I meccanismi di coping degli utenti

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I meccanismi di coping degli utenti
I meccanismi di coping degli utenti
Nel momento in cui ci troviamo a dover far fronte a un’esperienza di vita tutti mettiamo in atto
una serie di meccanismi che ci consentono di affrontarla. In ambito psicologico vengono
chiamati “meccanismi di coping” dall’inglese to cope = fronteggiare.
In generale il coping si riferisce agli sforzi cognitivi e comportamentali dell’individuo, mirati alla
gestione di situazioni stressanti, che comportano percezioni di minaccia, perdita, sfida.
Contatti sociali, attività, prospettive, immagine di sè, bilancio rappresentano 5 ambiti cui
fare riferimento.
Se facciamo una riflessione su noi stessi, a dare un senso alla nostra vita entrano la qualità e la
quantità dei nostri rapporti sociali, la relazione che abbiamo con la nostra attività, come
vediamo e come ci vediamo in una prospettiva di futuro, quale immagine di noi stessi abbiamo
e quale ci viene restituita dall’altro, quale è il bilancio dell’esistenza che possiamo fare anche in
funzione di questi aspetti.
Per gli immigrati, l’attraversamento dei confini geografici, culturali e interpersonali comporta un
senso di perdita profondo: degli affetti, della lingua madre, della posizione sociale, dei ritmi e
dello stile di vita in cui si è cresciuti, dei paesaggi che hanno caratterizzato l’infanzia e la prima
giovinezza, dei colori, dei sapori, di ciò che è banale e conosciuto, perdita, in altre parole, di una
parte di Sé. La perdita riguarda anche l’ambiente fisico e psichico del paese di origine.
Come scrive Elena Liotta (2005) “i luoghi acquistano significatività psicologica grazie alle
sensazioni e alle emozioni che essi suscitano e agli affetti che su di essi vengono riversati […] Il
vissuto di eventi, relazioni importanti, altre situazioni particolari, rende il luogo psichicamente
rilevante e presente nella memoria di un individuo o di un gruppo. In questo modo lo spazio
esterno diventa contemporaneamente interno, come spazio e anche tempo psichico, perché
esso è esperienza, memoria, valore sentimentale”.
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La perdita riguarda inoltre la cultura, che racchiude e definisce l’involucro psichico degli
individui, il sistema di valori originari e, dunque, la propria identità. A ciò si aggiunge lo stress
da transculturazione
, ossia la pressione psicologica a cui è sottoposto l’immigrato soprattutto durante il periodo di
insediamento. Esso è causato dalle difficoltà comunicative e linguistiche, dalla necessità di
navigare in coordinate culturali sconosciute, dalla rinuncia del proprio status sociale, nonché
dall’esibizione di un corpo che ricorda costantemente la propria diversità. Il rischio deriva
dall’impossibilità di essere riconosciuti come individui, con una propria personalità, ma piuttosto
appiattiti in categorie svilenti e depersonalizzanti: stranieri, immigrati extracomunitari,
clandestini, vittime, carnefici. Per questi motivi la migrazione forzata può rappresentare una
minaccia all’integrità psichica poiché interviene sulle reti di relazioni e significati che danno
senso all’esistenza.
I richiedenti asilo vivono una condizione di maggiore vulnerabilità a causa delle procedure
riguardanti il riconoscimento del diritto e la lentezza delle pratiche. La vita nei centri di
accoglienza per richiedenti asilo mette a dura prova le capacità di sopravvivenza. I residenti
vivono nell’attesa e nell’inedia, in condizioni di privacy limitata, condividendo i propri spazi con
persone sconosciute. Sono sottoposti a numerose restrizioni, si sentono cittadini non voluti, con
uno scarso accesso al lavoro e ai sistemi di educazione. Spesso i centri sono lontani dalle città
e ciò acuisce i vissuti di isolamento e discriminazione. Si confrontano con situazioni ambigue e
con una politica dell’asilo lenta e restrittiva. Vivono, anche per anni, con la paura di essere
rimpatriati, di non ottenere l’asilo o di essere costretti a lasciare il centro.
A fronte di tale condizione, quali sono le considerazioni, le aspettative e strategie adottate dai
rifugiati per fronteggiare l’incertezza?
Se si prendono in considerazioni i contatti sociali degli utenti dei CARA, si può dire che in
generale sono caratterizzati da:
-
perdita della famiglia e delle relazioni sociali del passato
limitati
quasi esclusivamente all’interno del centro
difficili nel costruire relazioni significative
Per quanto riguarda le “attività” esistono limitazioni oggettive (legislazione, lingua, ecc.) che
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rendono difficile intraprendere attività significative.
Pensando alle “prospettive” degli utenti dei CARA, è possibile affermare che la maggior parte
di loro vede il futuro dipendere dalle procedure di attribuzione dello status.
L’immagine di sé è come ci si definisce e come gli altri ci percepiscono. Una persona
richiedente asilo difficilmente potrà mantenere l’immagine di sé che aveva nel suo paese di
origine e l’immagine che gli viene restituita dal contesto nel quale vive (CARA, territorio, Italia)
non è certamente favorevole al fine di ridargli stima di sé.
Considerando il bilancio una autovalutazione nel presente, vale a dire un processo dinamico nel
tempo, in funzione delle esperienze che influenzano il modo di vedere e di pensare, il bilancio
finale tiene conto di tutti gli aspetti precedenti. E’ una valutazione generale che il soggetto
effettua della situazione in cui vive. Quale può essere il bilancio di un rifugiato che vive in un
centro?
 Gli stili di coping
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Sulla base delle risposte avute dai rifugiati di un CARA olandese a un’indagine qualitativa molto
approfondita, due psicologi olandesi hanno costruito 4 differenti stili di coping: naufraghi,
inbernati, combattenti e esploratori.
