1 [...] Y44.3

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1 [...] Y44.3
Y44.1
tat̰ ϑβā pərəsā | ərəš m ōi vaocā ahurā ‖
nəm aŋhō ā | yaθā nəm ə̄ xšm āuuatō ‖
m azdā friiāi | θβāuuąs sax́iiāt̰ m auuaitē ‖
at̰ nə̄ aṣ̌ā | friiā dazdiiāi hākurənā ‖
yaθā n ə̄ ā | vohū jimat̰ manaŋhā ‖
[...]
Y44.3
tat̰ ϑβā pərəsā | ərəš m ōi vaocā ahurā ‖
kasnā ząθā | ptā aṣ̌a hiiā pouruiiō ‖
kasnā x v ə̄ṇ g | str ə̄m cā dāt̰ aduuānəm ‖
k ə̄ yā mā̊ | uxšiieitī nərəfsaitī θβ at̰ ‖
tācī t̰ m azdā | vasəm ī aniiācā vīduiiē ‖
tat̰ : acc. ntr. sg. dal dimostrativo av. rec. hā, hā,
tat̰ ‘questo’, ie. *so, sā, tod, ved. sá, sā́, tát, gr. ho, hē, tó
(articolo, ma dimostrativo ancora in Omero). F: da
notare il mutamento o > a, che fa parte del
mutamento indoiranico ē,ō > ā; e,o > a (ma vd. sotto
sulla legge di Brugmann). ♦ È presumibile che in ie.
ricostruito la posizione finale fosse una posizione di
neutralizzazione dell’opposizione di sonorità tra le
ostruenti. Così accade in indiano antico, dove le
occlusive finali hanno realizzazioni sorde o sonore
secondo il contesto fonosintattico (sono sonore
davanti a parola iniziante per vocale o per
consonante sonora). Il latino ha generalizzato
l’allofono sonoro (istud). In avestico l’occlusiva
dentale in fine di parola, quando non sia preceduta
da s o š [ʃ], è segnata con una forma di <t> munita di
una coda. Secondo Karl Hoffmann questo segno
segnalerebbe un’articolazione dell’occlusiva priva di
soluzione udibile [t̚] (cf. Hoffmann-Forssman §64d).
M : I due temi s- e t-, in relazione di suppletivismo, si
ritrovano in latino rispettivamente in ip-se e in is-te.
♦ Caratteristiche di questa flessione di tipo
pronominale ie. sono l’assenza della marca *-s al
nom. sg. msch. e il nom./acc./voc. neutro in *-od (cf.
lat. istud) anziché in *-om (cf. lat. novum). Scr.: <t> e
<a> sono i segni corrispondenti del pahlavico dei
libri; <t̰> è una forma di <t> diacriticizzata mediante
l’aggiunta di una coda.
ϑβā : forma clitica dell’accusativo del
pronome di 2a persona riconducibile a un ie. *tu̯e, cf.
gr. se (con -s- esito atteso di -tu̯-). F: e passa
regolarmente ad a e subisce allungamento finale. ♦ A
differenza di indiano antico, greco e latino, in
posizione di fine di parola l’iranico perde già dalla
fase antica l’opposizione di quantità vocalica. In
avestico antico le vocali finali sono sempre lunghe. In
avestico recente sono sempre lunghe nei monosillabi
e sempre brevi nei polisillabi. In persiano antico
troviamo in fine di parola la grafia traslitterata con ā (ossia una scrizione con sillabogramma <a>
aggiuntivo) sia per originario a lungo sia per
originario a breve; allo stesso modo la grafia anticopersiana non reca tracce delle originarie distinzioni i
: ī e u : ū in posizione finale: per entrambe le quantità
troviamo grafie con un sillabogramma finale
aggiuntivo di tipo <ya> - per i/ī – o <va> – per u/ū. ♦
Lo sviluppo t > ϑ rientra regolarmente nel generale
fenomeno della spirantizzazione delle occlusive in
posizione anteconsonantica che caratterizza l’intero
iranico rispetto all’indiano. Con le occlusive semplici
anteconsonantiche si confondono in iranico le
occlusive sorde aspirate indoiraniche, che pure
hanno esito fricativo: p. es., aav. dadāϑā, 2sg. del
perfetto indicativo attivo di dā- ‘porre’ (ie. *dʱē[*dʱeh1-]) corrisponde a ved. dadhā́thā. Nella posizione
dopo s, š troviamo invece esiti iranici occlusivi anche
a fronte di una fricativa indoaria: av. hišta-, ved. tíṣṭha‘stare’ tema di presente (tema di presente, costruito
in iranico e in indiano con differenti regole di
raddoppiamento, da *stā-/stə- = *steh2-); av. ant. vōistā
‘tu sai’ < *u̯oi̯ts.tha (< ie. *u̯oi̯d-+-th2a) cf. gr. oîstha, ved.
vettha. ♦ Uno sviluppo specifico dell’avestico è il
rafforzamento di *-u̯- dopo fricativa dentale: il suono
si muta in una ostruente labiale di modo di
articolazione affine a quello della consonante
precedente: abbiamo perciò β dopo ϑ (anche dopo δ
in avestico recente). Fa parte della stessa
fenomenologia l’occlusivizazzione in b dopo d che si
osserva nella forma aav. daibitiia- (< *du̯it° ) ‘secondo’,
originariamente dbit° (con epentesi di -a- e di -iaggiunte dalla tradizione). ♦ In avestico recente β
rappresenta
anche
il
risultato
di
una
spirantizzazione secondaria di b (esito di ie. *b/bʱ)
che si verifica in interno di parola quando il suono
non sia preceduto da nasale, z o ž [ʒ]. Tale
spirantizzazione dell’avesta recente coinvolge anche
1 d e g. S: nelle lingue indoeuropee antiche – ma si
tratta di un fatto tutt’altro che raro anche dal punto
di vista tipologico – la posizione privilegiata per i
clitici è la seconda posizione sintattica, detta anche
posizione Wackernagel dal nome di Jacob
Wackernagel, lo studioso che evidenziò il fenomeno
in un articolo (Über ein Gesetz der indo-germanischen
Wortstellung) apparso sul primo volume della rivista
«Indogermanische Forschungen» (1892) – si parla
anche di legge di Wackernagel. Scr.: la il segno
avestico <θ> è stato probabilmente creato a partire
da uno dei segni pahlavici per <s>, quello usato
tipicamente in posizione finale, mediante una
diacriticizzazione ottenuta attraverso l’aggiunta di
un tratto verso l’alto. La scelta di partire da un
grafema <s> è spiegabile se si pensa che 1) il
corrispondente comune di avestico /θ/ in
mediopersiano è /h/ (cosa che si deve a un
mutamento /θ/ > /h/ intervenuto nell’evoluzione tra
persiano antico e mediopersiano: cf. mpers. gāh
‘Gāthā-’); 2) per alcune parole mediopersiane la
grafia pahlavica presenta <s> per /h/ per influenza di
alcune grafie partiche. Il secondo di questi due fatti si
comprende bene a partire dall’osservazione di coppie
di parole costituite da una forma persiana
contenente un /h/ esito di /θ/ proveniente da
palatale indoeuropea (secondo lo sviluppo iranico
sudoccidentale *k̂ > θ) e dalla forma partica
corrispondente: p. es. mpers. mah ‘grande’, partico
mas ‘grande, grandemente’ dalla base ie. *meh2k̂‘lungo’ (cf. gr. mêkos ‘lunghezza’, makrós grande; v.
Henrik Samuel Nyberg, A Manual of Pahlavi, vol. 2,
Wiesbaden 1974, s.v. mah). L’adozione della grafia
partica <ms> per il significante persiano mah creò
dunque una nuova corrispondenza fonologicografica /h/-<s>, che fu estesa anche a parole nelle
quali /h/mediopersiano continua un *θ protoiranico
(e non una palatale protoiranica) e corrisponde
quindi all’avestico θ (tra cui ad esempio proprio gāh
<gʾs> ‘Gāthā-‘). ♦ Il grafema avestico per <β> proviene
dalla diacriticizzazione – attraverso l’aggiunta di un
tratto iniziale a destra, del segno pahlavico per <p>.
Si noti che con il passaggio di /p/ postvocalico a /b/
(probabilmente [β] sul piano fonetico) le grafie
pahlaviche, data la loro natura conservativa, si
trovavano già dal quarto secolo ad avere in <p> il
corrispondente grafico comune di /b/[β] in posizione
interna (cf. apers. āpi- ‘acqua’, mpers. pahl. <ʾp̄ˡ> (ma
<ʾb> nella grafia dei testi mediopersiani manichei).
pər ə sā : ‘chiedo’ 1sg. presente indicativo
attivo dalla radice fras- ‘chiedere’ M : la forma
continua direttamente un presente ie. *pr̥(k̂ )-sk̂e/o-,
parallelo a lat. poscō ‘chiedo, richiedo’, ved. pr̥ccháti
‘chiede’, arm. eharc‘ ‘chiese’ (con aumento) (cf. LIV:
490sg.). Il tema verbale presenta il suffisso -sk̂e/o(uno dei suffissi di presente dell’ie.) applicato al
grado zero *pr̥k-̂ della radice *prek̂- ‘chiedere’; è
probabile che in questa particolare giuntura
morfofonologica la sequenza -k̂ -sk̂- sia stata
semplificata in -sk̂- già in fase indoeuropea. Il grado e- *prek̂- della stessa radice è continuato, ad esempio,
nel tema del congiuntivo aoristo dell’avestico
recente frasa- (*prek̂-e/o-). ♦ F: Si noti come nel tema
*pr̥k̂ )-sk̂e/o- > pərəsa- l’originario r indoeuropeo abbia
assunto il ruolo di apice sillabico in quanto posto in
posizione interconsonantica e abbia dato quindi esito
-ər-. Proprio a causa di questo sviluppo p viene a
trovarsi sul piano prosodico in una posizione che non
è anteconsonantica ma antevocalica e non subisce
quindi spirantizzazione. Il secondo ə - segnato in
esponente nella traslitterazione – rappresenta
un’anaptissi secondaria, che appae regolarmente in
avestico nei nessi consonantici di tipo -rC-,
irrilevante per la metrica. ♦ L’iranico non conosce
geminate: dato che -s- è esito avestico atteso di ie. *k̂-, si ha regolarmente *-sk̂- >*-ss- > -s- con
degeminazione. Scr.: Hoffmann ipotizza che <ə>
rappresenti un adattamento dell’<E> greco.
