Antropologia dell`educazione

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Antropologia dell`educazione
Antropologia dell’educazione
Ivo Giuseppe Pazzagli
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Sommario
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L’antropologia e il concetto di cultura
•
Il concetto di cultura e l’influenza del pensiero di Clifford Geertz sull’Antropologia contemporanea
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Sgombrare il campo dal culturalismo
–
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Reificazione della cultura e conflitto
Ha ancora senso parlare di cultura?
–
Habitat di significato
–
Habitat di significato ed ecumene globale
–
Verso una nuova definizione di cultura nell’ecumene globale
–
Conseguenze sul piano teorico e metodologico
•
Per un’antropologia dei contesti educativi e formativi
•
I nuovi contesti di inculturazione nell’epoca della comunicazione globale
•
I contesti educativi e formativi come comunità di pratiche
–
Il concetto di situated learning
–
Processi di apprendimento come acquisizione di competenza culturale
–
Apprendimento come apprendistato
–
L’apprendimento come paesaggio
–
L’importanza della ricerca comparativa
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Come potremmo definire l’antropologia?
•
•
L’antropologia culturale può essere definita come il “sapere della differenza”.
–
l termine “sapere” per indicare che l’antropologia è nata in Occidente e si è sviluppata secondo le
modalità che costituiscono la conoscenza entro la tradizione scientifica e accademica occidentale
–
Il termine “differenza”, viceversa, per delimitare la specificità dell’ambito disciplinare antropologico,
appunto discorso che parla degli altri”.
Chi sono gli altri di cui parla l’antropologia?
Due possibili risposte:
•
•
La prima, quella canonica, ci porterebbe ad affermare che gli “altri” sono i “primitivi” di
cui parla l’Antropologia dell’Ottocento:
–
l’antropologia nasce nell’Ottocento e si caratterizza subito come studio dei popoli “primitivi”, per
usare la terminologia degli studiosi di quel periodo.
–
Da questo confronto con l’alterità emergeranno delle differenze e a partire dall’analisi di queste
differenze l’antropologia alimenta il suo progetto conoscitivo in quanto, appunto, sapere della
differenza
La seconda, affermatasi a partire dalla seconda metà del secolo scorso, che nega
l’esistenza di “alterità” radicali e, sulla base di una concezione più articolata dell’alterità,
ha fatto sì che venisse alla luce la centralità di processi come la contaminazione e
l’ibridazione culturale prodotte:
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dalla comunicazione planetaria
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dalle nuove tecnologie
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dall’espansione dei commerci e dei mercati
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dal turismo
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L’antropologia e il concetto di cultura
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Uno dei principali contributi teorici che l’Antropologia dato alle
scienze umane consiste nella elaborazione del concetto di cultura.
•
Questa elaborazione si può sintetizzare in due passaggi:
– il passaggio dal significato soggettivo di “cultura”, intesa come ideale di
formazione della personalità umana, al significato oggettivo di “cultura”
intesa come realtà storica, come insieme di concezioni e di
comportamenti propri di un certo gruppo sociale in un certo periodo
storico
– il passaggio dal singolare (la “Cultura” comune a tutta l’umanità) al
plurale (una molteplicità di “culture”, ciascuna risultato di uno specifico
processo storico)
•
Così inteso il concetto di cultura può essere considerato il più potente
strumento di analisi delle differenze fra i gruppi sociali.
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La definizione di Taylor
•
Il
primo passaggio al quale è associata dalla tradizione la nascita stessa
dell’antropologia, come disciplina autonoma dotata di un suo oggetto, un suo
metodo e un progetto teorico, è sancito dalla definizione del concetto di cultura
dell’antropologo inglese Edward Tylor nel 1871
–
•
La cultura o civiltà, presa nel suo ampio senso etnografico, è quel complesso insieme
che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, le leggi, i costumi e ogni altra
capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società.