Questi 4 stili hanno caratteristiche differenti e raccolgono specifiche modalità di
azione/interazione con l’ambiente circostante. Gli stili di coping tengono conto delle
caratteristiche di ciascuno all’interno dei 5 ambiti descritti.
Questa categorizzazione può essere riduttiva anche perché è possibile che uno stesso soggetto
passi da un pattern all’altro in funzione delle nuove esperienze che si trova a fronteggiare, del
tempo e del contesto in cui si trova. Il vantaggio di considerare queste 4 categorie risiede nella
possibilità di capire i meccanismi che sottendono a un determinato comportamento e, di
conseguenza, di poter leggere il senso e tentare di affrontare una possibile soluzione.
Gli autori hanno identificato tre criteri dicotomici al fine di chiarire le differenze e le similitudini tra
gli stili di coping, e quindi le modalità di “reazione” nei 5 settori discussi in precedenza.
Questi criteri sono: caos/coerenza, locus of control interno/esterno, livelli di flessibilità alti/b
assi.
Il senso di coerenza è un orientamento globale che esprime fino a che punto una persona
sperimenta una sensazione di fiducia duratura e dinamica rispetto a:
1. gli stimoli interni o esterni hanno una struttura,
possono essere predetti e sono
spiegabili (comprensibilità);
2. sono disponibili delle risorse in grado di
rispondere alla richiesta dello stimolo
(gestione);
3. le richieste sono sfide degne di investimento
(significatività).
Il locus di controllo è l’esperienza soggettiva di quanto controllo si ha rispetto a una certa
situazione.
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La flessibilità indica in che misura una persona è in grado di adattarsi a una nuova situazione.
Le 4 categorie proposte possono essere riassunte nella tabella seguente:
Il naufrago:
- caos,
mancanza di coesione, connessione e senso rispetto all’esperienza,
isolamento,
- sente
di non avere alcun potere di influenzare il risultato degli eventi,
- nessuna
flessibilità al cambiamento, sente di essere alla deriva in direzioni
controllate da forze esterne al suo controllo,
- sente
di essere inutile, la vita è senza valore, intenti suicidari
- contatti
sociali e attività fortemente limitati, soprattutto per mancanza di
energia e di
fiducia,
- non
vede una via d’uscita: è preda della disperazione poiché non intravede
soluzioni a breve termine né possibilità di miglioramento a lungo termine,
- il
bilancio è fortemente negativo e evoca problematiche esistenziali
- induce
nell’altro attenzione e supporto
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L’ibernato:
- sembra che sia congelato: è fissato nella situazione presente in uno stato di attesa di un
futuro che gli consenta di andare avanti,
- vive il presente ma resta aggrappato a ciò che era e/o aveva in passato,
- evita il cambiamento,
- di conseguenza, l’immagine di sé che tende a mantenere e preservare è quella del
passato,
- ha pochi contatti sociali quasi esclusivamente con persone “famigliari” (stessa
provenienza o stesso alloggio),
- accetta passivamente che la vita sia ridotta a minimi contatti e minime attività,
- sente la situazione attuale come temporanea,
- bilancio neutro ma con la possibilità di accedere a un altro stato
Il combattente:
- è
attivo, cerca strade o possibilità per cambiare la situazione,
- sente
di controllare gli eventi,
- ha
un senso di efficacia personale ma tutte le sue energie sono focalizzate
al
raggiungimento di obiettivi esterni,
- a
questo scopo, in modo strumentale al raggiungimento dei suoi obiettivi o
più in
generale degli obiettivi di riconoscimento dei diritti, tesse
molteplici contatti ,
- può
ridurre la sua apertura mentale mirando esclusivamente al raggiungimento
del
suo obiettivo,
- in
caso di insuccesso può diventare vulnerabile perché la perdita di
controllo lo
porta a un bilancio negativo.
L’esploratore:
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- è aperto a nuove opzioni e opportunità,
- è attivo, flessibile, modifica le sue strategie per raggiungere l’obiettivo o modifica l’obiettivo
da raggiungere,
- riesce ad agire in modo da mantenere un’immagine di sé positiva almeno
temporaneamente o in alcuni ambiti,
- in genere riesce a pensare l’esperienza che vive come una prospettiva alternativa,
- ha un bilancio positivo perché reinterpreta costantemente le situazioni e cerca di trovare
attività e contatti significativi,
- paradossalmente può considerare la sua attuale esperienza come estremamente positiva
perché gli consente di aprirsi a nuove esperienze e di mettersi alla prova.
- Il bilancio è fortemente positivo
Le persone possono oscillare da uno stile di coping all’altro a seconda delle caratteristiche
individuali, della storia passata o di particolari accadimenti. Un richiedente asilo che si presenta
come “combattente” in un momento particolare del ciclo migratorio può scivolare nella
condizione di “naufrago” e viceversa. Proprio perché si tratta di stili di azione/interazione con il
mondo, e non
tratti, che
coinvolgono le aspettative, le rappresentazioni, l’immagine di Sé e la valutazione generale
dell’esperienza.
I pattern individuati da Kramer e Bala hanno caratteristiche dinamiche e processuali. Lungi dal
voler essere un quadro esaustivo della varietà di risposte individuali, essi contribuiscono a
fornire un’immagine del migrante come soggetto attivo e competente, che agisce sulla realtà,
influenzando sensibilmente le capacità di adattamento e la resilienza .
Sono i meccanismi di coping, infatti, ad essere messi in atto di fronte alle perdite esterne e
interne della migrazione, alle privazioni e ai problemi di insediamento. In tal senso, essi
rappresentano un indice della complessità e vivacità psicologica dei richiedenti asilo.
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