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Geopolitical Review Paper
ISSN 2499-278X
Boko Haram: tanto sanguinaria quanto
sottovalutata
2016
Massimo Pascarella
www.geopoliticalreview.org
www.alphainstitute.it
Geopolitical Review Paper - Anno II (2016)
ISSN 2499-278X
Edito da Geopolitical Review
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The Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence
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Distribuito con Licenza Creative Commons CC BY 3.0 IT
Photo Credits: AK Rockefeller (www.flickr.com/photos/akrockefeller/7219441626), Licensed
under the Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic | Flickr
L’Autore
Massimo Pascarella
Massimo Pascarella è laureato in “Scienze Politiche e Relazioni Internazionali” e possiede
un master in “analisi d’intelligence”. Collabora con la testa giornalistica boliviana “El Deber”
e con vari think tanks italiani.
Boko Haram: tanto sanguinaria quanto sottovalutata
di Massimo Pascarella
(English Abstract) Boko Haram: as bloodthirsty as underestimated
The political crisis of Nigerian state escalated by unequal economical distribution
between North and South of the country – with the growing up of Islamic extremist
streams among Nigerian Muslims – has spurred the advent of Boko Haram (BH). The
jihadist group is represented by a bulk of separated cells following the community’s
ideology founded by Sheikh Muhammad Yusuf in 2002 in Yobe, which gave itself the
name “Nigerian Taliban”. It has become the recipient of angry and deceived young boys,
criminals, gangsters and opportunists. Currently Abubakar Shekau represents Boko
Haram, for his tight bond with Yusuf and due to the fact that he was his right hand. “Nigeria
technically won the war against Boko Haram”, these the words of President Buhari in an
interview at BBC on 24 December 2015. He also asserted that jihadists can’t conduct
conventional attacks against security forces or residential areas anymore, reduced to
fight with improvised explosive devices (IED), counting on their only shelter left situated
in the Borno state. Despite the success of the operations carried out by the Multi-National
Joint Task Force (MNJTF) and the Nigerian army against Boko Haram, the threat is still
present considering the group’s capacity to attack in an unpredictable way. The group
led by Shekau has shown an extraordinary tactical resilience moving its hub offensive in
Nigeria from war on the field to pure terrorism, becoming as hard to vanquish as
bloodthirsty. It’s noteworthy to mention that Boko Haram evidently seems to follow alShaabab’s steps which, after losing important ground battles and consequently the
overall of its territories due to AMISON forces’ operations, has intensified its terroristic
actions through bloody attacks aiming at soft targets in Mogadishu (e.g. The attacks at
Westgate Mall of Nairobi and at North-Eastern Garissa University). Furthermore, the
transformation of the group in a wilaya of the Islamic State could induce the organization
to carry out international operations, managing to abduct western citizens and strike
sensible targets related to them. Therefore, despite the fact that the counter-insurgency
strategy put into effect by Buhari and the MNJTF has proven itself efficacy removing the
jihadists from the 90% of their territories and outposts, the war against Boko Haram is far
from being over analyzing the recent attacks perpetrated by Boko Haram in Nigeria and
Cameroon, on December 2015 and January 2016.
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La crisi politica dello Stato nigeriano e la sperequazione economica tra nord e sud – di
concerto al crescente fruire di correnti islamiche estremiste e salafite tra i nigeriani
musulmani – hanno incoraggiato il sorgere di Boko Haram (BH), gruppo jihadista
contenitore di giovani arrabbiati ed illusi, criminali, gangsters ed opportunisti,
rappresentato da un coacervo di nuclei separati che seguono l’ideologia della
comunità fondata da Sheikh Muhammad Yusuf nel 2002 a Yobe, che assunse il nome
di “Talebani nigeriani”.
Attualmente Shekau, conosciuto per essere stato il braccio destro di Yusuf,
rappresenta il volto esterno di Boko Haram.
L’obiettivo esistenziale del gruppo sembra dirigersi verso la proiezione de facto del
califfato di Sokoto – uno dei più grandi imperi africani prima che l’Inghilterra vi
subentrasse nel 1903 – nel nord-est della Nigeria collegandolo con i territori a
maggioranza musulmana presenti in Niger, Camerun e Ciad, potendo in ultimo dividere
il Paese dalla sua popolazione cristiana sudista.
