lauto - i nostri tempi supplementari

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lauto - i nostri tempi supplementari
PLAUTO
Plauto è il primo autore della letteratura latina di cui conserviamo opere
intere.
Egli attuò una sintesi originalissima della commedia nuova greca (néa)
e di elementi attinti dalla tradizione popolare della farsa italica ed è
noto per le sue straordinarie capacità fantastiche ed espressive.
I dati biografici
Di Plauto sappiamo poco. Gli stessi nomi che gli vengono attribuiti
dalla tradizione, Tito Maccio Plauto, sono dubbi. Da certi prologhi di
alcune commedie si ricava infatti il nome Plautus, da altri Maccus.
Si è supposto perciò che il poeta abbia utilizzato in momenti diversi
della sua carriera nomi differenti: prima Macco, derivatogli dalla sua
attività di attore di atellane (Maccus corrisponde infatti a una delle
maschere dell'atellana, il ghiottone balordo) e successivamente
Plauto, forse anch'esso nome d'arte, secondo i filologi antichi un
soprannome scherzoso che significherebbe "dai piedi piatti" oppure
"dalle orecchie lunghe e penzoloni".
Sappiamo che Plauto nacque qualche anno prima del 250 a.C. a Sarsina,
città compresa a quei tempi nell'Umbria, oggi in Romagna, quasi al
confine con le Marche, e che morì nel 184 a.C.
Scrisse e portò sulle scene le sue commedie a partire almeno dagli
anni della seconda guerra punica (218-202 a.C.).
Il corpus delle commedie: i titoli e le trame
La fama di Plauto fu talmente grande che centocinquant'anni dopo la
sua morte, Marco Terenzio Varrone (erudito vissuto nel I secolo a.C.),
occupandosi del problema dell'autenticità delle sue opere, contò ben
centotrenta commedie che circolavano sotto i suo nome.
Varrone individuò ventuno commedie, definite per questo
"varroniane", sulla cui autenticità tutti gli studiosi erano d'accordo. Le
commedie che possediamo sono venti, e non ventuno, poiché della
Vidularia (La commedia del bauletto) restano solo esigui frammenti.
Le trame plautine sono quelle tipiche della commedia nuova greca, a
cui appartengono i modelli utilizzati dal poeta latino: si tratta di intrecci
complicati ma anche ripetitivi, in cui ricorrono costantemente
situazioni e personaggi convenzionali.
Ben sedici commedie su venti presentano infatti, sia pure con molte
varianti, la medesima struttura fondamentale della trama: troviamo un
giovane innamorato di una donna è ostacolato nel suo amore.
L'ostacolo è rappresentato, se la ragazza, come avviene spesso, è una
cortigiana, dalla mancanza di denaro necessario per assicurarsi i suoi
favori oppure, se la ragazza è onesta, da impedimenti di carattere
familiare e sociale: l'opposizione della famiglia di lui o di lei al
matrimonio e/o la condizione troppo umile della fanciulla. Il giovane,
svantaggiato dall'essere economicamente dipendente dal padre, lotta
per far valere i diritti della gioventù e dell'amore ed è validamente
sostenuto da uno o più aiutanti: un giovane amico, un vecchio
comprensivo, un parassita (cioè uno squattrinato che si mette al
servizio di qualcuno chiedendo in cambio ospitalità alla sua mensa) o,
più spesso, un servo intelligente e audace.
In molti casi la trama consiste in una serie di espedienti, di trovate
ingegnose, di finzioni e d'inganni messi in opera dal servo per
raggirare, truffare e turlupinare gli antagonisti del giovane
innamorato: il padre avaro e severo, il lenone (mercante e sfruttatore
di prostitute) cinico e arrogante, il soldato (un mercenario al servizio
di re orientali, figura tipica del mondo greco, che non aveva
corrispondenti a Roma) ricco e borioso, prepotente e stupido, e perciò
bersaglio ideale del servus callidus ("servo scaltro").
