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a.a. 2010/2011
Corso di
URBANISTICA (Edile-Architettura)
MATERIALI PER LE LEZIONI
IV.
LA CITTÀ POST-LIBERALE E I
PIANI MODELLO (PARIGI)
(AGG. 14/10/2010)
LA CITTÀ POST-LIBERALE E I PIANI MODELLO (PARIGI)
7 ottobre 2010
Gli strumenti di controllo e pianificazione urbanistica: il compromesso fra la
proprietà fondiaria e l'interesse generale
da: Paolo Sica "Storia dell'Urbanistica - L'Ottocento Vol. 1° pp. 54-60
La maggioranza delle forze politiche e dei quadri amministrativi considera i modi con i quali
avviene l'urbanizzazione come un processo naturale, inevitabile, sia pure caratterizzato da crescenti dati
conflittuali fra gli interessi delle diverse classi. Soltanto alcune tendenze minoritarie tengono vivo il punto
di vista di una società programmata, e di un parallelo cambiamento di indirizzi che consideri nella loro
unità il modello economico e i modelli di assetto spaziale.
Quando però, soprattutto dopo gli avvenimenti del '48, i governi europei individuano l'urgenza di
definire il quadro istituzionale e operativo nel quale incanalare i maggiori interventi pubblici e privati di
trasformazione delle città, esiste già una traccia e una prassi embrionale da consolidare. Questa prassi si
basa implicitamente su alcuni punti:
un atteggiamento positivistico e tecnicistico, che separa i problemi urbani dal sistema economico
che li produce, considerandoli tutt'al più come difficoltà congiunturali, superabili una a una
attraverso una conoscenza tecnica più approfondita, e la messa a punto di una metodologia di
intervento;
la separazione fra ambito privato e ambito pubblico nella costruzione della città: si tratta di
assicurare da un lato la massima libertà possibile ai processi privati di appropriazione dello spazio,
e dall'altro di garantire all'ente pubblico lo spazio operativo e fisico necessario alla fornitura dei
servizi generali, e in particolare delle reti infrastrutturali urbane, cui l'ente pubblico appare ormai
delegato; fra i due ambiti va perciò ricercato .un rapporto di carattere istituzionale, non organico, di
validità generale e perseguibile in ogni circostanza particolare.
Un aspetto di questo indirizzo è la riproposizione e la ratifica in termini più circostanziati delle leggi
relative all'esproprio per pubblica utilità, in quasi tutti i paesi imposto dalla costruzione del sistema
ferroviario, ma reso adattabile anche al caso di piani urbanistici di tipo diverso. In Belgio, per esempio, si
approva nel 1835, dopo l'indipendenza, una legge sull'esproprio ispirata all'esempio napoleonico (un'altra
legge del '67 per il risanamento delle aree malsane sarà destinata a favorire i grandi lavori di Bruxelles);
in Inghilterra è disponibile dal '45 il Lands Clauses Consolidation Act; in Francia una legge del 1850, che
indica le modalità di esproprio per gli alloggi insalubri, costituirà il punto d'appoggio legale per le
trasformazioni haussmanniane; in Italia una legge di esproprio per piani di ampliamento e di allineamento
delle città, assai vicina a quella francese del 1850, è emanata dalle province sarde nel 1861 e poi
generalizzata nel '65. Nel frattempo il ruolo della proprietà privata viene rivisto al di là di una
composizione episodica dei conflitti con l'interesse pubblico - da un lato liberato delle residue
permanenze di tipo feudale, dove queste esistono, e dall'altro costretto ad accettare un grado minimale
ma generalizzato di socializzazione attraverso il quale si realizza nell'insieme anche un nuovo livello di
valorizzazione della stessa proprietà fondiaria nella costruzione della città.
È comunque soprattutto al livello delle amministrazioni locali che si elaborano via via una serie di
strumenti di controllo che cercano di adattare le istituzioni pubbliche alle condizioni dello sviluppo
industriale e alla dinamica del mercato, al livello di socializzazione, in definitiva, richiesta alla produzione
dalle forze espresse dallo scontro economico e politico.
La codificazione di altezze e distanze fra manufatti e infrastrutture, e di altri parametri edificatori
(regolamento edilizio), la partizione del suolo (lottizzazione), le modalità e le tipologie degli edifici, i tipi e
l'ubicazione delle attrezzature, il modello di piano, la definizione degli usi (zoning), sono alcuni degli
strumenti, fra loro variamente dosati, con i quali si va via via costruendo un bagaglio tecnico-disciplinare
che, sempre a partire dall'ipotesi di una composizione-divisione fra spazio pubblico e spazio privato,
tenderà ad affrontare tematiche settoriali sempre più ampie.
Come si è detto, nella fase d'avvio del fenomeno dell'urbanismo, la maggior parte delle città cresce
senza un ordine preciso, indipendentemente da qualsiasi forma di controllo pubblico, aggregando per
addizione, o incastrando per saturazione, o sostituendo per rifacimenti nuove unità edilizie nei vecchi
tessuti; eccezionale appare lo strumento del piano regolatore, anche parziale, che ricorre solo laddove
emergono motivazioni di carattere rappresentativo. Le modalità che distinguono la crescita nelle prime
fasi di decollo, per aggregazioni atomizzate, e i più consistenti incrementi delle fasi successive, che
accennano a una urbanizzazione «selvaggia» e incontrollabile, mettono in luce una contraddizione
fondamentale fra la proprietà privata dei suoli ci la necessità dell'ente pubblico - via via crescente in
rapporto al livello delle proprie competenze (strade, fognature, gas, trasporti, ecc.) -, di assicurare la
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continuità fisica e operativa, sia pure a posteriori, di una serie di servizi.
Il regolamento edilizio, o la combinazione di regolamento e lottizzazione, è probabilmente la
forma più diffusa e il modo specifico di statuto urbanistico della città ottocentesca. Se la città non
trascende più, come nella città classica, la somma delle sue parti, e se la produzione della città è
organizzata sulla separazione dei vari settori, c'è bisogno di strumenti per quanto possibile agnostici
rispetto alla necessità di un coordinamento delle parti. E infatti è tipico della città capitalistico-industriale
ottocentesca l'adozione di regolamenti generali (regolamenti edilizi) che si applicano a una divisione
geometrica e aprioristica dello spazio territoriale.
La codificazione dei regolamenti edilizi interviene a definire nei loro rapporti le diverse proprietà e
non particolari esigenze degli uomini: la proprietà privata si è sostituita alla persona personalizzandosi,
individualizzandosi nel suo ordine interno ed esterno (quel lotto, quei locali, soggetto e oggetto di
attribuzioni, distanze, altezze, ecc.); e trova limiti di «comportamento» nelle altre proprietà che
costituiscono una difesa e una garanzia della propria utilità e del proprio valore. Per la sua stessa natura
acritica e non qualitativa, il regolamento edilizio è in stretta sintonia con il mercato.
In questo senso si trasforma la stessa normativa più specifica dell'ornato urbano, che prima della
Rivoluzione francese tendeva a garantire la sottomissione del costruttore privato a un disegno generale
delle linee di espansione e di modifica della città, e che è ora intesa soprattutto come garanzia della
proprietà privata e tende a identificarsi, in una mutazione sostanziale anche se in una apparente
continuità dei provvedimenti, con il regolamento edilizio.