Ne è la prova la sua campagna separatista che, iniziata con il primo attacco suicida della
storia nigeriana il 16 giugno 2011 ad Abuja, ha raggiunto un livello equiparabile
all’insorgenza con l’instaurazione de jure di un califfato islamico (sunnita) in Nigeria, il 24
agosto 2014.
Il sopraccitato obiettivo implica l’introduzione della sharia sull’intero territorio della
Federazione nigeriana – nonostante siano stati adottati codici civili e penali basati sulla
legge islamica dal 2000 in 12 Stati del settentrione – attraverso l’eliminazione fisica di
chiunque non supporti in toto il gruppo jihadista, trasformando la vita pubblica e politica
in ossequio agli ideali salafiti.
Per assurgere a simili propositi, attraverso sostegni elargiti da benefattori locali ed
internazionali, pirateria – soprattutto nella costa occidentale africana -, traffico di droga,
presa di ostaggi, rapine bancarie, furti ai danni dei militari nigeriani, spesso in aree di
confine col Niger ed il Camerun.
Secondo il governo di Abuja, BH chiede circa 1 milione di dollari per il rilascio di prigionieri
nigeriani, mentre la cifra sale a 3 per gli stranieri.
Si stima che tra il 2006 e il 2011 il gruppo abbia acquisito introiti pari a 70 milioni di dollari
grazie alle sue attività ed ai suoi sponsor, le cui casse venivano rimpinguate annualmente
da circa 16 milioni di dollari grazie a sequestri di persona e rapine.
Gli introiti del gruppo vengono reinvestiti principalmente nell’acquisto di armi (in
prevalenza fucili AK-47) ed esplosivi – spesso fabbricati rudimentalmente con materiali
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locali a prezzi molto più bassi – provenienti dalla regione saheliana e dai confini libici (gli
arsenali appartenenti all’ex dittatore Gheddafi).
Ciò nonostante, stime su entrate e spese del gruppo permangono aleatorie e difficili da
precisare.
Secondo l’intelligence statunitense, ad inizio 2015 il gruppo contava dai 4,000 ai 6,000
combattenti, la cui maggioranza reclutata nel nord della Nigeria e in aree contigue dove
il gruppo detiene affinità etniche e culturali (in preponderanza con i kanuri).
Secondo Amnesty International, da inizio 2014 il gruppo salafita ha sequestrato nella sola
Nigeria circa 2 mila donne ed ucciso quasi 20,000 nigeriani, producendo 1.5 milioni di
profughi interni ed in Paesi limitrofi.
Di conseguenza, davanti all’escalation in Nigeria ed alla concreta minaccia sofferta dai
Paesi confinanti, la costantemente divisa Unione africana (UA) ha votato all’unanimità il 7
febbraio 2015 a Yaoundé circa la creazione di una Multi-National Joint Task Force
(MNJTF), costituita da 7,500 soldati provenienti da Niger, Camerun, Benin e Ciad, stanziati
a Baga (nello Stato del Borno) per affiancare l’esercito nigeriano e spingere per un
mandato di peace-enforcement del Consiglio di Sicurezza ONU.
Con la nuova strategia adottata dall’UA nel maggio 2015 ad Abuja, il comando centrale
della MNJTF è stato trasferito a N'Djamena, in Ciad, ed il contingente militare della
missione è salito a 8,700 unità con un mandato di 12 mesi.
Le forze della coalizione hanno conseguito enormi risultati sulla carta: il gruppo di Shekau
– che ex ante la controffensiva militare della MNJTF possedeva circa 20,000 chilometri
quadrati di territorio nello Stato dello Yobe, del Borno e dell’Adamawa – ha perso circa il
90% dei suoi possedimenti territoriali ripiegando sulla sola foresta di Sambisa, nel nordest nigeriano, mentre si è ancora in attesa delle Nazioni Unite.
Quanto è forte e veritiero il legame con l’Isis?
