continua - Passionisti

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GIUSEPPE COMPARELLI
I PASSIONISTI
A CECCANO
da 250 anni
1748 - 1998
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GIUSEPPE COMPARELLI
I PASSIONISTI
A CECCANO
da 250 anni
1748 - 1998
Pubblicazione patrocinata dal
COMUNE DI CECCANO
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Nulla osta per la stampa
Napoli, 19 marzo 1998
Padre Giovanni Cipriani
Superiore Provinciale
In copertina: La Badia nel 1944.
Disegno dell'ufficiale tedesco KARL WOLF.
Stampato nel mese di Aprile 1998
presso la Printhouse S.r.l. - Castelliri (Fr) - Tel. (0776) 807334
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Introduzione
Queste pagine raccontano la vita di un insediamento di religiosi, quelli istituiti da S. Paolo della
Croce: l'origine, il consolidamento; le lotte, meglio
dire le sofferenze, per non soccombere, gli avanzamenti nelle strutture e nelle attività. E poi il rapporto col territorio, le ragioni di un'intesa affettuosa
e di una venerazione costante nel tempo,fino ad essere riferimento anche civile d'identità.
Il discorso trascura i dettagli, ma indugia dove è
più significativo il confronto con le stagioni storiche
e i grandi eventi che in quest'angolo di terra sembra
abbiano voluto sostare con moventi insospettati e
tutti da ricondurre al convento come approdo accogliente, come rifugio, come presidio spirituale, al
punto da far concludere che la Badia non solo è la
casa dei Passionisti, ma un monumento della storia
di Ceccano.
L'attenzione del lettore è portata intorno agli avvenimenti che riguardano la comunità e la sede, sia
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in ordine alle grandi esperienze storiche, anche nazionali, sia in ordine alla vita ecclesiale. Spesso si
fanno affiorare nomi "grandi" per le tracce lasciate
nelle coscienza e nei documenti. Solo per poco il
lettore è condotto dentro le i tra del convento, a vedere come trascorrevano la giornata uomini che
avevano lasciato il mondo, come allora si diceva,
per servire Dio e I fratelli e spesso venivano ricondotti dalle vicende comuni a condividere con la gente tragedie e speranze.
Il taglio agile e rapido voluto per il volumetto non
gradiva apparati bibliografici e note di riscontro,
trovandoci davanti a un argomento di facile collocazione per chi conosce la storiografia passionista.
Tutto è ricavato da fonti edite o d'archivio di disponibile accesso.
I Passionisti in queste pagine scorgono la tenuta
storica della propria formula di vita, onorata da una
fedeltà spesso eroica. I ceccanesi vi possono vedere, in una prospettiva inusuale per la storiografia
laica, il ritratto mobile di un popolo che in ore decisive porta allo scoperto la sua verità, spesso latente,
col fiuto istintivo degli appuntamenti storici.
Ora, a 250 anni dall' impresa di S. Paolo della
Croce, molto alla Badia ha mutato aspetto, dopo
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che il Concilio ha messo le case religiose a più vivo
contatto con la società e con le sue varie domande.
Ma quell'eredità è integra e chiede di essere tradotta con reinvetata fedeltà, anche oggi.
Il Beato Grimoaldo Santamaria afferma sul posto
questa possibilità e questa continuità per i Passionisti e per i ceccanesi.
Ci auguriamo che questa rivisitazione storica delle
nostre memorie, patrimonio vivo della nostra comune identità, produca ragioni sempre nuove di
proseguire, in comunione di intenti, il servizio all'uomo e ai suoi valori di sempre.
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Ceccano
Ceccano è uno dei più grossi centri della provincia di
Frosinone e confina col capoluogo con i suoi 22.000
abitanti. Nell'antichità romana era chiamata Fabrateria
Vetus. Al tempo dell'impero si popolò di ville come
fanno fede iscrizioni e resti affiorati particolarmente dov'è oggi il Santuario di S. Maria a Fiume che sorse su
un tempio in onore di Galeria Faustina, moglie dell'imperatore Antonino Pio. Recentemente, in località Le
Cocce, sono venuti alla luce interessanti resti di un
complesso termale.
Durante il medio evo Ceccano, come altri centri, fu
contesa tra casate rivali, potenti fino al punto di opporsi
al Papa, come nel conflitto con Bonifacio VIII, quando
alcuni signori di Ceccano aiutarono Sciarra Colonna
nella sollevazione contro il Pontefice. Nei secoli successivi questo fatto triste rimase nella memoria storica
dei ceccanesi che ne facevano la spiegazione delle loro
disgrazie.
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Il rammarico era ancora vivo nel '700, tanto che decisero di rimuovere definitivamente quel peso di colpa
chiedendo a Benedetto XIV l'assoluzione dal delitto
degli antenati. Il Papa delegò il Vescovo Ferentino e
questi incaricò il celebre P. Tommaso Struzzieri, compagno di S. Paolo della Croce. Egli diede ai ceccanesi
l'assoluzione e benedizione papale dopo un triduo di
predicazione penitenziale. Tutto questo nel maggio del
1751.
Il lungo periodo feudale dei colonnesi, che era seguito
nel '400 a quello dei Conti, terminò nel 1816, con la
soppressione dei feudi dopo il ciclone napoleonico. Poi
con le invasioni risorgimentali Ceccano, come gli altri
centri laziali entrò a far parte del nuovo Regno d'Italia,
dopo essere stata per secoli nello Stato Pontificio.
Con questo la sua struttura urbana e la sua economia
non mutarono gran che. Bisognerà attendere il secondo
dopo-guerra per notare a Ceccano incremento urbanistico e demografico, connesso a graduali insediamenti
industriali.
Anche la sua posizione ecclesiastica - per secoli nella
diocesi di Ferentino - è passata dalla sola parrocchia di
S. Giovanni Battista, fino al 1780, alle attuali cinque
parrocchie, aggiungendo S. Nicola, S. Pietro, S. Maria
a Fiume e la Badia. Ceccano ha dato i natali a grandi
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uomini di Chiesa, come il cardinale Gizzi, Segretario di
Stato di Pio IX, il Card. Berardi; ma era ceccanese
adottivo anche il celebre Card. Antonelli. Ceccanesi
erano Mons. Ambrosi, Vescovo di Priverno, e Mons.
Bovieri, Vescovo di Montefiascone.
Inoltre tanti sacerdoti, diocesani e religiosi hanno onorato e consolidato il patrimonio di fede di Ceccano. Tra
essi ricordiamo qui, per ora, il cappuccino P. Francesco
da Ceccano che nel 1757 a Roma, diede alle stampe un
libro di "Discorsi" edificanti.
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La Badia
Distante 3 km da Ceccano, verso il tratto sud dei Lepini, la contrada detta Badia ha preso il nome dalla presenza dei Benedettini e dalla pertinenza a Montecassino, senza che sia stata un'Abbazia vera e propria.
Questo insediamento, probabilmente grancia, risulta
documentato già nel secolo XII e consisteva in un fabbricato costituito da una cappella, dall'abitazione dei
monaci, che custodivano e curavano i terreni, e da
strutture rurali. Tutto era guidato sul posto da un "proposito" nominato dall'Abate di Montecassino.
Fin dai primi documenti il titolo risulta: S. Maria di
Corniano e si rifà a una tradizione secondo cui la Madonna sarebbe apparsa a un pastore su un corniolo.
Siamo dopo i saccheggi saraceni nel secolo X e il fatto
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dà vita a un luogo e un'attività di culto. Nel secolo XIII
la struttura esistente è chiamata anche "Monastero" nei
documenti. Nel secolo successivo viene dettagliatamente redatto l'inventario dei suoi beni: terreni, fabbricati e
arredi liturgici. Il documento in questione è nell'Archivio
di Montecassino. In un testo relativo al 1419 S. Maria
di Corniano (qui detta anche "Abbazia") viene per la
prima volta associata alla mensa vescovile di Ferentino
per disposizione di Martino V, posizione giuridicopatrimoniale che sembra aver avuto definitiva stabilità in
epoca successiva.
Tale era, comunque, quando Mons. Borgia, vescovo di
Ferentino, nel 1747 dispose le cose perché S. Paolo
della Croce, suo grande amico, cambiasse il corso storico alla Badia.
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San Paolo della Croce
Nel 1747 Ceccano, tremila abitanti, aveva ancora una
sola parrocchia, affidata al solo vecchio Don Flaminio
Giorgi. Più volte si era pensato a qualche comunità religiosa; nel 1736 si trattò con i Cappuccini, ma non si
concluse nulla, data la vicinanza di centri con sedi di ordini mendicanti. Nel 1745 si mossero i missionari apostolici Gaetano Giannini e Tommaso Struzzieri interponendo l'influente Don Domenico Girolami di Anticoli
(oggi Fiuggi). Questi tre erano amici di S. Paolo della
Croce e chiesero per Ceccano una comunità di Passionisti. Quello stesso anno, 1745, soggiogato dalla figura
del Santo, Tommaso Struzzieri divenne passionista.
Il 4 giugno 1747 si convocò il Consiglio generale dei
Trenta cui parteciparono rappresentanti delle prime fa-
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miglie di Ceccano, nomi che poi saranno amici e benefattori di S. Paolo.
Tra gli altri: Angeletti, Marella, Bovieri, Gizzi, ecc. C'era anche l'uditore generale dello Stato dott. Giuliano
Sparziani. Il Sindaco A. Cerroni tenne un vibrante discorso in cui si faceva l'elogio dei Passionisti e si desiderava la presenza di S. Paolo a Ceccano. Si confidava nell' appoggio del Vescovo di Ferentino (che era già
scontato) e si indicava il luogo della Badia come possibile sede della nuova comunità religiosa. Tutti i consiglieri approvarono la risoluzione del Sindaco Cerroni e
si nominò una deputazione che trattasse col vescovo
Borgia a Ferentino. Andarono Don Pompeo Angeletti,
Abate di S. Maria a Fiume, e il parroco Giorgi. Il Vescovo si disse pienamente d'accordo, anzi scrisse ai superiori dei Minori riformati di Pofi e Vallecorsa per prevenire opposizioni.
Le risposte furono favorevoli. Si chiese e si ottenne il
consenso del principe Colonna. Ma ci voleva anche
l'autorizzazione della Congregazione del Buon Governo
perché la Badia apparteneva alla "mensa vescovile". La
Congregazione avrebbe acconsentito "solo a condizione
di una permuta di terreno equivalente". L'Abate Angeletti generosamente offrì un terreno confinante con quello della mensa vescovile. Il resto delle pratiche e degli
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obblighi lo afffrontò il Consiglio di Ceccano per evitare
ogni svantaggio alla proprietà diocesana. Tutto ebbe
esito positivo e fu informato S. Paolo. Il Vescovo aveva
chiesto una missione da tenere prima dell'apertura della
sede ed era in pieno consenso con Paolo sulla presenza
e sulla fisionomia della Congregazione in diocesi, anzi
era impaziente di avviarla.
Chi coordinava tutto sul posto era P. Tommaso Struzzieri che sarà il braccio destro di Paolo nelle fondazioni
in Marittima e Campagna. Per questo merita di essere
meglio conosciuto. Nacque a Senigallia nel 1706, studiò al Collegio Nazareno di Roma, fu ordinato in S.
Pietro da Benedetto XIII nel 1729. Al tempo dei fatti
che narriamo è già entrato tra i Passionisti dopo aver
conosciuto il Fondatore di cui sarà un infaticabile collaboratore. Sarà Superiore provinciale per le comunità a
sud di Roma; Non fu solo missionario e uomo di governo, scrisse di argomenti giuridici e liturgici. Sarà ordinato Vescovo nel 1764. Inviato in Corsica dalla S. Sede
con incarichi di pacificazione, vi fu nominato Visitatore
apostolico. Vescovo residenziale prima ad Amelia nel
1770, poi a Todi nel 1775 fino alla morte, 1780.
Torniamo a Ceccano. P. Tommaso è già in zona e,
mentre segue le trattative per la fondazione alla Badia,
attendendo da Roma l'autorizzazione per la permuta,
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predica le missioni a Villa S. Stefano e ad Amaseno, località vicine a Ceccano. Ha come compagno P. Antonio Danei, fratello del Fondatore. Intanto si tiene in
contatto con Mons. Borgia al quale consegna copia
delle Regole passioniste. S. Paolo della Croce, che è
impegnato in attività apostoliche nel viterbese, segue attraverso corrispondenza le premure del Borgia e i passi
compiuti da P. Struzzieri e dagli amministratori di Ceccano.
Il documento di cessione della mensa vescovile si firmò a Ferentino il 18 dicembre 174 presenti il P. Tommaso e P. Antonio Danei per la Congregazione; il vescovo Mons. Borgia con i canonici Giuseppe Collalti e
Magno Maura per la diocesi; Cesare Pinelli e i procuratori della Comunità di Ceccano D. Antonio Masi e Gaspare Marella. Notai furono: Simone Giovannoni di
Ferentino e Giovanni Marcelli di Ceccano.
Il giorno dopo in casa Angeletti, a Ceccano, P. Tommaso e P. Antonio incontrarono il dott. Sparziani, Domenico Antonio Cerroni, Salvatore Di Tullio e il Sindaco Marcantonio Malizia per sottoscrivere il documento
della donazione della proprietà vescovile con la condizione, per i Passionisti, di "degnarsi assistere questo
popolo ed istradarlo nella via della salute, a maggior
gloria di Dio e a profitto spirituale delle anime". La
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stessa data del 19 dicembre porta il rescritto di Mons.
Borgia che finalmente poteva firmare l'autorizzazione
canonica alla nuova sede. Il Vescovo, oltre a questo
necessario consenso, donò arredi per la chiesa.
Il 21 dicembre lo Struzzieri prendeva possesso della
Badia in forma privata con l'atto notarile firmato dal notaio Marcelli. Per il possesso pubblico ed ufficiale si
aspettava S. Paolo.
Chiusa la fase legale della fondazione cominciavano i
problemi del fabbricato. I locali erano inabitabili per
l'angustia dei vani e per lo stato di abbandono. Si
iniziarono i lavori di adattamento, mentre P. Tommaso e
P. Antonio si trattenevano all'eremo di S. Biagio presso
Giuliano, vicino Ceccano. Scrivendo al Borgia per il
Natale, Paolo si diceva in attesa di ricevere il segnale di
partenza per l'apertura ufficiale.
