Il trapianto di fegato in Italia
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Il trapianto di fegato in Italia
UNIGASTRO Editoriale, Padova 3 marzo 2007 Il trapianto di fegato in Italia Patrizia Burra, Gastroenterologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Gastroenterologiche, Universita’ di Padova, [email protected] Il trapianto di fegato rappresenta in Italia come in numerosi altri Paesi del Mondo la terapia di scelta per pazienti affetti da cirrosi epatica in stadio avanzato o in casi selezionati di pazienti affetti da epatite fulminante, acuta o subacuta. L’indicazione al trapianto di fegato si pone quando la terapia medica, le procedure endoscopiche e/o radiologiche ed anche gli interventi chirurgici non possono più essere efficaci. Nei primi anni in cui questa procedura si andava sviluppando, l’indicazione al trapianto di fegato veniva posta secondo valutazioni che includevano l’analisi di indici di funzione epatica e dati clinici indicativi di rischio di decesso del paziente con cirrosi epatica senza trapianto, inevitabilmente includendo criteri clinici spesso soggettivi. Nel 1997 Lucey proponeva il criterio - poi diffusamente utilizzato fino ad anni recenti negli Stati Uniti – secondo il quale, il trapianto doveva essere offerto al paziente che aveva il 10% di rischio di morire per la sua malattia epatica senza trapianto di fegato, entro 12 mesi. Nel 1999 Neuberger in Inghilterra, secondo un principio più pragmatico, sosteneva che il trapianto doveva essere proposto al paziente che aveva almeno il 50% di probabilità di sopravvivere a 5 anni dal trapianto. Da lungo tempo in Italia, per stabilire il momento adatto all’inserimento in lista del paziente con malattia epatica acuta o cronica, è stato utilizzato il sistema americano proposto da UNOS che identificava almeno quattro categorie entro le quali classificare i pazienti in base alla minore o maggiore urgenza al trapianto. Tali categorie vennero poi riadattate secondo le caratteristiche italiane dalle diverse Agenzie di allocazione degli organi (NITp, AIRT, OCST). Le categorie fondamentalmente si basano sullo score di malattia epatica (secondo la classificazione di ChildPugh) integrato con situazioni cliniche contingenti (complicanze della cirrosi epatica, sviluppo di epatocarcinoma, necessità di ricoveri frequenti in ambiente ospedaliero o di terapia intensiva, etc…). Negli anni più recenti tuttavia, si è osservato un cambiamento nei sistemi di valutazione del momento ideale in cui il paziente con indicazione al trapianto deve essere inserito in lista d’attesa, cambiamento resosi necessario in quanto il numero dei pazienti candidabili all’intervento è andato aumentando anno dopo anno. Come conseguenza di questa politica il 27 febbraio 2002 gli Stati Uniti rendevano obbligatorio l’inserimento in lista dei pazienti sulla base di un modello matematico - MELD - che si ottiene da un calcolo logaritmico di tre semplici variabili, la bilirubina, la creatinina e l’INR. Il punteggio del MELD va da 0 a oltre 40 e gli americani hanno applicato il limite minimo per l’inserimento in lista di un paziente pari al MELD uguale o superiore a 15. In Italia il CNT ha proposto di ridurre a 10 il valore minimo di MELD per consentire l’inserimento in lista. Molti Centri nel nostro Paese non riconoscono nel MELD un valore assoluto nella valutazione del rischio che il paziente ha di morire senza il trapianto di fegato, così come nella capacità di indicare la priorità al trapianto di fegato. Secondo l’utilizzo prospettico del MELD in una popolazione americana è emerso che il trapianto di fegato può avere reale beneficio quando il valore di MELD al momento del trapianto è 20-24 e comunque almeno superiore a 18. In Italia, come in molti Paesi, abbiamo vige da sempre il principio che il trapianto debba essere proposto per il paziente più grave, ma con reali possibilità di sopravvivere dopo l’intervento. Sicuramente il MELD rappresenta un modello valido, ma non perfetto, anche se perfettibile come sostengono gli Americani. Ma quale sembra essere il limite maggiore che deriva dalla applicazione di questo modello per tutti i pazienti con malattia di fegato ? Il limite maggiore è che vi sono malattie epatiche e loro complicanze non rappresentate dalle tre variabili su cui si basa il calcolo del MELD. Non solo. Negli ultimi anni si è osservato un ampliamento dei criteri per l’utilizzo dei donatori definiti “non ottimali”. Ne deriva l’esigenza di valutare il rapporto tra le caratteristiche dell’organo donato e del donatore, e la severita’ clinica del ricevente, come pure l’eta’ del donatore e l’eta’ del ricevente, in termini di predittivià di risultati dopo trapianto di fegato, problema ampiamente dibattuto tra gastroenterologi, epatologi e chirurghi dediti alla attività di trapianto di fegato. Comunque, nonostante le notevoli difficoltà inevitabili in certi contesti, i risultati di sopravvivenza di organo e di pazienti in Italia sono perfettamente confrontabili con quanto riportato da Registri Europei ed Internazionali, con tasso di sopravvivenza del paziente a 5 anni dal trapianto del 7075%. Il problema ancora rilevante resta comunque il divario tra pazienti che necessiterebbero del trapianto e gli organi disponibili, con conseguente rischio di decesso dei candidati in lista d’attesa. Il sistema di allocazione degli organi deve rispettare il principio di “utilità” per cui il trapianto deve poter garantire al paziente uno stato di salute che gli permetta di riprendere le sue attività quotidiane, lo