Marta Tibaldi In ambito letterario il termine archetipo

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Marta Tibaldi In ambito letterario il termine archetipo
Marta Tibaldi
In ambito letterario il termine archetipo (composto dal tema greco
archo “essere a capo” e da typos “forma, tipo”) indica una figura,
un’azione, un’immagine ricorrente o un qualsiasi altro elemento che si
ritrovi nei testi letterari in tempi e luoghi diversi. La critica archetipica
ritiene che, oltre agli elementi biografici, storici e sociali presenti nei
singoli testi letterari e nella letteratura nel suo insieme, sia possibile
rintracciare anche degli elementi ricorrenti, dei modelli archetipici
appunto, che sono fondamentalmente analoghi a quelli presenti nei miti e
nei riti delle culture umane, nei sogni e nelle immagini psichiche, elementi
dai quali, tra l’altro, i testi letterari e la letteratura deriverebbero la loro
vera pregnanza. Per questo motivo, la critica archetipica ritiene che la
conoscenza etno-antropologica dei miti e dei riti e quella psicologica dei
simboli e delle immagini sia fondamentale per individuare e comprendere
i motivi archetipici che ricorrono in letteratura e più in generale in ogni
produzione intellettuale. Insieme alla critica sociale, alla critica formale e
a quella psicologica, la critica archetipica si può considerare uno dei
quattro più importanti orientamenti con i quali studiare e valutare
un’opera letteraria. Ispirandosi agli studi dell’antropologo inglese James
Frazer (1854-1941) e alle teorizzazioni dello psichiatra e psicologo
svizzero Carl Gustav Jung (1875-1961), la critica archetipica dedica
particolare attenzione a tutti quei motivi che in modo costante e
ricorrente danno forma ad aspetti fondamentali dell’esistenza umana;
motivi che non si lasciano spiegare riduttivamente, né dal punto di vista
biografico, né da quello storico e sociale, ma che rimandano a qualcosa
che sta prima di tutto questo: alle immagini primordiali, ai modelli
originari delle forme, ai modelli di comportamento, ai concetti chiave del
vivere umano che sono a fondamento delle forme visibili, a quelle
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costanti archetipiche che, anche nel testo letterario, esprimono le
connessioni profonde con le determinanti universali dell’esistenza umana.
Sebbene della critica archetipica si possano trovare esempi storici
nelle opere di autori quali Vico, Goethe e Schelling, in letteratura essa
indica il fenomeno letterario del
XX
secolo, noto anche con il termine di
mitocritica, che si è affermato soprattutto tra gli anni Trenta e
Cinquanta grazie ad autori che trassero ispirazione soprattutto dall’opera
di Frazer e di Jung. L’antropologo inglese James Frazer, autore di The
Golden Bough (1925), monumentale lavoro in dodici volumi, fu il primo a
documentare in modo sistematico i fatti della vita primitiva, il complesso
materiale mitologico delle cosiddette culture primitive, dandone una
visione
organica
e
comprensiva.
Utilizzando
un
metodo
fondamentalmente comparativo, dopo avere esaminato un vastissimo
numero di miti provenienti da luoghi e da tempi diversi, Frazer rintraccia
gli archetipi che caratterizzano i miti e i riti nelle diverse culture,
mettendo in evidenza le somiglianze di base e suggerendo che il mito e il
rito, sebbene nel tempo e nello spazio si manifestino in modo diverso, si
strutturano comunque intorno a modelli ricorrenti. Dal canto suo, Carl
Gustav Jung, il fondatore della psicologia analitica, nei venti volumi delle
opere pubblicate e in numerosi scritti inediti teorizzò, tra l’altro, che la
psiche inconscia è composta di un inconscio personale, prodotto della
rimozione di elementi psichici incompatibili con la coscienza, e di un
inconscio collettivo, “quella sfera della mitologia inconscia, le cui
immagini primordiali sono patrimonio comune dell’umanità”. Quest’ultimo
precede ogni esperienza individuale ed è sede degli archetipi, di quei
patterns of behavior con cui l’essere umano entra in contatto attraverso
le immagini, che ne sono la manifestazione visibile. In Über
die
Beziehung der analytischen Psychologie zum dichterischen Kunstwerk
(1922) facendo un’esplicita differenza tra l’opera letteraria che attinge
all’inconscio individuale e quella che scaturisce dall’inconscio collettivo,
Jung dà dell’archetipo, ovvero della immagine primordiale (che per Jung
prende anzitutto la forma di figura mitologica), la definizione di “figura,
demone, uomo, o processo che si ripete nel corso della storia,
ogniqualvolta la fantasia creativa si esercita liberamente”. Nel corso degli
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anni la teoria junghiana degli archetipi è stata oggetto di ampliamenti e
revisioni, sia in direzione di un maggiore radicamento del concetto di
archetipo nella sfera biologica, sia nella direzione opposta di un suo
maggiore radicamento nella sfera mitologico-immaginale. Nel primo caso
rientra il contributo di Anthony Stevens che, in Archetypes. A Natural
History of the Self (1982) offre una tesi empirica all’esistenza degli
archetipi, individuandone la base biologica e assimilandoli al concetto di
struttura etologica ereditaria propria della moderna biologia; nel
secondo, quello di James Hillman che, radicalizzando il significato
mitologico dell’archetipo, propone un modello della psiche il cui soggetto
principale sia l’Anima, la base poetica della mente che interconnette gli
eventi in modo immaginale. Nella sua opera Hillman evidenzia le affinità
che il concetto di mundus imaginalis, studiato dall’islamista Henri Corbin,
ha con quello di archetipo junghiano, affermando che gli archetipi e le
immagini archetipiche sono le trame invisibili della psiche umana e le
direzioni immaginali lungo le quali rintracciare il senso metaforico degli
eventi psichici e culturali.
