.
18
BEYLE, Henri, Vie de Rossini, Paris, Michel Lévy Frères Libraires Editeurs, 1854, p. 200, nuova edizione.
17
Il tenore “fatale19” di Verdi è un uomo che non si perde in riflessioni psicologiche20; privo di freni e
di scrupoli che non cede mai all’amore neanche quando si dichiara ad una donna, poiché per lui,
nessuna fa differenza.
“Questa o quella per me pari sono a quant’altre d’intorno mi vedo ; del mio core l’impero non cedo meglio
ad una che ad un’altra beltà. La costoro avvenenza è qual dono di che il fato ne inflora la vita; s’oggi questa
mi torna gradita forse un’altra doman lo sarà. La costanza, tiranna del core, detestiamo qual morbo
crudele. […] Non v’ha amor se non v’è libertà […] ”.
I versi della ballata Questa o quella (intonata quasi all’inizio dell’opera), apparentano da subito, il
duca di Mantova ad un Casanova ordinario che rifiuta di legarsi ad un’unica donna, ritenendo la
fedeltà un male crudele.
Malgrado la volgarità di tali propositi, l’eleganza del canto verdiano (Allegretto con eleganza), è
assicurato dal ritmo danzante di 6/8 sottolineato dagli archi; la nonchalance dell’andamento della
melodia è limitato a sette battute piuttosto che alle otto ordinarie.
La ballata è seguita da un minuetto che richiama in filigrana il finale del primo atto del Don
Giovanni di Mozart. Proprio come Don Giovanni, il duca modifica il proprio linguaggio e il
comportamento in base alle situazioni, trasformandosi repentinamente da “farfallone” a seduttore
galante la cui voce è ricca di accenti passionali. Travestito da studente, all’inizio dell’atto II, offre
una serenata a Gilda, un’aria magnifica che seduce l’orecchio ma non incanta per la sua sincerità.
E dove ora sarà quell’angiol caro ? Colei che prima poté in questo core destar la fiamma di costanti
affetti ? .
Queste parole che vorrebbe attenuare il libertinaggio del duca, sono seguite dalla celebre aria La
donna è mobile, che ristabilisce la vera natura dell’adescatore malvagio. Il tono imperioso d’attacco
(sul tempo forte), esprime tutta la disinvoltura e l’arroganza del duca il cui impeto dongiovannesco
riappare infine nell’andante sensuale Bella figlia dell’amore (atto III), che mette in luce l’ambiguità
di un personaggio che oscilla, in definita, tra un giovane e dinamico amante e un libertino sadico.
Tali simboli di seduzione maschile hanno una precisa connotazione filosofica ed estetica: non
mirano specificamente alla soddisfazione di un desiderio erotico indistinto quanto piuttosto ad una
specie di pienezza seducente dell’individuo caratterizzata dalle giustificazioni più diverse che vanno
dall’ambizione al desiderio materiale, dal gusto estetico della ricerca alla manifestazione del potere
19
CABOURG, Jean, « Points de repère », in L’Avant-scène Opéra, n° 112-113, Paris, Editions Premières Loges, 2001,
p. 3.
20
Idem, p. 3
maschile. Il seduttore diviene così più perfidamente raffinato e a tratti diabolico, caratterizzato da
una volontà di affermazione individuale crudele che solo le proprie conquiste possono soddisfare.
Se in ambito letterario possiamo individuare tale figura artificiosa nel visconte di Valmont, de Le
relazioni pericolose (Les liaisons dangereuses21, 1782) di Choderlos de Laclos, in ambito musicale
ritroviamo il suo alter ego nel personaggio di Scarpia di Puccini (Tosca). Scarpia è il vero emblema
di una società dissoluta e crudele che identifica il piacere con il potere, il dominio ricercato con tutti
i mezzi. Rude e vorace, il suo erotismo e desiderio sadico trova soddisfazione prima ancora che nel
possesso carnale, nella semplice prefigurazione diabolica della prosternazione femminile. La vera
essenza della manovra seduttrice di Scarpia come del visconte di Valmont, è soprattutto la
distruzione.
Puccini in particolare, dipinge uno dei personaggi più seducenti (sebbene diabolici) del teatro lirico;
questo alto funzionario di polizia è un vero carnefice che racchiude in sé tutte le caratteristiche del
male: un tipo attuale che in virtù del suo status sociale si ritiene in diritto di esercitare
legittimamente il proprio potere. Mettere in musica una figura talmente malefica sembra essere stata
per in compositore, una dura prova. Ciononostante la grande abilità di gestione del dramma, fa di
Tosca una specie di thriller sempre contemporaneo, fondato in primis, sulla seduzione della musica.