Nel Marzo 2015, secondo il “Jihadist monitoring group” (SITE), un messaggio audio del
leader nigeriano Shekau sanciva il giuramento di fedeltà di BH allo Stato Islamico,
accettato il 12 marzo da al-Baghdadi tramite un messaggio di Mohammed al-Adnani,
portavoce dell’organizzazione.
Nonostante l’arrivo di 200 combattenti di Boko Haram a Sirte, in Libia, per sostenere le
forze jihadiste dell’ISIS nell’agosto 2015 e la presenza di alcune sue milizie in un campo
di addestramento dello Stato Islamico a Mosul, in Iraq, non vi sono state né connessioni
operazionali né contatti ai vertici tra i due gruppi.
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Di conseguenza, il giuramento appare come una mossa meramente di profitto in termini
propagandistici e mediatici da parte di Boko Haram, con il mero scopo di attrarre denaro
e combattenti stranieri, constatato il razzismo verso i neri vigente tra le fila dei jihadisti
arabi.
La strategia del governo nigeriano
Buhari ha incentrato la politica del suo governo su due perni: la lotta contro la corruzione
e contro Boko Haram, dove il primo rappresenta una complementarietà del secondo.
In funzione di ciò, lo scorso luglio Buhari ha sostituito consulenti per la sicurezza
nazionale, funzionari del Ministero della Difesa, nonché leaders di esercito, marina ed
aeronautica.
Al contempo, il Presidente nigeriano ha riorganizzato e riequipaggiato l’esercito, facendo
sì che ricevesse addestramento specialistico dalla forze britanniche, americane e
francesi.
Importante ruolo ha giocato l’assunzione di mercenari sudafricani nel gennaio 2015, con
compiti addestrativi e di “contro-guerrilla”. Informazione confermata dall’agenzia turca
Anadolu, riferendosi a circa 250 mercenari dispiegati dall’ agenzia Specialized Tasks,
Training, Equipment and Protection (STTEP), grazie ad una fonte del dipartimento di
difesa nigeriano rimasta anonima.
Contemporaneamente alla minaccia jihadista sunnita, le forze governative nigeriane
stanno affrontando la rivalsa estremista sciita negli Stati del nord, reclamanti
l’approntamento della relativa dottrina islamica in contrapposizione alla “nemesi” sunnita.
Secondo attivisti di diritti umani locali ed internazionale, l’esercito nigeriano si è macchiato
dell’uccisione di quasi 100 membri sciiti del Movimento Islamico della Nigeria (IMN) tra il
12 ed il 14 dicembre (con l’accusa di seppellire i corpi per dissimulare la portata del
massacro), rischiando di provocare una nuova insorgenza nel nord del Paese.
Il nuovo corso di Buhari ha sconfitto Boko Haram in Nigeria?
La Nigeria ha “tecnicamente vinto la guerra contro Boko Haram”. Queste sono state le
parole del Presidente Buhari alla BBC il 24 dicembre 2015, aggiungendo che i jihadisti
“non sono più in grado di condurre attacchi convenzionali contro forze di sicurezza o
centri città”, e “sono stati ridotti a combattere con dispositivi esplosivi improvvisati (IED)”,
rimanendo una forza presente solo nel Borno.
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Nonostante gli enormi successi ottenuti dall’esercito nigeriano (rimpolpato dalla MNJTF)
contro BH, Buhari ha sicuramente esagerato nelle sue dichiarazioni, in quanto il gruppo
di Shekau ha effettivamente perso il controllo di vasti territori ma rimane in grado di
colpire con quasi lo stesso numero di unità stimate ad inizio 2015 (avendo subito poche
perdite grazie alle sue ritirate strategiche da scontri “frontali” contro forze armate regolari),
nonostante i guadagni del gruppo siano diminuiti in relazione alla perdita di territorio e di
ostaggi/detenuti in seguito alle operazioni della MNJTF.
Le sue operazioni si espletano in maniera imprevedibile attraverso attentati suicidi –
spesso perpetrati da donne – ai danni di soft targets (centri commerciali, moschee, chiese,
università e mercati).
