advanced design processes in few case studies

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advanced design processes in few case studies
ADVANCED DESIGN PROCESSES IN FEW CASE STUDIES
FROM CONTEMPORARY ART SYSTEM: DELVOY,
FORNASETTI, RIST
Flaviano Celaschi, Ph.D.
Email: [email protected]
Dipartimento INDACO
Politecnico di Milano
ITALIA
Full Professor
Abstract
The study of the processes which characterize the work of some excellent
and recognized masters of the modern and contemporary fine art testified
the existence of shared models and principles with craft and avant-garde
design: the refined organization, the systematic filing, the industrial
productive continuity of components, the collective participation in the
development of the work of fine art. This paper describes the creative and
productive processes of some case-studies that belong to the world of fine
art, in an attempt to try identify their transferability to the world of
design. In particular the ways in which Piero Fornasetti, Wim Delvoye,
and other artists work, together with an overview of esthetics thought by
Aby Warburg and his theory about art cataloguing.
Keywords
Advanced design, organization of artistic work, components of artistic products, artistic research
1
1. La ricerca progettuale nel design e nell’arte contemporanea
Questa ricerca va inquadrata nell’ambito problematico del design dei processi e, in particolare, in
quella parte del design dei processi che esplora le modalità e gli approcci all’innovazione radicale
(disruptive innovation) o all’innovazione avanzata, nel senso che si proietta in un futuro non
immediato rispetto al momento di azione. Ci collochiamo dunque all’interno di una porzione
degli studi di design che prende il nome di advanced design1 e che manifesta particolare interesse
rispetto a quei temi che la comunità internazionale degli studiosi di problematiche legate al
progetto chiama “fuzzy front end of the innovation processes”.
Rispetto a quest’area di interesse, le ricerche che ho condotto nell’ultimo anno, insieme ad
Alessandro Deserti, Elena Formia, Manuela Celi e altri giovani colleghi che lavorano con me
presso il Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano, hanno focalizzato la propria
attenzione intorno alla relazione tra pratiche di ricerca che caratterizzano l’arte contemporanea e
l’artigianato. L’assunto che abbiamo preso come base di partenza è, in particolare, che territori
come quello che viene attraversato dall’arte contemporanea contenga processi e modelli di lavoro
nella ricerca dell’innovazione concettuale o del prodotto artistico che si possono definire “di tipo
progettuale”.
Chiamiamo ricerca progettuale l’azione che viene svolta dal designer in ogni fase
dell’esplorazione orientata a determinare la soluzione di problemi legati all’esigenza di un nuovo
prodotto o bene d’uso. La definiamo ricerca progettuale perché segue (in vari modelli di
interpretazione personalizzati rispetto all’esigenza e alla personalità del designer) le tradizionali
fasi del modello di lavoro progettuale2. Ma chiamiamo ricerca progettuale anche un tipo di
attività di esplorazione dell’ignoto o dell’indefinito sfocato (fuzzy) che caratterizza l’agire di
artisti moderni o contemporanei che hanno organizzato processi di indagine a elevata
programmazione e articolazione. Queste attività si adattano in modo particolare al lavoro di
advanced design tipico dei processi di progettazione industriale, che è il nostro territorio di
partenza e di ritorno rispetto alla presente analisi di casi studio extradisciplinare.
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Cfr. Celi M. (a cura di), Advanced design, Mc Graw Hill, Milano 2010. In questa raccolta di saggi è presente lo
stato del dibattito sul tema dell’advanced design all’interno dell’Unità di Ricerca omonima che ho fondato presso il
Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano nel 2009.
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Ovvero segue l’articolazione in cinque fasi tipica di tutti i processi di progetto: 1. Osservazione della realtà; 2.
Costruzione di modelli semplificati di realtà; 3. Manipolazione dei modelli semplificati; 4. Valutazione dei pro e dei
contro rispetto alla realtà preprogettuale; 5. Trasformazione del modello manipolato in realtà. Cfr. in proposito
Celaschi F., Design mediatore di bisogni, in Germak C. (a cura di), L’uomo al centro del progetto, Allemandi,
Torino 2008.
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2. I luoghi comuni della differenza tra arte e design
Nel recente contributo apparso sulla rivista di ricerca internazionale “REDIGE”3 abbiamo
documentato la ricerca che stiamo svolgendo intorno ai “luoghi comuni della relazione tra genio
creativo nell’arte e processi di ricerca razionalmente organizzati nel design”.