Nel gioco di alternanza di scene tragiche e galanti, l’invenzione musicale trasfigura l’aspetto
drammatico dell’opera: Tosca, cantatrice tanto passionale quanto gelosa, è l’oggetto degli assalti
lubrici del capo della polizia romana. Per salvare la vita dell’innamorato Cavaradossi (accusato di
tradimento), la diva è sul punto di cedere all’odioso ricatto di Scarpia ma una pugnalata infertagli
con grande impeto mette fine a tutto.
Caratterizzata da numerosi eventi rocamboleschi, l’opera si presenta dunque come una sorta di
abisso dal quale è difficile uscire. La fine non può che essere crudele; il destino inevitabile.
In questa prospettiva, niente deve interrompere la lenta corsa verso la morte poiché tutto è costruito
intorno al personaggio-chiave, al seduttore sadico le cui manovre conducono alla morte collettiva.
Nonostante il titolo metta in evidenza l’eroina Tosca, il ruolo principale è assunto paradossalmente
da Scarpia, protagonista negativo, sin dall’inizio dell’opera. Il Leitmotiv sinistro attraverso il quale
lo si identifica, è una cellula tematica costituita da tre accordi perfetti maggiori eseguiti fortissimi
(fff), « a tutta forza » dai fiati, in un registro grave. Questa cellula, vero marchio e impronta del
personaggio, riappare ogni volta che il dramma evolve come per sottolineare il crescendo della
21
Il visconte di Valmont incarna la figura di un seduttore artificioso. Altero e gentiluomo, razionale e determinato,
agisce seguendo delle manovre coscienti (savantes manœuvres). La seduzione è infatti orchestrata da sottile abilita che
lo porta a considerare la marchesa di Merteuil, un terreno di conquista, una campagna difficile che è proprio per questo
fonte di piacere e di orgoglio. CHODERLOS DE LACLOS, Pierre-Ambroise-François, Les liaisons dangereuses ou
Lettres recueillies dans une Société, et publiées pour l’instruction de quelques autres, Paris, Durand, 1782, p. 4.
brutalità severa e la mostruosità sadica di una seduzione che resterà insoddisfatta. Scarpia tenta di
ammaliare Tosca con una carezza dominatrice mista alla violenza del desiderio e ad un
irreprensibile bisogno di possedere la preda.
Il compimento della sua funzione soddisfa in lui un bisogno viscerale di dominazione, di impresa : è
necessario per questo che le sue strette si chiudano sulla vittima (Scarpia : nome magnifico nel
quale si sente il graffio che penetra e morde), o che si insinuino in essa come un cancro che rode e
distrugge22.
La perversione, che il disgusto dell’amor romantico suscita, è particolarmente evidente all’inizio
dell’atto II:
Ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso. Io di sospiri e di lattiginose albe
lunari poco m’appago. Non so trarre accordi di chitarra, né oroscopo di fior.
Tali affermazioni, manifeste di un godimento che consiste non tanto nel possedere quanto nel
distruggere la possessione dell’altro, esacerbano una certa impotenza intima, un malessere che si
riscatta solo con la cattiveria. Le lacrime e più in generale la debolezza femminile, il rifiuto e la
conquista spasmodica non sono altro che il motore del piacere, la “lava che brucia” e stimola i
sensi.
Agil qual leopardo t’avvinghiasti all’amante. Ah! In quell’istante t’ho giurata mia!...
Il secondo atto che corrisponde all’apice dell’opera, è preceduto da una specie di prologo (atto I) già
dominato dall’ombra di Scarpia, mentre l’epilogo (atto III) rappresenta la degna conclusione
dell’inganno sadico che si richiude sui protagonisti. Questa conclusione appare ancor più tragica
poiché l’autore di tutte le trame è morto. Benché l’azione pucciniana sia concentrata sul triangolo
amoroso Scarpia, Tosca, Cavaradossi, è la figura del seduttore diabolico il vero motore del dramma.
Suzy McKee Charnas23 descrive con passione questo personaggio la cui voce sembra vibrare senza
pietà alcuna al di sopra della musica, prima con severa determinazione (quella di eliminare
l’antagonista in amore, Cavaradossi) poi con eccesso di lussuria. Esuberante e estremamente sicuro
di se stesso, Scarpia è convinto sin dall’inizio, che Tosca cadrà presto tra le sue braccia “illanguidir
d’amor”. La violenza erotica di questo proposito è espresso da un movimento discendente e
ascendente della voce di baritono che trattiene una forza particolarmente sentita sulle sillabe di
22
BREQUE, Jean, « Tosca ou la transfiguration du mélodrame » in L’Avant-scène opéra, n° 11, 2007, 3e edizione.