Complementare e omologa al regolamento edilizio è l'introduzione della maglia regolare a
scacchiera come modulo preferenziale per l'espansione degli abitati. Il principio della calcolabilità e
razionalità della forma dello spazio urbano, già uno dei temi del razionalismo settecentesco, è ora
impiegato come il più congeniale al mercato. Strutturalmente una divisione del suolo organizzata secondo
i più semplici parametri geometrici di misurabilità lineare e di superficie - lunghezze e angoli a 90° - è
conforme alla necessità della valorizzazione fondiaria, del processo produttivo dell'edificio e della
circolazione dei due beni nel mercato capitalistico. Va quindi eliminata ogni unità organica e pertanto
irrazionale e sono necessari invece elementi generalizzabili per calcoli preventivi. È il prodotto come
merce che prende definitivamente con questo fatto - anche se non solo attraverso questo fatto - il
sopravvento sul valore d'uso. Il processo di costruzione della città è dato da una confluenza, una
coesistenza, raggiunta spesso per fasi successive, di sistemi razionalizzati parziali.
Nella scacchiera ha luogo la massima sistematizzazione «razionale» dello sviluppo, riferibile
astrattamente nella sua universalità a tutti, o quasi tutti, i possibili eventi materiali e funzionali, appunto
scomposti nel tempo, nello spazio, nella gestione. In questo senso la utilizzazione dello spazio delle
sistemazioni ottocentesche è perfettamente in chiave con l'esigenza di sistematicità che la società
industriale cerca di darsi. Il positivismo tratta la città in un linguaggio di volumi e di lunghezze: una
apparente uguaglianza, dove la «diversità» sarà operata in concreto più che dalle peculiarità geometriche
dello spazio fisico anticipate dal piano, dalla figura dello spazio economico.
Gli schemi e i piani di «allineamento» cercano di introdurre gli stessi princìpi di regolarizzazione, di
divisione fra ambito pubblico e ambito privato, di indifferenza della forma rispetto al contenuto, all'interno
delle aree storicamente consolidate.
Con la definizione degli allineamenti interni, degli ampliamenti e della normativa edilizia in un
quadro sufficientemente unitario, le amministrazioni locali procedono alla messa a punto di un «piano
regolatore». Nel piano regolatore è visibile un obiettivo complessivo di occupazione territoriale, e di
definizione di alcune parti, che si specifica, al suo livello minimo, in una rete stradale e in un sistema di
lotti edificabili ed eventualmente nella destinazione di alcune attrezzature (manicomi, carceri, ospedali,
macelli, cimiteri, ecc.). Resta, rispetto a provvedimenti di carattere più limitato, la divisione fra ambito
pubblico e ambito privato, ma si amplia invece il quadro di riferimento orientativo per l'attività fondiaria, in
genere ugualizzando le prospettive della rendita in tutto l'arco possibile dell'espansione.
Il necessario passo successivo è il superamento dell'agnosticismo della ripartizione dello spazio
rispetto alle funzioni interne. La sistemazione puramente geometrica dei terreni non può essere a lungo
andare sufficiente: è lo stesso aumento di scala degli interventi a mettere in crisi il funzionamento iniziale
di questo modello di gestione, perché l'accidentalità degli usi interni ai singoli fatti insediativi, precisati
soltanto dai meccanismi naturali del mercato, si può tradurre in una incompatibilità specifica (sotto il
profilo igienico o ambientale o sociale, e quindi in una minaccia ai valori fondiari di livello superiore)
oppure in una incompatibilità generale, per il cumularsi di tanti effetti collaterali negativi sull'insieme
urbano (come nel caso del traffico).
Un espediente per attenuare questi scompensi è costituito dall'uso della zonizzazione (o zoning,
secondo il termine anglosassone) che introduce un livello di maggiore qualificazione del piano regolatore
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(di allineamento o di ampliamento) relativo alla natura delle destinazioni e della formalizzazione della
città. In pratica lo zoning consiste nel fissare la specializzazione delle funzioni per le varie parti della città
subordinando a questo assetto ritenuto ottimale la concessione alle trasformazioni del suolo; questo
principio può essere integrato da ulteriori precisazioni riferite alla tipologia edilizia e alla sua disposizione
volumetrica e planimetrica (dimensioni dei lotti, numero dei piani o altezza del manufatto, distanze dai
confini, ecc.). Questa procedura ha l'effetto, soprattutto per le parti già configurate del piano, di
proteggere le qualità socioambientali di alcune aree dall'introduzione di strati sociali e funzioni
«inquinanti»; e, soprattutto per le aree di espansione, di diminuire i margini di rischio degli investimenti,
derivanti da un grado troppo alto di indeterminazione dei criteri di sviluppo.
La subordinazione al mercato degli strumenti di controllo urbanistico, frequentissima da un punto di
vista «soggettivo», risulta inevitabile oggettivamente. È una constatazione forse elementare ma che non
sarà inutile esemplificare.
La normativa minimale di controllo, e cioè i regolamenti edilizi, è generalmente impiegata in
funzione esplicita della massima valorizzazione - in un determinato contesto socio-economico - della
rendita fondiaria: mentre, per esempio, vigila entro determinati limiti sui rapporti che regolano
l'apprezzamento corrente, dall'esterno, dell'edificio (altezza massima rispetto alla larghezza stradale), è
invece molto più generosa nei confronti della proprietà privata per quanto sfugge all'osservazione visiva
(uno o più attici arretrati, cortili interni di superficie ridottissima, ecc.). D'altra parte gli effetti di quelle
normative introdotte con lo scopo preciso di assicurare migliori condizioni di abitabilità alle classi a basso
reddito finiscono per ricadere proprio su queste: l'imposizione di minimi standards igienico-ambientali
(ogni stanza con luce diretta, superficie minima dei vani, servizi igienici, ecc.) provoca l'aumento dei
prezzi sul mercato e una fetta della domanda resta tagliata fuori dall'offerta (non a caso le baracche
abusive si sottraggono al regolamento edilizio e nascono come «marginali» al mercato).
Gli stessi piani regolatori sono redatti intravedendo l'interesse generale attraverso la lente del
mercato e delle scelte dell'attività privata. Gran parte dei dibattiti sui piani regolatori fondano le proprie
ragioni sul presunto grado di congruenza delle soluzioni in rapporto alle aspettative e alle richieste della
proprietà fondiaria e dell'investimento edilizio. Le differenze tipologiche imposte, l'identificazione di zone
residenziali diverse derivano spesso da una inconscia o consapevole analisi di mercato, per quanto
sommaria e orientativa: anche se resta un ingrediente consueto dell'ideologia del piano regolatore
l'affermazione della necessità di favorire la contiguità di quartieri socialmente ed economicamente
disuguali, la scelta di qualità diverse è già orientata alla natura differenziata del mercato in rapporto alle
tendenze insediative, e quindi rafforza la segregazione per classi di reddito. Del resto è materia di facile
riscontro che dei piani si attuano soprattutto quelle parti che consentono i più facili profitti: e un piano si
considera «superato» non solo e non tanto per la corrispondenza che viene a mancare fra previsione
strutturale e nuove esigenze prospettate, ma soprattutto quando, pur lontano dal completamento,
comincia a costituire un vincolo per quelle proprietà che ne restano al di fuori e che la domanda ha
portato per la loro posizione a un livello. di valorizzazione che va ratificato da un nuovo strumento
urbanistico ufficiale.
Per queste ragioni i piani regolatori sono considerati generalmente canovacci orientativi, disponibili
ad adattamenti al momento esecutivo diretto: flessibili nei dettagli, anche se con generale impoverimento
del livello delle soluzioni; fissi invece nell'orientamento complessivo dell'assetto generale e del tipo di
sviluppo, che spesso il primo strumento urbanistico successivo alle fasi iniziali della crescita condiziona
per tempi molto lunghi.