Anche all’interno di contesti professionali di tipo industriale e di analisi economica legata alle
discipline del management, esiste un antico fraintendimento che considera la tradizione del genio
creativo in arte come realtà per definizione trasgressiva delle canoniche tradizioni
comportamentali (disubbidiente alle regole e alle convenzioni). Comunemente si associa questa
forma di disobbedienza all’uso di luoghi di creazione che hanno caratteristiche poetiche
particolari (luoghi ameni e di riflessione), oppure disordinati, oppure informali, nel senso di
contenere attrezzature e arredi che appartengono a dinamiche considerate creative (tipicamente
nelle agenzie di comunicazione di cultura nord americana si considera creativo uno spazio di
lavoro che al suo interno ospita attrezzature sportive e giochi di rilassamento e relazione
interpersonale).
Anche rispetto alla dinamica temporale, i luoghi comuni assegnano al genio creativo alcuni cliché
quali, ad esempio, il fatto di lavorare in modo incostante nel tempo o di notte, senza obiettivi
predefinibili, con lunghe pause di concentrazione e di distrazione e brevi momenti di attività
frenetica non programmabile.
Inoltre, nei luoghi comuni “romantici”, il genio creativo è sopra le righe nei linguaggi espressivi
che caratterizzano il proprio abbigliamento, l’automobile e le dotazioni strumentali; è
bhoemienne, nel senso di “marginale ed eccentrico”, così come il “flaneur” alla Baudelaire,
sfaccendato e inadatto ai tempi e ai modi organizzati e definiti della vita sociale e della
partecipazione ordinata ai processi di produzione del valore.
In questa ricerca ho voluto invece mettere il fuoco della mia osservazione su alcuni processi
organizzati che sembrano sfidare un altro luogo comune del genio creativo dell’arte: quei
processi che sembrano appartenere a tradizioni che esulano dall’art system e che invece
caratterizzano contesti produttivi di tipo industriale o comunque organizzato in modo
managerialmente responsabile e definibile a priori.
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Cfr. Celaschi F., Formia E., Mata Garcia L., Creativity and industry: a difficult integration. The role of design as a
bond between emotional genius and organised rules in the innovative development of products and services, in
“REDIGE”, v. 1, n. 1 (2010), pp. 62-78.
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3. Gli elementi notevoli nei casi studio selezionati
Ho concentrato l’analisi su alcuni casi studio scelti per l’eterogeneità della provenienza (tutti,
comunque, europei), dell’approccio linguistico all’arte, del ricorso alle tecnologie, della
formazione, della natura dell’output prodotto.
Piero Fornasetti (Milano, 1913-1988) è stato pittore, scultore, decoratore d’interni, stampatore di
libri d’arte, designer e creatore di oltre undicimila oggetti, scenografie e costumi, organizzatore di
esposizioni e di iniziative a livello italiano e internazionale.
Wim Delvoye (Wervik, 1965) è un artista contemporaneo eclettico, diventato celebre per il
progetto “Cloaca”: una serie di macchine che elaborano artificialmente cibo e bevande per
ottenere escrementi attraverso la riproduzione di un articolato sistema di digestione. Egli opera
attraverso una vera e propria holding internazionale tra Belgio, Svizzera e Cina, coinvolgendo
collaboratori in ogni tipologia di attività attraverso la quale si possa esprimere l’arte
contemporanea, dall’allevamento di maiali tatuati in Cina, fino ad una vera e propria fabbrica di
riproduzioni ai raggi x di particolari del corpo che vengono poi utilizzati nelle sue opere di
allestimento e architettura.
Elisabeth Charlotte Rist, in arte Pipilotti Rist (Grabs, 1962) è una videoartista che realizza
allestimenti, videoinstallazioni, film e progetti di oggetti dinamici. Utilizza tutti i linguaggi della
videoarte filtrandoli attraverso due linee di ricerca personale che attraversano la sua produzione:
l’immaginario al femminile, come scenario costante di ribaltamento della visione del mondo, e la
cultura pop, attraverso la quale rovesciare stereotipi televisivi realizzando un incontro tra natura e
artificio surreale.
3.1 Catalogazione e organizzazione dell’informazione
Del lavoro di Fornasetti appare importante, ai fini di questa ricerca, far notare la strategia
sistematica di catalogazione della realtà filtrata dal suo personale immaginario. Il figlio Barnaba
riporta, in un’intervista rilasciata a me personalmente nel 2008, che il padre usava raccogliere in
un rilevante numero di contenitori (circa 70) le immagini, le parole, i segni e i disegni riguardanti
altrettante parole chiave attraverso le quali divideva il mondo immaginario che lo circondava.