MCKEE CHARNAS, Suzy, Un vampire ordinaire, Paris, Robert Laffont, 2009. Traduzione dall’americano di Patrick
Berthon.
23
amor: una virilità primitiva mista all’esaltazione. Nell’ambito della seduzione vocale, d’altronde, il
baritono ha buona reputazione24 e sembra essere, rispetto al tenore, un amante migliore in virtù di
una maggior produzione di testosterone (ormone virile per eccellenze).
Il seduttore: primo abitante del Monte di Venere
Il medioevo parla diffusamente del Monte di Venere come luogo di tumulto eterno abitato dalla
sensualità, in cui il linguaggio e la riflessione non trovano posto e le gioie selvagge si esprimono
attraverso la voce elementare della passione, il gioco dei desideri, il brusio dell’ubriachezza. Primo
abitante di tale regno è Don Giovanni colto nell’istante dell’indifferenza estetica, ovvero nell’attimo
della purezza. Nel momento in cui, infatti, la coscienza e la riflessione intervengono in lui, il Monte
di Venere si trasforma in regno del peccato; Don Giovanni è morto, la musica finita.
Quando la ragione e il calcolo si frappongono, invero, alla sensualità, questa prende la forma del
demoniaco. In tale breve istante di mutazione dell’indifferenza estetica, la musica, non potendo più
esprimere la propria genialità sensuale, l’erotismo e il mezzo immediato, tace 25. La sensualità, idea
astratta in assoluto, non può che essere veicolata dalla musica e anzi, prende vita proprio nell’istante
stesso dell’esecuzione musicale. Benché essa sia caratterizzata dalla nozione di tempo, non scorre in
tempo26 se non in senso figurato: non esprime la successione reale degli eventi cioè la storicità del
tempo. Nell’attimo in cui l’esecutore suona, la musica rivive in modo inatteso; rivela l’immediato
nell’immediatezza, palesando quella forza interiore che lascia intendere la voce elementare della
passione, il carattere sensuale, la sensualità inesauribile che la differenzia da altre forme artistiche27.
Il nostro breve excursus interdisciplinare mostra, in definitiva, che l’immagine convenzionale del
dissoluto impenitente o dell’insaziabile consumatore di relazioni sessuale è, in realtà, un semplice
stereotipo del collezionismo erotico, l’aspetto più superficiale della personalità del seduttore. Solo
le diverse prospettive letterarie, musicali e filosofiche ne evidenziano la vera sostanza comune a
tutti gli essere umani, il dualismo che vive in ognuno di noi e che ci porta ad essere,
contemporaneamente, angeli e demoni.
24
Per questo motivo il temperamento spesso eccezionale del baritono è caratterizzato da violenza mista a fascino alle
quali nessuna donna potrebbe resistere. Per un approfondimento vedere WILSON, Glenn, « The personality of opera
singers » in Personality and Individual Differences, vol. 5, 1984, p. 195-201.
25
KIERKEGAARD, Søren, « Il diario del seduttore » in Enten-Eller, Milan, Adelphi, 1978, p. 135.
26
Idem, p. 118.
27
Essendo strettamente legata all’interiorità, la sensualità con le sue caratteristiche indefinite non può non può essere
rappresentata né dalla scultura né dalla pittura, Étant strictement liée à l’intériorité, la sensualité ne peut être représentée
ni par la sculpture ni par la peinture. Ses caractéristiques intimes et indéfinissables ne peuvent être précisément
formalisées. Pour plus de précisions, cf. KIERKEGAARD, Søren, « Il diario del seduttore » in Enten-Eller, Milan,
Adelphi, 1978. Traduit de l’allemand par Alessandro Cortese, p. 118.
Che sia don Giovanni o Casanova, Scarpia o il duca di Mantova, l’attitudine propria del seduttore di
ergersi a personaggio mitico, rivela a che punto, ciò che fa paura abbia origine nella natura
esistenziale dell’uomo. Per tale motivo bisognerebbe sostituire la figura spesso banalizzata del
seduttore con quella di un amante complesso e indefinito che non può essere ridotto a frivolo
collezionista di donne. L’interrogativo con cui il seduttore appare per la prima volta sulla scena
della cultura occidentale, “Chi sono? Un uomo senza nome28 », palesano, al di là di tutto, una chiara
ricerca di se stesso. Una ricerca infinita che, per il suo carattere illimitato, inesauribile e
incommensurabile resterà senza perenne.
28
MOLINA, Tirso, El Burlador de Sevilla, Barcellona, edizione S.L., p. 11