La nascente disciplina urbanistica, come vedremo in un capitolo successivo, con le teorizzazioni e i
modelli che matureranno a partire dagli anni Ottanta (1880, n.d.r.), si porrà in gran parte in un'ottica di
razionalizzazione della metropoli industriale. Ma anche gli assai più rudimentali strumenti manualisticoteorici che costituiscono il bagaglio tecnico e ideologico degli operatori della metà del XIX secolo è
singolarmente funzionale alle realtà economiche dominanti. Basti pensare alle prescrizioni correnti per lo
spostamento nella corona suburbana, per motivi di igiene sociale, di alcune delle attività che nella città
preindustriale erano organicamente compenetrate nelle aree centrali (le carceri, i cimiteri) secondo
preoccupazioni già manifestate dai trattatisti settecenteschi, ma che ora coincidono direttamente con
l'esigenza di sbloccare e privatizzare aree divenute assai appetibili. Basta pensare ai criteri di giudizio
relativi alle preesistenze storiche, con il riconoscimento di un valore estetico-culturale ai soli monumenti
d'autore, o isolabili dal tessuto (non però le mura urbane, o le cittadelle difensive); un atteggiamento ch e
se non è di per sé all'origine degli sventramenti e dei risanamenti dei quartieri popolari - indispensabili
meccanismi di appropriazione borghese della città antica -, ne costituisce comunque una importante
copertura culturale.
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Parte 1 - pag. IV-4
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LA CITTÀ POST-LIBERALE E I PIANI MODELLO (PARIGI)
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La città post-liberale
da: Leonardo Benevolo "Storia della città" pp. 765-786
La rivoluzione del 1848 mette in crisi sia i movimenti di sinistra - che hanno tentato di prendere il
potere ma sono stati sconfitti - sia i regimi liberali della prima metà del secolo, che si sono dimostrati
indifesi contro questa minaccia.
Le sinistre perdono la fiducia nelle riforme settoriali - fra cui quelle riguardanti l'ambiente costruito e i socialisti scientifici (Marx ed Engels, che pubblicano il Manifesto del partito comunista nel 1848)
criticano i socialisti della prima metà del secolo - fra cui Owen e Fourier - considerandoli utopisti. Gli
operai devono conquistare il potere e realizzare anzitutto il cambiamento dei rapporti di produzione, che
poi renderà possibili tutti i cambiamenti nei vari settori (è la tesi messa in pratica da Lenin nel 19).
Invece le destre uscite vittoriose dalle lotte del '48 - il regime di Napoleone III in Francia, il regime
di Bismarck in Germania, i nuovi conservatori inglesi guidati da Disraeli - abbandonano la tesi liberale del
non intervento dello Stato nei meccanismi settoriali, e usano i metodi elaborati nella prima metà del
secolo (dai riformatori e dai socialisti utopisti) come strumenti per controllare le trasformazioni in corso.
La borghesia vittoriosa stabilisce così un nuovo modello di città, in cui gli interessi dei vari gruppi
dominanti - imprenditori e proprietari - sono parzialmente coordinati fra loro, e le contraddizioni prodotte
dalla presenza delle classi subalterne sono parzialmente corrette. La libertà completa, concessa alle
iniziative private, è limitata dall'intervento dell'amministrazione - che stabilisce i regolamenti e esegue le
opere pubbliche - ma è garantita chiaramente in questi limiti più ristretti. Dalla città liberale si passa così
alla città post-liberale.
Questo modello ha un successo immediato e durevole: permette di sistemare le grandi città
europee (prima di tutte Parigi), di fondare le città coloniali in ogni parte del mondo, e influenza ancora in
modo determinante l'organizzazione delle città in cui viviamo oggi.
Elenchiamo brevemente i caratteri di questo modello, che possono già esser confrontati con
l'ambiente della città contemporanea.
1) L'amministrazione pubblica e la proprietà immobiliare trovano un accordo: viene riconosciuto lo
spazio di pertinenza dell'una e dell'altra, e viene fissato con precisione il confine fra questi due spazi.
L'amministrazione gestisce uno spazio che è il minimo necessario a far funzionare l'insieme della
città; quello occorrente per la rete dei percorsi (strade, piazze, ferrovie, ecc.) e per la rete degli impianti
(acquedotto, fognatura, poi gas, elettricità, telefono, ecc.). La proprietà gestisce tutto il resto, cioè i terreni
serviti da questa rete di percorsi e di impianti (resi costruibili, cioè urbanizzati). La stessa
amministrazione, se deve realizzare edifici o spazi liberi di interesse pubblico ma posti in alternativa con
gli usi privati (scuole, ospedali, giardini), deve comportarsi come un proprietario in concorrenza con gli
altri. Di qui deriva la distinzione fra servizi primari e secondari.
2) L'utilizzazione dei terreni urbanizzati dipende dai singoli proprietari (privati o pubblici). Su questi
l'amministrazione influisce solo indirettamente, con i regolamenti che limitano le misure degli edifici in
relazione alle misure degli spazi pubblici, e fissano i rapporti fra edifici contigui. I proprietari trattengono
tutto l'aumento di valore prodotto dallo sviluppo della città (la rendita fondiaria urbana), perciò
l'amministrazione non può ricuperare i soldi spesi per costruire i servizi pubblici, ma deve considerarli
pagamenti a fondo perduto, e si trova sempre in deficit.
3) Le linee di confine fra lo spazio pubblico e lo spazio privato - i fronti stradali - bastano a formare
il disegno della città. Gli edifici possono esser costruiti:
- sui fronti stradali. Infatti nel nucleo centrale, dove predominano le funzioni commerciali, la
disposizione più conveniente è la strada-corridoio, canale di traffico e disimpegno dei negozi situati nei
piani bassi. Tutte le altre funzioni (residenze, uffici, ecc., situati nei piani alti) sono costrette in questo
schema fatto apposta per il commercio e il traffico, e subiscono i suoi inconvenienti: la promiscuità, la
mancanza di aria e di luce, i rumori;
- arretrati dai fronti stradali. Questa disposizione permette di sfuggire agli inconvenienti citati, ma fa
diminuire la densità e diventa conveniente solo nella fascia periferica, dove predomina la residenza. Ai
fini della residenza, infatti, i terreni possono essere sfruttati in due modi economicamente quasi
equivalenti: a bassa densità per le case costose (i villini destinati alle classi più agiate) e ad alta densità
per le case più economiche (i fabbricati con molti piani a filo stradale, destinati alle classi più modeste).
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4) La periferia così organizzata fa aumentare il costo degli alloggi, e obbliga a conservare un certo
numero di abitazioni precarie per le classi più povere; tende a diventare compatta, e non lascia pasta per
i manufatti troppo ingombranti a che crescano troppo in fretta (stabilimenti industriali, magazzini, ecc.).
Tutti questi elementi - necessari al funzionamento della città ma incompatibili con il disegno finora
descritto - sono respinti in una terza fascia concentrica, il suburbio, che è un misto di città e campagna e
che è sospinta sempre più lontana man mano che la città cresce.
5) Alcuni difetti più appariscenti della città postliberale - la densità eccessiva al centro, la mancanza
di alloggi a buon mercato - sono alleggeriti da alcuni correttivi: i parchi pubblici (che offrono un campione
artificiale della campagna ormai irraggiungibile) e le «case popolari» costruite col pubblico denaro
(composte di blocchi a filo stradale o di villini arretrati). Ma questi rimedi restano insufficienti; la
congestione e la crisi degli alloggi continuano a peggiorarla.