ər ə š : ‘in modo diritto’, cf. il corradicale ərəzu‘diritto’, ved. ṛjú- (con suffisso -u-, vedi EWA II, 425,
s.v. RAJ2) da ie. *h3reĝ-, cf. gr. ὀρέγω ‘tendo’, lat. regō
‘dirigo in linea dritta’. F: La forma è evidentemente
costruita sul grado zero *h3r̥ĝ- della radice (cf. sopra
per l’esito di -r̥- sillabico). Bartholomae (AiWb, s.v.)
immagina l’originaria presenza di un suffisso –s, che
spiegherebbe la presenza di -š finale: *°ĝ-+-s- > *°k̂s(assimilazione regressiva di sonorità) > *°k̂š –
(mutamento RUKI)> *°šš- (assimilazione regressiva
totale di -k̂- a -š- seguita da degeminazione). È altresì
possibile immaginare la generalizzazione di un
allomorfo prodottosi in qualche particolare contesto
morfo-fonologico: ad es. in funzione di primo
membro di composto con secondo membro iniziante
per *-t- dato che –š- è esito atteso di *-k̂- e di *-ĝ- (nel
secondo caso passando per una desonorizzazione
dovuta ad assimilazione regressiva di sonorità)
davanti a -t-. ♦ Il mutamento *-k̂t- > *–št- è già di
epoca indoiranica, cf. av. vašti ‘egli desidera’ (3sg di
presente atematico), ved. váṣṭi, da ie. *u̯ek̂‘desiderare’
(cf.
gr.
hekṓn
‘che
agisce
volontariamente’, con spirito aspro non atteso forse
dovuto ad aggiunta di un -s- “mobile” iniziale) + *-tidesinenza di 3sg. Le postalveolari indoiraniche danno
sistematicamente esiti retroflessi in indiano.
m ōi : ‘a me’, dativo del pronome clitico di
prima persona singolare, iir. *mai̯, ie. * moi̯, cf. ved.
me, gr. moi. F: l’iranico di fase antica conserva i
dittonghi indoiranici (iir. *-ai̯- < ie. *-ei̯-/-ai̯-/-oi̯-; iir.
*-au̯- < ie. *-eu̯-/-au̯-/-ou̯-), a differenza dell’indiano
antico che presenta un monottongamento dei
dittonghi “brevi“ indoiranici (per cui iir. *-ai̯- > ind.
ant. -e-; iir. *-au̯- > ind. ant. -o-). Mentre il persiano
2 antico conserva i dittonghi -ai̯- e -au̯- del tutto
inalterati, la redazione dei testi avestici pervenutaci
mostra delle alterazioni timbriche e presenta da un
lato -aē- o -ōi- come riflesso di iir. *-ai̯- e dall’altro ao- o -ə̄u- come riflesso di iir. -au̯-. ♦ Tra questi
dittonghi -aē-, -ōi- e-ə̄u- presentano degli elementi
segnati con lettere altrimenti destinate a vocali
lunghe (e traslitterate per questo con un macron
soprascritto). Poiché tuttavia è improbabile che
questi dittonghi valessero prosodicamente come
delle superlunghe è da pensarsi che la scelta dei
grafemi -ē-, -ō- e-ə̄- sia da imputarsi a proprietà
timbriche (difficilmente attingibili per noi) che
dovevano contraddistinguere questi suoni (in forma
strutturalmente ridondante) in aggiunta alla
quantità lunga. ♦ Nel caso dei riflessi antico-avestici
di *-ai̯- la distribuzione dei due esiti è riconducibile
nella maggior parte dei casi a una regola prosodica in
base alla quale si ha -aē- in sillaba aperta non finale
ma -ōi- in sillaba chiusa e in fine di parola: aav. vaē.dā
‘egli sa’ < ie. *u̯oi̯de, identico a gr. oîde, ved. veda, ma
aav. vōis.tā ‘tu sai’ < *u̯oi̯ts.tha (< ie. *u̯oi̯d-+-th2a),
identico a gr. oîstha, ved. vettha. Secondo Karl
Hoffmann (cf. Hoffmann-Forssman 2004: 67), questo
principio distribuzionale sarebbe stato operativo in
uno stadio anteriore alla degeminazione di -ssproveniente da *-sk̂- (cf. sopra) e di *-šš- proveniente
da -k̂ š-: cf. p. es. aav. dōišā ‘mostrerò’ < *dai̯k̂ šā < *dei̯k̂
-s-ō (da ie. *dei̯k̂ -, cf. lat. dīcō ‘dico’, gr. deíknūmi
‘mostro’). L’avestico recente si distingue dall’avestico
antico per l’esito -e in fine di parola (-ē nei
monosillabi): aav. mōi = av. rec. mē. Scr: il segno <ō>
nasce da un riuso della forma grafica di una parola
mediopersiana avente come significante fonologico
appunto ō [oː] e il significato di ‘a’. Tale preposizione
era scritta in pahlavico mediante uno dei cosiddetti
arameogrammi (o ‘eterogrammi’) ossia forme
grafiche di parole dell’aramaico imperiale impiegate
per segnare l’equivalente persiano. In questo caso la
parola aramaica corrispondente è /ʕal/ ‘su, a,
contro’, scritta secondo il sistema scrittorio
consonantico dell’aramaico attraverso una sequenza
di ‘ayin – il segno della fricativa faringale sonora – e
lamed - il segno della laterale (in traslitterazione <ˁl>).
Nella grafia pahlavica il segno di ‘ayin si semplifica
fino a diventare un trattino verticale, che nella
scrizione di pahlavico ō ‘a’ è posto immediatamente a
destra del segno di lamed. Il grafema avestico per <ˁl>
introduce una variazione minima rispetto
all’eterogramma pahlavico, che consiste nel fatto che
il trattino verticale è posto al di sotto del segno
corrispondente al lamed anziché alla sua destra. ♦
Interessante è pure notare che il segno avestico <o>
([o] breve) è ottenuto mediante una sorta di
“retroformazione grafica” a partire da quello per <ō>.
<o> è infatti identico ad <ō> eccetto che per l’assenza
del trattino verticale sottoscritto. In altre parole
l’originario ‘ayin è rifunzionalizzato come un
diacritico avente la funzione di distinguere la vocale
lunga dalla breve corrispondente.
vaocā : ‘di’ ’ 2sg. imperativo dell’aoristo
tematico raddoppiato di vac- ‘dire’. M : la forma è
etimologicamente identica al gr. eipé e va ricondotta
a un ie. *u̯eu̯kᵂe da analizzarsi come *u̯e-u̯kᵂ-e-∅,
ossia 1) raddoppiamento di struttura Ce-, 2) radice
*u̯ekᵂ- al grado apofonico zero, 3) vocale tematica *e/o- al grado -e-, 4) desinenza zero della seconda
singolare dell’imperativo tematico. Si noti che in
greco l’aoristo eîpon in luogo dell’atteso eûpon è
facilmente spiegabile come dovuto a una
dissimilazione di *u̯ davanti a labiovelare *(u̯)eu̯kᵂ° >
*(u̯)ei̯kᵂ°. Scr.: Hoffmann ipotizza che <v>
rappresenti un adattamento dell’<Y> greco o del <V>
latino.
ahurā : ‘Ahura’, voc. masch. sg.; cf. ved. ásura‘Asura’, denominazione di una entità divina (nei testi
vedici relativamente recenti ásura- è un’entità
negativa). E: Secondo l’etimologia tradizionale da
ahu- (cf. ved. ásu- ‘vita’) ie. *(h1)es- ‘essere’ con
suffisso -ra- < *-ro- (per la formazione cf. gr. iskhū́s,
‘forza, vigore’, iskhūrós ‘forte, vigoroso’). Secondo
l’etimologia ora corrente, corradicale di ahu‘signore’ < *h2n̥s-u, confrontato con l’ittito /hassu-/
‘re’ e con l’antico nordico áss ‘Aso’ (da tema con
radice al grado -o- *ansu- < *h2onsu-) – quindi av.
ahura-, ved. ásura- < ie. *h2n̥s-u-ro- (cf. EWA I:147sg.).
M : la terminazione -ā, con quantità lunga dovuta
all’allungamento finale dell’avestico antico, continua
iir. *-a < ie. *-e, voc. sg. dei temi della classe tematica
in –o/e- (cf. lat. lupe voc. sg. di lupus).
nəm aŋhō : abl. sg. da nəmah- ‘onore,
venerazione’ neutro. E: iranico *namah-, cf. vedico
námas- < i.e. *nem-es/os-. Derivato neutro in *–es/os(cf. le formazioni greche di tipo ménos ‘animo’, génos
‘stirpe’) dalla radice ie. *nem- ‘distribuire’ (cf. gr.
némō ‘distribuisco’) probabilmente attraverso uno
sviluppo semantico ‘ciò che è distribuito’ → ‘ciò che
spetta, va riconosciuto’ → ‘onore, venerazione’.
Fon.: la forma protoiranica ricostruibile *namahah
subisce alcuni mutamenti specifici dell’avestico: 1)
mutamento a > ə in posizione antenasale; 2) sviluppo
di una nasale (-ŋ-) prima di /h/ posto tra vocali di
timbro a; 3) regolare sviluppo –ah > -ō in posizione
finale. Il secondo di questi mutamenti è
tipologicamente notevole. La natura velare del
diaframma della nasale che traslitteriamo con –ŋ- è
inferibile da parole come av. rec. paŋtaŋhum (nella
prima sillaba) ‘quinta parte’, dove –ŋt- continua
un’originaria sequenza [ŋkt], cf. ved. paṅtí- (dove
<ṅ> indica /ŋ/) sostantivo pure derivato da pañca
3 all’età achemenide e risale a una fase in cui le
sequenze /ii̯/ e /uu̯/ del persiano antico si erano
ulteriormente evolute e per la quale è difficile
ipotizzare una conoscenza delle convenzioni grafiche
antico-persiane. Si tratterebbe pertanto di
immaginare che la pronuncia “alla persiana” delle
semiconsonanti sia diventata presto parte integrante
della norma ortoepica dell’Avesta e si sia quindi
perpetuata fino all’epoca sasanidica. Due fatti vanno
tenuti in considerazione: il primo è che la metrica
gatica ci mostra che le sequenze antico-avestiche di
tipo -C<ii>V- e –C<uu>V- valgono come una sola
sillaba quando occorrono in corrispondenza di una
sequenza fonologica protoiranica –Ci̯V- o –Cu̯V-, il
che indica che nella lingua dei testi gatici la struttura
prosodica delle forme protoiraniche era conservata
senza cambiamenti. Il secondo è che vi sono sviluppi
– evidentemente di cronologia bassa - della fonologia
avestica che implicano invece uno stadio
caratterizzato da un’effettiva realizzazione –Cii̯V- –
Cuu̯V-: è questo il caso dello sviluppo di -Cu̯ai̯# in Cuiie# (cf. sotto s.v. vīduiiē) ♦ Il manoscritto K5
presenta il segno <ṣ̌> che secondo la ricostruzione di
Hoffmann doveva essere riservato originariamente a
una fricativa esito di -rt- postonico (cf. sotto), diversa
dalla [ʃ] quella presente nella forma in esame per la
quale sarebbe stato atteso invece un segno <š>.