Il Vescovo affrettava i tempi da parte sua, ma Struzzieri avvertiva il Santo e il Vescovo che non si poteva
essere sul posto se non dopo il 13 gennaio 1748. Il
problema principale sembrava la copertura del fabbricato. Il Fondatore, intanto, con i confratelli destinati a
costituire la nuova comunità già era in viaggio dal convento di S. Eutizio presso Viterbo, seguendo l'itinerario:
Civita Castellana, Monterotondo, Tivoli, Paliano (dove
già si pensava a una nuova fondazione), Anagni, Feren-
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tino. P. Tommaso pregava il Borgia di trattenere il Santo, che il 10 gennaio era a Paliano, in modo da farlo
pernottare la sera del 13 a Ceccano in casa Angeletti,
l'odierno palazzo comunale. Intanto i ceccanesi: clero,
popolo e amministratori erano in ansiosa attesa non solo
dei nuovi religiosi, ma soprattutto di S. Paolo della Croce, ormai noto anche nelle province di Marittima e
Campagna. Il gruppo degli otto confratelli, compreso il
Santo, superò a piedi una distanza di oltre cento km,
spesso sotto l'acqua e con la temperatura di gennaio.
Dove sostavano pregavano come se fossero in convento. Paolo, a 54 anni, era il più anziano del drappello,
già acciaccato dalle malattie.
Quando la sera dell'11 gennaio Mons. Borgia vide
Paolo e i compagni ebbe un'incontenibile soddisfazione
e scrisse allo Struzzieri: "ho avuto la sorte di baciare la
mano del Rev.mo P. Paolo".
Il giorno dopo prendono la via della Tomacella" tra
Ferentino e Ceccano, fanno un giorno di sosta presso
don Giuseppe Blasi, avvisato dal Vescovo. Ma già arrivano i ceccanesi a ossequiare Paolo marciando per le
campagne fangose a gruppi sparsi. Il Fondatore rimane
commosso e scrive tutta la sua ammirazione per questa
accoglienza, al Girolami e al Giannini.
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Sabato 13 gennaio si giunge a Ceccano. Il vescovo li
ha preceduti. Clero e popolo accolgono con esultanza
Paolo e i suoi compagni alla "Madonna del Loco" dove
l'arciprete Flaminio Giorgi pronunzia un discorso di
benvenuto a nome dei ceccanesi. Sono presenti anche
P. Tommaso e P. Antonio, fratello del Santo.
Dopo un rito religioso in chiesa concludono la giornata
in casa Angeletti dove l'abate don Pompeo è da giorni a
letto senza potersi nutrire e senza possibilità di movimento. Paolo lo guarisce con una benedizione, non può
mancare allo storico avvenimento del giorno dopo.
La mattina seguente si formò il corteo da Ceccano alla
Badia, quattro chilometri con la neve. Avanti andavano
le confraternita locali, poi il clero, quindi il Santo con la
croce, seguivano gli altri nove religiosi, il Vescovo Borgia con l'abate Angeletti, ritornato in forma, e quasi tutto
il popolo di Ceccano. Quando si fu alla località "Due
Cone", da cui cominciava il pendio verso la Badia, Paolo intravide lontano la nuova sede e ne ebbe una brutta
impressione.
Giunto sul posto e visto lo stato pietoso del fabbricato
fu quasi sul punto di tornarsene con i confratelli pensando a qualche devoto inganno.
L'abbondante carteggio, oggi a disposizione, tra il
Fondatore e Mons. Borgia, fa capire che qualcosa non
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funzionò sul ritmo dei programmi e soprattutto dei preparativi per lo stabile. Era giustificabile la zelante impazienza del Vescovo che temeva qualche passo dei contrari, ma non si tenne sufficientemente conto dello stato
dei locali del tutto inagibili.
Il timore del Borgia era fondato: infatti quella mattina
era presente alla cerimonia anche un tale che portava un
Prescritto d'inibizione" che avrebbe dovuto leggere al
momento opportuno per annullare l'impresa, ma, inspiegabilmente, il documento non si trovò durante il rito, fu
rinvenuto troppo tardi.
Vescovo e autorità ceccanesi supplicarono Paolo a
rimanere e promisero che avrebbero presto accomodato le cose. Il Santo disse che avrebbe atteso illuminazioni da Dio durante la messa. Fu visto piangere. Poi si
rivolse a popolo dicendosi contento di quella fondazione. Alcuni giorni dopo scrisse al suo fidato P. Fulgenzio
Pastorelli che era all'Argentario: "qui sono seguiti eventi
prodigiosi".
Nonostante i disagi si cominciò la vita monastica e
l'attività pastorale. Il Vescovo tornò alla Badia, due
giorni dopo quello storico 14 gennaio, a parlare col
Santo, gli portò una somma di denaro per i lavori, per
i libri, alimenti ed altro. Paolo tenne un corso di predicazione a Ceccano centro. Poi non poté più tratte-
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nersi contrariamente ai desideri di tutti. Doveva recarsi
a Roma per impegni connessi ad altre fondazioni. Il
10 febbraio passò per Ferentino, ospite di Mons.
Borgia. Il giorno successivo, dopo aver salutato l'uditore Sparziani e Gaspare Marella prese il calesse per
Roma preparato dalla solita, accorta premura del Vescovo.
S. Paolo tornerà altre volte a Ceccano e alla Badia,
sia per seguire i primi passi della nuova fondazione sia
per ragioni di apostolato in zona, come nella missione
di Ferentino del 1751 e quelle successive in territorio
diocesano fino al 1753.
Ma rimase per sempre scolpita nella memoria dei
ceccanesi la visita del Santo nel 1767. Sentendosi
mancare le forze il Fondatore decise di incontrare per
l'ultima volta i suoi confratelli e i benefattori della Congregazione con un viaggio che fu un lungo abbraccio di
popolo. Il Santo aveva trascorso l'inverno a Terracina
dopo essere partito da Vetralla nel novembre del 1766.
Cominciò da Fondi, poi Lenola, S. Sosio di Falvaterra,
Ceprano, Frosinone: dovunque folle ad attenderlo e gara di amici e benefattori per ospitarlo.
A Ceccano il Santo giunge il 10 aprile 1767; c'è una
folla incontenibile ad attenderlo. Nella ressa Paolo rimane tagliato fuori dai confratelli del seguito, tanto è co-
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rale il tentativo di tutti di toccare il Santo o vederlo da
vicino. Ludovico Marella fa giungere il Fondatore in
portantina alla Badia. Paolo vi si trattiene per la settimana santa. La domenica delle palme tutti vogliono la
palma benedetta dalle mani del Santo. Nei giorni seguenti le richieste di vederlo e toccarlo sono tante che si
deve provvedere a portarlo in chiesa, costretto a una
sedia per le sue infermità articolari, perché possa salutare e benedire tutti.
Intanto in comunità compie gli adempimenti della visita
pastorale: allocuzioni ai confratelli, informazioni, programmi ecc. La sera del 21 aprile dopo aver affrontato
con nuova commozione la folla dei ceccanesi, Paolo è a
Frosinone, ospite di casa Pesci, il giorno dopo prosegue per Ferentino, accolto dal Vescovo Tosi, successore del suo carissimo ammiratore Mons. Borgia. Poi
Anagni, Paliano, Genazzano, Palestrina, Rocca di Papa
e Roma, sempre tra affettuosi abbracci di popolo.
Non terminò quel 1767 il contatto dei ceccanesi col
Santo. I documenti ci dicono che nel Giubileo del 1775
un folto gruppo di ceccanesi andò a Roma per lucrare
le indulgenze. Scelsero di passare la notte alla piazza
dei SS. Giovanni e Paolo, dove S. Paolo della Croce,
infermo a letto, era agli ultimi giorni di vita. La finestra
della sua stanza dava sulla piazza e, sentendo la folla,
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disse al fratello infermiere di informarsi. Seppe che erano di Ceccano e chiedevano acqua. Il Santo diede ordine di portare acqua e viveri con scorta per la nottata,
anzi fece aprire le cancellate del portico per farli dormire al coperto. Poi disse, quasi con invidia "questi sì che
prendono il Giubileo". In seguito chiese più d'una volta
all'infermiere come stavano quei ceccanesi e se avessero bisogno di qualcosa. Gentili premure che sono l'umanità di un santo e fanno la santità di un uomo.
Nel 1776, l'anno dopo la morte del Santo, un pubblico attestato davanti al Notaio Giovanni Andrea Marella
documentava la venerazione dei ceccanesi per la santità
e i prodigi attribuiti al Fondatore della Badia. Le firme
iniziano dall'Arciprete Vincenzo Gizzi e proseguono con
cognomi che spesso si ripetono e sono: Liburdi, Carlini,
Malizia, Faraone, Bragaglia, Diana, Egidi, Latini, Masi,
Marella, Colantonio, Bononome, Bovieri, Marcelli, Leo, Bucciarelli, Giorgi, Donaggi, Cizzi, Alfieri, Colapietro. Il tutto controfirmato dagli "Officiali dell'ill.ma
Com.tà di Ceccano "Nicola Pizzarda e Giovanni Faraone, oltre che dal Sindaco Gaetano Colantoni e dal Segretario Marella.
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Nella bufera del 1798
Dopo cinquant'anni dalla sua fondazione trascorsi in
serena operosità, la Badia nel 1798 conobbe sofferenze
e persecuzioni tali da rischiare la chiusura e l'abbandono. Tutto cominciò quando la rivoluzione francese giunse in Italia con programmi anticlericali.
Quando la convocazione degli Stati generali in Francia, nel 1789, si trovò davanti ad un enorme deficit finanziario provocò le prime disposizioni di
incameramento dei beni ecclesiastici. Ma quello che
oppose Chiesa e Rivoluzione venne dopo, quando fu
promulgata la Costituzione civile, che già era una rottura
con Roma, e poi si pretese dal clero un giuramento che
offendeva la libertà di coscienza con contenuti ostili alla
religione.
Pio VI condannò questa incongruenza grave e vessatoria, lontana dalle decantate libertà. Venne la persecuzione: oltre 30mila sacerdoti fuggirono dalla Francia, al-
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tri si adattarono. Poi si giunse al colmo togliendo il culto a Dio e offrendolo alla "Dea Ragione" nel 1793.
Provocazioni per poter mettere le mani su tutto, anche
sulla vita dei dissidenti, cronaca annunciata di tutte le rivoluzioni. Pio VI fu offeso ed esiliato, lo Stato Pontificio occupato, somme ingenti furono pretese dai francesi
insieme a numerose opere d'arte, uscite per sempre dall'Italia.
Nel febbraio del 1798 il Direttorio fece occupare Roma
proclamando la Repubblica.
A Ceccano i pochi capi repubblicani, contrariamente ai
desideri dei cittadini e senza alcun pretesto, decisero di
appropriarsi del fabbricato e del terreno della Badia disperdendo i religiosi. A tutto questo si aggiunse la cruda
faccenda del giuramento: i Padri della Badia si rifiutarono per coerenza con la loro fede, non tanto per formule
politiche, infatti non mancavano, anche a Ceccano, sacerdoti di convinzioni repubblicane. Le ritorsioni non
tardarono: proibizione di predicare, confisca dei beni,
espulsione dei religiosi non nativi dello Stato Pontificio
(Piemonte, Toscana, Napoli). Qui si fece avanti Antonio Colacicchi di Anagni, autorevole repubblicano, per
scongiurare la partenza dei religiosi. E, quanto alla proprietà dell'immobile, il repubblicano Stanislao Angeletti
a Ceccano fece capire con diffida al suo partito che per
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ragioni di eredità sarebbe rientrato in possesso del terreno servito per la permuta del 1747.
Ma non era solo il boccone della proprietà e del convento che solleticava i capi repubblicani, era anche l'intento di spegnere un presidio di libertà e di assistenza
spirituale: molti andavano alla Badia per consiglio e illuminazione interiore in quel trambusto di avvenimenti e
bruschi schieramenti.
Non finiva qui la carità dei Passionisti, né l'anima contraddittoria di una rivoluzione pensata a Parigi e tradotta
nei nostri intrighi paesani: la Badia divenne anche rifugio
di repubblicani quando questi, dopo le malversazioni
compiute col favore del regime, provocarono la reazione dei contrari, piuttosto numerosi, che si organizzarono
e diedero loro la caccia. Ecco come i Passionisti protessero i 1oro persecutori: erano frequenti alla Badia incursioni di antirepubblicani che chiedevano ai religiosi di
consegnare i repubblicani rifugiati. Una domenica, dicono le cronache, giunse alla Badia un drappello armato
per catturare i "patrioti", anche così erano chiamati, ed
erano di Ceccano, Ferentino e altri centri. I religiosi riuscirono a calmare gli animi, ma venne subito dopo un'altra spedizione antirepubblicana e pretese che i Padri
andassero a Ceccano per il "Te Deum" alla Collegiata
di S. Giovanni Battista. Allora questo inno sacro era
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usato da re e capi militari più come canto di vittoria sul
nemico che come preghiera liturgica. Questa presenza
dei religiosi, anche se forzata, fu provvidenziale per altri
quattro repubblicani che vi si erano rifugiati, perché, subito dopo la funzione, entrarono i contrari per catturarli.
Il popolo che riempiva la chiesa, anche proprio malgrado, non agevolò l'impresa. Nella confusione che si creò
ebbero la meglio clero locale e religiosi che rabbonirono
gli armati.
Poi ci fu l'ordine di snodare la processione, sempre sotto scorta armata, per piantare la croce dove a Ceccano
era stato collocato "l'albero della libertà", simbolo come
altrove, più di retoriche intenzioni che di civili conquiste.
L'Arciprete D. Bartolomeo Carlini portò la croce sulle
spalle. Sul posto P. Giacomo Sperandio, Superiore
provinciale dei Passionisti, pregato dai presenti, tenne
un vibrante discorso invitando tutti alla concordia e alla
pace. P. Sperandio era pratico di situazioni d'emergenza. Era stato 7 anni in Bulgaria, nella prima spedizione
missionaria passionista, travestito da mercante tedesco,
per sfuggire alle minacce dei turchi. Era tornato in Italia
nel 1788 per la guerra tra Austria e Turchia. I quattro
repubblicani, protetti dai religiosi e dal clero ceccanese
(ironia delle cose!) furono lasciati liberi, dopo aver chiesto perdono. Il capo dei repubblicani fu portato dai re-
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ligiosi in casa Angeletti e curato. Il fatto si riseppe e il
Generale del milizie che era ad Anagni mandò a ringraziare i Passionisti per aver salvato i "patrioti". Caso
analogo a Ferentino dove un religioso laico della Badia
salvò la famiglia Cappella, benefattori di schieramento
repubblicano, da un'incursione armata avversaria, rischiando la vita. Ma non appena si calmarono le acque i
quattro che erano stati protetti, a dispetto dei soccorsi
avuti, tornarono all'attacco, decisi a impossessarsi della
Badia e cacciare i Passionisti. Si presentarono a Frosinone al Capitano francese con un falso documento che
ordinava da parte del governo repubblicano la soppressione del convento e l'allontanamento dei religiosi. Il
capitano abboccò ingenuamente e si portò alla Badia
proprio con loro e con alcuni militari chiedendo ai Passionisti di abbandonare la sede entro tre ore. Poi nella
cortese conversazione che seguì coi religiosi concesse
dodici ore. Intanto cominciò l'inventario delle cose da
consegnare, e quando si accorse che alla Badia non
c'erano le ricchezze che gli avevano fatto credere, ma
un'estrema povertà, disse ai Passionisti di vendere quello che potevano e portassero con sé il denaro. A questo punto il Rettore P. Pier Francesco Tissier, nativo di
Nizza si fece coraggio e parlando in francese col Capitano che poco comprendeva l'italiano, fece differire la
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partenza di dieci giorni. Il giorno dopo il Prefetto, e
cioè il capo repubblicano locale, sollecitò la consegna
non solo della roba fatta inventariare con cruda insistenza, ma finanche le scorte alimentari della comunità ed
altro non previsto. I religiosi senza reclamare cercarono
di accontentare il famelico repubblicano, anche nel timore di nuovi pretesti.