“Stelle marine” e “Volti di donna ottocentesca” erano, per esempio, alcune delle parole chiave
censite. Parallelamente, all’inizio del progetto di un nuovo prodotto scriveva, su una scheda
simile a quella di un inventario commerciale, la descrizione geometrica, materica e decorativa
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dell’oggetto che stava progettando, senza disegnarlo, ma specificando a quale delle parole chiave
del suo grande archivio dovesse fare riferimento l’immaginario linguistico che andava utilizzato.
Quindi, avvalendosi dei disegnatori professionisti che facevano parte del suo studio, faceva
disegnare il prodotto che sarebbe diventato “suo”. Il processo utilizzato sfruttava un sistema di
codificazione dell’immaginario e di descrizione del prodotto che lasciava il giusto livello di
autorialità e, nel contempo, un livello di delega alla formalizzazione tale da poter moltiplicare la
capacità produttiva dello studio, anche quantitativamente, senza mai perdere il controllo del
prodotto né la riconoscibilità della mano e dello stile linguistico del progettista.
Processi di archiviazione, anche iconografica, come basi conoscitive dell’arte moderna e
contemporanea sono una praticata operata sistematicamente in molti paesi e frequentemente
fanno riferimento alla cultura della catalogazione sperimentata e approfondita nel Novecento
dalla scuola di Aby Warburg a Londra (oggi Fondazione Warburg).
3.2 Creazione di semilavorati e componenti di innovazione
Fornasetti e Delvoye producono, parallelamente alle opere finali, processi di fabbricazione di
semilavorati e componenti non autonomamente sfruttabili. Nel caso di Fornasetti, il suo grande
archivio contiene raccolte di immagini monografiche e schede di descrizione inventariale di
oggetti. Nel caso di Delvoye, possiamo descrivere i diversi “fabbricati monoproduttivi” e la
divisione del lavoro che viene impiegata nella costruzione della sua “factory”4, attraverso la
forma di una sintetica e giocosa “Wim City”, in cui ogni edifico ospita un progetto o una linea di
preparazione di semilavorati utili a costruire opere autonome5. L’esempio più chiaro è la
produzione di immagini attraverso l’uso dei raggi x utilizzati per le radiografie cliniche, che
interpretano comportamenti e situazioni inusuali rispetto a quelli indagati dalla medicina. Queste
immagini vengono utilizzate dall’artista per decorare le vetrate delle sue cattedrali gotiche,
simulando il filtraggio della luce delle “vetrate colorate e piombate” tipiche dell’arte gotica
monumentale.
3.3 Divisione del lavoro e coautorialità della creazione
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La factory è illustrata metaforicamente (ma non troppo) nel web site dell’artista: cfr. www.wimdelvoye.be.
Si veda, ad esempio, il sistema di collaborazione internazionale con tatuatori cinesi e svizzeri (Wim Delvoye Tatoo
Shop Zurigo), il fabbricato “X rays”, o l’allevamento di suini tatuati (Art Farm China).
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Nel lavoro di tutti i casi studio selezionati per questa ricerca affiora il tema della coautorialità,
intesa non tanto come necessità o possibilità di firmare collettivamente l’opera d’arte finale,
quanto di organizzare processi di produzione dell’opera capaci di far intervenire in modo
sincronizzato diversi specialisti, senza perdere il controllo del linguaggio e della poetica di
riferimento dell’autore. Si può parlare, di fatto, di una “divisione del lavoro” che non ci porta a
una vera e propria catena di montaggio, ma a una struttura nella quale attori selezionati, formati,
sensibilizzati e autonomi nell’espressione professionale e autoriale, realizzano, insieme all’artista,
un’opera complessa o un elevato numero di opere in poco tempo. In ognuno dei tre casi studio
rilevati esiste un rapporto tra complessità dell’azione, sperimentazione di linguaggi espressivi
innovativi, quantità e ricchezza di azione, che sarebbero stati impossibili pensando all’artista
rinascimentale autonomo e unico attore poliedrico: la complessità della videoarte di Pipilotti Rist,
la sua capacità di produrre un vero e proprio film (Pepperminta) o di allestire interi padiglioni del
MoMA attraverso videoinstallazioni; gli oltre undicimila prodotti realizzati da Fornasetti nella
sua carriera, tutti riconoscibili e perfettamente sincronizzati nel sistema di codici espressivi
personali; l’innumerevole quantità di attività, anche diversissime, che caratterizzano il lavoro di
Delvoye (dai tatuaggi su animali, alla costruzione di cattedrali gotiche, alla realizzazione
editoriale, alla fonderia artistica del bronzo e dell’acciaio, alla realizzazione di veri e propri
oggetti di design - le custodie per le cose improbabili -, fino ai film videoartistici).