Ciò è stato dimostrato dagli attacchi del 28 dicembre nel nord-est Nigeria, da quelli del
13 e 26 gennaio 2016 in Camerun (nei pressi del confine nigeriano) e, nuovamente, dopo
soli 4 giorni a Maiduguri. Gli attentati hanno provocato rispettivamente 80,10,32 ed 86
vittime.
L’internazionalità del gruppo
E’ importante indicare che tra le frontiere nigeriane quella con il Camerun costituisce la
più vulnerabile, dove basi operative di BH sono state utilizzate in funzione di traffico di
armi, rapimenti, e reclutamenti (in larga misura dal Mali e dalla Repubblica Centrafricana).
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Differente è la frontiera Ciad-nigeriana che non si presenta facilmente penetrabile a causa
della presenza del lago Ciad. Giocoforza, pseudo-infiltrazioni dei miliziani di Boko Haram
nei territori ciadiani sono state piuttosto rare, difatti, gli unici casi ufficiali di attacchi suicidi
sono avvenuti a N’Djamena il 15 giugno e l’11 luglio, registranti 59 morti in totale.
Ciò nonostante, attacchi terroristici sono stati portati a termine (settembre 2015) nell’area
del sopraccitato lago – per la presenza di petrolio e uranio – danneggiando l’economia
nigeriana e rendendo arduo il commercio con il governo di N'Djamena.
Frequenti, inoltre, sono state le imboscate ai danni di camion sulla strada DoualaN’Djamena con lo scopo di bloccare rifornimenti diretti in Chad e nel nord del Camerun,
suggerendo l’intenzione del gruppo di destabilizzare l’intera area del bacino del lago Ciad.
Grazie ai migranti che dalla Nigeria si dirigono verso l’Europa passando per la Libia
(1,199,100 milioni secondo l’International Migration Report 2015 dell’ONU), BH è riuscito a
colpire in Niger, ripercussione diretta per l’entrata del Paese nella MNJTF, come
dimostrato dall’ultimo attentato del 18 giugno nella provincia di Diffa causante 38 morti.
Un recente interesse del gruppo è stato rinvenuto in Senegal (dove il governo già affronta
la paura di un’infiltrazione jihadista): l’8 novembre a Dakar ha arrestato 7 sospettati di
riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo aventi connessioni concrete con i
militanti di Shekau.
In Mali Boko Haram ha supportato al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) così come
il Movimento per l'unità e la Jihad in Africa occidentale (MUJAO), laddove in Somalia una
discreta presenza è stata registrata dietro al-Shabaab (soprattutto per addestramento).
Il coinvolgimento di BH nella Repubblica Centrafricana è stato confermato
dall’intelligence francese e ciadiana, grazie allo stretto legame intrattenuto dal gruppo
con le frange Seleka. I rapporti si sviluppano attraverso vendita di armi e supporto nei
combattimenti contro i miliziani cristiani anti-Balaka.
BH è destinata a divenire come Al Shabaab?
Al-Shabaab – gruppo jihadista somalo considerato organizzazione terroristica dal 2008
secondo gli USA ed unitosi ufficialmente ad al-Qaeda nel 2012 – sembra “flirtare” con
l’ISIS per un’associazione sul piano operativo, essendo stata seriamente indebolita prima
dalle forze della missione AMISON inaugurata nel febbraio 2007, e poi dall’ Operation
Indian Ocean condotta dall’Unione africana di concerto agli attacchi aerei statunitensi, a
partire dall’agosto 2014.
Estromessa da Mogadiscio nell’agosto 2011, l’organizzazione ha cambiato la sua strategia
verso la tattica della guerrilla e dell’hit and run – spesso prendendo di mira i civili – e
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nell’ottobre 2015 una fazione interna guidata da Abdul Qadir Mumin ha giurato fedeltà
all’ISIS, sintomo del declino di al-Shabaab (legato ad al-Qaeda dal 2012) e della sua
necessità di attrarre finanziamenti e reclute attraverso un nuovo vincolo di prestigio.
La rete operazionale del gruppo non è estesa, ma lo è abbastanza da arrivare in Kenya e
collegarsi ai gruppi locali, dove incontra supporto tra i keniani di origine somala e tra i
keniani musulmani, maggiormente presenti nelle regioni costiere del Paese.
