Enigma e mistero - 25/04/1984 - Opera Omnia di Giacomo B. Contri
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Enigma e mistero - 25/04/1984 - Opera Omnia di Giacomo B. Contri
ENIGMA E MISTERO [1] Si distingue un silenzio da assenza di frastuono, discreto. Ma anche questo si distingue: c’è un silenzio frastornante, silentemente indiscreto, fino a vociante. È il silenzio del troppo e ininterrotto pensare, ossessivo non solo nell'omonima nevrosi, ma in ogni nevrosi, e psicosi, e anche perversione, e melanconia. Si fa vociante nell'allucinazione. È il silenzio di un pensare investigante disertato dalle risposte che veramente non desidera. È il deserto delle domande giuste che solo farebbero incontrare le risposte che darebbero pace al pensiero. Un convegno non universitario, forse più amichevole, come questo, mi permette di parlare un po' a braccio. Lo farò nel fine proporre un'idea, una sola. La coppia di parole che intitola questo convegno è un’associazione di parole (non ce n'è di un solo tipo): alla prima, silenzio, ne è associata una seconda, segreto. Continuerei con l’associargliene altre: quella di domanda, quella di enigma, quella di mistero. Delle parole di questa serie, solo una ha cittadinanza in qualche lessico grosso modo razionalistico, quella di domanda, in coppia con quella di risposta. Le altre ricorrono in lessici che chiamerei sofici, per evitare di chiamarli sapienziali cioè ingiuriare la sapienza del Libro, la Bibbia. Sto alludendo allo scivolone che in un tema come il nostro si deve evitare, quello nel misticismo, nell'abbraccio mistico con le parole. Il misticismo è un buco, in cui scivolando si finisce inevitabilmente, un gorgo, e in fondo, siamo volgari, uno scolo. Non sto neppure ingiuriando la mistica di almeno certi mistici, in alcuni dei quali – come l'odiernamente molto nominata Teresa Avilana – non si saprebbe se ammirare di più l'estremo razionalismo o l’estremo sperimentalismo (dicendolo penso a tanti brutti dibattiti tra razionalismo e empirismo). 1 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Giacomo B. Contri - Saggi, testi pro-manuscripto, … Giacomo B. Contri Giacomo B. Contri - Saggi, testi pro-manuscripto, … Poco fa il mio amico Armando Bauleo ci ricordava una celebre frase, che suona: “Tutto è stato detto”. Ma chi lo dice?, io domando. E una delle frasi più tristemente celebri che io conosca, insieme a Gott mit uns e altre. Sono d'accordo che essa è in rapporto con il tema del silenzio: e come censura – “Taci! Tutto è stato detto” –, e come frastuono – i maligni cori angelici del tutto-detto frastornano il silenzio della censura come allucinazione e delirio. Ecco il dire come esercizio da ragazzi, oratorio mondano, libri da non leggere, discorsi da non ascoltare, cultura come allucinazione diffusa. Associavo la parola “domanda”. Ci sono risposte che rispondono a domande che rispondono a un sapere che le comanda. È il caso delle tabelline, aumentate di specie e numero dai miei bambini anni a oggi. È silente la parola che risponde, eloquente sarebbe il silenzio, o l'ingiuria. Siamo frastornati dalle tabelline, ma non certo per la certezza conclusiva che sembrano esprimere: ci sono anche le tabelline del dubbio. Ma invece, per la relazione che esprimono, una relazione di comando in partenza per un fine di censura: un sapere preordinato comanda le precedenza teorica della risposta sulla domanda, la precedenza pratica della domanda sulla risposta. Ma ci sono risposte che rispondono a domande che rispondono a enigmi. Queste risposte non procedono da un sapere che le umilia e le banalizza da sempre insieme alle domande. Ci sono domande e risposte che hanno come condizione degli enigmi. Avessi il tempo, parlerei dell'enigma in cui consiste l’Odradek di Kafka, nel Cruccio del padre di famiglia. “L'insieme – scrive Kafka – appare privo di senso, ma a suo modo completo”, cioè nulla di “mistico”. Mi è però più facile, o meglio più rapido, a proposito di padri con ciò che ne discende, partire dall'enigma della Sfinge a Edipo. Penso che Edipo risponda, non a un enigma, ma a una domanda precostituita, la cui forma determina la forma contenente la risposta, a prescindere — ecco la censura — dalla decifrazione dell'enigma. La conseguenza sarà tanto la rovina della Sfinge, quanto