Scambi grafici tra i segni <ṣ̌> <š> e <š́> sono frequenti
nei manoscritti. ♦ Etim.: Si tratta di un derivato con
suffisso *-u̯ant- (ie. *-u̯ent-) dal tema del pronome di
2° plur. xšma-‘voi’. Il tema xšma- è etimologicamente
identico al tema greco hūme- del greco hūmées >
hūmeîs, e continua una forma *usme- formata
aggiungendo al grado zero di *u̯es-/u̯os- (cf. lat. vōs
‘voi’, da un’originaria forma di accusativo con grado
allungato) un elemento suffissale *-me-. ♦ Fon.:
Secondo la formulazione data da Hoffmann e
Forssman (p. 112) una sequenza -uš- seguita da altra
consonante subisce la caduta del segmento u
(accompagnata da prostesi della fricativa velare
sorda /x/) quando si trova in posizione iniziale
protonica: nel tema xšma- del pronome personale
‘voi’ si ha pertanto *ušmá- > *xšmá-. La prostesi di xsi verifica anche davanti a sequenze iniziali šC- di
diversa origine. Un esempio è costituito dall’avestico
(e persiano antico) xšnā- ‘conoscere’ che continua la
radice ie. (*ĝneh3-) > *ĝnoH- > *ĝnō-, cf. gr. gignṓskō,
lat. co-gnōscō; qui šn- è esito della sequenza *ĝn- che si
sviluppa attraverso: 1) -ĝn- > -žn-, ossia passaggio
della palatale a fricativa postalveolare davanti a n(davanti a occlusiva dentale questo sviluppo è già di
epoca indoiranica mentre davanti a n- è proprio del
solo iranico: cf. ved. jñā- [ɟɲaː] ‘riconoscere’; 2)
assordimento di ž davanti a n. Quest’ultimo
fenomeno sembra non investire interamente il
lessico avestico (cf. il derivato žnātar- ‘che conosce’),
‘cinque’ (ie. *penkᵂe). M orf.: come in vedico e in
indoeuropeo ricostruito le declinazioni diverse dalla
flessione in *-o- hanno in avestico l’ablativo singolare
omofono con il genitivo singolare (con desinenza *-es
o *-os > indoir. *-as; sulla vocale contenuta in questa
desinenza cf. sotto).
ā : preverbio/avverbio/adposizione con
valore locativo ‘in, a’ che si ritrova identico in
indiano
antico.
I
raffronti
comparativi
extraindoiranici proposti in letteratura hanno
carattere speculativo. Con l’ablativo vale in avestico
‘(via) da’, o ‘fino a’ o assume valori traslati, come in
questo caso. Humbach rende in inglese con ‘on
account of (my) reverence’.
yaθā : ‘come’, cf. ved. yathā. Congiunzione
derivata dal tema del relativo iir. *i̯a- < ie. *i̯o- (cf. gr.
hós, pronome relativo) con un suffisso indoiranico *tʰā.
nəm ə̄ : nom. sg. da nəmah-, cf. sopra s.v.
nəmaŋhō. Fon.: La forma continua il nom./acc./voc.
neutro nem-os-∅ (∅ = desinenza zero) > indoir.
*namas > protoir. *namah. Qui come in alcune altre
forme antico-avestiche la finale protoiranica –ah# ha
esito -ə̄# in luogo di –ō#. Il principio della
distribuzione degli esiti -ə̄#, sconosciuti all’avestico
recente, non pare pienamente ricostruibile: si
osserva in genere che –ah# > -ə̄# tende a occorrere in
bi- e soprattotto mono-sillabi e a non occorrere a
fine verso.
xšm āuuatō : gen. sg. di xšmāuuaṇt- ‘uno
come voi, che è simile a voi’. Scr.: <ṇ> trascrive una
nasale che compare in posizione anteconsonantica
indipendentemente dal diaframma della consonante
successiva; Hofmann parla di una “postuvulare”
senza effettiva occlusione, cosa che equivale più o
meno a porre un prolungamento della vocale
precedente caratterizzato da nasalizzazione. ♦ <uu>:
le sequenze <ii> e <uu> indicano rispettivamente
l’approssimante /i̯/ e l’approssimante /u̯/ in
posizione interna (antevocalica) – per la posizione
inziale si usano invece grafemi distinti. Secondo la
teoria di Karl Hoffmann le grafie <ii> e <uu>
rappresentano un indizio del trasferimento del
centro della trasmissione orale dell’Avesta nella
Perside nei secoli dell’Impero Achemenide. La doppia
vocale rifletterebbe infatti una pronuncia
dell’avestico “in bocca persiana”, dato che il persiano
antico delle iscrizioni achemenidi presenta uno
sviluppo /i̯/ > /ii̯/ e /u̯/ > /uu̯/ visibile con sicurezza
almeno nella posizione postconsonantica (più
problematico è il caso della posizione intervocalica):
abbiamo infatti pers. ant. aniya- ‘altro’ a fronte di
vedico anyá-, pers. ant, haruva- ‘intero’ a fronte di
vedico sárva- (nelle trascrizioni di persiano antico e
vedico <v> = [u̯]). Va sottolineato che l’invenzione
della scrittura avestica è di molti secoli successiva
4 cosa che ha fatto pensare a Hoffmann e Forsman a
una diversificazione dialettale. (2004, p. 102). ♦
Morf.: oltre che in indoiranico, il suffisso ie. *-u̯ent/-u̯nt̥ - è ben documentato in greco, dove trova i suoi
continuatori negli aggettivi di tipo kharíeis (gen.
kharíentos), khrusóeis (gen. khrusóentos) – con regolare
caduta di *-u̯-. L’indoiranico conserva l’antica
alternanza
apofonica
di
questa
flessione
consonantica, con distinzione tra i cosiddetti “casi
forti” e i cosidetti “casi deboli”, associati i primi al
grado pieno *-u̯ent- del suffisso e i secondi al grado
zero *-u̯nt̥ -. Più opportuno sarebbe in realtà parlare
di “celle forti” e “celle deboli” del paradigma visto
che la selezione tra i due alternanti non è
determinata semplicemente dal caso grammaticale
ma dalla combinazione di caso, numero e genere:
sono forti le celle del locativo singolare e l’insieme
delle celle del nominativo, del vocativo e
dell’accusativo eccettuati il singolare e il duale del
neutro e l’accusativo plurale del maschile e del
femminile. Si veda lo schema seguente, dove le celle
forti sono segnate in grigio:
m.
regolarmente desinenza zero. ♦ Si noti che una forma
omografa mazdā, che rappresenta il caso strumentale
dello stesso nome, è normalmente trisillabica ai fini
metrici. Ciò induce a porre per questo strumentale
un’effettiva forma antico-avestica mazdaʔā < *mnsdʱaH-aH con preservazione di uno iato interno
situato
in
corrispondenza
della
laringale
intervocalica protoindoeuropea. Gli iati anticoavestici di questo tipo sono considerati evidenze
rilevanti per la ricostruzione delle laringali
indoeuropee.
sax́iiāt̰ : 3sg. dell’ottativo aoristo radicale
atematico dalla radice av. sa(ŋ)h- ‘pronunciare,
proclamare’, cf. ved. śam̆̇s- di identico significato. Il
verbo è comparabile con il latino censeō ‘(esprimo il
mio parere), do la mia opinione, stimo, considero’ e
riconducibile a un antecedente indoeuropeo *k̂ens-. ♦
L’aoristo radicale atematico presenta in questa forma
il grado zero della radice ie. *k̂n̥s- > av. sah- seguito
dal suffisso di ottativo *i̯eh1-/ih1- al grado pieno *i̯eh1(atteso nelle forme del singolare attivo) e dalla
desinenza secondaria di 3sg. *-t. Il suffisso di ottativo
ie. è ben visibile nelle forme latine arcaiche del
congiuntivo di sum (che continua appunto un
originario ottativo): siem, siēs (qui il suffisso dove si
trova aggiunto all’originario grado zero *s- della
radice *es- ‘essere’). ♦ La trafila ie. *k̂n̥s-i̯eh1-t > iir.
ćasi̯āt > ir. non sudocc. *sahi̯āt > av. sax́iiāt̰ mostra uno
sviluppo -hi̯- > -x́ii- [çj] che avviene solo in attacco di
sillaba tonica e rappresenta uno dei non molti
fenomeni avestici per i quali è possibile attribuire un
ruolo alla posizione originaria dell’accento. La
rilevanza dell’accento è dimostrata dalle coppie ahiiā
‘di questo’ (< ie. *e-si̯o) gen. sg. masch./neutro del
pronome anaforico a- (< ie. *e-), di contro a ax́iiā-cā ‘e
di questo’, in cui la stessa forma è seguita dalla
particella clitica ca ‘e’ etimologicamente identica a
lat. que e greco te (ie. *kᵂe). Il diverso esito si spiega
infatti se si suppone che, proprio come accade in
latino, la presenza di ca comporti uno spostamento
dell’accento sull’ultima sillaba: in questo modo -hi̯viene a trovarsi in attacco di sillaba tonica in *ahi̯á-ca
ma non in *áhi̯a.
friiāi : dat. sg. da friia- ‘amico’, cf. ved. priyá‘caro, amico’ aggettivo. ♦ Scr.: Come garantisce la
metrica, la forma rappresenta un bisillabo [fri.jaːi̯] e
non un monosillabo **[ frjaːi̯]. La sequenza grafica
<ii> rappresenta quindi in questo caso una reale
sequenza bifonematica. Etim .: ricondotto a un ie.
*priHo- e confrontato con got. freis, ingl. free ‘libero’
(con diversa evoluzione semantica). ♦ M orf.: La
desinenza –āi costituisce la continuazione attesa di
ie. *-ōi̯ (< *-o-ei̯), terminazione del dat. sing. dei temi
in –o- continuata pure nella desinenza greca di dat.
sing. del tipo lúkōi ‘al lupo’.
sing.
du.
plur.
f. n. m. f. n. m. f. n.
nom.
voc.
acc.
str.
dat.
abl.
gen.
loc.
L’insieme delle celle forti e quello delle celle deboli
possono essere interpretati come “classi di
partizione” del paradigma flessionale. Sul piano
sincronico si tratta di insiemi di celle definiti in
modo arbitrario rispetto ai valori delle categorie
grammaticali e che rilevano pertanto solamente a
livello morfologico (nella terminologia di Mark
Aronoff, Morphology by Itself, Cambridge Mass., MIT,
1994, si tratta di “entità morfomiche”). L’ablativo
singolare maschile rientra nelle celle deboli e
seleziona quindi l’alternante a grado zero *-u̯nt̥ -, che
dà in indoiranico *-u̯at- con regolare sviluppo n̥ > a. ♦
Il greco antico generalizza il grado pieno del suffisso
nel maschile/neutro e il grado zero nel femminile. In
quest’ultimo troviamo in greco il continuante di un
*-u̯nt̥ -i̯a- (con suffisso femminile protogreco *-i̯a- che
ha come corrispondente indoiranico un suffisso di
femminile *-ī- - entrambe le forme derivano da un ie.