Da evidenziare l’evidente similitudine di andamento tra la storia e la strategia di Boko
Haram e di al-Shabaab.
Nonostante la grande somiglianza tra i due gruppi, quello guidato da Shekau gode di un
asso nella manica: la vicinanza e le possibilità di raccordo con i gruppi jihadisti presenti
nel Sahel e nel nord-Africa.
Ciò appare quasi una futura certezza piuttosto che una mera probabilità, comprovata
dalla coalizione cristallizzata tra Mokhtar Belmokhtar ed il MUJAO, il 22 agosto 2013,
denominatasi al- Murabitun ed annunciante la repentina alleanza con l’AQMI.
Le suddette alleanze regionali sono state rilevate il 16 gennaio 2013 con l’attacco
terroristico ai danni del centro di produzione gessifera situato ad Ain Amenas, nel sud
dell’Algeria, posto in essere da Mokhtar Belmokhtar ed i suoi commandos internazionali.
L’attacco fu tanto straordinario quanto nefasto e, oltre a produrre 70 vittime, evidenziò i
legami e le relazioni tra varie cellule jihadiste di matrice algerina, tunisina, maliana e libica.
La possibile evoluzione di Boko Haram
Il gruppo islamista guidato da Abubakar Shekau ha dimostrato un’eccezionale duttilità
tattica spostando il baricentro dell’offensiva in Nigeria dalla lotta sul campo al terrorismo
puro, divenendo tanto più difficile da neutralizzare quanto sanguinario.
Boko Haram pone in essere ritirate strategiche: i militanti lasciano la foresta per dirigersi
verso zone rurali, attaccando villaggi e quando si trovano a dover fronteggiare forze
militari regolari battono in ritirata ed effettuano attacchi suicidi nei pressi di Maiduguri. Ciò
è permesso anche grazie alla presenza di basi secondarie e di retrovia presenti in
Camerun (al confine con la Nigeria), spesso coadiuvate dal “lasciapassare” delle forze
armate regolari.
Giocoforza, il cambiamento tattico esperito dall’organizzazione jihadista rappresenta un
vero e proprio atto di resilienza e di flessibilità che ha indotto l’apparato militare nigeriano
a deviare le proprie risorse per asservire ad operazioni d’ intelligence e di messa in
sicurezza di luoghi post-attentati terroristici, concedendo ai ribelli jihadisti il tempo per
riorganizzarsi e pianificare il successivo attacco.
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La prova di quanto asserito è fornita dalla visione strategica congiunta dei sopraccitati
attacchi del 28 dicembre in Nigeria a Maiduguri e a Madagali (150 km a sud-est di
Maiduguri), del 13 e 26 gennaio in Camerun rispettivamente a Kolofata e a Bodo, e del 30
gennaio a Dalori (a 5 km da Maiduguri).
Elaborazione dell’Autore
Tale strategia, corroborata dalla trasformazione dell’organizzazione in una wilaya dello
Stato Islamico, potrebbe condurre l’organizzazione a porre in essere operazioni
internazionali spingendosi a intensificare attacchi e rapimenti verso obiettivi e cittadini
occidentali, aggregandosi alle operazioni dell’Isis in Africa settentrionale e cercando una
maggiore compenetrazione tra le file dei miliziani di al-Qaeda nel Maghreb.
Il possibile punto di raccordo tra Boko Haram e l’ISIS potrebbe essere la Tunisia, dove il
governo sta affrontando “il grande esodo” dei foreign fighters: tra 2,500 e 3,000 si aggira il
numero dei tunisini partiti per raggiungere l’Iraq e la Siria, la maggior parte per unirsi allo
Stato Islamico.
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La debolezza delle istituzioni governative tunisine post-rivoluzione dell’aprile 2011 e lo
smantellamento dell’apparato di Stato libico, oltre a spiegare tale fenomeno, lasciano
aperte possibilità d’infiltrazione jihadista più profonde, arrivando ad ipotizzare l’inizio di
una collaborazione effettiva tra il gruppo di Shekau e lo Stato Islamico, supportata
logisticamente dall’AQIM che detiene maggiori capacità logistiche nel nord Africa (ed in
particolar modo in Tunisia per la presenza di Ansar al-Sharia).