Nell'immancabile lieto fine, il giovane e i suoi aiutanti hanno la meglio
sugli antagonisti e l'adulescens realizza i suoi desideri amorosi, talora
conquistando semplicemente la cortigiana, in altri casi coronando nel
matrimonio il suo amore per una ragazza libera, o che, alla fine della
commedia, si rivela tale grazie al "la riconoscimento". È questo un
topos frequentissimo nella commedia nuova greca (e che ricorre in sei
commedie plautine), per cui una trovatella, o una ragazza che è caduta nelle
mani di un lenone e sta per diventare una cortigiana, o una ragazza povera e
senza dote, si scopre alla fine, inaspettatamente, libera e di buona famiglia,
figlia di un rispettabile cittadino, perduta e rapita da bambina, e risulta perciò
la fidanzata a ideale per il giovane che la ama, gradita non solo a lui ma anche
alla sua famiglia.
Le trame di alcune commedie
Amphitrio (Anfitrione)
Giove, innamorato di Alcmena, assume le sembianze di suo marito Anfitrione,
condottiero tebano, per unirsi con lei. La comicità nasce dagli equivoci causati
dagli scambi di persona non solo tra Giove e Anfitrione, ma anche tra Mercurio
e Sosia: il primo, servo di Giove, ha preso l'aspetto del secondo, servo di
Anfitrione.
Asinaria (La commedia degli asini)
Un giovane innamorato di una cortigiana, riesce a possederla grazie al denaro
(ricavato dalla vendita di alcuni asini) procuratogli d due servi con la complicità
del padre, il quale vorrebbe approfittare a sua volta della ragazza; ma il
vecchio immorale vine scoperto e malmenato dalla moglie, ricca e autoritaria.
Aulularia (La commedia della pentola)
Un vecchio avaro Euclione, ha trovato una piccola pentola (aulula) piena d'oro
e vive nella paura ossessiva che gli venga sottratta; gliela ruba, in effetti, l
servo di un giovane innamorato della figlia, già promessa in moglie a un vicino
anziano e benestante che è disposto a prenderla senza dote. La restituzione
del tesoro consentirà al giovane di sposare la ragazza (ma la commedia ci è
pervenuta mutila della parte finale).
Bacchides (Le Bacchidi)
Due sorelle cortigiane, le Bacchidi, diventano le amanti di due giovani amici
grazie al denaro carpito al padre di uno dei due dallo scaltro e audace servo
Crisalo, che mette in opera una serie di brillanti inganni ed espedienti; nella
scena finale, i due padri si lasciano sedurre anch'essi dalle Bacchidi ed entrano
nella loro casa per far baldoria insieme con i figli.
Càsina
Un vecchio e suo figlio vorrebbe entrambi godere dei favori di una trovatella di
nome Càsina. Il vecchio tenta di darla in sposa al proprio fattore, che dovrebbe
poi mettergliela a disposizione, ma sua moglie organizza una grottesca messa
in scena facendo travestire da sposa un giovane scudiero; così il vecchio
ridicolmente innamorato finisce beffato, mentre Càsina sarà riconosciuta libera
e potrà sposare il figlio.
Curculio (Gorgoglione/Pidocchio)
Un giovane riesce, con l'aiuto di uno smalto parassita che escogita una serie di
inganni, a sottrarre la ragazza di cui è innamorato al lenone che la possiede e
al soldato a cui era stata promessa; alla fine la ragazza è riconosciuta libera,
nonché sorella del soldato, e i due giovani possono sposarsi.
Menaechmi
Un giovane durante un viaggio alla ricerca del fratello gemello perdutosi da
bambino, giunge nella città in cui questo abita; prima però che i due
s'incontrino e si riconoscano, si ha una lunga e complicata serie di equivoci,
perché i due fratelli, eguali di nome e d'aspetto, vengono continuamente
scambiati l'uno con l'altro.
Miles gloriosus (Il soldato fanfarone)
Un giovane, innamorato di una cortigiana, riesce a sottrarla a un soldato con
l'aiuto di un servo e di un simpatico vecchio scapolo; il soldato, tronfio e
sciocco viene ripetutamente ingannato e finisce beffato e bastonato.