L'indignazione popolare per questi volgari maltrattamenti crebbe al punto da rimproverare ai Padri della
Badia di aver salvato "tale razza di uomini". Intanto in
convento i religiosi si preparavano alla partenza per i
propri Stati d'origine, secondo l'ingiunzione avuta: servivano i passaporti, e i Padri ne fecero regolare richiesta
ai capi locali di Ceccano. Questi non potevano rilasciarli, dal momento che tutto partiva da disposizioni
falsamente attribuite al governo repubblicano, che avrebbe potuto scoprire tutta una condotta di gravi abusi. Ma le cose non potevano andare così e il Provinciale Sperandio mandò un fratello laico ad Anagni presso il
generale delle truppe, non solo per la richiesta dei passaporti, ma anche con una informazione sulle angherie
dei "patrioti". A. Colacicchi prevenne l'incontro e fece
stendere per il religioso un rapporto sui fatti di Ceccano. Letto il rapporto il Generale degradò il povero Capitano che però il fratello laico difese mettendosi in gi-
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nocchio ai piedi del Generale. Questi volle attendere le
prove della buona fede del suo Capitano e dispose che
il Rettore della Badia gli stendesse una relazione sui soprusi compiuti dai capi locali.
Il Capitano, gentiluomo ancora una volta andò alla
Badia a pagare in denaro i danni del convento. Ma ancora una volta fece l'errore di portare al suo fianco i soliti repubblicani, mai sazi di ruberie e così, mentre il Capitano pagava i religiosi, questi tali lo fermarono dicendo che avrebbero saldato loro il conto completo. Mai
fatto. Eppure le relazioni storiche ufficiali dicono che i
quadri militari erano i più retrivi del movimento rivoluzionario. Si vede che avanti alle astuzie locali risultavano accomodanti fino all'ingenuità.
Il rapporto del Rettore, poi, non fu mai steso perché
non si addiceva a un religioso profittare di una opportunità vendicativa. In queste angosciose incertezze conveniva dubitare di tutto perché non c'era sicurezza per
chi, come il Rettore della Badia, fosse nel mirino ossessivo di un tiranno locale. Per questo, quando nell'agosto del 1798 il Rettore fu invitato dal Segretario della
"Comunità" repubblicana di Ceccano a recarsi dal Capitano a Frosinone, gli amici ceccanesi consigliarono il
Rettore a mandare un altro religioso al suo posto e fug-
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girsene a Pastena, oltre confine, ospite del canonico
Romualdo Conti.
Intanto l'odio ostinato del Prefetto sembrava non aver fine; qualche giorno dopo quel gesto riparatore del
Capitano vennero alla Badia una ventina di scalmanati,
spararono al portinaio e fortunatamente lo mancarono,
poi, tra insulti e schiamazzi, chiesero la cena, in seguito
saccheggiarono quello che era rimasto, avendo già rubato in precedenza bestiame, mobilio e altro. Fecero
anche una parodia blasfema di rito sacro e poi se ne
andarono, contenti di aver dato una lezione di civiltà rivoluzionaria a quei poveri inermi.
Il popolo ceccanese seguiva con sdegno impotente il
succedersi di queste violenze e soccorreva i religiosi
come poteva. Il sentimento del popolo è documentato
in questa bellissima dichiarazione: "quando non avremo
altro che un boccone di pane lo divideremo con voi".
E dire che dopo i fatti di agosto la Suprema Giunta
aveva obbligato il Prefetto a restituire alla Badia oltre
100 scudi. Ma l'astuto Prefetto spinse la moglie a chiedere al Superiore generale dei Passionisti, a Roma, di
condonare la somma. Il P. Giuseppe Claris acconsentì
e il Prefetto si tenne in tasca pure questo. Ma come le
altre volte, un copione maligno lo portava a rispondere
con nuove persecuzioni ad ogni gesto di bontà nei suoi
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confronti. Preparò un ordine di espulsione dei religiosi
residenti alla Badia, cominciando da quelli "esteri". E
questi erano già arrivati a Castro, diretti verso il Regno,
stufi anche di un insostenibile clima di intimidazione di
incertezze: furono richiamati in seguito revoca dell'ordine, ottenuta da Stanislao Angeletti e dalla sorella del
Prefetto che riuscirono a vincere tanta malvagia ostinazione.
Si giungeva così al novembre 1798; il re di Napoli Ferdinando IV, ingannato dai suoi ufficiali, occupava Roma
provocando l'intervento francese, cioè quello che si voleva. Il re si salvò con la fuga. I rivoluzionari entrarono
a Napoli e dichiararono la Repubblica partenopea: gennaio 1799. Tutto questo accrebbe i fanatismi rivoluzionari con implicite minacce agli ecclesiastici che cercavano di nascondersi o esulare. I sacerdoti in cura d'anime
a Ceccano raggiunsero il Rettore della Badia a Pastena.
L'officiatura delle chiese del centro fu assunta per circa
tre mesi da due Passionisti tollerati tra quelli rimasti alla
Badia. Il P. Provinciale Sperandio ottenne protezione a
Napoli. Altri confratelli si rifugiarono tra Pastena, Alvito e Atina, oltre confine, dove era meno viscerale il
rapporto col clero. In questi luoghi i Passionisti esiliati
furono raggiunti da San Vincenzo Strambi, allora consultore generale dei Passionisti, che li incoraggiò a resi-
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stere nel difficile momento. Quando le cose si calmarono tutti elogiarono i sei religiosi rimasti alla Badia nella
burrasca, anche i repubblicani, proprio essi che più volte avevano trovato la salvezza in quelle mura che, peraltro, avevano saccheggiato e profanato. Eppure quei sei
rimasti, più provati degli altri che trovarono sicurezza oltre confine, erano stati sentenziati di morte, ma si interpose Rosa Cappella, la repubblicana di Ferentino anch'essa protetta dai Passionisti, e fece annullare la sentenza.
Triste storia questa della prima fase della Repubblica a
Ceccano, e non si crederebbe alle sue vicende se non
fossero nei documenti del tempo, particolarmente dalla
penna asciutta di uno storico di razza qual era P. Filippo
Antonaroli, oltre che in quelle impazienti velleità messianiche con sacrificio dei diritti umani. Altro che "storia di
parte": non c'è fazione narrativa che possa attenuare a
Ceccano la vergogna e la sofferenza di quel 1798.
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La soggezione napoleonica
Napoleone che inizialmente aveva diffuso impressioni
e speranze di pace e che aveva raggiunto un Concordato col Papa, attraverso la geniale mediazione del Card.
Consalvi, finì poi per dimenticare trattati e aspirazioni di
pace creando pretesti di guerra per l'espansione del suo
impero. Quando nel 1804 si fece incoronare a Parigi
da Pio VII gli chiese di aderire alla sua politica antiinglese, come la nomina di amici suoi alla dignità cardinalizia.
Il Papa rifiutò. L'imperatore allora occupò Roma:
1808, e l'anno dopo annesse lo Stato Pontificio all'impero. Pio VII lo scomunicò. Napoleone portò prigioniero il Papa a Savona, poi a Fontainebleau.
Questa decisa opposizione al tiranno, ormai padrone
d'Europa, attirò sul Papa prestigio e consensi, una delle
premesse storiche del ruolo internazionale del papato
moderno.
Il nuovo stato di cose, intanto, dalle nostre parti comportò la soppressione degli istituti religiosi. La Badia,
dopo il fattivo interessamento del Cav. Angeletti, non
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fu data ad estranei, ma concessa in affitto a due fratelli
laici col pesante canone annuo di 110 scudi. I Padri erano in zona presso famiglie che li ospitavano; non potevano officiare o vivere in comunità. Nel 1810, al
momento di queste disposizioni anticlericali, alla Badia
c'erano 14 religiosi. Con loro era anche il Provinciale
P. Filippo Antonaroli, oltre, ovviamente, il Rettore che
era P. Benedetto Ferreri. Questi due con altri
confratelli trovarono ospitalità a Pontecorvo, protetti dal
Govematore locale De Nota con l'autorità che gli aveva
lasciato il Maresciallo Bernadotte quando questi, dal
piccolo principato di Pontecorvo, passò ad essere Principe reale di Svezia.
Per la fine di giugno del 1810 la comunità era ufficialmente sciolta. Quelli che non andarono a Pontecorvo
tornarono in famiglia ed erano fratelli laici. Rimasero
come affittuari Fr. Giovanni e Fr. Vittorio per il fabbricato e per il terreno; ma fu un cruccio in quegli anni raggranellare ogni volta da Ceccano e da Pontecorvo la
quota d'affitto, esosa per quei tempi.
Ai due fratelli suddetti presto si aggiunse alla Badia il
ceccanese P. Pasquale Spinelli che dal convento di Soriano al Cimino, VT, dove si trovava, tanto seppe fare
con persone influenti e con l'appoggio del Vescovo Bu-
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schi Ferentino, da ottenere l'incarico di custode Badia e
assistente spirituale delle popolazione della contrada.
All'inizio lo stesso governo tutelò la Badia, a suo modo, quando, temendo che vi potessero entrare briganti e
contumaci, vi stanziò un drappello di 12 soldati francesi.
Questi giovani sono passati nei documenti come persone ben educate che, per lo spazio di tre mesi, non diedero alcun fastidio ai religiosi. Ma sul resto c'era poco
da stare tranquilli. Prima che passasse il Demanio per
inventariare tutto, si cercò di salvare alla meglio, presso
famiglie private quello che si poté dalla chiesa, dal coro,
dalla sacrestia. Nella confusione, infatti, la Badia subì
un saccheggio; i religiosi si videro trafugare anche le cose più usuali.
All'inizio del novembre 1810 furono messi all'asta i
mobili, non escluso l'organo della chiesa, ma, con l'aiuto
del Cav. Angeletti dello stesso Maire Gizzi, furono ricomprati e lasciati sul posto. Anche la biblioteca si dové ricomprare. P. Pasquale Spinelli era tutt'occhi a
controllare l'avidità degli addetti al Demanio. Ma il sostegno principale gli venne proprio dai concittadini ceccanesi, ai quali ripugnava acquistare oggetti pertinenti
alla venerata Badia. Si salvò finanche una gran quantità
di legname pregiato che era stato acquistato per lavori
da eseguire. P. Pasquale trovò fino a nove carri trainati
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da buoi che, nottetempo, portarono al sicuro, oltre il
fiume, il legname che serviva al convento. Due nottate
di andirivieni, tutto gratis...i campi danneggiati non reclamarono e nelle successive inchieste ... non seppero.
Altro punto di vantaggio per P. Spinelli era il fatto che a
Ceccano chi era più temuto era suo parente, e cioè quel
Giuseppe Diana, noto filofrancese che aveva guidato i
soldati all'assalto del Quirinale la notte del 6 luglio
1809. Questo Diana, stranamente, non osteggiò l'audace P. Pasquale, anzi temperava i fanatismi degli altri.
Anche i banditi del Siserno assicurarono il religioso che
poteva esercitare le sue funzioni in chiesa e accogliere il
popolo senza disturbo. Ma tutto questo non bastò al P.
Pasquale per essere veramente al sicuro. Un giorno
vennero alla Badia sessanta gendarmi per una retata di
"realisti" tra cui lo stesso P. Pasquale. Lo trovarono
che celebrava la messa a prima mattina, stettero fino al
termine del rito, ma se ne andarono senza disturbarlo.
Comunque furono fatti vari tentativi per allontanarlo dalla Badia, e questo significava abbandonare il convento
al saccheggio e lasciare la gente vicina senza assistenza.
Alla fine, per non cacciarlo con la forza, si giunse al
compromesso di farlo sistemare alla Madonna del Loco, e la folla degli affezionati lo seguì. Ma i nemici politici non si calmarono; giunsero a dire che P. Spinelli
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trattava di notte con i briganti. Lo fecero spiare con
piantoni anche sotto la neve. Tutto risultò falso. Però
davanti alla potente ostilità politica locale anche la tenacia di P. Pasquale dové cedere: fu costretto a lasciare il
romitorio della Madonna del Loco e trasferirsi alla casa
paterna: gennaio 1812.
Veniamo, così al 4 maggio del 1812: nuovamente la
sfida del giuramento. Molti ecclesiastici acconsentono
per evitare la confisca dei beni e la deportazione. La
maggioranza resiste e tra questi i Passionisti. E' nota la
vicenda di Vincenzo Strambi, vescovo passionista, il
suo rifiuto, il suo esilio. Chi giurava poteva beneficiare
di una pensione che avrebbe fatto tanto comodo alla
cronica povertà dei Passionisti. E la pensione di chi
rifiutava il giuramento era intascata dai funzionari
imperiali francesi. Com'era moderno il comportamento
corretto degli antenati!
Per quanto riguarda i due fratelli religiosi della Badia:
Fr Giovanni, essendo di Pastena, regno di Napoli, non
fu chiamato a giurare. Fr. Vittorio, rifiutò con arguti ragionamenti e con grande soddisfazione dei confratelli
che seguivano i fatti da Pontecorvo. P. Pasquale, dopo
il netto rifiuto del giuramento si vide perseguitato con
minacce, non solo per non aver giurato, ma anche perché si ostinava a non partecipare ai "Te Deum" cui veni-
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va invitato con ricatti. Egli diceva di non voler abusare
di un inno religioso frequentemente programmato per
vittorie che poi riguardavano un governo contrario ai
suoi ideali.
La Badia, nel frattempo, fu destinata a caserma per
truppe antibrigantaggio. Fr. Giovanni e Fr. Vittorio
stettero bene col primo distaccamento che fu di Polacchi, che sembravano dei religiosi per i loro modi garbati,
ma quando furono sostituito dai gendarmi giunse il pandemonio alla Badia, tanto fecero per fracassare, rubare,
soprattutto la notte, ben chiusi dentro. E senza prendere un solo bandito: scopo di tutta la costosa operazione.
Ma anche la stella di Napoleone doveva tramontare:
le sofferenze finirono nel maggio del 1814. Pio VII tornò a Roma e ripristinò le strutture ecclesiastiche; i Passionisti furono i primi religiosi a riassumere ruoli e sedi
come prima. Alla Badia venne designato come Rettore
P. Andrea Baldassi.
E Pasquale Spinelli poté rimettere piede nel suo amato
convento. Vennero gli "esuli" da Pontecorvo e i ceccanesi li accolsero con archi trionfali e spari di mortai. Era
tornata la libertà e la serenità.