Una doverosa nuova visione strategica governativa
Il governo di Abuja dovrebbe basare la (nuova) lotta contro Boko Haram su tre pilastri.
Constatato che il gruppo continua a fare affidamento su attentati suicidi e sparatorie su
folle di civili inermi, un parziale cambiamento tattico delle attuali operazioni di counterinsurgency esperite dal governo nigeriano dovrà rappresenta il primo pilastro: dimezzare
le risorse fornite all’intelligence in funzione di combattimenti convenzionali (se pur
asimmetrici) terrestri ed aerei, dando spazio a vere e proprie operazioni d’intelligence
preventiva mirate a scovare i legami di Boko Haram con la popolazione civile (e non):
soggetti dormienti, infiltrati ed affiliati del gruppo.
Tale cambiamento tattico dovrà inevitabilmente essere apportato dal governo nigeriano,
in quanto le forze della MNJTF (almeno per ora) non sembrano possedere ne gli
strumenti ne l’addestramento idonei a simili compiti.
Giocoforza, potrebbero verificarsi: casi di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine
nigeriane ai danni della popolazione civile; l’opportunità per il governo di Abuja di sedare
“scomode” opposizioni (in particolar modo quella sciita) attraverso raid e arresti di massa;
violazioni gravi dei diritti umani, considerata l’inclinazione delle forze armate nigeriane a
perpetrare crimini di guerra, incluse esecuzioni extragiudiziali e di massa (come riportato
dal report di Amnesty International già dal 2014.
E’ importante che Buhari cominci ad asservire a progetti di “de-radicalizzazione” nel nord
Nigeria, attraverso l’inizializzazione di riforme strutturali e programmi incentrati sullo
sviluppo che, se da un lato apportano un beneficio di lungo periodo in tal senso, dall’altro
possono ridare speranza a quei giovani che si considerano dimenticati da uno Stato che
privilegia il sud cristiano. Al contempo, questo permetterebbe di allentarne i legami con
Boko Haram, rendendo la causa del gruppo jihadista sempre meno attraente. Ciò
rappresenta il secondo pilastro, da attuare in contemporanea al primo. Il ritorno degli
sfollati nigeriani alle proprie case, terzo ed ultimo pilastro della strategia di lotta contro
BH, costituisce l’obiettivo più complicato da un punto di vista pragmatico in quanto tale
ritorno dovrebbe avvenire in condizioni di sicurezza. Cosa che il governo di Buhari
attualmente non può garantire.
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Conclusioni
Tenuto conto dell’evoluzione di Boko Haram e della sua propensione
all’internazionalismo, della continua staticità delle operazioni di contro-insurrezione del
governo nigeriano di concerto alla MNJTF, della mancanza di iniziative di riforma in senso
strutturale sul piano sociale ed economico nel nord della Nigeria, bisogna asserire che il
gruppo jihadista guidato da Shekau è ancora ben lungi dall’essere sconfitto.
Boko Haram potrebbe tornare ad assediare la Nigeria sotto forma di vassallo dello Stato
Islamico, costituendo un pericolo effettivo per gli Stati del bacino del lago Ciad,
suffragando l’ondata jihadista nel Sahel e destabilizzando ulteriormente l’area nordafricana.
Note bibliografiche:
Matteo Finazzi, “ISPI”, L’evoluzione di Boko Haram: leadership, organizzazione e rapporti
internazionali,
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/levoluzione-di-boko-haramleadership-organizzazione-e-rapporti-internazionali-13687, 17 Luglio, 2015
Farouk Chothia, “BBC News”, Boko Haram crisis: How have Nigeria's militants become so
strong?, http://www.bbc.com/news/world-africa-30933860, 26 Gennaio 2015
E. Bennett, “Foreign Policy Journal”, Tactical Adjustments for Boko Haram, 14/07/2015
Paul Melly, Jihadism in the Sahel is Not Fading Away, Chantham House,
www.chathamhouse.org/expert/comment/jihadism-sahel-not-fading-away,
20/01/2016
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A cura di:
Geopolitical Review
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