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Suono – novembre 2007
Sziget Festival,
delle libertà
l’isola
Da 15 anni a Budapest migliaia di
giovani
vivono
una
nuova
Wooodstock.
Sessanta
palchi
affacciati sul Danubio propongono
ogni tipo di musica no-stop per sette
giorni. In un variopinto labirinto di
stand, ristoranti e tende da campeggio,
ognuno fa la sua rivoluzione e trova la
sua verità.
Secondo un saggio indiano “la verità si
trova più spesso nella musica che nei
libri di filosofia”. Appena si mette
piede sull’isola di Obuda, piccolo
lembo di terra sospeso sul Danubio a
due km dal centro di Budapest, durante
la settimana del “Sziget Festival”, la
sensazione che si ha è questa. La
musica che invade da ogni angolo
restituisce tante verità impossibili da
descrivere e condensare nelle pagine di
un libro. L’importante è avere le
orecchie ben aperte per coglierle,
assorbirle e custodirle nella propria
valigia. Questo festival, nato 15 anni fa
dall’idea dell’artista ungherese Peter
Muller Sziami e grazie al supporto
organizzativo di Gerendai Karoly, può
regalare tante pillole di saggezza che
vanno al di là del piacere del mero
ascolto di piccoli e grandi band
provenienti da ogni parte del mondo. Il
Sziget Festival è molto più di un
raduno per giovani che hanno voglia di
far
baldoria.
E’
la
risposta
contemporanea
alle
grandi
manifestazioni musicali americane e
inglesi del passato e vederla nascere e
crescere a Est, in un ex Paese
comunista, le conferisce ancora più
importanza sia nel panorama mondiale,
sia in quello ungherese. Questa
Woodstock sul Danubio è l’evoluzione
moderna del concetto di raduno che,
privato dell’involucro ideologico e
politico che lo ha contraddistinto negli
Anni ’60 e ’70, porta direttamente in
contatto con la sua essenza: il bisogno
di libertà. Ognuno sull’isola di Obuda
vive la propria rivoluzione. Una
rivoluzione che può apparire più debole
rispetto al passato perché non gioca con
una collettività, ma che però non mente
e rispecchia le spinte individualistiche
moderne. “Anche se Budapest è una
città viva che da spazio alla nuova
generazione, il Sziget rappresenta per
la maggior parte degli ungheresi uno
dei pochi posti dove sentirsi veramente
liberi durante l’anno. E’ un po’ come
Las Vegas, un enorme Luna Park
irreale, ma meraviglioso” dice Michel,
giornalista
35enne.
Durante
la
settimana trascorsa sull’isola i giovani
si sentono come in un Paese del
Balocchi: non ci sono regole da
rispettare, tutto è permesso e possibile,
si indossano abiti male abbinati, si
mangia pizza a colazione, si fumano
pacchetti interi di sigarette, si balla a
piedi nudi e non si dorme mai. Per
molti “il Sziget è anche una porta
sull’Occidente”. “E’ un momento di
incontro e confronto con coetanei di
diverse culture che arrivano qui da tutto
il mondo” spiega Koves Shlomo,
informatico trentenne. Una delle
caratteristiche principali del festival,
infatti, è la multi-etnicità che si respira
nei suoi sentieri labirintici. Nel tragitto
tra un palco e l’altro (ce ne sono 60) si
sente parlare inglese, spagnolo,
francese,
ungherese,
tedesco,
portoghese, arabo e giapponese. Hippy,
post-punk, fricchettoni, giocolieri,
dandy,
vagabondi,
indiani
metropolitani convivono per una
settimana scambiandosi il dizionario.
L’isola ospita circa 70 mila persone al
giorno tra cui 30 mila campeggiatori.
Lo zoccolo duro degli arrivi negli
ultimi anni è formato da giovani
francesi, tedeschi e olandesi. Sono tanti
anche gli italiani provenienti da
Milano, Bologna, Torino, Roma,
Napoli, Vicenza, Bari e Catania. Ogni
giorno è tutto da inventare e il segreto
per cogliere il meglio è lasciarsi
trasportare dall’intuito vista l’enorme
quantità di proposte non solo musicali,
ma anche teatrali, circensi, di danza,
arte, video, sport estremi, tattoo,
piercing. Si possono incontrare
addirittura gruppi di ebrei che ballano
musica yiddish avvolti nei loro abiti
tradizionali di fianco a un rabbino che
ascolta i passanti più smarriti e da loro
consigli per il futuro. Molti giovani
vanno al Sziget per cercare la loro
verità e si divertono a perdersi in
questo variopinto labirinto. Altri
girovagano con la mappa alla mano e
seguono un percorso studiato nel
dettaglio per avere la sensazione si
seguire una direzione. Ma l’effetto è lo
stesso: ci si aggira imbambolati con gli
occhi spalancati tra il Man Stage dove
si esibiscono i nomi più noti (tra cui
The Good, The Bad And The Queen, i
Chemichal Brothers, i Tool, i Madness,
i Killers, Sinèay O’Connor, i Faithless),
il World Stage per la musica etnica
(Cesaria Evora, Sergent Garcia, i
tuareg del Mali Tinariwen, la
norvegese Marie Boine, gli ungheresi
Muszikas, i jamaicani Skatalines, i
russi Leningrad, le finlandesi Varttina),
la collina del Giant Street Theatre, la
tenda per la musica zingara, quella per
il jazz, il metal, l’hip hop, il blues e
quella per i dee-jay set. La qualità della
musica è indiscutibilmente alta, ma
quello che non si dimentica è la varietà.
Nessuno va via insoddisfatto. Neanche
gli ungheresi, in diminuzione di anno
in anno per via del costo del biglietto
d’ingresso considerato alto, che nelle
ultime edizioni approdano nella loro
Woodstock solo per una giornata. “Il
festival si ingrandisce sempre più ed è
pensato ormai per gli stipendi degli
stranieri non per quelli del luogo” dice
Kantar Zsigmand, approdato sull’isola
solo per una notte. “Molti ungheresi,
comprese le nuovissime generazioni,
hanno un rapporto diverso con i soldi
rispetto al resto degli europei e, spesso,
per noi non è facile investire danaro in
attività di svago e divertimento” spiega
un gruppo di magiari mentre fa il
bagno in una dei rinomati centri termali
della città. Anche qui, dove tutti girano
in costume da bagno, il popolo del
Sziget si riconosce. Ognuno indossa
orgoglioso il braccialetto colorato che
contraddistingue chi ha comprato il
biglietto. Non c’è scampo. Durante la
settimana del festival la città cambia
volto e anche chi non partecipa al
festival viene travolto dall’onda
euforica e liberatoria del Sziget, l’isola
delle libertà.

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