Mostellaria (La commedia del fantasma)
Durante l'assenza del padre, un giovane ha preso denaro a usura per
comperare una cortigiana. Il padre torna all'improvviso mentre in casa si sta
gozzovigliando: l'astutissimo servo Tranione non lo lascia entrare facendogli
credere che la casa sia abitata da un fantasma; inoltre gli fa promettere il
pagamento del debito, fingendo che il figlio abbia comperato un'altra casa; alla
fine si scopre la verità, ma il giovane e il servo sono perdonati.
Pseudolus (Bugiardo)
Un giovane ama una cortigiana che il lenone Ballione ha promesso a un
soldato; il servo Pseudoluo mette nel sacco con i suoi scaltri imbrogli sia il
lenone sia il meno del soldato, venuto per prendere la ragazza, sia il vecchio
padrone, padre del giovane innamorato; alla fine Ballione ha il danno e le
beffe, mentre Pseudolo fa baldoria con il padroncino e si riconcilia con il
vecchio.
Le altre commedie
Il corpus delle commedie "varroniane" comprende inoltre i Captivi ("I
prigionieri"), la Cistellaria ("La commedia della cestella"), l'Epidicus
("Epidico", nome del servo protagonista), la Redens ("La gomena"), lo
Stichus ("Stico", nome di uno schiavo), il Trinummus ("Le tre
monete"), il Truculentus ("Il tanghero", nome parlante di uno schiavo
di campagna, che ha una parte secondaria nella vicenda).
Le commedie del servus callidus
Rientrano nello schema che abbiamo delineato alcune commedie plautine
più riuscite e più celebri, come lo Pseudolus, le Bacchides, la
Mostellaria e il Miles gloriosus.
In queste commedie la struttura fondamentale della trama è la stessa;
gli antagonisti sono di volta in volta il padre, il lenone, il soldato;
immancabilmente i giovani, pur scapestrati e scialacquatori,
raggiungono il loro scopo (la conquista della donna amata) e sono
perdonati dai padri, che nel lieto fine si riconciliano anche con i servi
bugiardi e imbroglioni, mentre i danni e le beffe toccano agli
antagonisti estranei alla famiglia: il soldato e specialmente il lenone,
l'"antipatico" per eccellenza, su cui viene scaricata, senza remore o
inibizioni, 'aggressività dei protagonisti e, indirettamente, del
pubblico.
Ma il vero protagonista delle commedie che abbiamo citato è il servo, il
personaggio che Plauto sente più congeniale e a cui affida più
volentieri tutte le risorse della sua esuberante comicità: il servus
callidus, che nella vicenda drammatica svolge il ruolo di aiutante del
giovane innamorato, è in realtà l'eroe comico su cui si concentrano
l'attenzione e a simpatia dell'autore e del pubblico. Egli non è solo
abilissimo orditore d'inganni; è anche spavaldo, sfacciato, sicuro di sé
fino all'insolenza e alla strafottenza, incline a vanitose (ma anche
scherzose) autoglorificazioni, sempre pronto a prendersi gioco di amici
e di avversari inventando pirotecnicamente battute, spiritosaggini,
giochi di parole.
Non meno divertenti risultano gli antagonisti. In particolare personaggi
iperbolici e caricaturali, come il miles gloriosus della commedia
omonima o il Ballione dello Pseudolus, incarnazione della ribalderia e
della spudoratezza proprie dello stereotipo del lenone, sono veri e
propri capolavori di esagerazione grottesca, dotati di travolgente e
irresistibile comicità nonostante e anzi proprio in virtù dei loro eccessi.
La commedia di carattere, la beffa, la commedia degli equivoci
Notevoli variazioni dello schema consueto sono rappresentate da
celebri commedie, che esercitarono un forte influsso sulla tradizione
comica successiva.
Nell'Aulularia è presente il consueto amore ostacolato che alla fine si
realizza felicemente. Tuttavia in questo caso lo spazio maggiore è
occupato dalla figura del vecchio, magistrale raffigurazione dell'avaro
(a lui si ispirerà Molière per i suo Arpagone nella commedia L'avaro del
1668), tanto che l'Aulularia viene indicata talora come il prototipo
della commedia di carattere, incentrata sulla declinazione di un tipo
psicologico.