6) La città post-liberale si contrappone alla città più antica, e tende a distruggerla: interpreta le
strade antiche come strade corridoio, elimina i casi intermedi fra utilizzazione pubblica e privata del suolo,
e soprattutto considera gli edifici come manufatti intercambiabili, cioè permette di demolirli e ricostruirli
(conservando i fronti fabbricabili oppure rettificandoli e spostandoli, per allargare le strade). Ma questa
distruzione è sempre incompleta: si rispettano i monumenti principali, le strade e le piazze più
caratteristiche, perché da queste case dipende in gran parte la qualità formale della nuova città. Gli edifici
antichi chiese, palazzi, ecc. - sono i modelli da cui si ricavano gli stili da usare per le nuove costruzioni, e
sono mantenuti nella città moderna come in un museo all'aperta, al pari dei quadri e delle statue che si
conservano nei veri musei.
La presenza dei monumenti antichi e la stilizzazione dei manufatti moderni non bastano a
compensare del tutta gli squilibri della città. La bruttezza dell'ambiente normale appare irrimediabile;
perciò l'esperienza della bellezza diventa un'esperienza eccezionale, e le opere d'arte sono considerate
una specie separata di manufatti: sono fabbricate e giudicate da persone speciali (gli artisti, i critici
d'arte), sono distribuite in un circuito separato (dai mercanti d'arte ai collezionisti), sono presentate in
locali appositi (le esposizioni, i musei). Infatti nei quadri e nelle statue si concentrano le qualità che
mancano nell'ambiente comune, e si può sperimentare saltuariamente l'armonia che è andata perduta
nello scenario della vita quotidiana.
7) Gli specialisti necessari a far funzionare la città devono accettare un ruolo secondario,
subordinato alla combinazione fra burocrazia e proprietà. Non devono discutere le decisioni già prese,
ma avere la competenza per eseguirle e l'abilità per renderle accettabili.
Perciò si conserva e si accentua la distinzione fra tecnici e artisti, cominciata nel '600. I tecnici
devono studiare col metodo scientifico alcuni problemi particolari e ben circoscritti, ma non i problemi
d'insieme (per esempio il calcolo delle strutture e degli impianti, ma non la distribuzione delle funzioni
nella città e nel territorio). Gli artisti devono accomodare l'aspetto esteriore della città senza discutere la
sua struttura, perché il campo del loro lavoro è considerato «indipendente» e non collegato con le
necessità quotidiane. Le scelte dei tecnici diventano così vincolate e prevedibili, le scelte degli artisti
libere in un campo marginale e non determinante; gli stili ricavati dai monumenti e dalle opere antiche
sono presentati come tante alternative, da prendere e da lasciare per motivi più o meno convincenti, che
non sono mai definitivi e infatti sono ridiscussi continuamente.
Questa separazione fra gli aspetti «tecnici» e «artistici» del lavoro fa decadere l'integrità, e quindi
anche la qualità formale della gran maggioranza degli oggetti d'uso: le «opere d'arte» spiccano come
eccezioni in una massa di oggetti insignificanti e volgari, che le industrie producono in quantità sempre
maggiore. Infatti la fattibilità tecnica, la convenienza economica e la forma esteriore sono state controllate
separatamente, e nessuno ha controllato il prodotto come un tutto unico.
In questa combinazione, gli interessi della proprietà immobiliare - parassitari e contrastanti con gli
interessi del capitale produttivo - sono chiaramente privilegiati. La forma della città è quella che rende
massima la rendita fondiaria urbana, cioè la più ricca di differenze (un centro più denso e una periferia più
rada, divisa in settori di carattere diverso), anche se risulta inefficiente e costosa. Il meccanismo urbano è
sempre congestionato, perché le attrezzature pubbliche - strade, impianti servizi - sono sempre
insufficienti, mentre lo sfruttamento dei terreni privati raggiunge o supera i massimi fissati dai regolamenti.
Ma questi inconvenienti tecnici e economici sono compensati da un vantaggio politico decisivo: infatti le
difficoltà della vita urbana gravano più pesantemente sulle classi più deboli, e la città diventa un grande
apparato discriminante, che conferma il dominio delle classi più forti. Tutta la borghesia ha convenienza a
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privilegiare un suo settore arretrato, per rendere automatico questo apparato: facendo i suoi interessi, la
proprietà immobiliare difende gli interessi generali della classe dominante.
Lo sviluppo di Parigi nel XIX secolo
da: Paolo Sica, “Storia dell’urbanistica. L’Ottocento”, Vol. 1°, p. 177
(…)
Al momento della caduta della monarchia orleanista la struttura urbana di Parigi non si presenta in
fondo troppo diversa, se non per gli ingrandimenti periferici, da quella ereditata dal XVIII secolo e appena
intaccata da Napoleone 1. Nonostante l'opera di Rambuteau, l'unico fatto realmente innovatore è
costituito dalla presenza di nove linee ferroviarie radiali che si attestano sull'arco esterno della città: alla
costruzione della Gare St. Lazare (1842), hanno fatto seguito fra le stazioni più importanti la Gare du
Nord (1843), la Gare de l'Est, la Gare de Lyon e la Gare d'Austerlitz. I nuovi tronchi ferroviari, mentre
fanno già prevedere lo sviluppo di nuclei suburbani (Juvisy, Villeneuve St.-Georges, Noisy-Ie-Sec,
Argenteuil), pongono con forza il problema di un rapporto con la struttura esistente, che solo nel caso
della Gare de Sceaux, di scarsa importanza, e della Gare dell'Ouest, appare assolto in modo
soddisfacente (il taglio della rue de Lyon, deciso nel '47 per collegare la Gare de Lyon con le aree
centrali, costituisce un primo provvedimento in questo senso).
Di fronte alla sostanziale inerzia della struttura urbana sta la forte crescita della popolazione, quasi
raddoppiata dai primi anni della Restaurazione: Parigi è passata dai 714.000 abitanti del 1817 ai 900.000
del 1830, al milione del 1840, fino ai quasi 1.300.000 abitanti del 1848. Nonostante la formazione e
l'ingrandimento di sobborghi come La Chapelle e Villette, Batignolles, Belleville, Ménilmontant, Charonne,
alcuni dei quali contano alcune decine di migliaia di abitanti, la crescita complessiva dell'abitato non è
andata di pari passo con l'aumento della popolazione, e ciò fa supporre una forte degradazione dei
vecchi quartieri, per congestione fisica e assenza di miglioramenti igienico-sanitari.
Premono su questa struttura le trasformazioni funzionali e delle attività. Nelle aree centrali si sono
andate potenziando le istituzioni finanziarie e commerciali, mentre al centro e alla periferia è cresciuto
soprattutto dopo il 1840 l'apparato produttivo, sia pure ancora caratterizzato da una bassa
concentrazione di capitali, dalla presenza di ateliers di tipo artigianale, e dalla prevalenza delle
lavorazioni di prodotti scelti (sartoria e abbigliamento, oggetti di arredo, ceramica) sulle prime industrie
meccaniche.
Questa è nelle sue grandi linee la condizione sociale e urbana che la Repubblica del '48 e il
Secondo Impero di Napoleone In si trovano ad affrontare: uno Stato carico di insufficienze e di
contraddizioni, e carente di programmi, nonostante le speranze aperte dalla monarchia di luglio e
l'animato dibattito che sulla questione urbana parigina hanno saputo provocare le punte più avanzate
della cultura borghese e in particolare, come vedremo, i gruppi sansimoniani.
(…)
The plan of Haussmann
da: Françoise Choay, “The modern city: planning in the 19th century”, p.17
(…)
Even when previous planning attempted to project far into the future, it remained fragmentary and
governed above all by aesthetic considerations. Analysis of the Artists' Plan, worked out in 1793 for the
Convention, shows that planning was done by district. It had essentially two aims: either the dividing up of
property confiscated from the Church with a network of roads suitable for its further development or,
whenever a monument seemed inviting, the creation around it of a formal system of radiating avenues.