*-i̯ə2 -⁓-ih2-) > che, evolutosi regolarmente in -assa-, si
è in seguito mutato in –essa- per analogia con il
timbro -e- delle forme maschili e neutre.
mazdā : voc. sg. da mazdā- ‘Mazda’ masc. < ie.
*mns-dʱeh1- cf. ved. medhā́- ‘saggezza’ (forma però di
genere femminile). Il vocativo singolare presenta
5 θβāuuąs : nom. sg. da θβāuuaṇt- ‘uno come
te’. La forma rappresenta un derivato in -uuaṇt- del
pronome di seconda persona (cf. sopra il pronome
personale clitico di 2a persona). ♦ Il nom. sg.
masch./femm. dei temi consonantici presenta
desinenza -s; -uuąs è l’esito atteso della sequenza
costituita da suffisso al grado pieno (regolare al
nom. sg. secondo lo schema riportato sopra) e
desinenza –s : ie. *-u̯ent-s > indoir.*-u̯ant-s > ir. *u̯anss > *-u̯ans (con mutamento t > s davanti
all’ostruente
coronale
s
e
conseguente
degeminazione ss > s) > av. –uuąs (con regolare
sviluppo di una vocale oranasale <ą> [ã] da una
sequenza /an/ seguita da fricativa; sul differente
esito antico-avestico di *-ans# indoiranico con s non
geminata cf. sotto). Il segno <ą> è parimenti
impegnato per rendere un allofono nasalizzato di [aː]
lungo che compare, ad esempio, davanti a nasale
finale di parola: av. daēnąm ‘religione’ acc. sg. femm.
< *dai̯anām da un tema indoiranico *dʱai̯(H)anā- (si
noti che in questo caso la nasale si conserva). Si può
pertanto ipotizzare, con Hoffmann, che il segno
originariamente riservato ad [ã] esito di /an/ con a
breve fosse il grafema traslitterato con <ą̇>, usato nei
manoscritti come variante di <ą>.
m auuaitē : dat. sg. da mauuaṇt- ‘uno come
me’ . Il raffronto con il ved. māvant- e il parallellismo
con xšmāuuaṇt- e θβāuuaṇt- induce a partire anche
per questo derivato da un tema protoiranico in cui
davanti a *-u̯ant- figura un allomorfo del tema
pronominale uscente in vocale lunga –ā-.
L’abbreviamento della prima a è forse affine
all’abbreviamento sistematico di –ā- davanti a i̯ e u̯
seguite da altra vocale di timbro a che si verifica in
varietà medioiraniche orientali come il sogdiano e il
sacio (cf. Hoffmann e Forssman 2004, p. 58-59). ♦ La
tradizione avestica ha frequentemente alterato la
forma originaria delle parole gatiche sovrapponendo
tratti tipici dell’avestico recente ed estranei
all’avestico antico. Il monottongo finale di mauuaite
rappresenta uno di questi fenomeni (la forma anticoavestica attesa avrebbe avuto -ōi). Questo parziale
adeguamento alla fonologia dell’avestico recente
coesiste con una “verniciatura” in senso anticoavestico consistente nel segnare la vocale -e finale
come lunga anziche come breve (in avestico recente
le vocali finali di polisillabo sono brevi). In alcuni casi
le alterazioni neoavestiche sono tradite dalla
metrica: così accade per esempio per le forme di
dai̯anā- ‘religione’ che è sempre scritto daēnā- con
<aē> (mai con -aiia-) ma vale regolarmente come
trisillabo nei testi gatici. ♦ La vocale –i- di mauuaite
rappresenta un caso della cosiddetta epentesi
avestica di -i-: si tratta dell’aggiunta di un segmento i- che si verifica davanti a ostruente (occlusiva o
fricativa) labiale o dentale, e davanti a -n-, -ṇt-, -r-, -
rm-, quando tali consonanti siano seguite da -i-, -ī-, ii- [j], -e- o -ē-. Il fenomeno potrebbe essere
denominato “propagginazione regressiva” con
allusione alla propagginazione “progressiva” – ossia
allo sviluppo di tipo /li ˈkani/ > /li ˈkjani/ – di diversi
dialetti italoromanzi centromeridionali. In posizione
iniziale l’avestico mostra un fenomeno parzialmente
analogo di prostesi di i- davanti alle sequenze ri-, rī- e
θii-. È stato ipotizzato (cf. de Vaan 2003, p. 547) che
tali i epentetiche rappresentino un espediente
grafico per indicare una palatalizzazione – ossia una
pronuncia con la massa linguale sollevata verso la
parte anteriore dell’arcata palatina – della
consonante successiva (<aiti> = [atᴶi]). Parallelamente
l’epentesi di –u- davanti a -r- (cf. sotto) è interpretata
come una indicazione di una articolazione
labializzata di -r- (<auru> = [arᵂu]). M orf.: La
desinenza –ē rappresenta una continuazione di tipo
avestico recente di indoiranico *-ai̯ < ie. *-ei̯ in fine di
parola. Si tratta della continuazione dell’originaria
desinenza indoeuropea di dativo singolare dei nomi
atematici: cf. lat. arc. CASTOREI ‘a Castore’; si noti che
il greco ha un dativo atematico in –i breve che
continua in realtà l’originario locativo.
at̰ : particella con funzione di connettivo
testuale che rappresenta probabilmente un
originario accusativo neutro dal tema pronominale
a- (cf. a-hiiā ‘di questo’ < ie. *e-si̯o).
n ə̄ : forma clitica di genitivo/dativo del
pronome di prima persona plurale (cf. ved. naḥ). Il
tema è corradicale del latino nōs che continua, più
precisamente,
l’originaria
forma
clitica
dell’accusativo (cf. av. nā̊ < *nāh).
aṣ̌ā : strumentale singolare da aṣ̌a- ‘verità,
giustezza, ordine cosmico’ neutro. Etim .: la forma
viene ricondotta a un protoiranico árta- corradicale
del vedico r̥tá- ‘verità’ (formato però su un grado
apofonico zero). Secondo altra ipotesi (Alberto
Cantera, FS-Schmitt) si tratterebbe invece di un
continuatore diretto di r̥tá-. Più precisamente la
forma aṣ̌a- sarebbe uno sviluppo recenziore
sovrappostosi
nella
tradizione
alla
forma
autenticamente antico-avestica che serebbe stata
*ərta- (lo sviluppo di ar- iniziale da ər- avrebbe un
parallelo nella corrispondenza tra av. ant. ərəž-, av.
rec. arš-). ♦ Si tratta di un derivato della radice ie.
*h2ar- continuata in greco da ararískō ‘adatto, unisco’
(con raddoppiamento e suffissazione in –i-sk-) e in
armeno da aṙnem ‘faccio’ (con suffisso in nasale). Si
può pensare a uno sviluppo semantico di tipo ‘fissato’
> ‘giusto, vero’. ♦ Fon.: lo sviluppo -rt- > -ṣ̌- è
connesso con un processo di desonorizzazione
specifico della lingua avestica che coinvolge la
vibrante -r- (che continua tanto ie. *-r- quanto ie. *-l) seguita da occlusiva sorda (p, t, k). Almeno secondo
6 la formulazione di Hoffmann e Forssman, il contesto
della desonorizzazione può essere ulteriormente
precisato: il mutamento avverrebbe solo se –r- è
preceduto da -á- o -ə́- tonico e rappresenterebbe
pertanto di uno dei pochi fenomeni in cui
osserviamo in avestico tracce indirette della
posizione originaria dell’accento (cf. sopra su sax́iiāt̰).
La vibrante desonorizzata compare graficamente
com <hr>: cf. vəhrka- ‘lupo’ < indoir. *u̯ŕ̥ka- < ie.
*u̯ĺ̥kᵂo- ‘lupo’, cfr. ved. vŕ̥ka-, got. wulfs, lit. vil͂kas,
slavo ant. vlĭkŭ, gr. lúkos (con delabializzazione della
labiovelare dovuta all’u precedente), lat. lupus (con
esito labiale della labiovelare non atteso nella varietà
di Roma). Nel caso della sequenza -rt- la
desonorizzazione è seguita da un ulteriore sviluppo,
che porta alla comparsa, come esito finale dell’intera
sequenza consonantica, di una fricativa sorda
segnata con <ṣ̌>. Poiché in una serie di imprestiti
dall’avestico al mediopersiano tale fricativa è resa
con /hr/ o con /hl/ si ipotizza che possa trattarsi di
una fricativa laterale sorda (per Hoffmann con
articolarzione retroflessa). Uno sviluppo parallelo,
che non mostra però la perdita dell’occlusiva, si
trova nelle forme del dialetto sassarese di tipo
[ˈmoɬtu] ‘morto’ con [ɬ] fricativa laterale. ♦ I molti
antroponimi iranici inizianti con Arta-, Arda- sono
dei composti aventi *arta- come primo membro. ♦
Morf.: La desinenza ie. dello strumentale singolare è
ricostruita come *-eh(1) per i nomi atematici in
consonante, come -h(1) (interpretabile come grado
zero di *-eh(1)) per i nomi atematici in vocale di tipo i
o u, e come *-o-(vocale tematica)-+h(1) per i nomi
tematici. La terminazione tematica *-oh(1) > *-ō è
testimoniata in indiano antico in alcuni strumentali
in –ā presenti nei testi vedici, ma è stata altrove
rimpiazzata da una desinenza innovativa –ena. ♦
Zor.: nell’avesta recente Aṣ̌a-, l’ordine cosmico in
forma di persona, è uno dei sette Aməṣ̌a- Spəṇta“santi (spəṇta- < ie. *k̂u̯ento-, cfr. lit. šveñtas, slavo ant.
svętŭ ‘santo’, IEW, p. 630) immortali (av. aməṣ̌a- < ir. e
indoir. *a-mr̥ta- < ie. *n̥-mr̥-to-)”, gruppo di entità che
comprende Ahura Mazda e sei spiriti benefici
immediatamente subordinati a quello, ossia Vohu
Manah (il pensiero buono), Asha (l’ordine cosmico),
Xšathra Vairiya (il comando ben meritato), Spentā
Ārmaiti (la santa umiltà), Haurvatāt (la completezza),
Amərətāt (l’immortalità).