In effetti Euclione non è soltanto una caricatura, una maschera grottesca, né
tanto meno una semplice macchietta: nei meccanismi psicologici che il poeta
gli attribuisce il pubblico riconosce la rappresentazione ingrandita e
comicamente deformata di atteggiamenti o spunti o tentazioni
(l'attaccamento al denaro, la paura della povertà, la diffidenza verso
gli estranei) presenti in tutti gli uomini; per questo il personaggio
dell'avaro, pur spingendosi oltre i confini della verosimiglianza, ci
appare vivo e reale, reso credibile e persuasivo dall'arte del poeta.
Anche nella Càsina ritroviamo il solito schema di base, con il giovane
ostacolato nel suo amore e il lieto fine coincidente con il matrimonio,
propiziato dal "riconoscimento". La vicenda del giovane innamorato
(che, come la stessa Càsina, non compare mai sulla scena) resta sullo
sfondo: il protagonista è il senex libidinosus, il vecchio ridicolmente e
vergognosamente innamorato, che, venendo meno ai suoi doveri di
padre di famiglia, si fa rivale del figlio per la conquista della stessa
donna. Egli merita dunque, da parte della moglie offesa e dei suoi
aiutanti, una punizione esemplare, commisurata all'entità della
trasgressione: non solo il danno, ma anche le beffe. La Càsina è infatti
la tipica commedia della beffa, caratterizzata da una comicità
spiccatamente farsesca e licenziosa soprattutto in connessione con il
motivo scabroso delle "nozze maschie" (la fanciulla è infatti sostituita
nella cerimonia nuziale da uno scudiero travestito). Tale motivo ebbe
molta fortuna nel teatro moderno: fu ripreso in particolare in numerose
commedie del Cinquecento, tra cui la più importante è la Clizia di Niccolò
Machiavelli (1525).
Su una forma particolare di equivoco, lo scambio di persona, sono
incentrate due altre celeberrime commedie plautine: i Menaechmi e
l'Amphitruo.
Nel caso dei Menaechmi (i fratelli gemelli uguali di nome e d'aspetto),
per un automatismo tipico di questa situazione comica, ciascuno dei due
capita immancabilmente in scena al posto dell'altro e viceversa,
trovandosi così ad agire in un contesto "predisposto" per l'altro: dagli
equivoci che ne conseguono scaturisce il divertimento del pubblico. Il
tema dei simillimi fu ripreso infinite volte nel teatro comico rinascimentale e
moderno: tra le prime rivisitazioni di questo motivo si ricordano la Calandria
del Bibbiena (1508) e i Suppositi di Ludovico Ariosto (1509).
Nell'Amphitruo, invece, al tema dell'equivoco (che peraltro non
coinvolge tutti i personaggi) si accompagna a quello (sfruttato in
chiave comica ma al tempo stesso vagamente angoscioso) dello
sdoppiamento dell'io, della paura di aver perso la propria identità,
paura suscitata, in Anfitrione e soprattutto in Sosia, dallo sconcertante
incontro con il proprio doppio. Anche l'Amphitruo ebbe nella tradizione
comica successiva un'enorme fortuna, attestata da decine di rifacimenti e di
imitazioni. In particolare al successo dell'Anfitrione di Molière (1668) si deve
l'uso antonomastico, tutt'ora diffuso, dei nomi dei protagonisti: anfitrione (per
indicare un padrone di casa ospitale e generoso) e sosia (per designare che è
perfettamente rassomigliante a un'altra persona).
I rapporti con i modelli greci
Plauto traduce, o meglio adatta, riprende, rielabora commedie greche
che noi possediamo nel testo originale, a eccezione di qualche decina di
versi di una di Menandro, il Dis exapaton (Colui che inganna due volte) modello
delle Bacchides.
Gli autori da cui Plauto ha attinto sono i principali rappresentanti della
commedia nuova greca: Menandro, Filemone, Difilo, Demofilo.