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La nuova chiesa
Nel 1826 è Rettore alla Badia P. Sebastiano Amalberti, figura di un certo interesse nella storia dei Passionisti. Furono intrapresi vari lavori di miglioramento al
fabbricato. Ma ogni cosa rimase sospesa quando ci si
accorse che stava cedendo la vecchia chiesa. Venne
l'ingegnere pontificio di Frosinone, esaminò 1a volta e
diede ordine scritto di chiudere la chiesa. Il P. Sebastiano segnalò la cosa all'Amministrazione ceccanese, al
Vescovo di Ferentino e alla Delegazione di Frosinone
chiedendo sostegni finanziari. Il Gonfaloniere Gizzi fece
un esposto alla Delegazione, prospettando le necessità
della Badia. La Congregazione del Buon Governo approvò la delibera, poi resa esecutiva dalla Delegazione,
di stanziare aiuti per il caso: si sarebbero destinati alla
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chiesa duecento scudi provenienti dal taglio del bosco
di Faito. Passò del ternpo senza che si movesse qualcosa. Di questo cominciò a lamentarsi il popolo, anche
perché le celebrazioni festive avvenivano in luoghi e
modi rimediati all'interno del convento. Poi si approntò
una specie di cappella nel corridoio d'ingresso al pianterreno per poter accogliere tutti i fedeli della zona.
Nel settembre del 1826 il Rettore incontrò a Frosinone il nuovo Delegato apostolico Mons. Cherubini, gli
prospettò i problemi della chiesa fuori uso come pure
della somma stanziata e non ancora riscossa. Nel frattempo il Gonfaloniere Gizzi, che aveva fatto iniziare il
taglio a Faito, si vide interdetto il lavoro in seguito a una
irragionevole ispezione ottenuta dal suo predecessore.
Il Delegato Cherubini, dopo ripetute lettere al Gizzi,
mandò un suo ispettore a Ceccano per anticipare i duecento scudi alla Badia e far proseguire il taglio a Faito
per l'amministrazione comunale. Entro il 22 dicembre di
quell'anno si completò il pagamento.
Ma, ad un esame attento dei danni e dei lavori da
progettare, si rese necessaria una somma molto maggiore. Venne da Frosinone l'ing. Agostino Covara per
una perizia sul posto e concluse che era necessario demolire la vecchia fabbrica ed alzarne una nuova. Tracciò il nuovo progetto e relativo preventivo passandolo
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all'amico dei Passionisti Domenico Antonelli che, attraverso Mons. Martani, fece giungere direttamente la richiesta di sussidio al Papa Leone XII. Si stabilì l'erogazione di 600 scudi in sei mesi a partire dal gennaio
1827. Intanto anche il P. Generale P. Antonio Colombo
chiese una perizia al suo architetto di fiducia Gaspare
Salvi, Arch. dei Palazzi Pontifici, fratello del passionista
P. Lorenzo Salvi, oggi Beato. Il Salvi venne sul posto e
ad un primo esame gli sembrò sufficiente un intervento
con strutture di rinforzo, dicendo che avrebbe atteso a
Roma i risultati dell'esplorazione accurata delle fondamenta. I sondaggi non trovarono base solida; bisognava
ricominciare da zero. Si iniziò con la costruzione di otto
speroni andando molto in profondità. Era il 1828. Ad
agosto di quell'anno si cominciò a lavorare alle fondamenta. Si sospese per l'autunno e si riprese nel febbraio del 1829 iniziando con l'arcata del presbiterio. A
questo punto occorrevano pietre lavorate. Bisognava
trasportare il materiale dalla zona di Ferentino. I ceccanesi collaborarono con grande generosità mettendo a
disposizione braccia, carri e buoi: un giorno lavorarono
insieme fino a trentatré paia di buoi.
Durante questi lavori si vide tanta umanità alla Badia:
muratori, scalpellini, minatori, che riuscirono a salvarsi
da numerosi incidenti. Ma anche poveri volontari, con-
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tenti di contribuire solo in cambio dei pasti del convento.
Per il novembre del 1829 tutto il grezzo era terminato,
coperto con le volte e i tetti. Nel giugno del 1830 si
pensò agli altari e ai cornicioni. Si chiamò il capomastro
Pietro Paniccia da Veroli che venne con i figli. Questi la
portarono per le lunghe con nuovi operai e nuove spese, alle quali concorse il P. Generale Colombo. Completata questa fase, rimasero alla Badia un certo Mastro
Francesco, di Ceccano, e un altro verolano, Mastro
Domenico, per portare a termine la facciata. Il resto
del mattonato e delle parti di legno fu curato dai fratelli
laici Fortunato e Placido. La pitturazione muraria venne
affidata a due decoratori di Ferentino. I soldi, però,
come in tutte le committenze povere, finivano prima dei
lavori. Fortunatamente si riuscì ad avere un'offerta dal
nuovo Papa Pio VIII.
Il giovane e dinamico Rettore P. Vincenzo Caporuscio volle inaugurare presto la nuova chiesa, anche perché il popolo badiano attendeva con ansia. Così si decise per la solennità dell'Assunzione del 1831 che cadde di domenica. Tutto riuscì con decoro festoso e con
la spontanea partecipazione della banda musicale di
Ceccano.
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Il 25 ottobre del 1832 il Vescovo di Ferentino Mons.
Lais venne a consacrare gli altari della nuova chiesa. Si
portò alla Badia la sera prima per trattenersi familiarmente con i religiosi e per gli adempimenti di rito riguardanti le reliquie. Alla consacrazione parteciparono anche il Vicario Generale della diocesi con gli altri canonici di Ferentino.
Il resto dei lavori fu continuato dai religiosi fratelli Placido e Fortunato; questi, poi, nel 1833 costruì gli artistici mobili della sacrestia con legno di noce e castagno.
Dopo tanto lavoro oggi dobbiamo notare che il
risultato non fu esaltante: venne fuori un ambiente un po'
scuro, con sproporzioni nei dettagli e angusto nell'insieme. Successive correzioni non hanno raggiunto sensibili
miglioramenti.
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Un secolo di esperienze repressive
Dal 1816 al 1818 si fabbricò il braccio del lato nord,
parallelo alla chiesa. Era Rettore P. Andrea Baldassi.
Poi si completò il quadrilatero del convento con P. Carlo Tavazzi che, tra il 1841 e il '42 fece alzare il braccio
di fabbrica che unì la chiesa alla portineria: pianterreno e
primo piano. Tutto questo era segno di una riacquistata
vitalità (dopo la dispersione napoleonica) che si accompagnava ad un intenso lavoro pastorale.
Ma non doveva durare a lungo questo clima di serena
operosità. Il secolo scorso ha dato agli istituti religiosi
un ritmo di vita a singhiozzo, tra tolleranza e leggi oppressive, secondo le convenienze politiche, ma dando
anche un duro colpo alla pace sociale e al patrimonio
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culturale, senza dire di quell'oblio dei diritti umani che
pure si agitavano come moventi dell'era risorgimentale.
Con la repubblica romana del'48 Pio IX si rifugiò
presso Ferdinando Il nel Regno di Napoli. Le forze
massonico-liberali iniziarono quello stillicidio con cui misero in atto lo scioglimento degli istituti religiosi e l'incameramento dei loro beni.
Nel 1849 vennero alla Badia Tommaso Mancini e
Giorgio Angeletti; ambedue deputati ceccanesi, per fare
l'inventario. Non lo portarono a termine perché non
trovarono ciò che intendevano. Poi fu proibito ai religiosi varcare i confini di Stato per le questue, coma
sempre si era fatto. Ne venne non poca difficoltà all'economia, ma anche alle iniziative umanitarie del convento. In tempi successivi vennero alla Badia i capitani garibaldini Giacomo Minutolo e Luigi Gulmanelli e requisirono i quattro cavalli del convento, creando gravi disagi
alla vita dei religiosi. I garibaldini tornarono nel 1860
per nuove ruberie.
Nel giugno del 1875, dopo la caduta dello Stato Pontificio, si venne a più decisive conclusioni con la soppressione e col passaggo dei beni al Demanio. Si presentò alla Badia il commissario regio Nicola Crecco, di
Ripi, a prendere possesso di tutta la proprietà: fabbricato e terreni. Venne autorizzato a rimanere solo il Retto-
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re, P. Taddeo Aquaroni a custodia della chiesa con un
laico; gli altri religiosi dovevano partire. Il tutto fu dato
in consegna al Sindaco Tommaso Mancini. Con costui
si accordarono i religiosi pagando un fitto annuo col
nome del signor Plauto Giammaria, di Patrica, rimanendo sul posto. Ogni anno veniva l'ordine di abbandonare
la sede, e sempre si risolveva con la (conveniente)
scappatoia dell'affitto. Negli anni 1881-'84 si passò agli
oggetti inventariati precedentemente, eccetto i libri e gli
arredi di chiesa e sacrestia. Comprò tutto l'amico
Senatore Filippo Berardi che poi passò i beni al Generale dei Passionisti P. Silvestrelli, oggi Beato, che era
suo parente ed era di famiglia aristocratica della
Inutile dire che questa grossa e pietosa operazione che
capitale.
mirava al progresso e al rifornimento delle casse dello
Stato si risolse in un vero fallimento finanziario e politico, oltre che in un danno grave alla cultura e al suo patrimonio.
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La vita riprende
Dopo i danni e le spogliazioni ottocententesche alla
Badia prese vita un lento e lungo programma di ricostituzione del patrimonio del convento sia per quanto occorreva alla vita quotidiana sia per l'arredamento liturgico. Si dové provvedere anche alla parte muraria, trascurata per troppo tempo, specialmente la statica che
soffriva di cronica fragilità. Appena riprese stabilmente
la normalità, già dal 1886, fu restaurato il vecchio organo del '700 acquistato un pianoforte e un harmonium,
anche per le esercitazioni dei giovani. Fu incrementata
la biblioteca. Si curò un giardino, sotto il lato sud del
convento, con un'edicola mariana.
Molta cura fu dedicata alla cappellina interna nel 1906
dal Rettore P. Felice Roscia con una nuova immagine
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della Madonna delle Grazie su tela, ordinata a un pittore
di Roma. Dopo aver ristrutturato l'ambiente dal punto di
vista murario, fu chiamato un altro pittore da Roma per
le figurazioni alle pareti e alle piccole vele: un'esecuzione
gradevole e pregiata su cui il tempo ora ha lasciato tracce di danni.
Le realizzazioni più consistenti furono portate avanti
dal Rettore P. Ludovico Agresti, a cominciare dal
1912: ampliamento e restauro della chiesa in vista di
una maggiore capienza, dato l'aumento della popolazione alla Badia. Fu demolita la vecchia sacrestia col soprastante coro. Dov'era l'altare maggiore fu costruito
un nuovo arco; fu eretto un nuovo altare più in avanti, in
marmo, conservando il prezioso ciborio precedente, di
linea neoclassica. Fu rialzato il pavimento del presbiterio e sostituita la balaustra di legno con quella di marmo.
Sulla parete di fondo si tracciò un timpano marmoreo e
nel sottostante spazio, nella campitura creata da delicate
lesene, si adattò l'immagine della Madonna di Corniano.
Nella navata furono ricavate due cappelle laterali, oltre quelle che già c'erano, vicino all'ingresso. Al primo
piano, per l'accesso al nuovo coro, si dové allungare il
corridoio, modificando l'assetto planimetrico del vecchio convento che sul posto aveva delle camere, poi
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abbattute per il nuovo corpo di fabbrica. Il tutto si eseguì sotto la direzione dell'ing. Ferace di Airola (BN).
Il 25 giugno del 1916 il vescovo diocesano Mons.
Bianconi poté consacrare il nuovo altare. L'anno successivo si decise di affrontare anche la spesa del nuovo
organo, installato dall'apprezzata ditta Inzoli di Crema,
sostituendo quello antico, più volte restaurato. L'interno
della chiesa veniva completato nel 1919 con le pitture
murali di Ettore Ballerini, di Roma, che raffigurò misteri
mariani alle pareti del presbiterio ed episodi legati alla
vita del Fondatore nella navata. Poi nel 1921 si aggiunse al portale della chiesa un atrio esterno. Infine, nel
1937, fu alzato il campanile di dieci metri e rinnovate le
campane con un orologio a quattro quadranti della ditta
genovese Williams-Trebino. I contadini gradirono molto
la novità. Quanto al resto del fabbricato si dové intervenire sulla statica in più di un punto, particolarmente
dopo il terremoto della Marsica del 1915, che si avvertì
anche nelle nostre parti e indebolì tutto il lato nord del
convento. I lavori di rinforzo furono diretti dall' ing.
Francesco Bovieri nel 1916.
Tornando un po' indietro negli anni notiamo anche i
lavori al cimitero pubblico. Con le nuove leggi unitarie
sulla sepoltura, la comunità religiosa si provvide di una
propria cappella. Il terreno fu in parte donato dalla fa-
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miglia Sindici e in parte acquistato dal Comune. I lavori
iniziarono nel 1889 e furono rapidamente portati a termine, anche per merito della generosità dei ceccanesi.
Per quanto riguarda i rapporti con la popolazione in
questi anni si cercò di migliorare l'erogazione di acqua
potabile che dal giardino passava alla pubblica piazza
antistante il convento. Più volte si erano affrontati lavori
per guasti e perdite, anche dopo che la conduttura muraria fu sostituita da quella metallica. Nel 1922 fu meglio definita la nuova conduttura con l'opera di due esperti fratelli laici. Si tenga presente che allora funzionava, alla portineria del convento, un servizio giornaliero
di refezione per i poveri.
E per la Pasqua del 1925 si vide per la prima volta alla Badia la luce elettrica con l'impianto realizzato dal P.
Raffaele Bernabei.
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Nel turbine della guerra
Nel 1943, con i tedeschi acquartierati in zona, si organizzò un gruppo di una quarantina di partigiani che
ogni tanto compivano azioni di disturbo contro gli occupanti, incoraggiati anche da Radio Londra, che dava
per imminente l'arrivo degli Alleati. Dopo una di queste
azioni, che avevano il Siserno come riferimento di rifugio, i tedeschi, nel novembre del '43 accerchiarono improvvisamente il convento. Poi entrarono, armi spianate, portando paura e sgomento. Non trovarono armi,
né partigiani, ma qualche civile rifugiato la scampò per
miracolo. Quello stesso mese 24 caccia bombardieri,
in due sorvoli, rovesciarono una sessantina di bombe su
Ceccano: 30 morti, molti feriti, edifici distrutti. Lo
sbandamento che ne seguì, fece popolare le campagne
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di cittadini in cerca di rifugio. La contrada Badia fu la
più affollata. Il convento mise a disposizione degli sfollati tutti i locali che poté, finanche in clausura, accogliendo senza distinzioni di classi, civili, clero e suore
dell'ospedale.