dazdiiāi : infinito presente con desinenza
dativale dalla radice dā- ‘dare’ (indoir. *dā- < ie. *dō- <
*doh3-) e ‘porre’ (indoir *dʱā- < ie. *dʱē- < *dʱeh1-). ♦
Hoffmann analizza la forma come presente atematico
con raddoppiamento, radice al grado zero e
desinenza indoiranica *-dʱi̯āi̯: indoir. *da-dH-dʱi̯āi̯,
evolutosi in *da-d-dʱi̯āi̯ in seguito al dileguo della
laringale interconsonantica (che in questo caso dà
quindi zero e non ə): il protoiranico dazdi̯āi̯ presenta
il regolare sviluppo iranico -d(z)d- > -zd-. ♦ Si tratta di
un tipo di formazione infinitiva con carattere finale
(cf. la funzione finale del caso dativo). Kellens e
Pirart traducono «doivent être donnés» ‘devono
essere dati’ intendendo ‘(sono) da dare’;
diversamente intende West (p. 71: «we have friendly
relations to maintain with Right»), attribuendo al
verbo il significato di base di ‘porre’.
friiā : nom./acc. neutro plurale di friia- (cf.
sopra); con –ā < ie. *-ah2 (< *-e-h2). Presumibilmente
accordato con hākurənā. ♦ La desinenza tematica di
neutro plurale è interpretabile come esito di una
sequenza
di
vocale
tematica
(ricostruita
generalmente in questa forma al grado apofonico –eanziché –o-) più un segmento *-h2. Alcune forme
indiane di neutro plurale permettono infatti di
concludere che la desinenza del neutro plurale
dovesse essere in ie. un segmento di tipo h2 (ə2 nella
variante sillabica): cf. ved. nā́māni < *(H)nō-mēn-ə2
(*h3neh3°), ntr. pl. di nā́man- ‘nome’, con regolare
sviluppo dello schwa indoeuropeo in -i- indoiranico,
a fronte dello sviluppo in –a- delle lingue non
indoiraniche (cfr. lat. nōmina, in questo tipo flessivo il
nom.acc.ntr pl. presenta in origine un grado
allungato del suffisso; il latino generalizza un
allomorfo –men- successivamente evolutosi in –minin quanto sottoposto a riduzione vocalica in sillaba
interna).
yaθā : congiunzione (cf. sopra). Forse qui
con valore finale.
n ə̄ : pronome clitico (cf. sopra); qui dativo.
vohū : strumentale sing. maschile/neutro
dell’aggettivo vohu- ‘buono’, cf. ved. vásu-. Il neutro
sostantivato vale anche ‘(il/un) bene’. ♦ Etim .: il
sintagma avestico recente dātārəm vohunąm ‘datore
(acc. sg.) di beni (gen. pl.)’ è direttamente
confrontabile con il greco dōtêres eā́ōn ‘datori di beni’.
♦ Fon.: La posizione dopo una labiale/labializzata e
davanti a sillaba contentente una vocale di timbro u
determina lo sviluppo a > o di av. vohu- < ir. *u̯ahu- <
indoir. *u̯asu-. Si tratta di un mutamento specifico
della lingua avestica (cfr. pers. ant. vau- - con
regolare dileguo antico-persiano di /h/ davanti a
/u/). Per lo sviluppo a > e cf. sotto s.v. uxšiieitī. M orf.
: l’avestico conserva qui una continuazione diretta
dell’antico strumentale vasu-h1 formato, secondo la
ricostruzione trilaringalistica, con l’aggiunta di una
desinenza in laringale -h1. Anche in questo caso lo
strumentale singolare avestico è più conservativo
delle corrispondenti forme antico-indiane: per i temi
in –u- l’indiano ha infatti delle forme innovative di
strum. sing. caratterizzate da un ampliamento in -nseguito dall’allomorfo –ā (< *-eh1) della desinenza (es.
str. sg. vásūnā).
7 m anaŋhā : strumentale sing. del sostantivo
manah- ‘pensiero’, cf. ved. mánas-, gr. ménos, neutro
in –es/os- dalla radice *men- ‘pensare’. ♦ M orf.: -ā
continua la desinenza atematica di strumentale
singolare *-eh1. ♦ Zor.: Analogamente a quanto
accade per aṣ̌a-, il concetto gatico di “buon pensiero”
ricompare nell’avesta recente in forma personificata:
anche Vohu- Manah- fa parte della schiera dei sette
‘Santi Immortali’.
jimat̰ : 3sg. del congiuntivo aoristo atematico
della radice avestica gam-/jam che continua l’ie.
*gᵂem- ‘venire’. ♦ Il presente tematico *gᵂm̥–i̯e/o- in
*–i̯e/o- di questa radice è alla base di lat. veniō e gr.
baínō (con <aí>=[ai̯]); in indoiranico troviamo
continuatori di un presente *gᵂm̥–sk̂e/o- riflesso
anche dal greco antico báske ‘vieni’: ved. gacchati (con
regolare sviluppo indoario *sk̂ > -cch-), av. (rec.)
jasaiti (con j- iniziale importato per analogia dalle
forme con originario grado apofonico –e-, dove si è
avuto *gᵂe-> *ge- > *ǰe- > *ǰa-). Dalla stessa radice
provengono il gotico qiman, il tedesco kommen e
l’inglese come. ♦ Fon.: alla base di jimat̰ è
ricostruibile una forma ie. di tipo *gᵂém-e-t (per
l’analisi cf. infra). Da *gᵂém-e-t sono attesi l’iranico
*jámat e, in seguito al mutamento avestico -a- > -ə- in
posizione antenasale (cf. sopra), av. *jəmat̰. La vocale
-i- in prima sillaba che si deve all’ulteriore sviluppo ə- > -i- che si verifica dopo [i̯], [tʃ] <c>, [dʒ] <j> e [ʒ]
<ž>. Si tratta di una forma di assimilazione
progressiva che è comune in avestico recente ma più
rara nei testi gatici (dove i casi osservati potrebbero
doversi quindi ad ammodernamento linguistico
recenziore). ♦ M orf.: si tratta di una forma di
aoristo radicale atematico per la quale si ricostruisce
(cf. LIV, p. 20) una flessione che alterna tra forme con
radice accentata e apofonia al grado –e-, e forme con
radice atona e apofonia al grado zero (*gᵂém-/gᵂm-).
Le forme rizotoniche si trovano 1) nel singolare
attivo dell’indicativo e del cosiddetto ingiuntivo
indoeuropeo – che equivale all’indicativo privo del
suffisso preteritale e- (il cosiddetto aumento) e
rappresenta una flessione con aspetto perfettivo
priva di collocazione temporale nel passato – e 2)
nell’intero paradigma del congiuntivo. ♦ Il
congiuntivo indoeuropeo è caratterizzato dalla
presenza di una vocale tematica a fronte di un
indicativo atematico (ossia privo di vocale tematica)
e dalla presenza di una vocale tematica allungata (ē/ō-) a fronte di un indicativo atematico, ossia privo
di vocale tematica. Il greco antico estende la vocale
tematica lunga alle flessioni atematiche (cf. l’aoristo
sigmatico – in origine atematico – di tipo lúsōmen):
forme con la vocale breve originaria sono però
documentate, soprattutto nella lingua omerica (cf.
om. íomen dalla base ei/i- ‘andare’. La vocale tematica
presentava in ie. una alternanza tra timbro e e
timbro o la cui distribuzione è riflessa direttamente
dal verbo greco antico. ♦ Il verbo indoeuropeo
possedeva, accanto a desinenze specifiche del modo
imperativo, due serie di desinenze, dette
rispettivamente “principali” e “secondarie”. Nelle
celle di 2sg/3sg/3pl le desinenze principali erano
distinte dalle corrispondenti desinenze secondarie
per la presenza da un segmento finale –i: principali
2sg. –si, 3sg. –ti, 3pl. –nti; secondarie 2sg. –s, 3sg. –t,
3pl. –nt. L’elemento –i- è tradizionalmente
interpretato come marca dell’hic et nunc, in virtù del
fatto che la serie principale è tipica della flessione
dell’indicativo
presente,
mentre
l’indicativo
imperfetto (passato imperfettivo) e aoristo (passato
perfettivo) impiegano desinenze secondarie. Mentre
l’evidenza comparativa è compatta nell’attribuire al
modo ottattivo dell’ie. ricostruito desinenze
secondarie, la ricostruzione del congiuntivo è più
incerta: il greco presenta desinenze principali,
mentre il vedico (nell’indiano antico postvedico il
congiuntivo esce dall’uso) e l’avestico oscillano tra
forme con desinenza principale e forme con
desinenza secondaria. In jimat̰ abbiamo una
desinenza secondaria -t.
hākurənā : nom. pl. da hākurəna-, sostantivo
neutro attestato esclusivamente attraverso poche
occorrenze gatiche e non chiaro sotto il profilo
semantico ed etimologico. Un’ipotesi (cf. l’edizione di
Humbach) è quella che si tratti di un derivato di
*sekʷ- ‘seguire’ (cf. lat. sequor, gr. hépomai, ved. sácate,
av. ant. hacaitē, irlandese ant. sechithir, lit. sekù; a
questa stessa radice sono pure ricondotte le forme
germaniche per ‘vedere’ [< ‘seguire con gli occhi’]
della famiglia di got. saiƕan, ted. sehen, ingl. see) e che
valga ‘séguito’, ‘compagnia (di fedeli/amici)’.
Humbach traduce quindi in inglese con fellowship;
diversa è l’interpretazione del Bartholomae che
rende in tedesco con Unterstützung ‘sostegno’.
kasnā : sequenza di kas (interrogativoindefinito) + na (particella clitica). La tradizione
conserva qui un fenomeno di sandhi esterno per il
quale –s finale sfugge al mutamento –s > -h in quanto
viene a trovarsi in posizione anteconsonantica
(davanti a -n-). La forma kas è allotropo del regolare
kə̄ (cf. sotto) con regolare sviluppo antico-avestico ah#>- ə̄. ♦ kas/kə̄ è un nominativo singolare maschile
di un pronome interrogativo-indefinito. La forma
continua un nom. sg. ie. *kᵂos, formato sul tema
*kᵂo-, alternante con *kᵂi- (cf. lat. quod e quid – in
latino tale tema funge anche da relativo in
coincidenza con la scomparsa del relativo ie.
originario *i̯o-) ed è direttamente confrontabile con
l’indiano antico kás e con il gotico ƕas /xwas/. ♦ nā
rappresenta una particella enfatica, spesso usata
8 nell’interrogativa, che corrisponde a nu tanto del
vedico quanto della lingua avestica recente del
Videvdad. Secondo E. Pirart (v. Kellens-Pirart vol. 1, p.