Il poeta li cita in alcuni prologhi e usa, per indicare il suo rapporto con loro,
l'espressione vortere barbare, "volgere dal greco n latino" (assumendo
il punto di vista dei Greci, per i quali "barbaro" equivaleva a "non
greco": e dunque il latino era una lingua "barbara", straniera).
In realtà non si tratta di semplici traduzioni. È vero che Plauto si è
mantenuto fedele agli originali conservandone l'ambientazione greca.
Tale ambientazione offriva il vantaggio di poter attribuire
comportamenti spesso moralmente discutibili e deplorevoli ai Greci e
non ai Romani. È possibile che Plauto abbia mantenuto le linee
essenziali delle trame e che abbia reso in latino molte scene, o parti di
scene, seguendo da vicino i modelli. Ma con altrettanta sicurezza
possiamo affermare che il poeta non si è fatto scrupolo di apportare
modifiche, anche notevoli, per raggiungere con maggior efficacia lo
scopo di divertire il suo pubblico, le cui esigenze e le cui attese erano
sotto molti aspetti diverse da quelle del pubblico greco.
Plauto fece uso della "contaminazione": termine tecnico moderno,
ricavato dai prologhi di Terenzio, che indica l'inserzione in una
commedia, derivata da un determinato originale greco, di una o più
scene, talora anche di uno o più personaggi, tratti da un'altra
commedia anch'essa greca.
Un altro importante elemento che differenzia notevolmente le opere
plautine dalla commedia nuova è lo spazio molto più ampio dato alla
musica e al canto: molte parti che nei modelli corrispondevano a
semplici dialoghi (o monologhi), senza musica, furono riscritte da
Plauto in metri diversi, in forma di recitativi o di veri e propri pezzi
cantati.
Molti sono poi i procedimenti tipicamente plautine come i frequenti
riferimenti a usi e costumi romani, con voluti effetti di spaesamento: i
personaggi, che nella finzione scenica sono greci, citano edili, dittatori
e pretori, alludono a leggi, istituzioni e costumi romani, menzionano
tranquillamente il Campidoglio e altri luoghi di Roma ecc.
Troviamo inoltre numerosissime battute di spirito basate su giochi di
parole che non hanno corrispondenti in greco.
Rispetto a Menandro (il principale esponente della commedia nuova,
che fu più volte modello del poeta latino), notiamo un interesse e una
cura molto minori per la coerenza e l'organicità della trama. Plauto è
disposto infatti a sacrificare alla comicità immediata della singola
scena sia gli equilibri della struttura compositiva sia le esigenze della
logica e della verosimiglianza: ciascuna scena è trattata in certi casi
quasi come un'entità a sé stante, con aggiunte farsesche fini a se
stesse (ad esempio sfilze di ingiurie, scambi di minacce e di spacconate, scene
clownesche con improperi e bastonature). Il ricorso a questi motivi di
comicità bassa e buffonesca era certamente una concessione ai gusti
del vasto pubblico, andava incontro alle preferenze degli spettatori
meno colti e raffinati e si ricollegava alla tradizione delle forme italiche
di teatro popolare, come l'atellana, improntate a una comicità farsesca
e grossolana.
Per quanto riguarda i personaggi, non vi è nel poeta latino la tendenza,
propria di Menandro, a sfumare la psicologia per renderla più
verosimile; al contrario Plauto accentua i tratti caricaturali dei "tipi"
della commedia nuova, per sfruttarne fino in fondo le potenzialità
comiche.
Ma l'apporto più originale di Pluto rispetto ai modelli è costituito dallo
stile. Pur attingendo come Menandro al sermo cotidianus, egli non
mira come il poeta greco (e come poi farà Terenzio) alla
verosimiglianza realistica, alla riproduzione, stilizzata ma fedele, dei
modi colloquiali correnti, ma crea uno stile straordinariamente
artefatto, ricchissimo, di figure retoriche e di "effetti speciali" degni di
un vero e proprio virtuoso della lingua.