Thus, Saint Sulpice, the Observatory and the Vai de Gràce constituted the Left Bank's three aesthetic
poles. The Observatory, for example, gave rise to a star-shaped Baroque project whose only justification
was its perspective effects as it did not actually connect any significant centres of activity. Haussmann
simply disregarded this and focused on a point farther north-the junctions of boulevards Port-Royal and
Montparnasse with the boulevard Saint-Michel. From his point of view the problem of the Left Bank was
both one of unification - to be achieved by opening wide throughways running in both directions-and one
of organic connection to the Right Bank. Consequently, he was to open (among others) the boulevard de
Latour-Maubourg as a continuation of avenue d'Antin, the boulevard Saint-Germain as a line of
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connection between the two key districts of Etoile and Bastille, and boulevard Saint-Michel as a direct
continuation of boulevard Sébastapol.
Lo sviluppo di Parigi nel XIX secolo [Piano di Haussmann]*
da: Paolo Sica, “Storia dell’urbanistica. L’Ottocento”, Vol. 1°, pp. 183-202
(…)
Con la ripresa economica che si verifica nel 1851, Luigi Napoleone si dispone ad attuare le sue
idee per la trasformazione di Parigi. Dieci giorni dopo il colpo di Stato ordina un programma di lavori che
comprende la realizzazione della cintura ferroviaria di collegamento fra i terminali, l'apertura del Carrousel
e il completamento del Louvre, il taglio del boulevard de Strasbourg, l'ampliamento delle Halles, il
prolungamento della Rue de Rivoli. Di fronte alle esitazioni del prefetto della Senna Berger, che si
preoccupa delle forti spese che la città dovrà sostenere, Napoleone chiama al suo posto il barone
Haussmann, già prefetto di una città provinciale. Con queste decisioni, Georges Eugène Haussmann
diviene durante il Secondo Impero l'esecutore di quel rinnovamento di Parigi che fissa un assetto della
struttura e della forma della città destinato a mantenersi stabile per molti decenni a venire.
Nell'accettare il suo incarico, il nuovo prefetto di Parigi rivede immediatamente l'organizzazione
degli uffici, accentuando la centralizzazione del controllo operativo e la suddivisione delle competenze
specifiche. Al suo servizio, esecutori delle sue strategie e dei suoi programmi, non vi sono personalità di
grande rilievo, ma una serie di tecnici specializzati, (Baltard architetto-capo della città; Davioud al servizio
delle fontane; Belgrand alle strade, alle fognature e all'approvvigionamento idrico; Deschamps capo
dell'ufficio di attuazione del piano) pronti a produrre e ad applicare, con abilità e spregiudicato spirito di
adattamento, le soluzioni più opportune in ogni circostanza.
In uno dei suoi primi incontri con Haussmann, Napoleone III presenta al prefetto una pianta di
Parigi con la indicazione del programma di interventi da realizzare. Alle opere già in corso, che
costituiscono ancora provvedimenti autonomi, in risposta a necessità troppo contingenti, Napoleone e
Haussmann contrappongono un piano globale di lunga portata. I cardini del programma, diviso per
tipologie di lavori, comprendono: la realizzazione della «grande croisée de Paris», cioè i due assi nordsud ed est-ovest, in parte già esistenti o previsti, che si incontrano alla place du Chàtelet; il sistema dei
boulevards; il riassetto dei grandi carrefours urbani (EtoiIe, Madeleine, Opera, Alma, Trocadero, ecc.); e
lo sventramento dell'Ile de la Cité. A questa serie di opere che investono il settore edilizio, si aggiunge
un'altra serie di programmi e di provvedimenti: i grandi parchi, la realizzazione di attrezzature; la
ristrutturazione amministrativa (con l'annessione dei comuni esterni che sarà realizzata nel 1859); la
fornitura di alcuni servizi urbani.
I lavori del Secondo Impero non giungono senza precedenti. Fra i modelli cui questi si riferiscono
c'è tutta la tradizione classicheggiante francese e, negli anni più recenti, il Piano degli Artisti del 1793, le
opere intraprese o progettate da Napoleone I e quelle più modeste della Restaurazione e della monarchia
di luglio. Questi modelli non sono rifiutati, ma esaltati a una scala che non solo mette in ombra le
realizzazioni precedenti, ma ne rende le affinità con l'opera di Haussmann del tutto sovrastrutturali.
Nel complesso dei lavori edilizi, il piano di Haussmann si presenta come l'imposizione di una
robusta trama viaria al sistema esistente, con sventramento dei quartieri antichi e isolamento dei
monumenti maggiori, in una «connessione per diradamenti» di alcune strutture focali. Il disegno del
nuovo telaio si presenta come la combinazione di un sistema centripeto (la croisée) e di un anello di
scorrimento (i boulevards) articolati con penetrazioni radiali (essenziale la rue de Turbigo) e con una serie
di interventi localizzati per aree speciali.
La presenza dell'asse est-ovest conferisce una maggiore importanza alle zone in riva destra della
Senna, soprattutto nei nodi di Chatelet-Hotel de Ville, Louvre-Tuilerie, e Halles: e se il tratto nuovo
dell'asse est-ovest può considerarsi un completamento fra la parte già esistente della rue de Rivoli e la
rue St.-Antoine verso est (considerata di larghezza già sufficiente secondo una valutazione dello stesso
Haussmann), decisiva appare invece la scelta di scartare l'allargamento della rue St.-Denis per l'asse
nord-sud, in favore di una parallela, il boulevard Sebastopol, che incide profondamente sugli isolati
esistenti. Complessivamente più organico appare anche tutto l'arco nord dei boulevards, dalla stellare
place du Trone (de la Nation) a est, collegata dal nuovo viale du Prince Eugène all'importantissimo
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congegno della place du Château-d'Eau (de la Republique) dalla quale il boulevard Magenta punta diretto
verso le stazioni del Nord e del Nord-est, fino all'Etoile a ovest, dove Haussmann non si lascia sfuggire il
pretesto dell'esistente arco di trionfo napoleonico, facendone il cardine di un vasto quartiere con dodici
strade che si irradiano dalla piazza, e rinforzando la trionfale rue de l'Impératrice (avenue Foch) a
raccordo con il bois de Boulogne. Sulla rive gauche è l'area a sud della Cité, fra il jardin du Luxembourg e
il jardin des Plantes a essere maggiormente investita dalla ristrutturazione. E tuttavia va detto che
nessuna parte della città è in pratica sottratta a profondi interventi di trasformazione, nel tendenziale
coinvolgimento in un sistema unico. Nel telaio haussmanniano non vi sono più spazi statici: e se, in
omaggio alle teorie prospettiche accademiche, esemplificate a Parigi dal complesso rue RoyaleMadeleine, Haussmann si ingegna a disporre a conclusione degli assi tematici lo sfondo di edifici
monumentali (avenue de l'Opéra-Opéra, boulevard Malesherbes-chiesa di St.-Augustin), è tuttavia la
strada come elemento di circolazione che domina la città, mentre le piazze sono ora piuttosto confluenze
stradali che non luoghi appartati al centro di un quartiere (come l'antica place des Vosges) o comunque
spazi in quiete (come la place Vendome all'epoca della sua costruzione). Ma con il sovvertimento degli
spazi e del «tempo» stesso della città, e il salto strutturale che lo caratterizza, l'impianto conferma la
centralità complessiva dell'organismo urbano e la stessa localizzazione già consolidata della gamma
delle attività direzionali (zona della finanza, Hotel de Ville, Cité, Halles).