Il 10 dicembre si stabilì in convento la V Batteria tedesca con un distaccamento di cavalli e relativa compagnia, con cannoni, mortai e munizioni. Il tutto comandato da un capitano, un maresciallo e altri ufficiali. Tanto il
cap. Heger, come il mar. capo Heinrist e tutti gli altri
ufficiali e soldati ebbero rispetto per i religiosi; basta dire che partecipavano in massa ai riti in chiesa, anche
con comunioni generali. Il Rettore P. Germano Baiocchi rivolgeva loro appropriata omelie in tedesco.
Tutto questo fino al 18 maggio 1944, quando vi si
venne a piazzare l'ospedale militare, fin allora tenuto dai
tedeschi nell'altro convento passionista presso Falvaterra e costretto a spostarsi dopo lo sfondamento del fronte di Cassino da parte degli alleati. Tutti i civili che erano rifugiati in convento furono allontanati per avere il
massimo di disponibilità dei locali. Furono lasciate solo
le Suore. Quasi tutto il fabbricato così, era requisito
come ospedale e come abitazione degli ufficiali tedeschi. Nei pochi giorni di vita l'ospedale registrò 21
morti, sepolti in fondo al prato del convento. Dopo ot-
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to giorni si dové trasferire tutto più a nord, non esclusa
l'altra sede passionista di Paliano, da cui pure dovettero
presto sloggiare per l'avanzata degli alleati. Alla Badia i
1ocali furono subito occupati dalle truppe di artiglieria,
ma il 27 maggio anche queste partirono, portando con
sé carretti e bestiame del convento. I religiosi, nel trambusto generale si regolarono con le disposizioni dei superiori che concedevano di restare oppure raggiungere
le famiglie. In gran parte rimasero sul posto. Uno di essi, Fr. Andrea, in viaggio dalla Badia a Ceccano per rifornimenti con un carretto, fu colpito da una bomba
perdendo un braccio; fu curato prima dai tedeschi poi
dagli alleati.
Nel pomeriggio del 29 maggio comparve alla Badia
la prima pattuglia dei marocchini, preceduti dalla fama
che li diceva poco scrupolosi in fatto di sesso e ruberie
con cui a andavano offendendo la Ciociaria. Nel recinto
del convento le autorità raccolsero una enorme folla di
donne, finanche in chiesa e sacrestia, per sottrarle alla
famelica caccia di quei tali. In questo modo, a differenza
dei centri vicini, si disse, Ceccano ebbe meno da piangere a riguardo. In convento operava anche la Croce
rossa che seppellì i suoi (pochi) morti al fianco dei tedeschi in fondo allo stesso campo.
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Alla Badia operarono in quei giorni anche il pronto
soccorso, l'artiglieria, l'ospedale da campo, il centro di
sussistenza, quello di polizia e gli uffici comunali.
Non sarà esagerato, forse, dire che alla Badia, in
quelle tragiche giornate batteva il cuore di tutta Ceccano. Finanche la statua della Patrona, S. Maria a Fiume,
vi si era rifugiata dopo che aviatori inglesi bombardarono il Santuario il 26 gennaio di quel '44. E dire che l'Abate Misserville, che pure perdé l'annessa abitazione, ne
aveva promosso con successo un rilancio di devozione.
Una folla devota e avvilita nella sua dignità umana, ma
non nella sua fede, l'aveva accompagnata alla Badia. Al
suo fianco fu portato al sicuro anche il quadro dell'Addolorata, pure caro ai ceccanesi, dalla chiesa di S. Nicola, anch'essa colpita dalle bombe. La statua lignea di
S.M. a Fiume fu restaurata da lievi danni dall'architetto
(e ufficiale) tedesco Karl Wolf e quindi rimessa alla venerazione nella chiesa della Badia.
Il 6 agosto di quell'anno, come in un ritorno di riscatto, l'immagine della Patrona ripartì dalla Badia prelevata
dallo zelante Vescovo Leonetti col clero, i Passionisti e
una folla imponente, con l'animo denso di speranze, per
custodirla provvisoriamente nella Collegiata di S. Giovanni.
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Ma non si può chiudere la rievocazione della guerra
alla Badia senza ricordare la figura di P. Lorenzo
Volante, missionario infaticabile e uomo di carità.
"Volava" veramente dovunque c'era umana possibilità di
soccorrere, di consolare, di scongiurare. Come quando
si recò coraggiosamente al comando tedesco verso la
"Spina" dove furono arrestate delle persone di Castro
proprio dove qualche giorno prima erano stati uccisi
due uomini, padre e figlio, per aver resistito a una
razzia. P. Lorenzo tanto supplicò e insisté finché non
fece liberare quei tali. Un'altra volta s'inginocchiò
davanti a un comandante col crocifisso in mano fino a
ottenere che si annullasse un'esecuzione. Ma era un'altra
l'occupazione abituale di P. Lorenzo: ogni giorno
raccoglieva e distribuiva pane, uova, farina e quanto
altro poteva in viaggi estenuanti, non più agevoli alla sua
età; la sua carità, maggiorata dall'esperienza di guerra,
non conosceva stanchezza. Quando morì nel 1952,
tutta Ceccano era ai suoi funerali che si svolsero sia alla
Badia, sia alla Collegiata. Al cimitero l'Arciprete D.
Igino Ceccanese gli rivolse espressioni di riconoscenza
a nome della città.
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Il bicentenario
La guerra aveva prodotto distruzione e miseria, ma
anche una gran voglia di reagire, di ricominciare. Le iniziative pastorali, che puntavano sulla compattezza religiosa del popolo, fecero molto in proposito, dando a
tutti fiducia nella propria identità e nei moventi comuni
per impegnarsi.
Alla Badia venne a collocarsi in questo clima l'opportunità adatta del bicentenario della fondazione del convento: 1748-1948.
La ricorrenza fu considerata avvenimento cittadino. Il
capitolo della Collegiata tenne un'adunanza speciale
presieduta dall'Arciprete Mons. Ceccanese che prospettò un programma, d'intesa col Rettore. Si costituì
un comitato organizzatore con a capo Luigi Mancini. Si
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informarono i ceccanesi residenti in USA. In città si informava e si preparava il popolo nelle chiese.
Il 14 gennaio 1948 si ripeté quello che avvenne duecento anni prima con S. Paolo della Croce, il Vescovo
Borgia, le autorità, il clero e il popolo di Ceccano. Così
l'infaticabile Tommaso Leonetti, Vescovo di Fermentino, guidò la processione con la statua del Santo dalle
"Due Cone". Il clero ceccanese era al completo, c'erano tutte le autorità cittadine, molti Passionisti, venuti anche da Roma e da altre comunità e, soprattutto, una
fiumana di popolo. Alle "Due Cone" l'Abate D. Vincenzo Misserville pronunziò un ispirato discorso di circostanza.
Giunti al piazzale della Badia si celebrò all'aperto col
Delegato del P. Generale, P. Gianmaria Alústiza. La
commemorazione ufficiale fu tenuta dal P. Vincenzo
Tucceri con gli "altoparlanti" del tempo. A tutto assisteva il Vescovo che alla fine concluse con la solenne benedizione.
Nel frattempo successe al P. Pio Falco nell'incarico di
Rettore il P. Norberto Russo che proseguì nel mese di
aprile il programma delle celebrazioni. Il 19 agosto una
nuova imponente processione, col Capitolo della Collegiata, i Superiori religiosi con i confratelli, la Congrega
badiana della Passione ed altre associazioni, portò la
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statua di S. Paolo della Croce a S. Giovanni. Tutto
presiedeva e guidava la figura benedicente del Vescovo
Leonetti che prese molto a cuore questa ricorrenza. Ad
ogni sbocco di strada la folla cresceva. In città la marea di popolo che attendeva in piazza XXV Luglio
commosse il Vescovo che pure sapeva della profonda
venerazione dei Ceccanesi per S. Paolo della Croce.
Allora dal microfono ricordò la paterna attenzione che il
Santo ebbe per Ceccano.
La Collegiata era addobbata come mai per accogliere
l'immagine del Santo, quasi a riabbracciare l'uomo di
Dio dopo il bagno di folla di quell'aprile del 1767, ma
anche per la celebrazione del Cardinale Aloisi Masella.
Il 22 agosto, domenica, il porporato tenne un pontificale cui parteciparono tutte le autorità religiose e civili
della provincia di Frosinone, e cioè il Prefetto Temperini
e il Vice Fabiani, i vescovi Baroncelli, Piasentini, l'Abate
Buttarazzi di Casamari, ecc. Il Sindaco Colapietro guidava la rappresentanza cittadina. Nel pomeriggio il
Cardinale volle visitare la Badia. Poi nuovamente a S.
Giovanni dove il Cardinale officiò un breve rito eucaristico e ricevé, alla conclusione, il saluto e il ringraziamento del Vescovo Leonetti.
Queste succinte notizie non danno l'idea di quanto fu
attuato per preparare e celebrare l'avvenimento, soprat-
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tutto alla Collegiata dove si alternarono personalità religiose e predicatori passionisti in un intenso programma,
molto seguito dai fedeli. Tra gli altri tenne il suo discorso a S. Giovanni il Superiore provinciale del tempo P.
Giuseppe Amoriello.
Si curò con discreta diffusione una pubblicazione affidata al P. Gioacchino De Santis, prevalentemente impostata su rievocazioni storiche. Il comitato non trascurò il servizio stampa, interessando i giornali del tempo.
Alla Badia ugualmente si tenne viva la ricorrenza con
iniziative locali, in comunità, come in chiesa col popolo.
Molto si senti coinvolto, in questa circostanza, il P. Tito
Cerroni, Generale dei Passionisti.
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La ricostruzione
La guerra aveva lasciato i segni del suo passaggio anche sul fabbricato della Badia. Gli anni passavano ed
era ora di riparare e ricostruire. Nel 1952 si passò ai
preparativi concreti. I giovani del corso umanistico e filosofico furono trasferiti a Paliano. Era Rettore P. Gaspare Sassani. Si decise di iniziare incaricando il P. Luca Viola di seguire i favori che proseguirono anche nei
mandati dei Rettori P. Gaetano Copersino e P. Roberto
Cuomo.
I progetti furono affidati all'ing. Giuseppe Esposito di
Napoli che in quegli anni di ricostruzione del dopo guerra curò i conventi passionisti a sud di Roma. Un po'
ovunque in quegli anni si seguì il criterio di restaurare e
ampliare, dato l'incremento dei soggetti. La Badia diventò un cantiere. Rimasero pochi religiosi per le attività essenziali.
Il piano di lavoro cercò di ovviare innanzitutto ai danni
provocati dall'occupazione militare e civile dei mesi di
guerra e poi al potenziamento dei locali. Questo com-
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portava la demolizione del braccio prospiciente il piazzale il parziale abbattimento del lato sud. Le operazioni
ebbero inizio nel 1953 dopo molte incertezze e attese di
fondi, cui si provvide anche con la premura del P. Tito
Cerroni. Poi fu abbattuto anche il braccio nord,
costruito un secolo prima con povertà di criteri e di
materiale. Fu usato per la prima volta il cemento
armato. La nuova facciata a lato della chiesa portata
avanti di due metri, fu abbellita con finto travertino da
Gaetano Bocchetti di Frosinone. Alla base fu posto
peperino romano prelevato da un mancato progetto del
marchese Berardi. Il tutto fu arricchito di un nuovo
piano che prevedeva stanze e aule per i chierici studenti.
Del vecchio fabbricato rimaneva il pianterreno, in parte
ristrutturato, e il primo piano. Fu realizzato ex novo il
corridoio del campanile, anche per mettere in
comunicazione tutti i locali del primo piano. Di originale
rimaneva, ovviamente, anche la parte seminterrata con
le vecchie arcate.
Ad un certo punto vennero a mancare le coperture finanziarie; si scartò l'idea di domande per danni di guerra per il lungo iter previsto. Si chiese e si ottenne un
cantiere di lavoro. Si aggiunse al lato sud un nuovo
corpo per refettorio e locali annessi. I tre cantieri succedutisi nel tempo non bastarono. Si ottenne, comun-
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que un sussidio statale e si proseguì rifacendo la facciata
della chiesa incorporando il vecchio (e posticcio) portico nel nuovo atrio colonnato. I lavori, iniziati nel 1953
terminarono nel 1957.
Si poteva tirare un sospiro di sollievo dopo tanti disagi.
Non rimaneva che inaugurare la nuova Badia con la
presenza dei giovani dei corsi umanistici e teologici che
vi erano sempre stati, fin dal Fondatore. Con l'inizio
dell'anno scolastico del 1957 vennero i giovani da Paliano e da Sora. Per la cerimonia d'apertura fu invitato
il P. Generale e le autorità locali. Il 15 settembre il P.
Malcolm La Velle fu accolto alla stazione dal provinciale P. Filippo Cipollone e dalle rappresentanze cittadine.
Si giunse alla Badia con un corteo di auto. C'era ad attenderlo la comunità e il popolo al suono di campane in
un'atmosfera di festa. Il giorno dopo, previ i riti religiosi
solennemente curati, il P. Generale passò a benedire i
locali. Al pomeriggio ci fu un trattenimento animato dai
giovani passionisti con esecuzioni polifoniche ed altre esibizioni. I padri professori tennero relazioni sul ruolo
culturale e formativo dei seminari. Erano presenti il
Sindaco Piroli, l'Arciprete Ceccanese, l'assessore Battista, il marchese Berardi, il prof. La Cava, direttore
dell'ospedale civile ed altri amici e benefattori che più
da vicino avevano seguito le vicende della Badia. Alla
fine tutti si augurarono che la Badia rinascesse come
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tutti si augurarono che la Badia rinascesse come centro
di studi e rimanesse punto di riferimento spirituale per
Ceccano.
In quella occasione si presentarono i giovani professori P. Pancrazio Scanzano, P. Valente Schiavone, P. Teofilo Scarano, che già da quelche anno erano il fulcro
del personale docente dei corsi liceali, poi affiancati dai
PP. Faustino D'Uva, Martino Bartoli, ceccanese, Luciano Scarfagna, Stanislao Renzi, Alberto Nave, ecc.
Così dal 1958 al 1971 la Badia consegnò ai corsi teologici gruppi di giovani ben formati. Poi per pratica
comodità si preferì iscrivere i gruppi a istituti legalmente
riconosciuti e la Badia perse un dettaglio storico della
sua fisionomia.
Tornando al fabbricato, anche i lavori del dopoguerra, qui descritti, col tempo cominciarono a mostrare
i segni del male murario tipico della Badia: i cedimenti
della statica. Dall'83 al '96 furono realizzati interventi di
consolidamento con i Rettori P. Giuseppe Amoriello, P.
Giustino Conti e P. Antonio Siciliano.