44 e vol. 2, p. 170) il testo gatico originario avrebbe
presentato in questi casi nu e la sostituzione di nu
con nā sarebbe dovuta a diascevasti operanti in fase
presasanidica (e quindi in epoca di tradizione ancora
esclusivamente orale del testo).
ząθā : strum. sg. dal nome neutro ząθa‘generazione, nascita’, derivato con suffisso indoir. *–
tʰa-, dalla radice ie. *ĝenh1- ‘generare’ (al medio
‘nascere, diventare’), cf. lat. gignō (*ĝi-ĝnh1-e/o-), gr.
gignomai ‘divengo, sono’, ved. jan- ‘generare’, jā́yate ‘è
generato, nasce’. Le radici ie. uscenti in consonante +
laringale (o, secondo la ricostruzione tradizionale, in
consonante + schwa) danno luogo in indoiranico ad
alternanze tra derivati che presentano in fine di
radice un segmento -i- (riflesso appunto di uno
schwa
dovuto
a
originaria
laringale
interconsonantica), e derivati privi di tale segmento
(si tratta tipicamente di formazioni in cui la laringale
originaria è caduta senza lasciare traccia in quanto
collocata in posizione antevocalica). Nella tradizione
grammaticale indiana le radici di questo tipo sono
dette seṭ (da un’espressione che significa
letteralmente “con i”). Il ved. jan- è un esempio tipico
di radice seṭ, come risulta ad es. da un derivato come
janitár- ‘genitore’< ĝenə1-tor- cf. lat. genitor < *genatōr <
ĝenə1-t°. Nell’antecedente di ząθa-, *ĝenh1 -+ -tʰo-, la
laringale
si
trova
pure
in
posizione
anteconsonantica: è atteso quindi uno sviluppo di
tipo *ĝenə1 -+ -tʰo- con ulteriore evoluzione di schwa
in -i-. In iranico, tuttavia, spesso, come in questa
forma, -i- derivante da schwa cade (cf. sotto).
ptā : nom. sg. da av. ptar- ‘padre’ < indoir.
*pitar- < ie. *pə(2)tér- < *ph2tér-, lat. pater, gr. patḗr, got.
fadar, ingl. father. Una delle forme nominali
indoeuropee testimoniate da più lingue storiche. ♦
Fon.: questa forma rappresenta uno degli esempi
classici per la ricostruzione dello schwa indoeuropeo
con corrispondenza -i- indoir. : -a- non indoir.
Secondo la ricostruzione laringalistica lo schwa è a
sua volta una vocale epentetica sviluppatasi in
sequenze con originaria laringale interconsonantica
*–CHC- > *–CəHC- > *–CəC-. Nella ricostruzione
trilaringalistica si considera l’esito –a- del greco
come prova della presenza di una originaria laringale
di tipo 2, postulando che un *h1 avrebbe dato **petḗr
e un *h3 **potḗr. Questo presupposto si basa a sua
volta sull’idea che gli aggettivi deverbali in –to- dotós
e thetós (rispett. da dídōmi ‘do’ e títhēmi ‘pongo’)
rappresentino delle continuazioni fonologiche
dirette, rispettivamente, di un *dh3tó- e di un *dʱh1tó-.
Un’ipotesi alternativa consiste nell’immaginare che il
riflesso di schwa sia in greco sempre -a-, come in
latino, e che dotós e thetós debbano i loro timbri
radicali all’influsso analogico esercitato dalle forme
al grado pieno dídōmi ‘do’ e títhēmi. Il nucleo
originario della teoria delle laringali fu proposto, in
forma di una teoria dei “coefficienti sonantici”, da
Ferdinand de Saussure nel suo Mémoire sur le système
primitif des voyelles dans les langues indo-européennes,
Lipsia 1879 [recte 1878]. Intento principale della
teoria era quello di ridurre a uno stesso schema
morfofonologico due tipi di apofonia. Il primo è il
tipo delle basi dette ‘pesanti’ con alternanza di tipo
*ē/ə; *ā/ə; *ō/ə: questo è testimoniato da coppie
latine come dōnum : dătum (da *dō/də- ‘dare’), fēcī :
făctum (da *dʱē/dʱə- ‘porre, stabilire’ con
ampliamento in -k- – per un riflesso indoario
dell’agg. verbale in –to- dal grado zero [*dʱə-to-] si
confronti l’ind. ant. dur°dhita- ‘mal stabilito’). Il
secondo è lo schema *e/zero mostrato dalle altre
basi: p. es. *bʱér-/*bʱr- ‘portare’, cf. ind. ant. bhárati <
*bʱér-e-ti ‘porta’ : bhr̥ta- < *bʱr̥-to- ‘portato’. Nel
momento in cui si analizzano *ē come risultato di
una sequenza * -eh1-, *ō come risultato di una
sequenza *eh3 e schwa come sillabificazione di una
laringale, le alternanze *dʱē/dʱə- e *dō/də- si
risolvono in “regolari” alternanze e/zero: *dʱeh1/*dʱh1-, * deh3-/dh3-. Va ricordato che nella
ricostruzione del Mémoire di Saussure troviamo non
delle fricative (non delle “laringali” quindi), ma in
loro vece, degli elementi sonoranti detti “coefficienti
sonantici”. L’ipotesi che tali elementi dovessero
avere carattere fricativo si è imposta solo dopo la
decifrazione dell’ittito, nel Novecento, e la
formulazione, da parte di Jerzy Kuryłowicz,
dell’ipotesi di una connessione tra schwa
indoeuropeo e /h/ ittito (ə indoeuropéen et ḫ ittite, in
«Symbolae Rozwadowski» 1, 1927). ♦ In questo come
in altri casi l’avestico mostra zero a fronte di schwa
originario (in av . rec. si hanno sia ptā sia pita, in pers.
ant. si ha pure pitā con –i-; cf. sopra). Poiché -ioriginario è di norma conservato, si può dedurre che
la confluenza di schwa in -i- non fosse del tutto
compiuta sul piano fonologico nella fase indoiranica
comune (altrimenti dovremmo osservare casi
avestici di caduta di -i- interno anche a fronte di -ioriginario). ♦ In avestico il gruppo /pt/ sfugge alla
spirantizzazione preconsonantica; ciò non vale per
l’intero iranico: cf. av. rec. hapta ‘sette’, ma
mediopersiano haft (ved. saptá, lat septem, ie.*septḿ̥).
♦ Al grado zero, presente nelle ‘celle deboli’ del
paradigma, si determina una sequenza /ptr/ in cui
anche /t/ viene a trovarsi in posizione
preconsonantica e subisce quindi spirantizzazione in
/θ/; ciò provoca, a catena, la spirantizzazione di /p/.
Nel dat. sg. (i.e. *pə(2)trei̯ ) si ha pertanto la trafila
*ptrai̯ > *fθrai̯. Tale *fθrai̯ è ulteriormente soggetto al
mutamento, proprio della lingua avestica, che vede la
sonorizzazione di θ nel contesto dopo –f- e –x- : si
9 arriva pertanto a una forma avestica antica fəδrōi, con
regolare sviluppo del dittongo finale e inserzione di
uno schwa prosodicamente irrilevante nel nesso
consonantico. Un esempio per il contesto dopo -x- è
dato da uxδa- ‘parola’, nome deverbale neutro
costruito con suffisso *–tʰa- proprio del ramo
indoiranico (cf. ved. ukthá-), derivante dalla base ie.
*u̯ekʷ-/ukʷ (cf. sopra s.v. vaocā). ♦ M orf.: in
indoeuropeo ricostruito i temi in sonorante (come
pure quelli in laringale e in -s) presentano un
nominativo
singolare
maschile/femminile
caratterizzato da desinenza zero e allungamento
della vocale prefinale. Questo processo formale si
trova in distribuzione complementare con quello –
proprio degli altri temi consonantici – che prevede
l’aggiunta di una desinenza –s. Secondo un’ipotesi
ricostruttiva (nota anche con il nome di Lex
Szemerényi) la desinenza –s sarebbe stata in origine
propria di tutti i temi, ma sarebbe poi caduta con
allungamento di compenso in posizione postsonorante e post-fricativa.
aṣ̌a hiiā : gen. sg. di aṣ̌a-. La flessione tematica
ie. in *-o-, da cui deriva la flessione indoiranica in –abreve, aveva una desinenza di genitivo singolare in *osi̯o che si continua regolarmente nel greco omerico –
oio, nel vedico –asya e nell’avestico antico –ahiiā
(recente -ahiia).
pouruiiō : nom. sg. masch. di un agg.
direttamente confrontabile con il vedico pūrviyá- e
con il persiano antico paruviya- proiettabile in
indoiranico come *pR̥H-u-ia- (< ie. * pr̥H-u-io-). ♦ Il
nucleo sillabico della prima sillaba rientra tra i casi
per i quali la ricostruzione prelaringalistica
proiettava
nell’indoeuropeo
ricostruito
una
sonorante lunga. Si attribuiva infatti all’ie. una serie
di sonoranti sillabiche lunghe *r̥,̄ *l̥̄, *m̥̄, *n̥,̄ parallela
a quella delle corrispondenti sonoranti sillabiche
brevi. Nella ricostruzione laringalistica tali nuclei
sillabici sono invece interpretati come sequente
formate da una sonorante silabica (breve) seguita da
una laringale tautosillabica. In indoiranico *m̥̄ e *n̥̄
(ovvero *m̥H e *n̥H tautosillabici) hanno per esito ā,
mentre *r̥,̄ *l̥̄, (ovvero *r̥H, *l̥H) hanno esito -ūr- in
indoario e -ar- in iranico. Da un protoiranico *paru̯i̯asi ha in avestico recente una forma con metatesi di u̯
*pauri̯a-, che è alla base dell’attestato paoiriia- (con
propagginazione regressiva di -i-). La forma anticoavestica ricopre con ogni probabilità un *par.u̯i.a(trisillabico come il vedico pūrviyá-), che compare
ricorrentemente con grafie alterate, influenzate dalla
corrispondente forma dell’avesta recente (paour°). ♦
In pouru° si ha un caso di propagginazione regressiva
di -u-. Tale fenomeno, a differenza della
propagginazione di –i-, si verifica solo in sequenze
*ru o *ru̯ poste in posizione iniziale o postvocalica.