In ambito letterario i primi esempi di critica archetipica stimolati
dal lavoro di Frazer sono stati quelli di Jane Hellen Harrison, Gilbert
Murray, Francis M. Cornford, noti come i Cambridge Ritualists ovvero la
Cambridge Anthropological School. Questi autori provarono a guardare ai
testi classici in modo nuovo sostenendo, ad esempio, che alla base del
dramma e della poesia vi sia la narrazione mitica della vittoria della forza
vitale sulla morte, così come essa si manifesta nel ciclo delle stagioni.
L’accettazione dell’ipotesi junghiana dell’esistenza di uno strato
collettivo della psiche inconscia invece ha stimolato soprattutto la
ricerca e la descrizione di queste immagini primordiali sovrapersonali
presenti in letteratura. Tra gli autori che si sono orientati in questo
modo, sono da ricordare Maud Bodkin, Robert Graves, Joseph Campbell,
George Wilson Knight, Richard Chase, Francis Fergusson, Philip
Wheelwright e Northrop Frye. Essi interpretarono una vasta gamma di
testi letterari alla luce delle somiglianze che questi ultimi presentavano
con i personaggi, le narrazioni o le situazioni mitologiche, attribuendo al
concetto di archetipo definizioni diverse e nel contempo cercarono di
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spingersi oltre lo studio della presenza e della funzione degli archetipi nel
testo letterario per interrogarsi sulla più complessa questione della
natura e dell’origine delle forme archetipiche stesse.
In Archetypal Patterns in Poetry. Psychological Studies of
Imagination (1934) Maud Bodkin, che in area anglosassone è
considerata, insieme a Northrop Frye, la maggiore rappresentante della
critica archetipica di derivazione junghiana, spiega la teoria degli
archetipi e dell’inconscio collettivo di Jung utilizzando esempi letterari e
si propone di verificare l’ipotesi che, in particolare nella poesia tragica, si
possano identificare temi dalla forma caratteristica, che persistono di
epoca in epoca e che corrispondono a schemi emotivi della mente.
Campbell (1904-1987) in The Power of Myth (1989) sostiene che il
vero significato del mito non è quello letterario o storico ma quello
metafisico e psicologico e in The Hero with a Thousand Faces (1949)
individua nel tema mitico del viaggio dell’eroe il monomito che sta alla
base di ogni altra narrazione mitica. Il canadese Northrop Frye (19121991) dal canto suo, in Anatomy of Criticism. Four Essays (1957),
scrive il primo manifesto programmatico della ricerca mitico-archetipica e
fa il maggiore sforzo di sistematizzazione delle intuizioni della critica
archetipica, collocandole in un più vasto sistema di ipotesi sulla
letteratura e sulla critica letteraria. Nella sua opera Frye definisce
l’archetipo “un simbolo che connette un poema all’altro e perciò ci aiuta
a unificare e a integrare la nostra esperienza letteraria”. Frye è convinto
che gli archetipi letterari siano fenomeni puramente letterari e sostiene
che essi siano le strutture che danno fondamento e coerenza alla
letteratura.
Sempre nell’ambito della critica letteraria di ispirazione junghiana,
in anni recenti si è assistito all’emergere anche di una scuola di critica
femminista che ha cercato di correggere l’orientamento di genere
sessuale presente nell’opera di Jung. Scrittrici quali Annis Pratt e Estella
Lauter hanno ampliato in modo stimolante l’orizzonte della critica
archetipica, mettendo in evidenza soprattutto le connessioni tra la
teorizzazione archetipica junghiana e molte delle più moderne scuole di
teoria e di critica letteraria. Da ricordare inoltre il movimento del New
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Criticism, che, sviluppatosi a partire dagli anni Venti intorno alla figura di
John Crowe Ransom, ha proposto il cosiddetto close reading, la lettura
ravvicinata del testo letterario, soprattutto poetico, dedicando
particolare attenzione alla struttura metaforica e simbolica del testo
stesso. L’assunto di base della critica archetipica, secondo il quale
l’autore non controlla per intero il significato del suo testo, ha aperto la
via anche al cosiddetto Reader-Response Criticism; questo movimento di
critica letteraria pone la propria enfasi in particolare sulla reazione del
lettore, reazione che è condizionata dalle esperienze culturali, consce o
inconsce, nonché dai ruoli sessuali e sociali e che è una fonte di
attribuzione di significato al testo. All’inizio del nuovo millennio, la critica
archetipica è ancora molto utilizzata, soprattutto negli studi di genere,
nonché negli studi intertestuali e comparativi, i quali includono il
riconoscimento e l’analisi di tutti quei fenomeni letterari ricorrenti che
non possono essere spiegati adeguatamente soltanto nei termini di una
particolare tradizione storica; in questo senso, lungi dall’essere esaurita,
la critica archetipica appare a tutt’oggi piena di potenzialità e in grado di
offrire fecondi contributi alla comprensione dell’immaginazione letteraria
e delle sue produzioni.
(Cfr. anche Immaginazione materiale, Mitocritica, Psicoanalisi della
cultura)
Anima, Archetipo, Close Reading, Immagine, Immagine archetipica,
Immaginale, Immagini primordiali, Individuazione, Inconscio Collettivo,
Monomito/Polimito, Mundus Imaginalis, Reader-Response Criticism,
Simbolo, Urmythologie, Urmythos.
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