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Cronache pastorali
L'assistenza religiosa dei Passionisti alle popolazioni di
Ceccano era prevista negli accordi di fondazione alla
Badia. Lo stesso Fondatore, pressato dalla stima
devota del Vescovo Borgia, predicò a Ceccano e tenne
missioni nella diocesi, e a Ferentino stessa, con enorme
successo. Così fu anche a Giuliano, Villa S. Stefano,
Amaseno, Patrica, Supino, fino al 1753. Fu anche il
tempo in cui evangelizzò i centri della diocesi di Terracina. Dovunque la risposta delle popolazioni premiò le
fatiche del Santo e dei confratelli della Badia.
Negli anni successivi la comunità proseguì accogliendo
richieste anche da altre diocesi. Ma quello che altrove
era periodico, alla Badia era pressoché quotidiano: catechismi, assistenza agli infermi, animazione liturgica.
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Oltre Ceccano centro, anche le contrade di Fiano, Colle Alto, Colle Leo, Le Cocce ecc., vedevano i Padri
della Badia per l'assistenza religiosa e altre occorrenze.
Tranne che per i servizi specificamente parrocchiali, i
Passionisti erano chiamati per assistere i moribondi,
rappacificare famiglie, finanche per prestazioni sanitarie,
quando i contadini del '700 e dell'800, per loro mentalità, andavano più al convento che a centro per farsi curare: estrazione di denti, salassi, pozioni preparate dai
religiosi, erano un pronto soccorso, anche itinerante,
che veniva associato alla pastorale spicciola di avvisi
raccomandazioni spirituali. Ne veniva di conseguenza
una fiducia e un impegno che alla Badia, come abbiamo
visto, ha scritto pagine straordinarie, come quando si rischiava la vita per rispondere a un bisogno religioso o
umanitario. Questo si vide al tempo della dominazione
francese, come nell'ultima guerra con 1a zona piena di
sfollati. Qui nel novembre '43 Padri della Badia si videro incoraggiati dal dinamico Vescovo Leonetti che venne a consolare i ceccanesi e poi fu accompagnato oltre
il Siserno per fare altrettanto a Giuliano e Villa S. Stefano.
L'affettuosa intesa tra i ceccanesi e il convento si spiega anche con la dedizione instancabile di religiosi che fino ai decenni scorsi hanno lasciato traccia profonda
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della loro testimonianza. Per non andare lontano ne
tempo, non si può tacere qui il P. Simone Balest che alla fine dell'800, fino al 1905 fu l'angelo dei badiani: tutti
volevano e ottenevano una parola da lui, alla casa, al
confessionale, al capezzale degli infermi. Egli, di costituzione molto gracile, non si risparmiava. I religiosi di
comunità lo contendevano ai fedeli perché anch'essi lo
ritenevano un santo. Era nato a Belluno e visse alla Badia quasi tutta la sua esistenza di religioso passionista.
Non diversamente fu P. Lorenzo Volante, come abbiamo visto. Con lui convisse un altro santo esemplare
dello spirito di S. Paolo della Croce, P. Piergiovanni
Santucci (1875-1959) che per anni alla Badia fu guida
spirituale per tante coscienze.
Queste ed altre figure che educavano il popolo erano
accompagnate da iniziative rispondenti all'associazionismo moderno per meglio sollecitare i soggetti alla testimonianza cristiana. Il primo Rettore a muovere le cose
fu il p. Felice Roscia che nel 1908 eresse la Confraternita della Passione, poi approvata dal Vescovo e dal P.
Generale. Per decenni questa "Congrega", come popolarmente era detta, fu punto di riferimento religioso e
sociale della contrada, nelle feste, nei lutti e in altre circostanze di pubblico interesse, determinando anche una
crescita di coscienza civica. Fu con essa che si iniziaro-
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no le manifestazioni pubbliche, con processione, nelle
feste di S. Paolo della Croce e di S.M. di Corniano. Al
Congresso eucaristico diocesano di Ferentino, nel
1924, sfilò con 500 iscritti, cento con la tipica divisa,
impressionando il Vescovo Fontana che li volle incontrare e poi pubblicamente elogiare. Animatore, fin dall'inizio, di questo sodalizio e promotore instancabile delle sue iniziative fu Arcangelo Cicciarelli, degno esemplare di impegno laicale passionista.
Questo fervore associativo crebbe dopo la canonizzazione di S. Gabriele dell'Addolorata nel 1920, solennemente festeggiata alla Badia, come già la beatificazione
nel 1908. Si istituirono i "Gabriellini". Ad essi poi si
aggiunsero le "Gemmine", ispirate a S. Gemma Galgani.
Questo era come riprodurre in piccolo quello che altrove aveva efficienza numerica e ambientale.
Ma dove i Passionisti erano chiamati per scuotere intere cittadinanze era nelle missioni e negli altri corsi di
predicazione popolare, con la forza di collaudate esperienze. Si vide nella missione a Ceccano, tenuta nel
febbraio del 1937, il cui esito riempì tutti di profonda
soddisfazione. Ne godé soprattutto il Vescovo che l'aveva voluta come preparazione al Congresso eucaristico diocesano che si tenne proprio a Ceccano quell'anno, dal 30 agosto al 5 settembre. Alla conclusione, la
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piazza principale di Ceccano era coperta da 40.000
persone che seguirono i riti presieduti dal Cardinal Jorio
e sette vescovi. La comunità della Badia si prodigò per
un intero anno di preparazione e, infine, mettendo a disposizione gli arredi liturgici solenni.
Altra esperienza pastorale popolare, ma domestica e
dimessa, fu nell'anno mariano del 1954; furono interessate tutte le abitazioni rurali delle contrade badiane. Il
convento conserva l'iscrizione commemorativa.
Ma in tema di pastorale mariana i Passionisti a Ceccano erano chiamati a prestazioni più stabili e impegnative. Terminati i lavori di ricostruzione del Santuario di
S. Maria a Fiume nel 1958, bisognava pensare ad assicurarne la gestione pastorale. D. Vincenzo Misserville,
ministro benemerito di una devozione tanto cara ai ceccanesi, era morto nell'aprile dell'anno precedente. Ceccano lo pianse; i Passionisti vennero in molti ai funerali,
finanche con i novizi di Falvaterra. Mons. Leonetti
pensò di risolvere il non facile problema di questa eredità istituendo sul posto un centro POA (pontificia opera
assistenza) connesso al Santuario con la presenza di almeno tre religiosi passionisti. D'accordo col P. Provinciale, il Vescovo prese contatti sul posto col Rettore P.
Roberto Cuomo per concretizzare l'affidamento. Il 14
agosto l'immagine di S. Maria partiva dalla Collegiata di
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S. Giovanni e prendeva possesso della sua sede ricostruita. Non tutto era pronto per quella data impaziente, ma i ceccanesi innanzitutto il Sindaco Piroli, fecero
del tutto per agevolare l'inizio del servizio ai fedeli con
strada, energia elettrica ed altro. P. Eugenio Milana fu il
primo Rettore della nuova sede.
Poi furono anche altri gli appuntamenti e 1e ricorrenze
che videro protagonisti i Passionisti in esperienze di fede
per tutti i ceccanesi, come la missione del marzo 1967
in tutte le parrocchie di Ceccano. Si concluse molto
fruttuosamente con l'inaugurazione di un monumento al
S. Cuore.
La peregrinazione dell'urna con il corpo di S. Paolo
della Croce, però, toccò al profondo l'animo dei ceccanesi. Ebbe luogo dal 4 al 7 giugno 1969. Fu programmata per ricordare il secondo centenario della fondazione della Provincia passionista a sud di Roma, istituita dallo stesso Fondatore col titolo dell'Addolorata.
Da Roma a Salerno furono molte le località in cui giunse
l'autocappella con l'urna, dovunque attesa e salutata con
grande venerazione e sorprendente movimento di masse. Inutile dire che il fervore delle iniziative era più previsto dove la memoria del Santo era più viva, come a
Ceccano. Qui l'urna sostò per quattro giornate devastate da una pioggia continua. In precedenza diversi
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missionari avevano preparato il popolo a Ceccano e
comuni confinanti. I vescovi avevano salutato con favore una decisione che avrebbe risvegliato motivi di fede
insieme alla memoria popolare. Alla Badia era Rettore
P. Carmine Flaminio che aveva informato i parroci dei
centri interessati all'azione pastorale del Santo, oppure
che ne avevano forte devozione: Frosinone, Amaseno,
Patrica, Privemo, Castro, Supino, Giuliano di Roma,
Villa S. Stefano, Alatri, Ferentino, Amara...
Proveniente da Sora, il 4 giugno l'autocappella, guidata
da P. Lino Staccone, sostò a Frosinone per la calorosa
accoglienza del Vescovo Marafini e numeroso popolo.
Dopo la concelebrazione si venne alla volta di Ceccano
con un corteo di auto. A piazza Berardi il saluto delle
autorità civili e religiose della città, tra cui l'Arciprete
Mons. Antonio Piroli, con tanta folla, nonostante la
pioggia. Si proseguì per S. Giovanni, dove prima il
Sindaco Piroli, poi il Vescovo Caminada ricordarono i
motivi dell'avvenimento e i legami della città col Santo.
Tenne il discorso ufficiale il Prof. Enrico Medi, fisico
nucleare, ex presidente dell'Euratom, noto anche per la
sua forte fede cattolica. Trattò sull'attualità del messaggio di S. Paolo della Croce. Poi il Provinciale P. Pancrazio Scanzano ringraziava autorità e fedeli. Intanto in-
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torno alle spoglie del Santo iniziava l'omaggio continuo
di venerazione dei ceccanesi.
Dagli altri centri nominati, dal 5 al 7 giugno, fu un susseguirsi di pellegrinaggi guidati dai rispettivi parroci e dai
missionari che avevano preparato i fedeli. Il pellegrinaggio di Alatri vide in testa lo stesso Vescovo Ottaviani.
La sera del 6 giugno un corteo di oltre cento auto accompagnò l'autocappella alla Badia. Anche qui la folla
in attesa sul piazzale fu molestata dalla pioggia abbondante. La celebrazione di Mons. Caminada concluse
in un'atmosfera di denso richiamo storico. Il giorno dopo proseguirono i pellegrinaggi, tra cui quello di Giuliano col parroco e i religiosi Agostiniani. Il 7 giugno l'autocappella si diresse verso Paliano con una sosta a S.
Maria a Fiume e un'altra, con chiara rievocazione storica, a Ferentino dove Vescovo e popolo ricordarono
l'apostolato del Santo nella loro città, ma anche la temporanea presenza di una comunità passionista nel convento di S. Antonio Abate da 1866 al 1890.
Pure corale e sentita fu la risposta popolare dei ceccanesi alla proposta del Congresso eucaristico cittadino
nel giugno 1973. Il Vescovo Florenzani ne affidò la
preparazione a 15 missionari passionisti nel centro e
nelle campagne. Si tennero celebrazioni anche nelle
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fabbriche nelle scuole, all'ospedale ecc. I Padri della
Badia curarono le zone di Colle Alto, Fiano Cardegna e
Maiura. Il 21 giugno, solennità del Corpus Domini, tutte le parrocchie di Ceccano organizzarono una grande
celebrazione al campo sportivo. Il giorno 24, festa del
Patrono S. Giovanni Battista, si tenne il rito di chiusura
del Congresso. Venne il Card. Wright, l'Arcivescovo
di Capua Leonetti, già Vescovo di Ferentino, e quello
diocesano Mons. Florenzani. La solenne concelebrazione ebbe luogo in S. Giovanni. Poi il Cardinale ebbe
un ricevimento al Palazzo comunale. Alla Badia il pranzo con gli altri presuli e con i missionari, alcuni dei quali
venuti anche da altre regioni.
Ma alla Badia non si aspettavano i grandi avvenimenti di
massa per tener viva la fede dei badiani. Esperienze
aggregative di tipo religioso, sportivo, culturale e ricreativo si sono succedute in questi ultimi decenni, sia per
animare la gioventù, sia soprattutto, per esprimere una
traduzione concreta del vangelo che respiri in questo attuale quadro storico-sociale. Dobbiamo ora notare un'attenuazione della vitalità che in passato accostava il
teatro al gioco del calcio, la gita alla riunione culturale
ecc. Accenniamo a qualche nome come P. Franco
Scotto, i cui allestimenti si valevano della collaborazione
artistica di Pietro Bartoli. Poi il Cisag (Circolo S. Ga-
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briele) con Alberto Nave: un'animazione della vita badiana su più fronti. Tutto questo ha aiutato a vedere da
fuori la Badia come struttura di vivace accoglienza, incontro di umanità. Così fu per il raduno dei lavoratori
guidato dal Gesuita P. Bitetti nel 1959, così per il Convegno medico promosso dal Prof. La Cava nel 1960,
fino al campeggio militare del luglio 1960, concordato
col Rettore P. Clemente Dragonetti dal Ten. Colonnello Gaetano Marletta: 150 uomini del X Battaglione del
Genio Trasmissioni. Al termine tutto il reparto schierato
a Ceccano presso il monumento attirò l'attenzione dei
cittadini con una cerimonia di omaggio ai caduti e con la
messa celebrata dal Rettore.
Successivamente la Badia, senza i corsi scolastici interni, ha offerto i suoi spazi per ospitalità a incontri per
varie categorie: lavoratori, sportivi, Scouts, figli di emigrati ecc. oppure per gruppi di giovani dall'estero, come
polacchi (1980), tedeschi (1985). Più consona all'ambiente e alla storia della Badia è stata poi l'accoglienza
per gruppi di spiritualità, campiscuola vocazionali, gruppi parrocchiali ecc.
Non si può chiudere il discorso sulle attività pastorali
dei Passionisti a Ceccano senza un cenno sommario alla
risposta vocazionale dei ceccanesi che, fin dall'epoca
del Fondatore, hanno fatto parte della Congregazione
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dei Passionisti spesso con grandi meriti. Il primo fu P.
Giuseppe Antonio Tiberia che conobbe il Fondatore.
Morì giovane nel 1755. P. Giovanni Battista Giorgi
(1770-1833) di P. Turrenio Pízzuti (1823 - Bordeaux
1860); fu invitato in Belgio e in Francia come docente e
come superiore. Di P.Pasquale Spinelli si è già parlato.
P. Raffaele Ricci (1812-1879) è il più noto tra i Passionisti ceccanesi. Fu per quasi un ventennio Maestro
di noviziato. Ebbe come discepolo per circa due anni
S. Gabriele dell'Addolorata, inoltre il Beato Bernardo
Silvestrelli e tanti altri che occuparono uffici di responsabilità in Italia e all'estero, e lasciarono documentata la
grande stima per il loro educatore. La sua tomba è
presso la cappella cimiteriale dei Passionisti di Falvaterra. P Sisto Bruni (1870 - Firenze 1922) fu uomo di
cultura, segretario generale, traduttore di testi, organista
e compositore. P. Apollinare Mastrogiacomo (18711943) morì missionario in Argentina. P. Camillo Duplicati (1913-1961) educatore tenace, cultore di memorie storiche. P. Martino Bartoli (1912 - Roma
1986) docente, latinista per molti anni, poi segretario e
archivista generale. P Cristoforo Di Stefano (1916 Napoli 1979) missionario di grande temperamento con
molto seguito, soprattutto nei centri del casertano. Morì prematuramente lasciando di sé vivo ricordo. Uguale
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rimpianto lasciò P. Lino Staccone che era stato educatore di giovani, amato e seguito. Affettuosa popolarità
circondò la vita di Fr. Giuseppe Gtiarcini e Fr. Leonardo Pirri, custodi fedeli di memorie e costumi della
Congregazione.