La definizione di Taylor contiene almeno tre importanti novità:
–
riconoscimento che tutti i gruppi sociali, hanno la capacità di produrre “cultura”
–
l’inclusione, entro la categoria “cultura”, oltre al sapere scientifico, all’arte, alla
religione, al diritto, anche delle consuetudini, dei costumi e dei modi di vita acquisiti
socialmente, in un accezione “totale” del termine cultura
–
rifiuto di qualsiasi soluzione di continuità fra popoli civili e popoli primitivi: la cultura è
pensata come una “cosa” soggetta a una legge evolutiva analoga a quella operante
nell’evoluzione delle specie biologiche, che ne determina lo sviluppo secondo fasi o
stadi obbligatori per tutta l’umanità, anche se con tempi di realizzazione diversi.
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Successive elaborazioni concettuali hanno poi portato:
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Al riconoscimento dell’esistenza di non una ma molteplici possibilità culturali, e
quindi al riconoscimento della pluralità delle culture, non valutabili in base a una
scala di valori unica (relativismo)
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All’abbandono di un’idea di cultura come realtà oggettive a favore di un
concetto di cultura come una ‘finzione”, non nel senso di qualcosa di falso ma
nel senso di qualcosa di “costruito” dagli antropologi nel loro lavoro di ricerca
sul campo e di trascrizione delle culture indagate
In sintesi potremmo intendere la cultura
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come il modo particolare dell’uomo in quanto membro di una società di
organizzare il pensiero e il comportamento in relazione all’ambiente.
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In questa prospettiva la cultura presenta almeno tre aspetti particolari:
–
comportamentale che sì riferisce al modo in cui gli individui agiscono e interagiscono
l’uno con l’altro
–
cognitivo, che si riferisce alle idee che gli uomini hanno del mondo e al modo in cui
queste idee filtrano la loro comprensione del mondo e la loro esperienza
–
materiale, che sì riferisce agli oggetti fisici che vengono prodotti entro un certo
contesto socioculturale
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Il concetto di cultura e l’influenza del pensiero di Clifford Geertz
sull’Antropologia contemporanea
•
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La cultura come meccanismo di controllo
–
Gli uomini senza cultura (..) sarebbero inguaribili mostruosità con pochissimi istinti
utili, ancor meno sentimenti riconoscibili, e nessun intelletto: casi mentali disperati.
–
Quest’idea deriva da una concezione della cultura come “meccanismo di controllo”
e del pensiero umano come fondamentalmente pubblico e sociale.
Concepire la cultura come meccanismo di controllo implica che:
–
non esiste una natura umana inossidabile e transculturale da scoprire, dato che
l’essenza dell’uomo è proprio nell’estrema variabilità
–
Il sé non ha origine nella persona del soggetto, bensì nel complesso della scena
della sua azione, è un effetto drammaturgico che emerge da una scena, esso «è il
prodotto di una scena che viene rappresentata e non una sua causa»;
–
Le nostre idee, i nostri valori, i nostri atti, perfino le nostre emozioni sono, come lo
stesso nostro sistema nervoso, prodotti culturali fabbricati usando tendenze,
capacità e disposizioni con cui siamo nati, ma ciò non di meno fabbricati.
–
La cultura è fatta di abiti e di costumi, che gli uomini indossano per recitare e
soprattutto per dar forma alla loro vita. Ci si può chiedere se ci sia, o se mai ci potrà
essere, un qualche luogo dove la recitazione abbia fine. La risposta di Geertz è
chiara: «Non c’è, non può esserci un retroscena dove si possa andare a gettare
un’occhiata agli attori [...] come persone reali”
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La metafora della cultura come testo
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Secondo questa metafora, le attività sociali possono essere “lette” per il loro
significato da parte dell’osservatore proprio come lo sono i materiali scritti e
parlati.
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Il nucleo concettuale dell’antropologia interpretativa è la nozione di
“significato”, proprio perché nella ricerca ci si domanda: qual è il
“significato” delle azioni sociali?
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Per rispondere è necessario mettersi in grado di “vedere le cose dal punto di
vista dei nativi”.