Il sermo familiaris costituisce il punto di partenza del poeta; esso
viene riprodotto molto liberamente, con le sue ridondanze, con
l'espressività dei diminutivi e delle locuzioni idiomatiche, con la
ricchezza lussureggiante del lessico (che accoglie numerosi grecismi,
entrati nell'uso parlato, ma anche molti neologismi, coniati a fini
comici), con una morfologia e una sintassi ancora fluide e multiformi;
ma tale linguaggio viene anche investito e trasformato profondamente
dalla potente creatività del poeta, deformato ad arte, caricato,
accentuato ed enfatizzazione nei suoi tratti espressivi più energici e
vigorosi: ne risulta uno stile brillantissimo, frutto di una fantasia che
non arretra di fronte alle innovazioni più audaci, alle invenzioni più
bizzarre, alle trovate più paradossali, fino all'assurdo e al surreale.
Il teatro come gioco
Uno degli aspetti più tipici del teatro plautino è la tendenza a
sottolineare, per trarne effetti comici, il carattere fittizio e ludico
dell'evento teatrale.
Plauto ama svelare esplicitamente quasi smascherare la finzione
teatrale in quanto tale, come per richiamare gli spettatori alla
consapevolezza di star partecipando insieme con l'autore,
gioiosamente complici, a un gioco che li diverte entrambi.
Si vedano ad esempio gli inviti rivolti al pubblico a intervenire nell'azione, come
nel nel celebre monologo dell'Aulularia in cui Euclione implora gli spettatori
perché lo aiutino a ritrovare la pentola del suo tesoro.
Una forma di rottura dell'illusione scenica molto sfruttata da Plauto è
costituita dai procedimenti riconducibili al cosiddetto "metateatro",
cioè al teatro nel teatro, al teatro che rappresenta se stesso o parla di
se stesso.
Nel finale della Càsina, ad esempio, la moglie risponde la marito, che le chiede
di perdonarlo:
Farò come vuoi. Sai perché ti concedo il erodono accontentandoti senza tante
storie? Per non allungare ancora di più questa commedia che è già lunga.
Altrove il pubblico viene messo a parte dei segreti e dei trucchi del
retroscena. In altri casi del carattere stereotipato e ripetitivo dei
luoghi comuni della commedia, come ad esempio gli insulti al lenone.
Al procedimento di rottura dell'illusione scenica, molto frequente, e
che conferma la ricerca di effetti comici, a scapito di ogni
verosimiglianza, è l'inserzione, o intrusione di riferimenti romani in
commedie di ambientazione greca. Il caso più clamoroso è costituito da un
passo del Curculio, in cui i protagonista si scaglia contro i Greci fannulloni,
ubriaconi e profittatori, un attacco che suona incredibile in bocca a un
personaggio greco.
La presa di distanza dal modo greco di pensare e di vivere è netta ed esplicita
anche in altri passi, ma Plauto non ha da comunicare un messaggio
preciso, di tipo morale o politico, non intende ammaestrare il suo
pubblico, non pretende di dimostrargli qualcosa: vuole semplicemente
rallegrarlo, divertirlo.
Così sarebbe errato interpretare l'insistenza e il compiacimento con cui Plauto
mette in rilievo lo scontro dei figli con i padri e soprattutto la vittoria dei servi
sui padroni come la manifestazione di un atteggiamento critico o polemico nei
confronti dei rapporti familiari e sociali vigenti. Essi rientrano invece in un
aspetto caratteristico della commedia in generale e del comico plautino in
particolare: la tendenza al rovesciamento burlesco della realtà.
In una specie di mondo alla rovescia, in cui i sogni più audaci si
possono avverare e le gerarchie di potere si possono capovolgere,
quelli che erano i reali rapporti di forza all'interno della famiglia
appaiono ribaltati: i giovani soddisfano i loro desideri in barba
all'autorità paterna, gli schiavi umiliano i padroni, le mogli
spadroneggiano sui mariti. Ma ciò può avvenire solo grazie alla magia
della finzione teatrale, in un contesto dichiaratamente ludico e
scherzoso, senza che sia messa seriamente in discussione la normalità
dei rapporti familiari e sociali, ristabilita, anzi, e riaffermata nella
riconciliazione finale, dopo la temporanea, illusoria e giocosa,
sospensione propria dell'evento comico.