Esaminiamo ora le fasi e le parti dell'esecuzione, i maggiori interventi eseguiti nei vari settori
operativi e la partecipazione al rinnovamento di Parigi dell'iniziativa privata, per formulare poi a
conclusione un giudizio complessivo.
Le opere di viabilità, la parte tecnicamente e finanziariamente più onerosa del piano, vengono
divise in tre reseaux, che si rapportano a fasi temporali distinte secondo una priorità strategica: il primo
reseau include gli aspetti più incisivi del programma nelle aree centrali, mentre gli altri due appaiono
meno legati a obiettive necessità funzionali e si riferiscono a interventi più dispersi e meno organici.
Questa gerarchia strategica è riflessa dalla ripartizione degli oneri fra lo Stato e la città di Parigi: il primo
reseau è finanziato in parti uguali dalle due amministrazioni, il secondo è solo per 1/4 a carico dello Stato,
il terzo è a totale carico della città.
Con il nuovo decreto-legge del 1852 che sveltisce le procedure di esproprio delegandole alle
deliberazioni dell'apparato esecutivo, e consente all'amministrazione di assicurarsi le aree di risulta in
margine agli allineamenti di piano, Haussmann riesce a imprimere un impulso eccezionale ai grandi
lavori. Il prefetto si rende conto della necessità di anticipare l'organizzarsi degli interessi fondiari, per far sì
che sia l'amministrazione pubblica a incamerare gli utili derivanti dall'aumento di valore dei terreni
interessati. Fra il '52 e il '58 vengono aperte la rue de Rivoli, la rue Berger, l'avenue Victoria, oltre a tratti
minori. Nel '58 una decisione del Consiglio di Stato sanziona il principio della restituzione ai proprietari
delle aree non utilizzate per le sistemazioni pubbliche, riportando il rapporto fra ente pubblico e privati
assai vicino alla situazione stabilita dalle leggi napoleoniche del 1807: la partita di giro prevista da
Haussmann non può attuarsi e gli aumenti dei costi costringono a dilazionare circa un terzo del
programma oltre i tempi auspicati. Tuttavia fra il '58 e il '70 si aprono il boulevard Sebastopol, la rue
Turbigo, la rue Etienne-Marcel, un breve tratto dell'avenue de l'Opéra verso la place de l'Opéra, la rue
des Halles, parte della rue Réamur, il boulevard St.-Germain, la rue de Rennes. Imponente sarà in
questo settore il bilancio della I gestione di Haussmann in termini quantitativi: 95 chilometri di nuove
strade aperti I nel centro (contro la soppressione di 49 I chilometri) e 70 chilometri nelle zone periferiche
(con la soppressione di 5 chilometri).
L'area più violentemente investita dalla ristrutturazione haussmanniana è la zona centrale, dalle
Halles alla Cité. Alle Halles i lavori riprendono con la revisione dei progetti precedenti: si demoliscono le
opere in corso secondo il primo progetto di Baltard, e lo stesso Baltard redige un secondo progetto,
ispirato alle idee precedenti di Horeau. I lavori compiuti fra il '54 e il '58 interessano più di quattro ettari di
superficie coperta, e i dodici padiglioni del complesso costituiscono una realizzazione tecnica notevole
non solo per le soluzioni strutturali - uno dei primi esempi notevoli in Francia dell'architettura del ferro quanto soprattutto per le attrezzature connesse e l’organizzazione funzionale dell'insieme.
(…)
Prima del Secondo Impero, Parigi è assai povera di spazi verdi e parchi, limitati alla pIace des
Vosges e ai Champs Elysées, oltre ai giardini delle Tuileries, del palais Royal e del Luxembourg, aperti
solo eccezionalmente all'uso pubblico.
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Fra il '54 e il '58, nel quadro dei grandi lavori della capitale, Alphand sistema il bois de Boulogne
alla moda inglese, eliminando l'impostazione per assi rettilinei e intersecando le alberature con più di 70
chilometri di percorsi sinuosi. L'imperatore vorrebbe che il parco fosse attraversata da un canale simile
alla Serpentine di Hyde Park, ma l'altimetria del suolo costringe alla creazione di due laghi a livelli diversi,
insieme a vasche e grotte artificiali; Barillet Deschamps pianta 400.000 alberi e Davioud realizza i
chioschi, i restaurants, le serre, il pattinaggio. Sempre nel '54 si decide la costruzione dell'ippodromo di
Longchamps e nel 1856 si completa l'avenue de l'Imperatrice (ora avenue Foch) larga quasi 140 metri, a
collegamento fra l'Etoile e il nuovo parco.
Al parco del bois de Boulogne, a servizio dei quartieri alti dell'ovest, corrisponde a est il parco
popolare di Vincennes, sistemato dal '58 al '60, una scelta in cui si riflettono il paternalismo e le
preoccupazioni demagogiche di Napoleone per il popolo. Ai due parchi si aggiungono (oltre al parco
Monceau già esistente, ma ridimensionato dal passaggio dei boulevards Malesherbes e Courcelles), i
due parchi delle Buttes-Chaumont verso nord e Montsouris a sud (che abilmente sfruttano e attrezzano
terreni accidentati, poco indicati come aree fabbricabili); mentre una serie di piccoli squares - des Arts et
Métiers, Louvois, de la Trinité, de la Tour St.-Jacques ecc. - sono distribuiti nelle parti interne della città.
Di maggiore impegno tecnico-finanziario è la costruzione del sistema di approvvigionamento idrico
e del sistema fognante. Nel 1860, dopo una approfondita valutazione delle possibilità più interessanti,
Haussmann propone al consiglio municipale la cattura delle acque della Dhuis, affluente della Marna. Tre
anni dopo ha inizio la costruzione dell'acquedotto e nel 1865 l'acqua arriva a Parigi (l'acquedotto, di
sezione ovale, col diametro maggiore di m. 1,80, sviluppa una lunghezza di 140 chilometri, con un gran
numero di ponti e gallerie). Più tardi, nel ‘65, per potenziare la dotazione idrica in vista del fabbisogno
sempre crescente di acqua potabile si decide di sfruttare anche le acque della Vanne. I lavori del nuovo
acquedotto, quasi 190 chilometri di percorso, interrotti dalla guerra franco-prussiana in fase assai
avanzata di realizzazione saranno portati a termine nel '74.
Altrettanto eccezionale è la costruzione del sistema fognante: in pratica quasi ogni strada del
centro viene servita dalla rete minore, mentre un sistema maggiore di undici grandi collettori attraversa
tutta la città, confluendo nel collettore di Asnières, costruito fra il '57 e il '58, che sbocca nella Senna a
valle della città, sfruttando il favorevole andamento del corso fluviale che con un lungo meandro ritorna su
se stesso a nord di Parigi. Il collettore di Asnières, di forma ellittica, ha una larghezza massima di quasi
cinque metri e mezzo e un'altezza di metri 4,30. Anche la riva sinistra della città può essere collegata al
collettore di Asnières con il raccordo di Bosquet nei pressi del ponte dell'Alma e sifonatura sotto la Senna.
Tutti i collettori primari sono percorribili con veicoli a rotaia per la ripulitura, mentre la rete minore è
praticabile da un uomo con carriola. Nella volta resta uno spazio per allagare le condutture dell'acqua
potabile (che in seguito sarà utilizzato anche per i cavi elettrici, per i telefoni, per la posta pneumatica). Le
realizzazioni del sottosuolo di Parigi, rese celebri dai Miserabili di Victor Hugo, sono oggetto di
ammirazione e meta di visite guidate durante la Grande Esposizione del '67.
