Il Cinquecento e il dibattito sulla “Nobiltà dell`arte”. Breve introduzione.
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Il Cinquecento e il dibattito sulla “Nobiltà dell`arte”. Breve introduzione.
Il Cinquecento e il dibattito sulla “Nobiltà dell’arte”. Breve introduzione. (M. Migliorini) Che le arti figurative, pittura e scultura, già da fine Trecento potessero in qualche misura cominciare a pretendere di essere affrancate dal ruolo di arti meccaniche lo rivelano alcune delle Trecentonovelle di Franco 1 Sacchetti, in modo particolare quella dedicata a Giotto che si mostra sdegnato a dover eseguire uno scudo. Ma questo era l’ambiente fiorentino, dove le famiglie aristocratiche e borghesi avevano investito precocemente in arte, lo stesso ambiente che agli inizi del Quattrocento svela i testi più importanti dell’antichità dai quali si apprende che gli artisti erano stimati e onorati al pari della più importante nobiltà. Dall’ambiente del collezionismo fiorentino di Cosimo I (1519-1574), che vede una corte di intellettuali, pittori, artigiani, conoscitori, antiquari, mercanti muoversi nella ricerca del ritrovamento e della realizzazione di oggetti di antichità o di imitazione dall’antico, emerge il primo, inarrivabile collezionismo che vedrà la famiglia dei Medici a lungo sola sulla scena delle quadrerie e delle raccolte da parata. L’ambiente di Cosimo sorprende anche per una straordinaria vivacità intellettuale nel campo del dibattito sulle arti, anche questo un’"unicum", che troverà qualcosa di analogo solo nel primo Novecento. Dall’Accademia fiorentina, alla quale sovrintendeva Benedetto Varchi e dall’Accademia delle Arti del Disegno che vedeva intensamente impegnato Giorgio Vasari, il pittore–scrittore del gruppo, si sviluppa il più importante dibattito del momento: quello sulla maggioranza e nobiltà delle arti, cioè un quesito se fosse più nobile la pittura o la scultura. Se il Buonarroti assommava nella sua produzione le due arti maggiori, il restante gruppo della cerchia di Cosimo appare scisso nella ricerca delle motivazioni di quale arte fosse più degna di essere considerata liberale. Gli artisti che parteciparono con toni diversi al dibattito sono Giorgio Vasari, Jacopo Pontormo, Benvenuto Cellini, il Tasso, il Tribolo, Giuliano da Sangallo, il Bronzino. Il sospetto che l’emergere di una maggior libertà e duttilità della pittura con il vago e non quantificabile concetto di “pregio”, come avrebbe di lì a poco concluso Vincenzio Borghini, o di “invenzione”, laddove ineludibili paiono le tangenze con l’assenza del concetto di valore materico, pone immediatamente la pittura nella condizione di primato. La pittura può essere facilmente trasportata, cambiare destinazione, uso e proprietà, non sporca eccessivamente nella fase esecutiva, esprime un’idea e un concetto, può facilmente essere rivenduta; con uno scarso valore materico di partenza può crescere molto nel prezzo. Qualcosa di più flessibile dunque alle esigenze di un mercato e di un collezionismo in ascesa e comunque più vicina alle esigenze di magniloquenza di una classe dominante, la pittura come riflesso della vita, della narrazione e della storia; la scultura 2 espressione del materiale, del gesto bloccato, della glorificazione postquem, della inamovibilità. Anche la borghesia molti secoli più tardi accoglierà la scultura come gloria della morte e la pittura come vita e idea progressiva. In entrambi i secoli la scultura appare un elemento fisso nel tempo e nell’eternità della materia, la pittura il genio della narrazione e dell’espressione cromatica di sensazioni atmosferiche, ma per quel che più conta materiale della vita e passibile di investimento finanziario. Come un gioiello di una dama la pittura diventa il passepartout dell’eleganza dell’arredo, della celebrazione delle imprese, regno delle interpretazioni creative, facile moneta di smercio con il trascorrere del tempo; la pittura è veloce e può dimenticare il suo artefice, la scultura nella sua pesantezza lascia, come l’assassino sul luogo del delitto, la traccia del suo esecutore. L’anonimato diventerà di lì a poco il gioco al rialzo dell’attribuzione; la traccia pesante dello scalpello, una firma congelata per l’eternità. 3