Anche altri, di epoca più remota sono ancora ricordati
a Ceccano come P. Giuliano Liburdi, P. Guglielmo Colapietro.
I viventi sono cinque, e tutti in linea con tanta
impegnativa eredità: P. Giacinto De Santis, P. Gabriele
Cipriani, P. Giovanni Giorgi, P. Giovanni Cipriani e P.
Enzo Del Brocco.
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La vita spirituale alla Badia
Alla Badia, fin dai primi giorni seguiti alla fondazione
del 14 gennaio 1748, si istituì quel regime di preghiera,
studio e austero raccoglimento che ha costituito la fisionomia delle case passioniste.
I religiosi iniziavano qualche ora dopo la mezzanotte la
loro cosiddetta "osservanza regolare" con la lunga salmodia in latino. La mattina presto tornavano nel coro
per proseguire la liturgia delle ore, che in passato era
più estesa, poi la messa con l'orazione mentale. Seguiva
lo studio e il lavoro manuale secondo i soggetti e le
mansioni assegnate. Nulla era lasciato all'arbitrio dei
singoli, tutto doveva rispondere a un criterio di comune
utilità stabilito dall'autorità in base alla Regola e allo stato canonico di ciascuno. La Regola di S. Paolo della
Croce approvata da Benedetto XIV nel 1741 e dai
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suoi successori, stabiliva compiti e attività, ma soprattutto lo "spirito" con cui si doveva operare.
Un silenzio costante dominava negli ambienti della
Badia, anche quando si lavorava manualmente. La
giornata era cadenzata dalle preghiere comuni che avevano luogo nel coro, al primo piano, collegato con la
chiesa da una finestra che dava sul presbiterio. Vi si
andava almeno sei volte al giorno.
Propria della spiritualità passionista era l'orazione
mentale, in comune, in silenzio, sempre in coro e in penombra. Era facoltà dei singoli poterla prolungare in
privato, fuori dagli atti comuni.
Si trattava
essenzialmente di trattenersi in riflessioni e confidenze
col Signore partendo da un mistero prevalentemente intorno alla Passione di Cristo.
C'erano, naturalmente, anche i pasti al refettorio, due
volte al giorno, consumati in silenzio, cui seguiva, dopo
brevi preghiere in chiesa, una sosta di conversazione
fraterna. I religiosi erano felici perché vivevano in un regime liberamente scelto che li realizzava come uomini e
come consacrati. La solitudine, allora molto più evidente, era sentita come una difesa protettiva di beni spirituali ed era colmata dalla vita comune e da un gratificante contatto con la natura. Non mancavano, soprattutto ai giovani, lavori manuali, anche campestri, che
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potessero correggere, ma anche per obiettive necessità,
quell'impressione di inerzia agli occhi di un estraneo.
Il popolo raramente vedeva in chiesa la comunità al
completo, solo nelle solennità, quando i riti lo prevedevano. In questo argomento va segnalato il forte ruolo di
supplenza della cappellina interna che rispondeva alle
esigenze della pietà individuale. Questi rifugi interni dei
conventi, caldi di devozione, servirono alla spiritualità
dell'800 per bilanciare, con la pietà privata, il predominio della giornata liturgica. Alla Badia la cappellina interna figura fin dagli inizi dell'800, poi ristrutturata nel
1906. Anzi si può arguire che ce n'era un'altra per
quelli che si ritiravano in convento per lo spazio di qualche giorno o per corsi di esercizi spirituali.
Queste persone, poche per volta in verità, erano seguite da un religioso di comunità designato a tale incarico. Le loro stanze erano in un reparto distinto della casa. L'elenco di quelli che una volta si ritiravano alla Badia, come nelle altre sedi passioniste, è lungo e alterna
ricchi e poveri, ma tutti col solo intento di accostarsi alla
spiritualità passionista "per la salvezza dell'anima". Tra
gli altri il Vescovo di Ferentino Mons. Lais che nel
1827 si ritirava con piacere alla Badia, anche per gli annuali esercizi spirituali. Dopo di lui, a partire dal 1845,
più volte venne Mons. Tirabassi per lo stesso scopo,
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anche col Vicario generale ed altri della curia diocesana.
Chi si ritirava alla Badia non trovava ambienti che elevassero lo spirito con strutture maestose e opere d'arte.
Anzi, se non aveva un preciso progetto spirituale, poteva forse deprimersi in quegli ambienti spogli e dimessi,
con semplici calcografie alle pareti e con l'angusto paesaggio che offrivano le piccole finestre. Tutto era
portato all'essenziale, generando nei locali un senso di
austerità, ma non di tristezza. Basta dire che le frequenti
feste liturgiche durante l'anno, anche quelle non avvertite
all'esterno se non col suono delle campane, spezzavano
il ritmo ripetitivo col decoro delle celebrazioni. Per
queste c'era il suono dell'organo, che fu sempre tenuto
in onore, e l'uso di arredi e paramenti festivi su cui non
si badò mai a risparmi. Anche la quotidiana mensa frugale ne risentiva ed era seguita da un distensivo passeggio pomeridiano.
La liturgia era il ciclo stabile di riferimento cui veniva
orientata la vita comune: tutto direttamente o remotamente obbediva ai valori assoluti e indiscussi della fede.
Nulla era distrattivo o superfluo sia per i principi adottati e tradotti, sia per la povertà che era costitutivo fisiologico della vita e della casa passionista.
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Se, però, alla Badia vibrava un'attrazione spirituale agli occhi del popolo e degli uomini di Chiesa era merito
di religiosi che facevano trasparire il fascino di una forte
testimonianza. Non conviene, per brevità, fare qui nomi
che ricorrono un po' in tutte le pagine di questa storia
sommaria.
Alla Badia c'è stata una catena di consegna spirituale,
dal Fondatore fino a questi ultimi decenni, tenuta viva
da missionari, confessori, uomini di carità, consiglieri,
anche da semplici fratelli laici, che hanno fatto vedere ai
ceccanesi i risvolti vari di una santità feriale e dimessa,
quella che convince per la sua costante coerenza, che
"fa ambiente" e riscuote consenso, consolidando un tipo
di religioso, quello passionista, appunto, non esposto e
non protagonista. Ma, per questo, idoneo a mantenere
persuasivo un clima di sicuro riferimento per la società.
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La vita culturale alla Badia
Oltre quello spirituale, alla Badia si è curato fin dal
'700 il patrimonio culturale. Nel tempo destinato allo
studio i religiosi preparavano gli scritti che servivano da
repertorio predicabile e argomenti di lezioni scolastiche
per i giovani. Questi scritti, nei tempi passati erano fatti
esaminare dai superiori prima che fossero utilizzati. A
questo scopo c'erano molti autori in biblioteca che servivano da base di studio. I titoli spaziavano dalle discipline ecclesiastiche a quelle umanistiche. Dunque, prima di tutto occorrevano libri.
Alla sua fondazione la Badia non aveva certo una biblioteca. Un contributo di Mons. Borgia direttamente
all'amico Fondatore, in quei primi giorni di vita del convento, permise i primi acquisti. Qualche anno dopo il
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Santo informa il vescovo che con una sua nuova offerta
ha acquistato per la Badia libri di teologia morale. E'
probabile che nel '700 ci sia stato qualche fondo ecclesiastico in dono. Lo si deduce da note sui frontespizi e
dall'antichità dei testi, come le cinquecentine. Quello
che è documentato è l'incremento operato dai superiori
dell'Istituto, particolarmente dopo le tristi vicende della
rivoluzione e della dominazione napoleonica. Talvolta i
nomi compaiono sul frontespizio dei volumi. Il più assiduo fornitore allora fu P. Antonio Colombo, Superiore
provinciale per due mandati, dal 1819, poi anche Generale. Era molto accorto al patrimonio librario e recò alla Badia testi con la sua firma. Donò anche una tela raffigurante la crocifissione, poi scomparsa, proseguendo
così la dotazione dei dipinti, già ben avviata dal Rettore
P. Emidio Chiari nel 1821.
Nel 1826 la biblioteca ebbe nuovi titoli col Generale P.
Pighi e col Provinciale P. Luca Fabi, con la collaborazione, ancora una volta, del P. Colombo. Nel 1835 risultano libri acquistati a Ceccano stessa, segno che in
città c'erano collegamenti con gli editori di Roma e,
molto probabilmente, di Napoli, dati i prezzi ivi più convenienti, dovuti ad una più diffusa attività editoriale. Fin
dai tempi del Fondatore, infatti, le biblioteche passioniste, per questa ragione, facevano acquisti a Napoli.
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Nel 1845 si spende per nuovi libri, tra cui i dieci grossi
volumi di Cornelio a Lapide, allora ancora fondamentale per i commenti alla Bibbia. Poi, 1847, fu la volta della "Storia naturale" del Buffon, tradotta in più volumi,
opera che non figura negli altri conventi vicini.
Tra il 1851 e il 1854 non solo si registrano nuovi acquisti, ma si pensa a restaurare e rilegare nella vicina
Ferentino. Anzi, nella stamperia dei fratelli Bono, sempre a Ferentino, si fa pubblicare nel 1844 un libro di
meditazione per il popolo, diffuso anche nelle missioni.
Ne 1860 P. Filippo Scaccia affida alla stessa stamperia
la prima biografia del Beato Domenico Barberi che fu
alla Badia come insegnante di filosofia e morì in Inghilterra, apostolo dell'ecumenismo, nel 1849.
A questo punto la biblioteca della Badia ha raggiunto
pressoché la sua dotazione essenziale con le serie scritturistiche, teologiche, morali, giuridiche.
C'erano
scaffali con collane storiche, Muratori in testa. Non
mancavano, con classici latini, i filosofi del tempo e un
settore con testi di scienza. Molto nutriti i reparti
predicabili, spiritualità, agiografia, ecc. C'era no buone
opere di consultazione, tra cui i volumi del Moroni,
preziosi ancora oggi. Le prime annate della "Civiltà
Cattolica", già rilegate, si affiancavano ad altre testate
periodiche, oggi meno note o scomparse.
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Poi vennero gli incameramenti con le nuove leggi risorgimentali, così dannose per la cultura, monastica e
non, ma la Badia salvò il grosso della sua biblioteca. Si
dovrà attendere la fine degli anni '80, col ritorno alla
normalità per recuperare e aggiornare il patrimonio librario che registra continui arricchimenti fino al 1904.
Gli anni successivi, anche per colpa della prima guerra
mondiale che rubò la gioventù alle famiglie e ai conventi,
segnano una stasi. Da qui, comunque, la vita delle biblioteche conventuali cambia ritmo e qualità di accrescimento, non ultima ragione è il diverso rapporto al libro come bene di consumo permesso ai singoli. Ne era
stato un segno, già alla fine dell'800, la cura dei soggetti
più motivati, magari quelli con incarichi scolastici, di aggiornare la biblioteca con nuovi titoli. La Badia era sede di studentato e i Padri docenti cercavano autori nuovi ... quando non erano essi stessi autori.
A questo proposito, tornando un po' indietro nel tempo,
incontriamo alla Badia nel 1828 il Beato Domenico
Barberi, già nominato, che riceve dal Generale P. Colombo l'incarico di scrivere un "Manuale di filosofia",
poi affidato a revisori non facili da accontentare. L'incarico poi passò al P. Angelini a Roma. Si trattava di
sveltire e aggiornare il Roselli e il Billuart, corsi di filosofia e teologia, settecenteschi, prolissi e ignari del nuovo
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paesaggio del pensiero determinatosi con gli autori tedeschi.
Diversamente fu per l'opera del P. Silvestro Zannelli,
Rettore alla Badia del 1857 al 1863 per due mandati. I
suoi cinque grossi volumi di filosofia neotomista furono
stampati a Montecassino nel 1875 con un ricco e aggiornato apparato bibliografico di autori italiani ed esteri. Negli anni trascorsi alla Badia P. Zannelli rifornì sensibilmente la biblioteca, quanto meno per la bibliografia
connessa alle sue ricerche, per il fatto che a quel tempo
i religiosi non potevano avere scaffali privati.
Un altro nome di grosso peso culturale che arricchì la
biblioteca alla Badia dal 1888 al 1890, fu il P. Gaspare
Forti. Era di ricca famiglia ebraica di Siena. Entrò molto giovane al noviziato di Paliano. Scrisse con colte argomentazioni un libro di dialogo con gli ebrei e poi un
saggio sui fondamenti teologici della morale, stampati a
Torino nel 1872 e a Genova nel 1873. Si conservano
appunti dei suoi corsi di matematica, come pure manoscritti spirituali relativi alla sua attività pastorale molto richiesta da comunità e monasteri della Ciociaria.
Il P. Forti era stato discepolo di P. Gabriele Abisati,
noto a suo tempo anche fuori dell'Istituto, come teologo
e conferenziere. Certamente alla Badia dovette conoscerlo il ceccanese Mons. Bovieri, Vescovo di Monte-
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fiascone, che lo portò con sé al Concilio Vaticano I
come consulente teologo nel 1869-70.
Alla Badia svolse per anni il suo insegnamento umanistico anche il napoletano P. Mariano Coraggio, morto
nel 1908 in concetto di santità, amato dai badiani e dai
confratelli. Tracciò una meridiana sul muro esterno del
coro con criteri scientifici. Di lui fu curato un ritratto ad
olio, segno di stima e venerazione.
P. Silvestrello Lilla, morto settantenne alla Badia nel
1935, dopo essere stato missionario in Bulgaria e in
Argentina, alternava all'apostolato le sue ricerche, lasciate manoscritte, su più argomenti. Tra fine '800 e inizi '900 aveva compilato un dizionario in due grossi volumi, italiano-francese-bulgaro, stampato a Vienna nel
1903.
Quanto a iniziative culturali fuori comunità il regime
sociale dei tempi passati non faceva promuovere altro,
se si eccettua la scuola elementare per i badiani tra fine
'800 e inizi '900. In questi ultimi tempi alla Badia si è
visto movimento culturale con convegni, giornate di studio, raduni programmati per addetti all'interno
dell'Istituto, ma anche in dialogo con gli studiosi,
specialmente sul tema de patrimonio storico-culturale.
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A questo proposito molto interesse riscosse la giornata di studio e l'esposizione dei beni culturali dei Passionisti del '700 e '800, organizzata il 28 dicembre 1991.