la sua, semplicemente ritardata a differenza dalle precedenti vittime della Sfinge. Edipo avrà un'avventura con la madre a partire dall'avventura con la Sfinge. La domanda della Sfinge è nota: cos'è quella cosa che all'alba gattona a quattro zampe, a mezzogiorno a due, alla sera a tre. Edipo risponde come 2 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Edipo avrebbe potuto sapere che la sua risposta non esauriva l'enigma, perché la sua risposta, eccolo l'enigma: l'uomo, appunto. Una volta colto l'oggetto-enigma avrebbe potuto formulare domande e dare risposte diverse, esempio: “È uno sciocco parlante”. La Sfinge, che Sofocle ci presenta come onestamente logica, avrebbe dovuto prendere per buona la risposta, essendo chiaro a chicchessia che di sciocco parlante non c'è appunto che l'uomo. E dubito che, stante l'assiomatica implicita all'interrogatorio, la suddetta avrebbe potuto impegnarsi in una discussione sull'universalità o meno di questa possibile risposta edipiana. Se Edipo avesse saputo rispondere così, c'è da supporre che la logica della sua seconda avventura non sarebbe finita come sappiamo, ammesso che potesse anche solo iniziare, così. Naturalmente sto parlando degli Edipi di oggi, e non correggendo Sofocle. L'enigma di cui sto parlando è propriamente drammatico: non è indovinello, giochetto benché ingegnoso da lunghe serate nordiche davanti al fuoco. Come è chiaro, Sofocle lo ha chiaro: infatti ne fa una questione di vita o di morte. Si parla di “superamento” del complesso edipico, ma non si tratta di questo: e, come tutti sanno, analisti e analizzati, resta insuperabile. Si tratta di tornare alla decifrazione dell'enigma da cui esso nasce. Il complesso edipico non è un'origine, è una risposta a una domanda, è un risultato, scontato una volta accettata la domanda e scavalcato l'enigma. Si tratta di fare a ritroso il percorso alla domanda che l'ha reso, non dico possibile, ma obbligatorio, fino all'enigma. È un enigma, ciò... che può rendere possibile e non obbligatorio. A rendere possibile, a partire dal suo riconoscimento, altra domanda, altra risposta, altra prassi, altra vita. Forse anche altra morte. Un'altra possibile risposta di Edipo se avesse letto Kafka: «è il cruccio dei padre di famiglia, ma non credere di sapere meglio di me che cosa è Odradek». Ricordo solo approssimativamente una frase di Brecht che suona pressappoco così: si tratta di sapersi porre le domande che rendono possibile l'azione. E una frase molto giusta. Ciò che sto sostenendo è che le domande devono sempre ripartire dagli enigmi incontrati. 3 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Giacomo B. Contri - Saggi, testi pro-manuscripto, … alle tabelline, solo che, a differenza dai suoi coetanei bocciati, è un po' più avanti negli studi. A-domanda-risponde: è l'uomo, la Sfinge si precipita giù dalla rupe, cioè gli cede il passo, gli lascia il posto, gli cede la cattedra, su cui Edipo sale regalmente conservando intatto l'enigma; ma questo, invece, non lo lascerà intatto alla fine dell'avventura. Giacomo B. Contri - Saggi, testi pro-manuscripto, … Non sto dunque parlando dell'enigma come di un 'oggetto dello svelamento, o della conoscenza, della scoperta, dell'esperienza, ma come di un punto di partenza, luminoso, intellettualistico, trasparente. Non è da rivelare, ma apertura di rivelazione. Non è l'oggetto segreto, segregato dai sette sigilli, ma quello che li toglie. Ho introdotto idee così qualche anno fa a un congresso tenutosi a Firenze su psicoanalisi e storia delle scienze. In quell'occasione allineavo (un po' li articolavo) quattro oggetti-enigmi; nevrosi-scienza-dirittopsicoanalisi, e li allineavo sullo stesso piano. Nessuno di questi è l'oggetto degli altri. Lo dico meglio benché così telegraficamente. Freud non dice: c'è l'oggetto nevrosi preso come enigma nel suo senso che io sto rifiutando, poi è venuta la psicoanalisi che ne è più o meno la conoscenza e il trattamento. Freud ha fatto un'altra cosa, che esprime così: scrive un libro intitolato Inibizione, sintomo e angoscia cioè pone tre termini correlati – proprio come la Sfinge pone performances – e poi chiede al soggetto: “Che cosa è questo?”, e sapendo a un tempo almeno tre cose: che qualsiasi risposta avrà conseguenze; che non si dà