Per il timbro o della vocale (anziché a) cf. sopra, s.v.
vohū. La –ō finale è una continuazione di ir. *-ah <
indoir *-as < ie. *-os.
x v ə̄ṇ g : gen. sg. di huuarə̄ ‘sole’ (in huuarə̄ si ha
un’epitesi, dovuta al contesto dopo r, di un ə indicato
col segno della lunga in conformità con la norma
gatica che prescrive la quantità lunga per le vocali
finali di parola). L’avestico gatico xvə̄ṇg deve
ricoprire un *huuaŋh bisillabico con u apice della
prima sillaba (huu̯a°): indizio di ciò sono da un lato la
metrica, dall’altro il confronto con la forma vedica
svàr, anch’essa bisillabica (súvar-). ♦ Indoir. -ans# dà
regolarmente -ə̄ṇg in avestico antico, cf. tə̄ṇg, acc. pl.
masch. dal tema pronominale ta- ie. (so, sā, tod), cf.
l’articolo masch. pl. greco tous < *tons. Lo sviluppo ans# > -ə̄ṇg# è parallelo allo sviluppo interno di tipo
ie. *k̂enso- , indoir. *ćansa- > av. ant. sə̄ṇgha- ‘detto,
parola proferita’ (av. rec. saŋha-). ♦ Per Hoffmann la
pronuncia con [xw] iniziale sarebbe stata accolta nella
tradizione orale dell’avesta in un’epoca nella quale i
principali centri di trasmissione del corpus sarebbero
stati dislocati in Aracosia. Nella teoria di Hoffmann
tale fase si collocherebbe cronologicamente nel VI
secolo e precederebbe immediatamente la fase
“achemenide” della trasmissione. Proprio il fatto che
il nome dell’Aracosia figura nell’avesta come
Haraxvaitī- con xv in corrispondenza di un -huu̯- atono
iranico, rappresenterebbe per Hoffmann un indizio
dell’origine aracotica della pronuncia di -huu̯- atono
come xv. Come si è detto, la recenziorità di [xw] è in
ogni caso garantita dalla metrica, che mostra come il
testo gatico originario dovesse conservare /huu̯/. ♦ Il
nome appartiene a un’originaria flessione eteroclita
con elemento predesinenziale alternante di tipo *–
el/en (cf. il nominativo corrispondente huuarə̄ con r
esito regolare di *l) . Per via dell’ [u(u̯)] sillabica
prevocalica di indiano súvar e della parallela
bisillabicità delle forme avestiche si ricostruisce una
forma ie. *suh2el/–en contenente una laringale dopo
u. Posto tra s- e -H-, u si trova infatti in posizione
interconsonantica, e assume di conseguenza il ruolo
prosidico di apice sillabico (*suh2el > *suu̯el; da **suel
senza laringale sarebbe attesa una struttura
monosillabica **su̯el). Un derivato in *-ii̯os
caratterizzato da un grado apofonico pieno in prima
sillaba può essere posto alla base del greco omerico
gr. omerico ēélios (< *sāu̯el-ii̯os < *seh2u̯el-ii̯os). Alla
base *suh2el/–en vanno ricondotti pure il lat. sōl e il
got. sunnō ‘sole’. ♦ M or.: per la desinenza atematica
di genitivo singolare, l’evidenza comparativa
indoeuropea punta ora verso la ricostruzione di un *os, cf. gr. patrós, ora verso quella di un *-es, cf. lat.
patris < *pətres. Secondo la teoria dell’origine
accentuale dell’apofonia, l’allomorfo con vocale -esarebbe stato originariamente proprio delle forme
con accento sulla desinenza (ad es., *ph2-tr-és è la
10 ricostruzione corrente del genitivo del nome
indoeuropeo per ‘padre’). Un esiguo gruppo di forme,
appartenenti per lo più a tipi flessionali che appaiono
residuali nelle singole lingue, mostra invece
continuazioni di un terzo allomorfo: una desinenza –
s, caratterizzata da un grado apofonico zero. È questo
il caso del primo elemento del nome greco despótēs,
originario sintagma nominale univerbizzato, formato
da *dém-s genitivo del nome della ‘casa’ (con
nominativo ricostruibile probabilmente come *dóms,
con grado -o-, cf. arm. tun) più un nome con il valore
di ‘padrone’, derivante dalla base *pót- (cf. ved. páti). La forma *suh2en-s > av. xvə̄ṇg rappresenta pure una
di tali continuazioni. Si ipotizza che in fase ie. il
gen.sg. in –s fosse proprio di alcune sottoclassi
atematiche (un quadro delle sottoclassi apofonicoaccentuali attualmente ricostruite è in MeierBrügger, pp. 201 sgg.).
str ə̄m -: gen. pl. di star-, cf. gr. astḗr, arm. astł,
itt. <ḫa-aš-te-er-za> e, con aggiunta di suffissi, got.
stairnō (con <ai> = [ɛ]), lat. stēlla (< *stēr-lā; si noti che
il lat. astrum è invece un imprestito dotto dal gr.
ástron, derivato neutro di astḗr). La laringale ittita e la
vocale a- inziale di greco e armeno depongono in
favore di una ricostruzione con laringale (h2) iniziale
ie. *h2stér-. In questo e in un solo altro caso (cf.
Hoffmann-Forssman, p. 71) si ha -ə̄m finale avestico
in luogo dell’usuale –ąm. La metrica presuppone una
struttura prosodica bisillabica della desinenza, che è
di fatto un –aam. Anche la metrica vedica mostra per
la desinenza di gen. plur. riflessi con struttura
fonologica di tipo /a.am/. Non è escluso che l’-ə̄m si
debba proprio alla bisillabicità dell’occorrenza in
questione *-aam > *-aəm > -ə̄m ♦ Mor.: la desinenza
ie. di gen. plurale, che è identica nelle due classi tematica e atematica - della flessione nominale, è
ricostruita tradizionalmente come *-ōm, cf. ved. –ām,
gr. –ōn. Proprio sulla base delle attestazioni vediche e
avestiche in cui, come in questo caso, tale desinenza
vale metricamente due sillabe, è stato proposto di
porre un *-oHom che sarebbe andato soggetto –
praticamente ovunque – a caduta della laringale e
contrazione delle due vocali brevi in una vocale
lunga.
-cā: congiunzione clitica identica a lat. que, gr.
te (ie. *kᵂe), con il regolare vocalismo lungo finale
dell’avestico antico.
dāt̰ : 3sg. ingiuntivo aoristo attivo dalla radice
dā-, che è al contempo continuatore di ie. *dʱē-/dʱə(*dʱeh1-) col significato di ‘porre, fare’ e di ie. *dō-/də(*deh3-) col significato di ‘dare’. Qui vale ‘pose, fece’. ♦
M or.: Si tratta di una formazione di aoristo
caratterizzata dall’essere radicale (ossia con radice
priva di affissi) e atematica (ossia con desinenza
personale non preceduta dalla vocale tematica *-e/o). La radice è al grado pieno come è atteso nel
singolare attivo degli atematici ed è seguita dalla
desinenza secondaria di terza persona ie. –t: (*dʱeh1-t
> *dʱē-t > indoir. *dʱāt > av. ant. dāt̰. ♦ In gatico
l’ingiuntivo aoristo (equivalente formalmente a un
indicativo aoristo senza il prefisso a-, detto aumento)
ha funzione di passato. La denominazione
“ingiuntivo” si deve ai valori modali che questa
formazione mostra nella sintassi del vedico (dove è
usata tipicamente nelle formule proibitive).
aduuānəm : acc. sg. da aduuan- ‘cammino,
sentiero’, maschile, identico al vedico ádhvan-, di
incerta etimologia. L’avestico recente ha la forma
aδβan- che mostra spirantizzazione di -d- in
posizione interna e, in conseguenza di questa, il
rafforzamento dell’approssimante –u̯-, che passa a –
β- uniformandosi al carattere fricativo della
consonante precedente. ♦ Mor.: si tratta di un nome
appartenente alla sottoclasse in –an- degli atematici,
caratterizzata
da
una
alternanza
–an-/-ndell’elemento finale distribuita secondo lo schema
celle forti/celle deboli (cf. sopra). L’accusativo
singolare, cella forte, presenta regolarmente una
forma con alternante apofonico pieno –an-. Tanto in
indiano antico quanto in avestico tale –an- si
presenta tuttavia con una vocale lunga -ān- che viene
spiegata generalmente ponendo un antecedente
indoeuropeo con vocale apofonica di timbro -o- e
invocando l’azione della legge di Brugmann (da Karl
Brugmann
nel
1976:
Zur
geschichte
der
stammabstufenden declinationen, «Curtius’ Studien» 9,
361-406). Quanto al timbro –o- della vocale apofonica
esso è testimoniato nel tipo gr. téktōn ‘artigiano’ (cf.
anche lat. homō, gen. hominis < *homones <
*(dʱ)ĝʱomon-). Partendo da una forma di accusativo in
*–on-m̥ (cf. gr. téktona), si arriva a indoario –ān-am
(sulla desinenza –am cfr. sotto) postulando che,
secondo la legge di Brugmann, *–o- indoeuropeo dia
in indoiranico –ā- lungo, anziché –a- breve, quando si
trova in sillaba aperta. Poiché a questa regola
sfuggono diverse eccezioni (cf. ind. ant. apas-, lat.
opus; ind. ant. ávi-, lat. ovis; ind. ant. pátis, gr. pósis), la
validità della legge di Brugmann è stata a più riprese
revocata in dubbio. Si è sottolineato, in questo senso,
come, venuta a mancare la possibilità di utilizzare
alternanze morfofonologiche qualitative basate
sull’opposizione e : o a séguito della confusione dei
timbri e e o in a, l’indoario tenda a estendere gli
ambiti di applicazione delle alternanze quantitative.
Secondo questa interpretazione il fenomeno a cui si
assiste non sarebbe tanto un allungamento di o
quanto una sostituzione dell’apofonia -e/o- con una
apofonia -a/ā-: p.es. nel presente indicativo tematico
di diatesi media si ha ind. ant. 3sg. bharate : 1pl.
bharāmahi a fronte di gr. 3sg. phéretai : 1pl.
pherómetha. Il consolidarsi della teoria delle laringali
alla luce dell’evidenza ittita ha portato a una più
11 diffusa accettazione della legge di Brugmann. Un
ruolo rilevante assume in questo quadro
l’interpretazione
dell’apofonia
del
perfetto
indoiranico. In indiano la terza persona del perfetto
di una base di struttura CVC- mostra una vocale
apofonica di grado allungato nella radice, mentre alla
prima persona troviamo un sempice grado pieno:
3sg. jagā́ma, 1sg. jagáma. Questa differenza di
trattamento si spiega se si parte da una desinenza
iniziante in laringale alla 1sg. (*-h2e) e priva di
laringale alla 3sg. (*-e): in questo modo infatti la 1sg.
si trova ad avere un’originaria penultima sillaba
chiusa (3sg. *gᵂe-.gᵂo.m-e : 1sg. *gᵂe-.gᵂom-.h2e). La
presenza della laringale alla prima persona è
confermata dalle desinenze dell’ittito (cf. la serie di
desinenze di presente in -hi con 1sg. –hi, 3sg. –i). ♦
M or.: la desinenza atematica di acc. sg. dei
maschili/femminili è originariamente –m. Nei temi
consonantici la nasale bilabiale viene a trovarsi in
contesto -Cm# e ad assumere quindi la funzione
prosodica di apice sillabico *-Cm̥#. Di conseguenza la
desinenza indoiranica attesa sarebbe –a < *-m̥,
esattamente come nel greco patéra < *ph2térm̥. In
indoiranico tuttavia accade già in fase preistorica
quello che in greco accade nella koiné (cf. l’acc.
patéran), ossia la formazione di un accusativo
analogico modellato sulla flessione tematica: si ha
pertanto –am sul modello dei tematici come vr̥ḱ am <
*u̯l̥kᵂ-om. ♦ In avestico –a- antenasale dà
regolarmente -ə- (cf. sopra).
k ə̄ : forma senza sandhi corrispondente al kasdei versi precedenti.
yā: strumentale singolare maschile del
pronome relativo ya- < ie. *i̯o- (cf. gr. hós, hḗ, hó).