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L’analisi culturale come scoperta dei significati che gli attori
conferiscono alle loro azioni
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I “significati”, per Geertz, non sono da scoprire a un livello che oltrepassa la
realtà dell’esistenza delle persone studiate, essi sono incorporati nelle
società.
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gli uomini interpretano non solo quando contemplano il mondo o riflettono
sulla vita, ma anche quando lavorano, giocano, danzano o altro.
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l’uomo non può che “interpretare”, l’uomo interpretante agisce nei confronti
della sua vita, del flusso delle sue sensazioni, emozioni e sentimenti, ed è
questa l’unica procedura per conferire ordine e significato all’esperienza.
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l’antropologo deve accantonare le sue concezioni dell’esistenza e “leggere”
le esperienze degli altri dall’interno, nel quadro della loro concezione,
cogliendo il significato delle forme simboliche e dei fatti culturali osservabili
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La metafora testuale e il lavoro dell’antropologo
La stessa etnografia viene fatta coincidere con l’esegesi:
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Fare etnografia è come cercare di leggere (nel senso di “costruire una lettura di”) un
manoscritto — straniero, sbiadito, pieno di ellissi, di incongruenze di emendamenti
sospetti e di commenti tendenziosi, ma scritto non in convenzionali caratteri alfabetici,
bensì in fugaci esempi di comportamento dotato di forma.
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Capire un testo significa — ermeneuticamente — elaborare una chiave di lettura per
fare emergere le significazioni in esso implicite.
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E un impresa costruttiva e aperta in quanto comporta che l’azione sia considerata
polisemica, leggibile in molti modi
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Capire un testo non significa rifarsi alle intenzioni dell’autore, per mezzo di rapporti
empatici o identificazioni emotive, entrando nella “sua testa” o “indossando i suoi
panni”
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l’intelligibilità richiede che l’azione venga inserita in una complessa rete di significati
composta dal contesto culturale dell’azione, quello dell’attore e quello dell’interprete.
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Questo aspetto della comprensione è definito da Geertz, prendendo il termine da
Ryle, thick description, “descrizione densa»”
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La “descrizione densa” consiste nello scoprire e ricostruire i livelli di significato non
espliciti delle prospettive degli attori, cioè le molteplicità delle complesse strutture
concettuali che le informa. Rappresenta la ricerca di “un contesto”, «qualcosa —
sostiene Geertz — entro cui eventi sociali, comportamenti istituzioni, processi,
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possano essere intellegibilnente, cioè “densamente” descritti».
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Sgombrare il campo dal culturalismo
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Se con il termine cultura si vuole indicare un’entità circoscritta, localizzata e
descrivibile nei suoi elementi componenti, è evidente che oggi tale concetto
appare scarsamente utilizzabile
L’insoddisfazione degli antropologi è stata sottolineata in vari modi:
– c’è chi ha parlato di “esagerazione della cultura”
Benché questa “esagerazione” abbia avuto anche dei risvolti non
disprezzabili in quanto tentativo di presentare al pubblico occidentale le
culture “altre” come esperienze condivise dotate di senso, può tuttavia avere
effetti di reificazione e alimentare:
– forme di culturalismo esasperato, per così dire dall’interno, da parte
cioè di chi condividendo certi codici e significati, fa appello all’idea di
cultura per assegnare a quei codici e a quei significati una natura extra
culturale, facendoli diventare entità sottratte alla storia e al flusso
comunicativo basato sulla negoziazione, la convenzione, l’accordo
– forme di culturalismo dall’esterno al fine di legittimare progetti
egemonici planetari, come quelli condotti all’insegna dell’ideologia
dello sviluppo
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Reificazione della cultura e conflitto
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Paradossalmente mentre il concetto di cultura, dopo un decennio di
riflessione critica, appare fortemente compromesso e di difficile
utilizzabilità pratica in ambito antropologico, il “culturalismo” ha prodotto
una proliferazione nell’uso di tale concetto, utilizzato nello stesso modo nel
quale ne avrebbero potuto parlare gli antropologi fino a qualche decennio fa
•
quasi sempre un atteggiamento “culturalista” si presenta unito ad una
qualche forma di etnicismo e quindi di una qualche forma di rivendicazione
di autenticità, di unicità della propria cultura fondata sulla differenza
•
Come però succede nel caso delle cosiddette “lotte interetniche”, la
differenza è esasperata a tal punto che un solo aspetto della “cultura” può
diventare l’elemento su cui costruire una teoria della “differenza totale” tra
etnie
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Ha ancora senso parlare di cultura?
