MATCH POINT2005

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MATCH POINT2005
Gloria (2013)
un film di Sebastiàn Lelio
Genere: Drammatico;
Durata: 94';
Interpreti: Paulina Garcìa (Gloria), Sergio
Hernàndez
(Marcial),
(Rodolfo),
Diego
Marcial
Fontecilla
Tagle
(Pedro),
Fabiola Zamora (Ana), Antonia Santa
Marìa (Maria);
Soggetto: Sebastiàn Lelio, Gonzalo
Maza;
Sceneggiatura: Sebastiàn Lelio, Gonzalo
Maza;
Fotografia: Benjamìn Echazarreta;
Montaggio: Soledad Salfate, Sebastiàn
Lelio;
Nazione: Cile, Spagna ;
Produzione: Fabula, Nephilim
Producciones;
Distribuzione: Lucky Red;
Gloria vuole morderla ancora la vita. Gloria, un divorzio alle spalle, sola da più di dieci
anni, non ha intenzione alcuna di mollare. Nonostante età, stato sociale, benessere
economico la invitino a farsi da parte e godersi quanto è riuscita a costruire (o salvare) fino
ad oggi, Gloria, alla soglia dei sessant'anni e con due figli adulti e indipendenti, non crede
che la partita sia ormai conclusa, le traiettorie esistenziali già tracciate, il suo ruolo di
madre e nonna solidamente definito e non smette di rimettersi in gioco come donna non
più asservita a rigide geometrie familiari. Gloria lavora, va a ballare, beve e fuma senza
risparmio, seduce, s'innamora, fa sesso con una vitalità toccante nella sua ordinarietà, non
aliena da asprezze, stanchezze e zone d'ombra (e da una follia vicina di casa). Gloria ha
votato un deciso NO al suo referendum privato sulla rassegnazione. Nel suo comunque
comodo mondo borghese, Gloria è una combattente solitaria e irriducibile: se c'è da
sparare, spara.
Ritratto femminile dall'evocativo titolo cassavetesiano, character study in duttile equilibrio
tra commedia e dramma, l'opera quarta di Sebastián Lelio poggia principalmente, per sua
natura, sulle spalle della strepitosa sfaccettata prova di Paulina García, giustamente
lodata e altrettanto giustamente premiata all'ultima Berlinale con l'Orso d'argento, di fatto
coautrice del film. La macchina da presa, costantemente incollata alla protagonista, ne
registra azioni e reazioni, abbandoni e durezze, slanci e delusioni, con un'empatia che non
è mai scorciatoia assolutoria (Gloria non è necessariamente simpatica) e un'ironia mai
ottundente: il dolore, quello al cuore delle cose, rimane. La semplicità narrativa, che in
alcuni momenti forse costeggia la facilità (la seconda fuga di Rodolfo,
la nottata brava con risveglio stordito sulla spiaggia), rima con acutezza di sguardo, la
musica diegetica (popolare,
sentimentale) punteggia la narrazione come amplificatore emotivo in luogo di spiegazioni
didascaliche. In scena dall'inizio alla fine, Gloria si mette a nudo, anima e corpo (un'anima
acciaccata ma ostinata, un corpo fiero dei segni del tempo), in tenace difesa del suo diritto
alla ricerca del piacere e, perché no, di un nuovo amore. E il personaggio, per pura forza
interpretativa, riesce a smarcarsi da qualsiasi gabbia interpretativa che possa incastrarla in
un significato univoco.
Gloria, ad esempio, non è il Cile. E questo nonostante certi passaggi di sceneggiatura e
alcune dichiarazioni di regia possano suggerire una lettura allegorica di tal fatta. Il passato
è solo un gruppo di foto riguardate con divertita tenerezza mista ad ebbrezza alcolica nel
corso di una cena familiare all'insegna di un'armonia apparentemente ritrovata ma fitta di
tensioni sotterranee e silenziosi imbarazzi (...). Gloria, che aveva circa vent'anni al
momento del golpe del 1973 e che quindi è diventata una donna matura durante la
dittatura, non (si) guarda indietro, passa distratta per strada accanto a un corteo
studentesco (in cui la parte più giovane della nazione reclama giustamente diritti e
attenzione) concentrata solo su di sé e sul suo presente, il glaucoma che le viene
diagnosticato e che potrebbe comportare in un futuro prossimo un restringimento del
campo visivo non la preoccupa: Gloria vuole vedere e vedersi adesso, dietro e al di là di
quegli occhiali grandi che sono al tempo stesso schermo difensivo e lente
d'ingrandimento. La libertà, dalla propria storia, dalle relazioni alle quali comunque tiene
(l'addio difficile alla figlia in aeroporto), è una conquista faticosa che non esclude un certo
grado
di sofferenza, Gloria lo sa. Questo dolore meglio esorcizzarlo in qualche modo, danzando
magari, e sfoggiando spavaldamente tutta la propria bellezza come il pavone nel quale a
un certo punto casualmente s'imbatte. Di nuovo in pista, in un finale che rinnova l'incipit,
sulle note dell'omonima canzone di Tozzi, Gloria balla da sola.
Disperatamente euforica, Gloria canta se stessa.
Michele Favara, Gli Spietati, 25/10/2013