Sulla des. cf. sopra s.v. aṣ̌ā.
mā̊ : nom. del sostantivo maschile mās- che
rappresenta il nome avestico del mese e della luna.
La vocale finale -ā̊# è l’esito regolare di indoir *-ās >
ir. *-āh. L’ā lungo subisce davanti a h un
arretramento diaframmatico (-ā̊ deve corrispondere
a una a arretrata di tipo [ɑ] o [ɒ]), parallelo a quello
che si osserva nello sviluppo –ah > -ō a carico della
corrispondente vocale breve. ♦ Il nome è
metricamente bisillabico sicché la forma gatica
originaria va ricostruita come *maāh, nominativo di
un tema nominale *maah-. Tale maah- è spiegato (cf.
Mayrhofer, EWA, s.v. mā́s-) partendo da un
antecedente
*meh1-n̥scostruito
mediante
l’applicazione del grado zero di un suffisso –nes- alla
radice *meh1- ‘misurare’ (con riferimento qui alla
misurazione del tempo attraverso le fasi lunari) che
si continua - con un ampliamento in dentale – anche
nel latino mētior. Secondo questa ricostruzione in
*meh1-n̥s- la nasale funge da apice di sillaba in quanto
preceduta da laringale; inoltre la laringale cade senza
lasciare allungamenti di compenso in quanto
collocata in posizione intervocalica e quindi in
attacco di sillaba *me.h1n̥s- > *ma.Has- > *ma.as-.
Questa occorrenza rappresenta quindi uno dei casi
per i quali si ipotizza la conservazione in gatico dello
“iato da laringale”. ♦ Corradicali di questo nome sono
i nomi del mese gr. mḗn/meís, mēnós, lat. mēnsis.
uxšiieitī : 3sg. del pres. indicativo dalla
radice avestica vaxš- ‘crescere’ (identica al vedico
vakṣ-) proveniente a sua volta da una radice ie. che
presenta due allotropi: da un lato l’allotropo
semplice *h2ueg-/*h2eug- (con posizione oscillante
della vocale apofonica), cf. ved. ojas- ‘forza vitale’, lat.
augeō; dall’altro l’allotropo *h2uegs- con ampliamento
in –s-, cf. got. wahsjan, ted. wachsen, gr. a(u̯)éksō,
auksanō ‘faccio crescere’. ♦ Il tema è formato dal
grado zero dell’allotropo in –s della radice, con
l’aggiunta del suffisso tematico di presente *-i̯e/o- (cf.
da *gᵂem-, gr. bainō < *gᵂm̥-i̯e/o-), seguito dalla
desinenza principale attiva di 3sg. *-ti. La
trasposizione ie. sarebbe quindi *h2ugs-i̯e-ti o, se si
vuole porre in fase ie. l’assordimento di –g- davanti a
-s-, *h2uks-i̯e-ti. Di qui indoir. *ukši̯ati (con caduta
della laringale inziale, mutamento RUKI a carico di s- in quanto preceduto da occlusiva velare e
mutamento –e- > -a-) e iranico *uxši̯ati (con regolare
spirantizzazione di k anteconsonantico). ♦ L’ulteriore
sviluppo avestico prevede l’anteriorizzazione di a in
e determinata dal contesto: si tratta di un fenomeno
parzialmente analogo alla posteriorizzazione
osservata sopra in vahu- > vohu-: in entrambi i casi il
fenomeno è innescato da un’azione contemporanea
della consonante che precede immediatamente a e
dai suoni che seguono. L’anteriorizzazione avviene
infatti quando a è preceduto da –i̯- e seguito o da una
sillaba contentente un elemento di tipo –i̯-,-i-,-ī-, -e-,
ē- o dalla consonante –j- (cf. Hoffmann-Forssman, p.
65). ♦ Sull’epentesi di –i- nella penultima sillaba cf.
sopra s.v. mauuaite.
nərəfsaitī: 3sg. di un presente indicativo in –
sa- (< ie. *-sk̂e/o-) da una radice avestica narp‘diminuire’ di etimologia oscura, usata tipicamente in
riferimento al calare della luna. Questo tipo di
presente richiede il grado zero della radice (cf.
sopra): si ha quindi *nr̥p- > *nərp-, con successiva
epentesi di un ə puramente fonetico (e che non
rileva ai fini della metrica), e spirantizzazione
anteconsonantica di -p-. ♦ Sull’epentesi di –i- nella
penultima sillaba cf. sopra s.v. mauuaite.
θβ at̰ : ‘ora’, nel senso di ‘ora... ora...’ (altrove
con doppia occorrenza θβat̰ ... θβat̰ ...). Si tratta di un
acc. ntr. sg. usato con funzione avverbiale di un tema
indoiranico *tu̯a- di pronome correlativo (cf. ved.
tva-... tva-... ‘l’uno... l’altro...’).
tācī t̰ : unione di tā ‘queste cose’ con la
particella clitica cīt̰. ♦ tā rappresenta l’acc. neutro
12 plurale dal tema ta- del dimostrativo antico-avestico
hā, hā, tat̰ (ie. *so, sa, tod). ♦ M or: Sulla desinenza di
questo pronome vale quanto si è detto sopra (s.v.
friiā) riguardo al neutro plurale dei nominali
tematici. ♦ Av. cīt̰ è qui usato come particella clitica
con valore enfatico (“proprio queste cose”). La forma
continua l’ie. *kʷid (cf. lat. quid), originario nom./acc.
ntr. sg. dal tema *kʷi- del pronome interrogativoindefinito. Questa particella ha origine quindi
dall’uso avverbiale dell’accusativo neutro di tale
pronome. ♦ Sarebbe atteso un -i- breve ma nel testo
avestico sono molto frequenti scambi nella quantità
delle vocali alte di timbro i e u (al contrario
l’opposizione tra a breve e ā lungo indoiranici è
generalmente conservata).
m azdā : ‘o Mazda’, voc., vd. sopra.
aniiācā : unione di aniiā ‘altre cose’, ntr. pl.,
con la congiunzione clitica cā su cui vd. sopra. ♦ Av.
aniia- ‘altro’ (pron. e agg.) corrisponde perfettamente
all’indiano antico anyá-. La comparazione
indoeuropea permette di ricostruire per l’originario
lessema per ‘altro’ due allotropi, *an- e *al-,
tipicamente usati in combinazione con i suffissi *–i̯oe *–tero- (quest’ultimo originariamente riservato
all’alterità in una relazione tra due soli elementi): lat.
alius, gr. állos, got. alja- < *al-i̯o-, ind. ant. anyá-, av.
aniia- < *al-i̯o-; lat. alter < *al-tero-; got. anþar (cf. ted.
ander, ingl. other), lit. añtaras, ind. ant. ántara-, av. rec.
aṇtara- < *an-tero-. Le ipotesi proposte in letteratura
sull’origine della coppia allotropica *an-/al- (sui cui
cf. Mayrhofer, EWA, s.v. anyá-) hanno carattere
speculativo. ♦ M or: Sulla desinenza cf. sopra (friiā).
vasəmī : ‘voglio’, 1sg. del presente indicativo,
costruito secondo la flessione radicale atematica,
della radice verbale avestica vas- ‘volere’, derivante
da un ie. *u̯ek̂-, cf. ind. ant. vaś-, gr. hekṓn ‘che agisce
di sua volontà’, itt. u̯éktsi <ú-e-ik-zi>. La forma
continua regolarmente un ie. *u̯ek̂-mi. La vocale -ə- è
metricamente irrilevante e rappresenta uno dei
numerosi casi di epentesi vocalica all’interno di un
nesso consonantico ♦ Questo tipo di flessione
mostra, secondo un’alternanza ereditata dall’ie.
ricostruito, grado pieno della radice (vas-) nel
singolare attivo indicativo e nell’intero congiuntivo,
e grado zero (us-) nelle restanti porzioni del
paradigma (cf. 2pl. ustā).
vīduiiē : ‘sapere’, infinito dalla radice av.
vaēd- < ie. *u̯ei̯d-‘sapere’. Si tratta della radice per
‘vedere’ di lat. videō, il cui perfetto sviluppa già in
fase indoeuropea l’accezione di ‘so’ (in quanto ‘ho
visto’). Forse connessa con quest’uso, che la rende
funzionalmente equivalente a un presente, è la
circostanza che questa formazione di perfetto appaia
priva,
già
nella
fase
ricostruibile,
del
raddoppiamento di tipo Ce-, altrimenti caratteristico
del perfetto: ind. ant. véda 3sg. ‘egli sa’, av. vaēdā, gr.
oîde, got. wait da ie. *u̯oi̯d-e (anziché **u̯e-u̯oi̯d-e; di
contro a gr. lé-loip-e < ie. *le-loi̯kʷ-e ‘ha lasciato’ da
*lei̯kʷ- ‘lasciare’). In antico avestico le forme verbali
finite attestate derivanti da questa radice sono il
perfetto ‘sa’ e il causativo vaēdaiia-. ♦ La forma vīduiiē
è classificata (Hoffmann-Forssman 241) come infinito
con suffisso iranico *-u̯ai̯-: *u̯id-u̯ai̯. In avestico -u̯ai̯ e
-uu̯ai̯ postconsonantici in posizione finale si evolvono
dapprima (com’è atteso) in *-uu̯ē e quindi in -ui̯ē, con
anteriorizzazione della semivocale per assimilazione
con la vocale seguente. Quest’ultimo mutamento,
relativamente tardo, è stato introdotto in tutto
l’Avesta (comprese le parti in avestico antico):
troviamo quindi in questi casi av. ant. -uiiē, av. rec. uiie. Si noti che l’esito -C-uiiē da *-Cu̯ai̯- presuppone
uno sviluppo intermedio *-Cu̯- > -C-uu̯-. Tale
evoluzione, più che a un mutamento linguistico vero
e proprio, si deve probabilmente, secondo
l’interpretazione di Hoffmann (cf. sopra), al
costituirsi di una tradizione dell’Avesta nella Perside
achemenide caratterizzata da una pronuncia
influenzata dalla varietà iranica locale, caratterizzata
dalla
sillabicizzazione
delle
approssimanti
postconsonantiche (cf. sopra). ♦ Sulla quantità lunga
(inattesa) della vocale alta anteriore in prima sillaba
cf. sopra (tācīt̰).
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