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In un mondo in cui il fattore del movimento e “il traffico delle culture”
sembrano prevalere sulla coincidenza di cultura, territorio e identità,
possiamo ancora utilizzare il concetto di cultura come se questo rinviasse a
entità circoscritte nello spazio e nel tempo?
Nell’ecumene globale: nuove nozioni per nuove realtà
– Ibridazioni
– Cultura come “ambiente comunicativo La nozione di “ecumene
globale”
– Reti de-territorializzate e culture de-localizzate
• Hannerz sostiene che “le culture dovrebbero essere considerate come delle
strutture di significato che viaggiano su reti di comunicazione sociale non
interamente situate”
• Arjun Appadarai ritiene che, più che di culture si debba parlare di
ethnoscape, di panorami etnici, definiti come “il panorama di persone che
costituiscono il mondo mutevole in cui viviamo: turisti, immigrati,
profughi, esiliati lavoratori stagionali e altri gruppi e persone in movimento
(…) dato che molte persone e gruppi hanno a che fare con le realtà di
doversi muovere o con la fantasia di doversi muovere”
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La nozione di panorama etnico
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Dal “panorama etnico” aI molti “panorami” della contemporaneità:
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panorama tecnologico
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panorama finanziario
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panorama mediatico
–
panorama ideologico
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Panorama etnico e logica della disgiunzione nell’economia culturale globale
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I panorami della contemporaneità e le nuove configurazioni identitarie
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Panorami etnici, delocalizzazione culturale e deterritorializzazione
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Deterritorializzazione, delocalizzazione e fondamentalismi identitari
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Dal paradigma dell’emigrante all’esperienza dello straniero
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Dal paradigma della sedentarietà ai nuovi nomadismi
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Vecchi e nuovi paradigmi di gestione dello “straniero
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Cultura transnazionale e dinamica appartenenza-presenza
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Habitat di significato
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Il relativismo ci ha indotto a pensare alla cultura in termini di “mondi
di significato” ma ciò ci porta a pensare la cultura in termini di
autonomia e di chiusura
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L’habitat è una metafora derivata dall’ecologia e consente di pensare
la cultura come un ambiente in cui vive l’individuo e che può avere
dei confini mobili, non necessariamente coincidenti con gli habitat
propri di altri attori sociali con i quali si trova ad interagire
•
Gli habitat possono:
– Espandersi e contrarsi
– Possono combaciare del tutto, parzialmente o per niente
– Possono essere identificati sia in singoli individui che in
collettività
•
Per questo è solo l’analisi del processo culturale che si attiva nelle
concrete relazioni sociali a poter stabilire quando sia davvero
condiviso un habitat di significato
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Di fatto, nella maggior parte dei casi il processo culturale viene
modellato dall’intrecciarsi di habitat di significato piuttosto differenti
fra loro
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Habitat di significato ed ecumene globale
•
Nell’ecumene globale molte persone possono condividere parecchi
habitat di significato che potrebbero anche risultare del tutto estranei e
incomprensibili fra loro
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Possono fare la differenza cose come.
– I luoghi dove siamo nati e la gente che abbiamo incontrato
– I libri e i giornali che leggiamo
– I canali televisivi abbiamo accesso
•
Tuttavia il nostro habitat di significato non dipende soltanto dalla misura
in cui siamo fisicamente esposti, ma anche dalle nostre capacità di
confrontarci con esso. Dipende cioè dai:
– Linguaggi che capiamo, scriviamo o parliamo
– Dai nostri livelli di alfabetizzazione in rapporto ad altre forme
simboliche
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Verso una nuova definizione di cultura nell’ecumene globale
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Hannerz sostiene che la distribuzione dei significati e delle forme significanti
nelle relazioni sociali e personali in tutto il mondo oggi è talmente complicato
che qualsiasi unità sociale di cui intraprendiamo lo studio in termini culturali
rischia di rivelarsi un obiettivo più o meno arbitrario
•
L’idea di culture al plurale risulta problematica; è poco più di un espediente
limitato di organizzazione intellettuale di cui è difficile sbarazzarsi, ma con
scarsa validità scientifica
•
L’idea di cultura al singolare, in grado di abbracciare tutta la diversità
organizzata di idee ed ed espressioni, può rivelarsi importante per esplorare il
modo in cui l’umanità abita l’ecumene globale
•
In questa prospettiva il locale inteso come tradizionale ambito di ricerca
dell’antropologo può essere visto come:
– ciò che accade localmente; cioè quanto noi descriviamo come “vita
quotidiana” intesa come quella somma di attività più ripetitive, di natura
sostanzialmente pratica, ridondanti e senza fine che si svolgono in
ambientazioni fisse e alle quali le persone partecipano senza riflettere molto
– Ciò che tende ad essere “faccia a faccia”, che si svolge in situazioni
“focalizzate”, in rapporti duraturi, largamente inclusivi.
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Conseguenze sul piano teorico e metodologico
•
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George Marcus a metà degli anni ‘90 ha proposto l’idea di un’”etnografia
multisituata nel sistema mondo”:
–
contrapponendo all’idea di un ricercatore orientato a “stare” a “radicarsi”, a
“risiedere” in un luogo e all’interno di un gruppo, l’dea di un ricercatore orientato a
“seguire” i migranti, le produzioni dei prodotti, le metafore, le narrazioni, le biografie,
i conflitti
–
ponendo l’accento sui processi del nomadismo contemporaneo e sui suoi effetti sia
a livello globale che locale
Oggi lo studio antropologico, anche quando necessariamente si concentra su
contesti e gruppi localizzati:
– Parte dal presupposto che le unità d’analisi non sono mai “delimitate” e identificate
automaticamente nei “gruppi locali”
–
Esso tende a focalizzarsi sulle rappresentazioni dei soggetti in relazione alle loro
pratiche che, proprio come le rappresentazioni, sono determinate dal loro essere
parte di un mondo sempre più globalizzato e de-localizzato
–
Si pone l’obiettivo di far emergere configurazioni di pratiche sociali, di simboli, di stili
di vita, più o meno stabili nel tempo e nello spazio, senza mai dimenticare il
carattere “aperto” all’influenza del globale di tali pratiche, anche quando le retoriche
dell’autenticità, utilizzate dai gruppi che proclamano il loro diritto all’esistenza e al
riconoscimento, tendono ad affermare il contrario
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Per un’antropologia dei contesti educativi e formativi
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Nella prima metà del secolo scorso, con il concetto di inculturazione,
l’antropologia, ha contribuito ad estendere gli ambiti nei quali sono
rintracciabili processi significativi di insegnamento/apprendimento ma
che non sono riconosciuti come tali perché caratterizzati da:
• basso livello di intenzionalità
• elevata informalità
• carattere fortemente implicito e scarsamente accessibile all’individuo dei
contenuti trasmessi in quanto:
– inscritti nella organizzazione profonda del sistema e delle regole comunicative di un
gruppo
– Riguardano il modo di percepire, interpretare e dare significato ai contesti più che
contenuti specifici
•
Processi che:
– si sviluppano dentro una molteplicità di condizioni e contesti, e
coinvolgono una molteplicità di attori istituzionali e non
– a seconda del livello di riconoscimento sociale dei diversi contesti in cui
vive il soggetto considerato possiamo distinguere fra:
• formali
• informali
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Fra i contesti caratterizzati da informalità possiamo considerare
–
La famiglia (larga parte dell’educazione familiare è caratterizzata da informalità )
–
La strada
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Il gruppo dei pari
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I mass media
–
I contesti lavorativi
Contesti nei quali i processi di trasmissione/apprendimento paiono caratterizzati da
•
•
apprendimenti orientati al mantenimento di relazioni di scambio con l’ambiente
(fisico, sociale, ecc.) anche conflittuali
•
Apprendimento di modi congruenti di dare significato all’esperienza, di interpretare
quanto accade nel proprio campo di esperienza
•
Acquisizione di strategie comunicative e di apprendimento assai diverse da quelle
che caratterizzano i contesti educativi formali
Fra i contesti caratterizzati da elevata formalizzazione dei processi e
dei contenuti possiamo individuare
– La scuola
– L’educazione religiosa
– L’educazione nell’extrascuola quando è caratterizzata dalla presenza di
un curriculo formalizzato e intenzionale (scoutismo, campi vacanze, ecc.)
– La formazione nelle sue diverse articolazioni
Contesti certamente caratterizzati da elevata formalizzazione delle regole, dei saperi e dei
processi di trasmissione, ma che comprendono anche apprendimenti impliciti di norme, valori e
strategie di azione.
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I nuovi contesti di inculturazione nell’epoca della comunicazione
globale
•
I contesti educativi, presso ogni gruppo sono, più o meno intenzionalmente,
strutturati in rapporto ai valori e alle rappresentazioni condivise all’interno del
gruppo
•
Tuttavia, la diffusione su scala planetarie dei mezzi di comunicazione di
massa ha profondamente modificato i contesti inculturativi tradizionali
–
tutti i gruppi sono costretti a convivere con l’azione di agenzie che strutturano i
nostri immaginari secondo obiettivi, regole e contenuti che sfuggono al nostro
controllo
–
Possono ignorarne l’incidenza, demonizzarle o utilizzarle a fini propri ma la
presenza dei media è ineludibile quanto capace di incidere profondamente
nell’organizzazione dei modi di comunicare, nella definizione di aspirazione e
progetti di vita, ecc.
•
con i processi di globalizzazione, inoltre, i diversi attori che partecipano alla
strutturazione dei contesti educativi e di inculturazione, non condividono gli
stessi habitat di significato
•
Per questo la conoscenza di quale assetto caratterizza i diversi contesti
educativi e di quali processo inculturativi vi si attivano all’interno, non può
essere data a priori sulla base della” conoscenza” di una ipotetica
“cultura” locale, ma richiede analisi circostanziate
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L’antropologia dell’educazione e il lavoro educativo
•
Nello svolgere un’opera educativa, è di fondamentale importanza conoscere e
capire l’ambiente che la circonda e l’ambiente in cui si svolgono tutti i momenti
educativi, da quelli familiari a quelli amicali sino a quelli scolastici
•
La pluralità delle prospettive che caratterizzano gli attori e le agenzie di
inculturazione e di socializzazione impone l’adozione di una molteplicità di
strumenti e l’attenzione ad aspetti diversi
•
Sul versante degli oggetti da indagare, dobbiamo fare attenzione sia ai
messaggi espliciti che impliciti dei diversi attori:
•
–
Analisi dei messaggi emessi dai mass media
–
Analisi dei discorsi scientifici che vengono evocati per legittimare l’azione educativa
–
le pedagogie popolari intese come traduzione “locale” delle teorie relative
all’educazione in termini di rappresentazioni più o meno condivise dai soggetti che
contribuiscono a strutturare il contesto educativo
–
Strategie comunicative e di uso dello spazio messe in atto più o meno
consapevolmente dagli attori
Sul versante degli strumenti possono essere utilizzati tutti gli strumenti messi a
disposizione dalle scienze sociali:
–
Dall’analisi dei media e dell’immaginario che caratterizza il particolare gruppo
considerato
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Alle interviste ad attori diversi
–
All’osservazione guidata di aspetti relativi agli stili di comunicazione e all’uso dello
spazio
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Educazione e media
•
I mezzi di comunicazione di cui una società dispone per trasmettere i propri
saperi, insieme ai valori e ai modelli, giocano un ruolo importante nella
strutturazione della sfera cognitiva e nella percezione della realtà degli
individui che ne fanno parte, contribuendo a determinare alcuni aspetti del
pensiero assai rilevanti, quali la concezione del tempo, dello spazio e del
rapporto interpersonale
•
I processi che hanno condotto l’umanità verso una sempre più spiccata
“esteriorizzazione” delle proprie capacità tecniche, mnemoniche e simboliche
attraverso l’utensile e la macchina, la tradizione orale, la scrittura e le nuove
tecnologie comunicative, si incrociano, oggi, in un mondo nel quale un
numero crescente di individui riceve e invia messaggi utilizzando
quotidianamente il linguaggio orale, quello scritto e quello iconico audiovisivo
di televisioni e computer.
•
E’ dunque nella dinamica incessante tra “vicino” e “lontano”, tra messaggi
orali e scritti, tra rapporti diretti e virtuali, tra materiale e immateriale, che
buona parte dell’umanità produce, interpreta e trasmette alle giovani
generazioni visioni del mondo, modelli di comportamento, rappresentazioni
del sé e dell’altro, individuali e collettive
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La tv come contesto inculturativo
E’ certo che oggi, nella nostra società occidentale, l’ambiente in cui si svolge
l’azione educativa, è un ambiente in gran parte modellato, se non costituito,
dai messaggi televisivi:
In generale è importante tenere presente che:
•
a prescindere dal mezzo di comunicazione utilizzato, nel corso del processo
di trasmissione di qualsiasi aspetto culturale, viene anche veicolata, in
maniera inconsapevole, la modalità per interpretarlo:
•
è come se ogni messaggio esplicito fosse circondato e collegato agli altri da
una sorta di rete invisibile, non immediatamente percepibile, che ha il potere
di strutturare una certa visione del mondo sino a farla coincidere con il
mondo stesso, affermando silenziosamente in maniera totalizzante, la
propria verità e “naturalità”
•
I messaggi televisivi informano, offrono modelli di comportamento e
atteggiamenti, guidano i nostri svaghi e e le nostre emozioni, ci
condizionano con le loro ideologie e con i loro linguaggi, ricoprono gli
orientamenti sui valori culturali e sociali con le forme più seduttive
dell’intrattenimento spettacolare e le idee politiche con la ritualità più
accattivante
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Messaggi espliciti e messaggi impliciti
•
I codici espressivi che prefigurano l’utilizzo delle immagini rappresentano una sorta
di apoteosi dell’accavallarsi di messaggi espliciti e impliciti: ogni immagine
figurativa contiene, infatti, una miriade di elementi e rimandi culturali che si fissano
in modo più o meno nella memoria degli spettatori.
•
Questi ultimi,tuttavia, assimilano i materiali iconici interpretandoli sulla base del
proprio stile cognitivo e del proprio vissuto, creando nuovi significati che
confermano ( o progressivamente sovvertono) saperi, credenze e modelli
•
La forza inculturativa dell’immagine, scientemente e ampiamente utilizzata per
colonizzare l’immaginario dei popoli colonizzati (Gruzinski, 1994), si manifesta oggi
in tutta la sua pregnanza attraverso i media audiovisivi: “,Così come l’immagine
barocca (l’immagine contemporanea) trasmette un ordine visuale e sociale, diffonde
modelli di comportamento e di credenza, anticipa nel campo visuale evoluzioni che
ancora non hanno dato luogo ad elaborazioni concettuali e discorsive” (Gruzinski,
1990, 334) ((Callari Galli, 2004: 14).
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