Nessuna significativa innovazione è invece operata nel sistema dei trasporti pubblici. Per unire i
terminali ferroviari costretti ad arrestarsi ai margini del perimetro edificato, si costruisce una linea anulare
all'interno delle fortificazioni, indispensabile soprattutto per il traffico merci, iniziata nel '51 e completata
nel '67. I collegamenti interni per passeggeri sono invece assicurati da omnibus a cavalli: la Compagnie
Générale des Omnibus, formata nel 1854 dalla fusione di dieci compagnie minori, si limita a introdurre
miglioramenti nelle linee e nel materiale rotabile (veicoli con posti a sedere sul tetto). Resta senza
conseguenze una proposta del '55 per una metropolitana sotterranea.
All'interno il volto della città si rinnova con la costruzione di un gran numero di edifici pubblici e
privati. Si è già detto delle Halles, ma realizzazioni importanti sono anche il nuovo Hòtel-Dieu, la grande
sala di lavoro alla Biblioteca Nazionale, la Galleria Nord al Louvre di Visconti e Lefuel, che conferisce al
complesso l'aspetto di una cittadella chiusa da ogni lato. L'edificio pubblico di maggior prestigio del
Secondo impero è comunque l'Opéra, i cui lavori sono iniziati nel 1861 sui disegni del giovane architetto
Charles Garnier, incaricato in seguito ai risultati di un affollatissimo concorso nazionale indetto dopo la
liquidazione di un primo progetto di Rouhault de Fleury, giudicato inadeguato. Fra le altre attrezzature
pubbliche bisogna ricordare i mercati periferici, i macelli della Villette (completati nel '67), gli ospizi e gli
ospedali nei quartieri esterni, le caserme (Petit Pères, Hotel de Ville, de la Cité, de Celéstins, Mouffetard,
ecc.), i municipi di arrondissement, i nuovi ponti (de l'Alma 1854-57, Solférino 1859, Sully 1869).
Ma l'immagine della città borghese è soprattutto affidata alla presenza di quelle attrezzature che
nascono come conseguenza del processo di concentrazione dei capitali e delle iniziative nel settore
terziario e commerciale, e nell'offerta di consumi di ogni tipo. Sulle nuove strade, o in prossimità delle
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confluenze, si dispongono i grandi magazzini: il Louvre nel 1855 nella rue de Rivoli, la Samaritaine nel
1866 al Pont Neuf, i Magasins Réunis nel 1867 alla place du Chàteau-d'Eau, la Belle Jardinière nel '68 di
fronte alla Samaritaine. Accanto ai grandi magazzini compaiono i primi grandi alberghi, con centinaia di
camere, il Grand Hotel du Louvre nel 1855 a rue de Rivoli, il Grand Hotel verso il '60 a boulevard des
Capucines, l'Hotel Continental dopo il '70 pure a rue de Rivoli. Caffè e restaurants animano i grandi
boulevards, mentre gli edifici delle maggiori banche e delle assicurazioni sanzionano l'ascesa di Parigi a
grande centro finanziario.
Con le attrezzature, la residenza. Nel telaio di rues-corridor impostato da Haussmann, l'edilizia
borghese raggiunge un alto grado di uniformità tipologica e formale, attraverso i vincoli di un regolamento
edilizio assai rigido (ma che interpreta fedelmente le esigenze del mercato) con la costruzione di
innumerevoli di quelle maisons de repport che si sono imposte dalla ripresa edilizia della Restaurazione.
Il modello canonico dell'immeuble de rapport prevede la destinazione a uso commerciale del piano terra e
una stratificazione di sei piani di appartamenti d'affitto, dal mezzanino alla mansarda, dell'altezza minima
consentita dal regolamento, il cui valore economico è fortemente gerarchizzato in rapporto alle
consuetudini e alla comodità dell'uso. I modi stilistici ricorrenti si basano generalmente sull'impiego
dell'intonaco trattato a imitazione della pietra tagliata e scolpita, e su un grado di decorazione e di
raffinatezza proporzionale al valore della localizzazione dell'immobile. All'alta intensità speculativa
corrisponde il basso livello igienico, secondo le norme del regolamento edilizio del 1859.
L'attività prevalente nel settore dell'edilizia residenziale è svolta dalle compagnie immobiliari. Nel
1854 i fratelli Pereire fondano la Compagnie des Immeubles et de l'Hòtel de la rue de Rivoli (poi
Compagnie lmmobilière de Paris) che nel 1867 possiede 102 edifici soltanto nel boulevard du Prince
Eugène. Con gli anni Sessanta l'attività speculativa è in piena corsa e negli assi aperti dalla prefettura
l'investimento per il mercato raggiunge l’80% della produzione edilizia. Il Credit Foncier, fondato nel '52
con lo scopo di sostenere le attività rurali, serve invece soprattutto alle grandi compagnie per attingervi i
capitali da impegnare nelle costruzioni di immobili urbani.
(…)
La grande forza di Haussmann ci appare la capacità di operare intensivamente a larga scala su
una grande città, nel mutato quadro dei rapporti economici liberisti, nel momento in cui la borghesia e il
grande capitale stanno per assumere in pieno il proprio ruolo. In queste condizioni - che spostano
qualitativamente i margini di possibilità dell'urbanista in un momento di rapida crescita
dell'agglomerazione parigina - per Haussmann l'unità operativa è ancora tutta la città (almeno in quei
limiti geografici che discendono da una precisa visione ideologica): non però nel senso, per esempio,
dell'operazione prefigurata all'inizio dell'Ottocento dall'Antolini per Milano, dove l'aggiunta di una parte
urbana di peso e di significato formale fortissimo era intesa a cambiare il senso della città esistente,
ribaltando il rapporto fra preesistenza e intervento; e neppure ricorrendo a quella lievitazione
monumentale dall'interno, rigenerativa del tessuto urbano per punti, cui avevano fatto ricorso tante
proposte neoclassiche, e favorendo il semplice prodursi di condizioni economiche e istituzionali favorevoli
per il capitale privato a uno spontaneo e autonomo rivolgimento del tessuto. L'operazione di Haussmann
ha la pretesa di trattare la città come se questa avesse la plasticità e i limiti di resistenza di un singolo
edificio, facendovi convergere verticalmente un enorme potenziale tecnico-operativo, guidato dall'autorità
pubblica. Di questa operazione, la gabbia del sistema viario è la struttura portante, la cui funzione
primaria è soprattutto quella di definire e servire le parti dell'articolazione direzionale metropolitana (e
nazionale), e la funzione aggiunta è quella di una rivalorizzazione qualitativa dell'intervento privato di
ricomposizione del tessuto e, quindi, attraverso l'offerta residenziale, della stessa presenza della classe
borghese nella nuova Parigi. I monumenti, se conservano ancora un valore di legante simbolico, ottico,
funzionale, hanno soprattutto la funzione di salvaguardare la tradizione estetico-formale costituita, ma
sono subordinati alla combinazione strada-edilizia, che resta il tema fondante dell'operazione. E se sotto
questo profilo l'opera del Secondo Impero chiude un ciclo di interventi iniziati in tempi assai più remoti, dal
punto di vista invece della dinamica che imprime agli interessi privati apre un ciclo nuovo, non ancora
concluso ai nostri giorni.