non-risposta; che ci sono anche risposte diverse da quella che si potrebbe dare con la psicoanalisi, e antitetiche a questa. In altri termini, Freud ha costruito un enigma, da cui procederanno le domande che rendono possibile l'azione, quella terapeutica compresa. Ma l'esempio che ho scelto per presentare ciò che Freud ha fatto, è ancora parziale. Egli ne ha costruito uno più importante, di cui ha posto tutti i termini e tutte le relazioni, o almeno tutte le premesse per ricavarne termini e relazioni: è la psicoanalisi stessa. “Che cosa è la psicoanalisi?”, non è una domanda scolastica, magari una tabellina da istituto superiore, ma una questione portante e producente effetti a ogni livello, curativo compreso, per chi la pratica, la questione intendo: psicoanalisti, pazienti, e molti altri anche se si tengono a distanza da un divano analitico. In particolare, da questo enigma proposto al mondo solo diversi decenni fa da Freud, derivano domande e risposte degli psicoanalisti: esse non sono certo identiche tra loro, né tutte compatibili, cioè hanno conseguenze diverse, alcune contrastanti. Sulla riducibilità dell'enigma di Freud ad altro enigma, cioè ad altra causa, non saprei ora dire bene, ma è une domanda alla quale si dà sempre, bene o male, risposta, malgrado gli sforzi di noi analisti di mantenerla il più possibile in sospeso. 4 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Avrei voluto parlare anche di mistero, che distinguo da enigma, ma devo fermarmi qui. 5 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Giacomo B. Contri - Saggi, testi pro-manuscripto, … Concludo con un'osservazione di interesse, propriamente parlando, generale. Non tutte le dottrine politiche odiernamente circolanti mi sembrano avere la vis razionale di quelle seicentesche. Lo si vede in particolare dall'uso, divenuto dominante, del sostantivo, preceduto dall'articolo determinato, “Il Potere”. Hobbes, in quel suo costrutto razionale da lui denominato “Leviatano”, ha costruito un enigma, aperto alla domanda: che cosa è questo? Oggi, si parla di “Il Potere” con un misticismo che approfitta di una relazione ingenuamente denotativa tra la parola e la cosa. Ed è un fatto curioso, che la crisi semiotica della relazione segnica abbia intaccato tutti i rapporti tra le parole e le cose, a eccezione di questo. Potremmo provare a tornare sulla questione per mezzo appunto di quell'operatore che è il silenzio, come l'operatore che divorzia la cosa dall'essere l'oggetto della risposta, e la fa passare a enigma produttivo di nuovi quesiti, nuove risposte, nuove condotte. Potremmo provare a farlo ai giorni nostri, cioè smettendo di credere che i secoli passino per tutto o per nulla: può anche darsi che passino per qualche cosa. Ricostituendo il potere come questione cioè come enigma, penso che scopriremmo anche un segreto, che in questo caso è un segreto politico, di Stato. La grande parte delle dottrine politiche convengono almeno su un punto indiscusso, e ne convengono forse proprio perché non è discusso: sull'esistenza del Potere. I tempi detti “moderni” hanno visto scrollate tutte le fedi, ma non questa, la fede nell'esistenza del Potere. Non dico la sua bontà, ma la sua esistenza. Già, il largo consumo fatto nei nostri anni della parola sintomatica “governabilità” dovrebbe mettere sull'avviso. Ebbene, penso che potrebbero aprirsi nuove possibilità, nuovi orizzonti per l'ateismo, quello che si è tanto estenuato con Dio che non si capisce chi ci ha rimesso di più. Sono poche parole, di uno che fa professione di ateismo politico: ateismo quanto all'illusione che esista una sintesi politica dell'esperienza (si prenda nel senso che si vuole questa parola “esperienza”). Penso che in questa direzione il silenzio potrebbe diventare operante, come peraltro molti veri mistici poco... mistici avevano intuito e praticato. Potrebbe risultarne per noi un potere meglio, che non ci sogneremmo di chiamare “Il Potere”. Giacomo B. Contri - Saggi, testi pro-manuscripto, … NOTE 1 Il presente testo fa parte degli Atti del Convegno Internazionale Il silenzio, il segreto tenutosi a Padova il 24, 25, 26 maggio 1984, pubblicati da Bloom Edizioni, Padova 1984. Il testo dell’intervento si trova alle pp. 153 – 156. 6 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri