uniti per la vita - Amici degli Indios
Transcript
uniti per la vita - Amici degli Indios
di Alberto Chiara foto Image BRASILE INDIOS, CONTADINI ED EMARGINATI URBANI UNITI PER LA VITA Viaggio nel Nord del Paese, a Roraima, nello Stato che, nonostante la diffusa miseria, ha votato in controtendenza, bocciando Lula e dando ad Alckmin la percentuale dei consensi più alta di tutta la nazione. Tra chi continua a occuparsi dei poveri, resiste il movimento Nós existimos. Ecco come. Boa Vista (Roraima, Brasile) A modo suo è un record. Che strappa smaglianti sorrisi o incute paura, a seconda dei punti di vista. Roraima, lo Stato meno abitato e più settentrionale della Repubblica federale brasiliana, ha girato platealmente le spalle a Luiz Inácio Lula da Silva. Al ballottaggio, il presidente uscente ha raccolto appena il 38,51 per cento dei consensi. Un flop senza pari. Per contro, Geraldo Alckmin ha ottenuto un successo (61,49 per cento) che non ha eguali in nessuno dei 7 Stati (su 27) dove ha vinto. Non gli è andata così bene neppure nello Stato di San Paolo, dove poteva vantare un passato di (apprezzato) governatore e dove, invece, s’è fermato al 52,26 per cento. Per Alckmin è una modesta consolazione, giacché su scala nazionale è uscito largamente sconfitto. Per Lula è un’ulteriore sfida. Roraima, dunque. Ultimo a essere riconosciuto come Stato a sé stante, nel 1991, punta i piedi sull’Equatore, infilandosi tra Venezuela e Guyana. Affascinante, estremo, contraddittorio, è al tempo stesso impervia montagna e florida pianura, sfacciata ricchezza e lacerante miseria. Misura 230.000 chilometri quadrati, dieci volte la Lombardia. «Qui vivono circa 370.000 persone, di cui almeno 42.000 sono indios appartenenti a diversi popoli che risiedono nei loro piccoli insediamenti, sparsi nella foresta amazzonica o nella savana: yanomami, macuxí, wapichana, giusto per citare i più numerosi», spiega l’antropologo Herundino Ribeiro do Nascimento Filho. «I centri urbani sono 15, il più grande dei quali è la capitale dello Stato, Boa Vista, che si pensa possa avere 230.000 abitanti. La seconda città, Rorainopolis, ne ha 20.000; le altre sono ancora più piccole. Si calcola che, nella sola Boa Vista, il 60 per cento della gente sia escluso dai servizi di base (acqua potabile, fognature, istruzione, sanità)». Una famiglia di indios nella savana. Frontiera del capitalismo selvaggio «Quasi la metà delle terre di Roraima sono indigene, già riconosciute come tali, ma i politici locali odiano gli indios», precisa Mércio Pereira Gomes, presidente della Fundação Nacional do Índio (Funai). Il quale aggiunge: «Questa è l’ultima frontiera del precapitalismo o, se preferisce, è l’ultima frontiera del capitalismo selvaggio brasiliano». «Roraima conta per quello che la terra produce e per quello che custodisce nel sottosuolo: diamanti, tantalio (un minerale usato nella costruzione dei computer e dei telefonini), probabilmente uranio», interviene l’antropologa Silvia Zaccaria. «Nel 1980, Roraima aveva appena 70.000 abitanti, in schiacciante maggioranza indios. Da allora è diventato un "nuovo Eldorado", da occupare e colonizzare. Attirati dal miraggio di ottenere appezzamenti di terra, ma in realtà abbandonati al loro destino, giacché i lotti erano in posti lontani e disagevoli, sono via via arrivati emigranti da tutto il Brasile, specialmente dal Maranhão, lo Stato più povero del Nordest. Latifondisti e multinazionali guardano a Roraima, privi di scrupoli. Allevamento di bestiame in grandi fattorie, coltivazioni intensive di riso e di acacia (in vista di una progettata produzione di cellulosa a capitale svizzero-canadese, che non è mai decollata nei fatti); attualmente il mito della soia, meglio se transgenica: Roraima fa gola a molti». Padre Mario Campos, missionario della Consolata, con indios di diversi popoli della Raposa Serra do Sol in quello che resta della chiesa di Surumú, profanata e bruciata il 17 settembre 2005. I poveri si sono riuniti Da quasi quattro anni, qualcosa è cambiato. Indios, piccoli agricoltori ed emarginati urbani, per la prima volta insieme, dopo tanto tempo trascorso nell’indifferenza reciproca o, peggio, considerandosi nemici, invocano rispetto, rivendicano diritti e avanzano proposte economico-sociali. La campagna che hanno promosso – il cui nome è quasi un grido disperato: Nós existimos, "Esistiamo anche noi" – è stata ufficialmente presentata durante il Forum sociale mondiale svoltosi a Porto Alegre nel gennaio 2003. Appoggiata in Brasile dai sindacati, dalle organizzazioni che si battono per i diritti umani e dalla Chiesa cattolica, ha varcato l’Oceano. In Europa è stata ed è sostenuta da segmenti importanti della società civile in Germania, Spagna, Portogallo e Italia, in primo luogo dai Missionari della Consolata e dai gruppi laicali che lavorano con loro. Grazie anche alla mobilitazione di tanti lettori di Famiglia Cristiana, il manifesto di Nós existimos ha raccolto 44.000 firme, consegnate, la scorsa legislatura, al presidente del Senato, Marcello Pera. Jacir José de Souza, leader degli indios macuxi, a Maturuca, un villaggio della Raposa Serra do Sol. Tanti piccoli e grandi progetti Nel 2004, Nós existimos è diventato movimento. Dal 10 marzo 2006 opera in una sede nuova. Da qualche mese ha personalità giuridica. «Teniamo corsi di formazione politica, raccogliamo le denunce delle violazioni dei diritti, tentiamo – spesso con successo – di coinvolgere altri soggetti sociali (da ultimo, il movimento Sem Terra), ma attiviamo anche progetti di microcredito, insegniamo l’informatica e promuoviamo iniziative artistiche; cerchiamo, insomma, di cambiare in meglio il tessuto socioeconomico e quello culturale di Roraima», afferma fratel João Carlos Martinez, missionario della Consolata, coordinatore di Nós existimos. «Curiamo il più possibile la comunicazione», aggiunge fratel Carlo Zacquini: «Gestiamo un programma settimanale trasmesso dalla radio diocesana e, frutto delle crescenti attività, otteniamo sempre più spazio sul principale quotidiano locale, la Folha de Boa Vista». Il villaggio di Pedra Branca. Perché, allora, Lula, considerato altrove il paladino dei poveri e degli emarginati, è stato bocciato? «Alla base del risultato c’è soprattutto la pratica del voto di scambio, diffusissima; promettendo favori, donando beni (dai trattori alle ceste di cibo), i politici locali – contrari a Lula – dividono le comunità e mietono consensi», replica Andréa Vasconcelos, vicecoordinatrice di Nós existimos: «Alla carica di governatore è stato riconfermato Ottomar Pinto, la cui famiglia è in un modo o nell’altro al potere a Roraima da decenni. Noi non ci scoraggiamo. Né ci facciamo intimidire». Padre Kirikinto, un missionario della Consolata mozambicano, battezza piccoli indios a Maturuca. «Chiediamo strade per commercializzare meglio i nostri prodotti, ospedali (la malaria qui è endemica), scuole per i nostri figli», dichiara Aguinaldo Siqueira da Silva Santos, dell’Associazione dei lavoratori rurali. «Abbiamo lottato per trent’anni, puntando – tramite l’omologazione della Raposa Serra do Sol – a far sì che la nostra terra fosse riconosciuta come tale», dice Jacir José de Souza, leader dei macuxí: «L’anno scorso, Lula ha trovato il coraggio per firmare l’agognato decreto. Una buona parte dei bianchi che occupano ancora la nostra area, però, non se ne vuole andare, neppure se indennizzata». C’è chi, anzi, ha usato la mano pesante. Il 17 settembre 2005, il Centro di formazione della missione di Surumú, nella Raposa Serra do Sol, è stato attaccato e bruciato. Il 17 settembre scorso, testimoniando la voglia di non mollare, alcuni locali della scuola, restaurati, sono stati "rioccupati" dagli indios. «Sperare è per noi un dovere cristiano e politico», conclude fratel Zacquini. Una speranza operosa. «A Roraima si è costituito e funziona un Comitato contro la corruzione politica, che vigila sull’applicazione di una legge federale, la 9.840 del 1999, di cui il Brasile ha un estremo bisogno. Oggi più che mai». Alberto Chiara E ADESSO LULA È PIÙ FORTE DI PRIMA Adesso ha tante promesse da mantenere. Luiz Inácio Lula da Silva (foto sotto) ha stravinto. Il 29 ottobre, al ballottaggio, ha ottenuto oltre 58 milioni di voti, pari al 60,8 per cento dei consensi. Al suo rivale, Geraldo Alckmin, è andato il 39,2 per cento. Al primo turno le percentuali avevano fatto tremare Lula (fermo al 48,6 per cento), che aveva visto Alckmin farsi sotto con il 41,6 per cento. Rispetto al 2002, quando fu eletto per la prima volta presidente, Lula è più forte. Oggi, infatti, dei 27 Stati che compongono la Repubblica federale brasiliana, 5 (Acre, Bahia, Pará, Piauí, Sergipe) hanno un governatore del Partito dei lavoratori, lo stesso di Lula (erano 3 nel 2002), e altri 11 hanno registrato la vittoria di governatori di formazioni alleate. Lula può contare anche su circa 300 deputati, oltre il 50 per cento della Camera. Tra le questioni aperte, c’è pure quella indigena. «Lula intende costituire un Consiglio nazionale di politica indigenista», dichiara Mércio Pereira Gomes, presidente della Fundação Nacional do Índio (Funai). «Finora si è riusciti solo a insediare una commissione. Il principale scoglio è quello della rappresentanza. Mesi fa è stata convocata una conferenza alla quale hanno partecipato 750 indios in nome di 215 popoli sui 225 censiti in tutto il Brasile. Hanno eletto 10 delegati. Ma alcune organizzazioni indigene locali hanno contestato i risultati. Tutto da scrivere, inoltre, il capitolo delle competenze». Negli Stati del Brasile dove vivono, gli indios continuano a essere minacciati dai poteri economici forti. È il caso di Roraima. «La Chiesa è schierata a fianco degli indios», ricorda monsignor Roque Paloschi, vescovo di Boa Vista. In Italia la causa indigena è sostenuta, tra gli altri, dal Comitato Roraima (Co.Ro.), una Onlus che ha sede a Torino e i cui vertici associativi (Roberto Giacone, Paolo Guglielminetti, Carlo Miglietta) si sono recati a settembre nel Nord del Brasile per studiare, insieme alle varie anime di Nós existimos, nuovi progetti di sostegno. A.CH.