È da notare subito come nelle soluzioni prospettate e poi attuate da Haussmann si fondono
assieme: in un blocco, più ragioni. Proprio dalla compenetrazione degli aspetti oggettivamente progressivi
di quelle soluzioni con i fini particolari che queste so tendono deriva il fascino particolare di quel modello
per le classi dominanti nell'Europa occidentale. Igiene, traffico, estetica e valori ideologici, fini politici e
polizieschi, promozione economica della proprietà fondi aria e degli impieghi sociali, sono alcuni degli
elementi che sono coinvolti in un processo di rinnovamento che, letto in una più allargata prospettiva
storica, lascia scoprire un piano più profondo sul quale si radicano e inestricabilmente si aggregano le
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motivazioni particolari: il potenziamento, oggettivamente «necessario» e indilazionabile, offerto allo
sviluppo capitalistico, visto come blocco di istituzioni e di apparati, in una delle sue maggiori articolazioni
spaziali, quale è appunto la capitale nazionale.
Questo risultato non è raggiunto senza difficili contrasti, perché implica, almeno come fase di
passaggio, una risocializzazione dei diritti privati sanzionati nel '89 e proprio di recente messi in evidenza
nel loro reale valore all'interno del nuovo sistema capitalistico. Grande interprete dell'ordine dello Stato
borghese, l'abilità di Haussmann è quella di legare fra di loro una pluralità di obiettivi in un progetto unico,
contro il quale le classi popolari non riescono a mobilitare alternative e nel quale, nonostante le
divergenze contingenti, i grandi interessi fondiari finiscono col riconoscersi.
La città post-liberale [Parigi]*
da: L. Benevolo "Storia della città" pp. 787-823
[Parigi]*
Una serie di circostanze favorevoli - i poteri molto estesi dell'imperatore Napoleone IlI, la capacità
del prefetto Haussmann, l'alto livello dei tecnici, l'esistenza di due leggi molto progredite: quella
sull'esproprio del 1840 e quella sanitaria del 1850 - consentono di realizzare un programma urbanistico
coerente in un tempo assai breve: così la nuova Parigi dimostra il successo della gestione post-liberale, e
diventa il modello riconosciuto per tutte le città del mondo, dalla metà dell'800 in poi.
La trasformazione di Parigi comprende:
a) le nuove strade tracciate nell'abitato esistente e nella fascia periferica. La vecchia Parigi - nella
cinta daziaria del 1785 -. comprendeva 384 chilometri di strade; Haussmann apre 95 chilometri di strade
nuove, che tagliano in ogni senso l'organismo medioevale e fanno sparire 50 chilometri di strade antiche.
Questa rete stradale moderna - che comprende i viali barocchi e li inserisce in un insieme coerente - si
prolunga in periferia, dove Haussmann apre altri 70 chilometri di strade;
b) i nuovi servizi primari: l'acquedotto, la fognatura, l'impianto di illuminazione a gas, la rete di
trasporti pubblici con gli omnibus a cavalli;
c) i nuovi servizi secondari: le scuole, gli ospedali, i collegi, le caserme, le prigioni, e soprattutto i
parchi pubblici: il bosco di Boulogne a ovest della città, il bosco di Vincennes a est;
d) la nuova struttura amministrativa della città: la cinta daziaria settecentesca è abolita, e una serie
di comuni periferici sono annessi al Comune di Parigi.
La città di Haussmann cerca di nobilitare il nuovo ambiente urbano con gli strumenti urbanistici
tradizionali: la ricerca della regolarità, la scelta di un edificio monumentale antico o moderno come
fondale di ogni nuova strada, l'obbligo di mantenere uniforme l'architettura delle facciate nelle piazze e
nelle strade più importanti (per esempio la piazza dell'Etoile). Ma l'estensione enorme dei nuovi spazi e il
traffico che li ingombra impediscono di percepirli come ambienti prospettici: i vari spazi perdono la loro
individualità e fluiscono gli uni negli altri; le facciate delle case diventano uno sfondo generico, mentre gli
arredi stradali che si vedono in primo piano - i lumi, le panchine, le edicole, gli alberi - diventano più
importanti; il flusso dei pedoni e dei veicoli, che cambia continuamente, trasforma la città in uno
spettacolo sempre mutevole. È l'ambiente descritto dagli scrittori realisti - Flaubert, Zola - e riprodotto dai
pittori impressionisti, Monet e Pissarro: il volto della metropoli moderna, dove fra milioni di altri uomini
Baudelaire si sente solo; infatti è un meccanismo indifferente, che disimpegna centinaia di migliaia di
ambienti privati, dove possono svolgersi infinite esperienze individuali. Gli ambienti privati e quelli pubblici
- finora sempre legati e compenetrati - nella città borghese diventano contrapposti fra loro: da un lato le
case, i laboratori, gli studi, gli uffici, il più possibile isolati fra loro, dove si può immaginare di penetrare
solo per magia, con l'aiuto di un demonio che scoperchia i tetti (come racconta uno scrittore del tempo);
anche gli spettacoli e le cerimonie collettive acquistano carattere e distinzione in piccoli ambienti chiusi - i
teatri, i «saIoni» - che non hanno nessuna proporzione con la grandezza della città (il nuovo teatro
dell'Opéra di Parigi ha poco più di 2.000 posti, mentre la città ha due milioni di abitanti; fate il confronto
con l'antica Atene, dove quasi tutta la popolazione poteva entrare nel teatro di Dionisio). Dall'altro lato c'è
il «marciapiede», la «pubblica via», dove ognuno si mescola necessariamente con tutti gli altri e non è più
riconosciuto. Tutte le diversità e le eccentricità degli individui e dei gruppi possono esser coltivate nel
labirinto degli ambienti interni, mentre si perdono uscendo per strada, dove una moltitudine di persone si
incontrano e si ignorano fra loro.
La società europea è affascinata e turbata da questo ambiente nuovo, contraddittorio. La tecnica
moderna ha finalmente prodotto una nuova città, ma invece di risolvere gli antichi problemi ne ha aperti
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altri, inaspettati.
La nuova città, per quanto brutta e scomoda, è accettata come modello universale perché non ha
alternative: gli intellettuali rimpiangono la città del passato remoto e i politici rivoluzionari non hanno
interesse a descrivere la città di un futuro lontano. In questo scenario gli elementi della civiltà industriale
finalmente prendono un volto e si possono confrontare fra loro. I nuovi problemi aperti diventano i compiti
da affrontare nel prossimo futuro.
Consideriamo ora le altre città della seconda metà dell'800.
Nessuna città europea è trasformata in modo così completo e coerente come Parigi, e l'organismo
antico determina in larga misura la fisionomia della città moderna: vediamo Vienna, dove il terreno libero
fra la città medioevale e la periferia barocca è urbanizzato dal 1857 in poi; Firenze, che diventa la nuova
capitale d'Italia nel 1864; Barcellona, che è ampliata in base a un progetto del 1859.
Invece le città coloniali possono essere realizzate seguendo rigidamente la nuova prassi
urbanistica (i centri indigeni sono lasciati al margine oppure distrutti, perché sono assolutamente
eterogenei); esse riescono quindi più povere e monotone, ma rivelano più chiaramente il carattere dei
meccanismi importati dall'Europa.
Il modello europeo può essere imposto, verso la fine del secolo, anche alle città americane, dove il
modello tradizionale a scacchiera (descritto nel cap. 9) funziona per tutto l'800 ma le periferie di case
unifamiliari s'ingrandiscono e i centri commerciali si ricostruiscono con crescente velocità. Si progetta di
tagliare la scacchiera con una rete di grandi strade, di inserire i parchi pubblici e di sistemare gli ambienti
centrali come grandi composizioni architettoniche unitarie. Ma si ottengono solo modifiche parziali: la
rigida struttura tradizionale si rivela difficilissima da cambiare.
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