L'occasione era data dal decreto di Giovanni Paolo II
con cui si dichiarava Venerabile il giovane passionista
Grimoaldo Santamaria, morto alla Badia nel 1902. Fu
presentata la nuova biografia scritta da P. Stefano
Pompilio con una relazione del prof. Gabriele De Bianchi. L'inaugurazione dell'esposizione fu preceduta dagli
interventi del bibliofilo Gian Ludovico Mazza, del Sen.
Romano Misserville (il quale, tra l'altro, ricordò la figura
del P. Lorenzo Volante) e dall'introduzione di chi scrive
che ne fu il curatore. I ceccanesi potettero ammirare per
la prima volta un saggio di quello che era custodito alla
Badia e negli altri conventi passionisti della Ciociaria: libri antichi, manoscritti e testi passionisti, arredi liturgici,
serie iconografiche ed altro che riscosse vivo interesse
per lo spazio di due settimane.
Il giorno dopo, 29 dicembre, furono affrontate problematiche giovanili con una tavola rotonda che vide la
partecipazione del Vescovo Cella, del Sindaco Ciotoli,
con interventi di Giuseppe Sperduti, Mario Sodani, Simonetta Nardi, Don Sergio Reali. Moderatore fu Bruno Paella. Il P. Provinciale Ludovico Izzo rappresentava l'Istituto. La conclusione vivamente attesa e seguita
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fu dell'On. Franco Marini, Ministro del Lavoro, che attirò sull'iniziativa l'interesse della stampa e delle reti televisive.
Più marcato aspetto storico ebbe il Convegno coordinato da Carlo Cristofanilli l'11 dicembre 1994, in occasione del terzo Centenario della nascita di S. Paolo della Croce, tenuto nella sala parrocchiale del convento,
presenti autorità e inviati della stampa. Il tema era: "Il
'700 nel Lazio meridionale e l'opera di S. Paolo della
Croce". Si avvicendarono con interessanti relazioni il P.
Paulino Alonso, della Commissione storica generale dei
Passionisti, Dante Zinanni, Giuseppe Sperduti, Giuliano
Floridi, Natale Tomei, Gioacchino Giammaria, Marcello
Stirpe, Marcello Rizzello, Benedetto Catracchia, Umberto Caperna. Lo stesso coordinatore Cristofanilli e
chi scrive tennero relazioni. Oggi l'attenzione delle istituzioni culturali è crescente intorno alla Badia, tanto per
la sua storia quanto per le testimonianze del passato che
custodisce.
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Il Beato Grimoaldo Santamaria
Quando il 21 ottobre 1962 i ceccanesi videro un corteo imponente che dal cimitero attraversò Ceccano e si
diresse alla Badia, non tutti si spiegavano il perché:
normalmente questi cortei vanno al contrario. Ma quella volta era per sottrarre alla sepoltura comune un giovane morto in concetto di santità alla Badia nel 1902,
Grimoaldo Santamaria.
In quella occasione si videro sfilare quattro vescovi
passionisti, presenti a Roma per il Concilio: Peruzzo
(Agrigento), Battistelli (Teramo), Deane (Argentina),
Pellanda (Brasile). C'era il Superiore generale P. Malcom La Velle, il Superiore provinciale P. Sebastiano
Cerrone e tanti confratelli.
Gradita e significativa la partecipazione del clero e degli istituti femminili della città. Per gli adempimenti della
ricognizione canonica del corpo c'era il Dott. O. Zacchi,
perito medico della S. Congregazione dei Riti e il Dott.
Stirpe. Da parte diocesana c'era il Tribunale ecclesia-
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stico di Ferentino guidato da Mons. Miniconzi. Da
Pontecorvo, città natale del Beato, c'era Mons. Mariani, Vicario generale, con i PP. Dottrinari ed altri della
parrocchia di S. Marco. Coordinatore degli adempimenti era il Postulatore generale dei Passionisti per le
cause dei Santi, P. Federico Menegazzo, col suo vice,
in provincia, P. Marcellino Di Benedetto. Vennero dagli USA, dov'erano emigrati, il fratello del Beato, Vincenzo, e la sorella Vincenzina.
Ma chi era stato questo giovane che ora scomodava
tanta gente?
Era nato a Pontecorvo nel 1883 da una famiglia di funai. Da piccolo mostrò subito una chiara propensione
per le cose sante. Era pio, virtuoso, schivo di quello
che attrae i ragazzi di piazza. Frequentava molto la
chiesa, aiutava i bisognosi e non aveva ni tenzione di
proseguire il mestiere del padre.
Dopo le scuole d'obbligo seguì, con un sacerdote un
corso integrativo per affrontare gli studi in convento dove era puntato il suo sogno. Entrò al noviziato di Paliano nel 1899. Combinazione: in una fattoria a qualche
chilometro di distanza dal convento, viveva la piccola
Maria Coretti. Il 6 marzo 1900 Grimoaldo pronunziò la
sua professione e il giorno dopo raggiunse la Badia di
Ceccano per proseguire gli studi. Qui trovò uomini la
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cui vita era tutto un insegnamento: P. Simone Balest, P.
Mariano Coraggio, P. Raffaele Cristofori. Già vivere al
loro fianco significava poter avanzare in un cammino di
santità.
Negli studi trovò qualche difficoltà per le lacune scolastiche che si portava da casa. Ma fu sempre impegnato
nei doveri e nelle occupazioni monastiche con gioiosa
spontaneità. Mostrava gusto di pregare, obbedire, aiutare gli altri. Era umile, ben integrato nel gruppo dei
compagni e della comunità che lo considerò un promettente arricchimento. Ma fu per poco.
Il 31 ottobre 1902, Grimoaldo, durante un breve passeggio pomeridiano con i compagni, intorno alla Badia,
fu colto da un malore che poi si rivelò meningite acuta.
Dopo 18 giorni di preghiere e sofferenze, con ingannevoli miglioramenti, e dopo aver egli stesso predetto il
giorno della sua morte, spirò nella serenità dei santi.
Era il 18 novembre 1902, Grimoaldo aveva 19 anni.
La notizia commosse Ceccano e Pontecorvo, sebbene
a quel tempo i decessi giovanili fossero frequenti anche
nei conventi.
Tra quelli che lo conobbero, soprattutto nella parentela in Italia e all'estero, si diffuse subito la convinzione
che Grimoaldo fosse santo, dati i numerosi prodigi che
gli venivano attribuiti. In seguito quelli che ancora lo ri-
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cordavano cominciarono a chiedere l'attenzione della
Chiesa, anzi ci fu chi cominciò a lamentarsi di un silenzio
ingiustificato. Nel 1956 i Passionisti decisero di iniziare
la causa di beatificazione. Nel 1957 si avviò il processo
a Ferentino seguito da quelli di Rochester, (USA) S.
Paolo (Brasile) e Pontecorvo, poi quelli Suppletivi. Infine, per il 1964 gli atti erano pronti e furono inviati alla
S. Congregazione per le cause dei Santi. Intanto nel
1955 era uscita la prima biografia scritta da P. Gioacchino De Santis: "Sulla vetta in breve", tradotta poi in
inglese nel 1961 Quickly to the summit; la conoscenza
del giovane passionista cresceva. Nel 1991 il Papa firmò il decreto che lo dichiarava Venerabile. L'avvenimento fu solennizzato alla Badia da manifestazioni religiose con l'intervento del Card. Pietro Palazzini e il Vescovo Cella, e iniziative culturali, il 28 e 29 dicembre,
già segnalate al capitolo precedente.
Poi finalmente giunse il 29 gennaio 1995, giorno della
beatificazione in S. Pietro, dopo il lungo iter dell'approvazione del miracolo al piccolo Nicola Romano di Cesa
di Aversa. Quella mattina rimane indimenticabile per i
Passionisti, per i cittadini di Ceccano, di Pontecorvo e
per tanti altri interessati all'avvenimento. Erano in S.
Pietro più di 5000 persone, oltre alle presenze relative
agli altri beati dichiarati quel giorno. Vicino al Papa,
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nella celebrazione, il Vescovo diocesano Mons. Cella,
direttamente coinvolto, e poi Mons. Brandolini, Vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo, patria del Beato,
Mons. Chiarinelli che aveva seguito le fasi preparatorie
ed era Vescovo di Aversa. C'era, infine, Mons. Nesti,
Vescovo passionista.
Il Comune di Ceccano era ufficialmente presente con
tutta la Civica Amministrazione, guidata dal Sindaco
Maurizio Cerroni e Signora Luigina Pizzuti.
C'erano inoltre 15 pullmans di ceccanesi, oltre le auto
private. In testa ai pontecorvesi era il Vicesindaco
Umberto Satini. Guidavano la delegazione di Rochester
i Revv. john Reif e Foster Rogers col passionista P.
Damian Towey, delegato per la provincia passionista di
New York.
L'Istituto era presente col Superiore generale P.J.A.
Orbegozo, il Postulatore Zubiani ed altri della sede generalizia, il Superiore della Provincia campano-laziale, il
ceccanese P. Giovanni Cipriani col suo consiglio, il Rettore-parroco della Badia P. Antonio Siciliano e tanti
confratelli, alcuni dei quali guidavano gruppi da vari
centri della Campania e del Lazio.
Il prezioso reliquiario per il rito in S. Pietro fu donato
dall'Amministrazione comunale di Ceccano, che l'11 dicembre 1994 aveva dichiarato Grimoaldo Santamaria
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cittadino onorario di Ceccano in una seduta straordinaria tenuta alla Badia. Nel pomeriggio di quel 29 gennaio
si organizzò una liturgia, la prima in onore del nuovo
Beato, nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo, sede
centrale dei Passionisti, presieduta dal P. Generale. Si
esibirono cori e strumentisti di Ceccano e Cesa di Aversa. Al centro della basilica era esposta l'urna del
Beato: una bella figura giovanile adagiata con gusto dalla mano di Tito Amodei. Il giorno dopo un nuovo rito
col Card. A. Felici serviva anche da chiusura del terzo
centenario della nascita di S. Paolo della Croce.
Il 31 gennaio l'urna con un'autocappella si avviava per
Ceccano, scortata dalle forze dell'ordine. Alla Madonna de Loco ebbe il saluto del Vescovo Cella e del Sindaco M. Cerroni. Poi si proseguì per S. Giovanni dove
il Vescovo celebrò con devota partecipazione di popolo. La sera del giorno seguente, dopo la relazione del
P.V. Gambino, del'Università salesiana, nell'aula conciliare del Comune, nuova concelebrazione in S. Giovanni
col P. Generale, l'Arciprete Mons. A. Piroli e il P. Provinciale.
Nutriti programmi pastorali circondarono l'urna anche
nei giorni successivi, quando fu accompagnata alla parrocchia di S. Nicola, con le liturgie di Mons. Brandolini
e Mons. Tomassetti, Vescovo di Palestrina. Così pure
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a S. Maria a Fiume con Mons. A. Erba, Vescovo di
Segni Velletri. Alla chiesa di S. Pietro i riti furono presieduti prima da Mons. Piroli, poi da Mons. L. Belloli,
Vescovo di Anagni. Il tutto coordinato dai rispettivi
parroci D. Giuseppe Rivaroli, D. Luigi Mattone e P.
Luciano Scarfagna.
La sera dell'8 febbraio l'urna del Beato veniva accompagnata al convento con straordinaria partecipazione di popolo. La via della Badia era tutto un tripudio:
ogni casa, ogni passo di strada mostrava segni di luce e
colore con comprensibile, orgoglio. Anche qui pellegrini da Pontecorvo e Cesa di Aversa, tutto fino a notte
avanzata. Seguirono giornate con varie iniziative pastorali e celebrative che videro la partecipazione del Rettore del Seminario Leoniano di Anagni, D. F. Lambiasi e
poi del Vescovo di Teano-Calvi Mons. F. Tommasiello. Spesso si notava la partecipazione dei pronipoti del
Beato, famiglie Colicci e Delle Cese.
Le giornate di riflessione e preghiere in tutte le parrocchie furono felicemente programmate per categorie: malati, mamme, ragazzi ecc. Quella per i giovani, a S.M. a
Fiume fu conclusa dal P. Leone Masnata, Vicario generale dei Passionisti.
Domenica 12 febbraio 1995 la celebrazione conclusiva di tutto. Si tenne all'aperto sul piazzale della Badia,
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presieduta dall'Arcivescovo Nesti passionista, con molti
concelebranti e circa duemila fedeli. Era presenta il
Sindaco M. Cerroni e vari altri esponenti della classe
politica e dirigenziale di Ceccano.
Successivamente l'urna del Beato Grimoaldo fu definitivamente collocata in una nuova cappella ricavata nel
lato sinistro della chiesa, opera degli artisti passionisti
Ottaviano D'Egidio e Tito Amodei.
Merita segnalazione il servizio corale e strumentale
che solennizzò tutte le principali celebrazioni di questo
avvenimento, da Roma alla Badia: il Gruppo Agape, il
Coro polifonico Josquin des Près, diretto da Mauro
Gizzi; l'orchestra da camera Gerolamo Frescobaldi, la
Corale di Cesa di Aversa, diretta da Samuele D'Alterio,
la Banda Musicale di Ceccano e il Coro della Badia diretto da Arcangelo Cicciarelli.
Chiudiamo qui queste rievocazioni, come ad una tappa ideale, che vede Ceccano e la Badia riferirsi ad una
identità che ha un peso storico di 250 anni e nutre l'impegno di proseguire in un comune cammino.
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Nota bibliografica essenziale
AA.VV Due secoli di gloria alla Badia, 1748-1948.
Roma 1948. Numero unico per il bicentenario.
Enrico Zoffoli S. Paolo della Croce. Storia critica. 3 voll.
Roma 1963 - 1968.
P. Filippo della S. Famiglia S. Paolo della Croce e la Provincia
di M.SS. Addolorata dei Passionisti. Casamari 1967.
Carmelo Naselli La soppressione napoleonica delle corporazioni religiose, il caso dei Passionisti in Italia.
Roma 1970.
P. Filippo Antonaroli Storia della Provincia di Maria SS. Addolorata. Ciclostilato dai manoscritti curato dal Provinciale P.
Sebastiano Cerrone. Napoli 1966.
C. Comparelli S. Paolo della Croce da Napoli a Roma. Saggi.
Tivoli 1994.
Inoltre: Documenti vari d'archivio dell'Istituto.
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Indice
Introduzione
Ceccano
La badia
S. Paolo della croce
Nella bufera del 1798
La soggezione napoleonica
La nuova chiesa
Un secolo di esperienze repressive
La vita riprende
Nel turbine della guerra
Il bicentenario
La ricostruzione
»
Cronache pastorali
La vita spirituale alla Badia
La vita culturale alla Badia
Il Beato Crimoaldo Santamaria
Bibliografia essenziale
Documentazione fotografica
103
Pag.
»
»
»
»
»
»
»
»
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63
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»
»
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5
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