studio, il lavoro, le attività famigliari, le attività sociali in maniera confrontabile con quella delle persone sane, ma deve anche rispettare il principio della “equità” ossia deve avvenire nel rispetto dei diritti di uguaglianza, trasparenza, giustizia. Il bilancio tuttavia tra i due principi, uno di tipo utilitaristico e l’altro di tipo umanitario, non sempre risulta di facile applicazione nella pratica clinica. Ciò si riflette sulle difficoltà che quotidianamente incontriamo di fronte alla decisione sulla priorità da dare ad un determinato paziente rispetto ad un altro in lista d’attesa quando un organo si rende disponibile. Nonostante l’impegno profuso negli anni nel tentativo di risolvere il divario tra pazienti in lista d’attesa e donazioni, il problema permane e la mortalità in lista d’attesa si attesta a seconda dei Centri tra il 5 ed 15%. Spesso purtroppo sono percentuali che sottostimano però il reale numero dei decessi di pazienti in attesa di trapianto di fegato, in quanto non includono coloro i quali vengono rimossi dalla lista per peggioramento delle condizioni cliniche non più compatibili con la riuscita dell’intervento. In Italia il primo trapianto è stato fatto nel 1982 e la normativa più recente, che ha regolamentato l’attivita’ di donazione e trapianto, è rappresentata dalla Legge 91 del 1 aprile 1999. Il sistema trapianti in Italia con l’applicazione delle nuova Legge ha visto realizzarsi in pochi anni molti dei programmi di sviluppo previsti per questa attività. Nel 2002 è stato istituito il CNT con il ruolo di supervisionare l’efficienza e la qualità dei processi sia di donazione che di trapianto nel nostro Paese. Il sistema trapianti in Italia si basa su 4 livelli di coordinamento, il 1° livello è rappresentato dal CNT, il 2° livello dalle tre Agenzie deputate alla allocazione degli organi (NITp, AIRT, OCST) con la presenza della Consulta Tecnica Permanente dell’Istituto Superiore di Sanità, il 3° livello dai Coordinamenti Regionali ed il 4° livello dai Coordinamenti Locali previsti sia per ospedali sede di prelievo che sede di Centro Trapianto. Al momento attuale in Italia 22 sono i Centri in cui si effettua il trapianto di fegato. Al singolo Centro è lasciata piena autonomia nella scelta del ricevente, nella priorità del candidato, nella accettazione del donatore. Il controllo della qualità del processo di donazione e trapianto, dei risultati del trapianto di fegato, della consistenza dei dati trasmessi dai Centri al CNT, del rispetto di quanto richiesto dalla Legge 91, è stato realizzato attraverso ispezioni effettuate nei singoli Centri da apposite commissioni. Questo sistema organizzativo ha portato in 10 anni ad avere un numero di donazioni – 21,6 donatori effettivi per milione di abitanti nel 2006 - che ci pone al di sopra della media Europea e tra i primi Paesi non solo in Europa ma nel resto del Mondo ed un numero di trapianti di fegato – 1079 nel 2006 – tra i più elevati in Europa. Il sistema, come tutti i sistemi, può ulteriormente essere migliorato. La popolazione generale non è sufficientemente informata sul processo di morte cerebrale e donazione degli organi, per cui quando i famigliari del potenziale donatore sono stati chiamati a dare il consenso alla donazione degli organi del proprio congiunto, nel 26% dei casi nel 2006 vi è stata una opposizione. Recentemente abbiamo completato a Padova la raccolta dei dati emersi da una indagine sugli atteggiamenti degli studenti di Medicina nei confronti della donazione degli organi. L’obiettivo era verificare se tre anni di Corso (i questionari sono stati somministrati la prima volta al 1° anno di Corso e somministrati nuovamente al 4° anno di Corso) potessero influire sugli atteggiamenti. Un giudizio positivo sulla donazione degli organi veniva espresso dal 91% degli studenti al 1° anno e dal 96% degli studenti al 4° anno, ma solo il 63% degli studenti del 4° anno ammetteva di aver firmato la carta con cui accettava di donare i propri organi dopo la morte. La valutazione della efficacia del sistema trapianti in Italia contempla anche il valore della qualità della vita. Solo il trapianto di fegato è in grado di ripristinare la qualità della vita delle migliaia di pazienti con malattia epatica terminale in lista d’attesa. Le prospettive future per curare le malattie epatiche, oltre al trapianto di fegato, prevedono di utilizzare le cellule come alternativa al trapianto di organi. Il trapianto di epatociti umani è stato realizzato in alcuni casi in Italia, così come le cellule sono state utilizzate per il sistema di detossificazione epatica mediante apparati bioartificiali (fegato bioartificiale). Negli anni più recenti si sta sviluppando la ricerca sulle cellule staminali umane quale potenziale terapeutico nella cura di casi selezionati di malattie epatiche. Vi sono aspetti critici relativi alla fonte da cui ottenere le cellule, ma le cellule staminali mature da cordone ombelicale, sangue cordonale, placenta e liquido amniotico umani sembrano avere un potenziale differenziativo in cellule epatiche. In conlusione, ritengo che l’integrazione di aspetti organizzativi, culturali, clinici, di ricerca e didattica relativi al trapianto di fegato debba essere inclusa nella programmazione delle attivita’ delle Società Mediche Specialistiche e dagli Organi competenti ad esse associati. Abbreviazioni AIRT Associazione Inter Regionale Trapianti CNT Centro Nazionale Trapianti MELD Model for End Stage Liver Disease NITp Nord Italia Transplant OCST Organizzazione Centro-Sud Trapianti