3.4 Uso della scenaristica
Nel lavoro di Rist si fa frequente uso della scenaristica, anzi la costruzione delle sue opere
sembrerebbe appartenere a una proliferazione continua e inusuale di output autonomi, ma
riconfigurabili all’interno di un mondo unico, di uno scenario, appunto, primigenio e primitivo,
che è quello del mondo filtrato dall’immaginario al femminile. Un immaginario che ha due
confini: da una parte, la natura esperita con il corpo e con i sensi e, dall’altro, la delega alla
televisione di fare qualsiasi traduzione e filtro tra realtà e noi stessi.
L’uso della scenaristica è rilevabile, in diverso modo, anche nel lavoro degli altri due autori citati:
ognuno dei raccoglitori di Fornasetti racchiude uno scenario altamente concentrato su una sola
parola. In Delvoye la metafora dominante è quella di un mondo gotico contemporaneo, in cui
l’effetto finale è uguale a quello originario dell’arte gotica, ma i soggetti o i segni attraverso i
quali si ottiene l’esito è completamente innovativo.
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L’uso della scenaristica è nella realtà odierna dell’advanced design una pratica utilizzata con
molta frequenza soprattutto allo scopo di creare balzi in avanti e di descriverli in modo da
permettere la costruzione di un grande immaginario condivisibile, contemporaneamente, da più
autori (designer) o da più soggetti (imprenditore, autori, persone del mktg, distributori,
comunicatori, clienti finali).
4. La ricerca continua e le applicazioni occasionali
Tutti e tre i casi che ho preso come riferimento, ma in generale una comunità vastissima
all’interno dell’art system contemporaneo, sembrano riferire di una caratteristica che appartiene
ad artisti ritenuti, per continuità, qualità, riconoscimento internazionale, innovazione dei
linguaggi e della sperimentazione adottata, anomali rispetto ai corridoi di ricerca artistica
dominanti nel loro momento creativo: si tratta della necessità di avere una ricerca continua di
base che attraversa nel lungo periodo la produzione dell’artista e che riguarda un livello tematico
e una visione che spesso non è quella che traspare dalle opere che occasionalmente identificano
l’artista e per le quali è riconosciuto.
Si potrebbe sostenere un modello di ricerca a T (T shape) secondo il quale ognuno di questi
eccellenti casi citati si è organizzato il lavoro di ricerca artistica coltivando, per lungo tempo e
con continuità, uno o più filoni di indagine monografica di base (il tratto orizzontale della T),
arbitrariamente o assolutamente non correlati al tipo di opere realizzati come output artistico: il
piede verticale della T corrisponde quindi alla necessità o opportunità di far germinare prodotti
che prendono strade solo apparentemente occasionali e che si possono invece materializzare
unicamente grazie a questa ricerca continua di base.
Potremmo sostenere che lo studio di un originale funzionalismo derivato a posteriori dalla
creazione del prodotto è, per esempio, uno dei filoni di ricerca di base che attraversa il lavoro di
Ettore Sottsass6. Sottsass sostiene che tutti i suoi prodotti hanno una funzione e un grande rispetto
per la funzione, anche se questa funzione va trovata in essi una volta che sono stati disegnati e
non necessariamente a priori.
5. Conclusioni
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Cfr. Sottsass E., Scritto di notte, Adelphi, Milano 2010; Sottsass E., Vorrei sapere perché, Electa, Milano 2007.
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La capacità di produrre in modo originale oggetti radicalmente innovativi, nonché ottenere
prodotti capaci di determinare disruption della continuità presente all’interno delle tendenze
dominanti (dunque gli obiettivi tipici dell’advanced design), è un’abilità che si può ottenere
anche grazie all’organizzazione del lavoro, alla sua divisione, alla capacità di operare ricerca di
base che genera semilavorati e componenti innovativi, a prescindere dalle applicazioni che le
occasioni potenziali permetteranno di realizzare e sulle cui caratteristiche non si conosce
alcunché nel momento in cui si fa la ricerca.
L’archiviazione e la catalogazione accurata delle informazioni, la creazione di semilavorati e
componenti, la divisione del lavoro e la gestione di processi creativi che permettono la
compartecipazione di più autori, l’uso della scenaristica, sono attività che qualificano il lavoro di
alcuni tra i più noti esponenti dell’art system moderno e contemporaneo. In relazione a ciò, è
interessante comprendere come, parallelamente all’applicazione di questi strumenti e
procedimenti all’interno dell’arte, sia proficuo riconoscere le loro potenzialità e comprendere le
modalità attraverso le quali favorire un loro utilizzo all’interno delle pratiche che caratterizzano
l’advanced design, anche quando questo opera in contesti fortemente organizzati e strutturati
come tipicamente quello che riguarda la produzione di beni di consumo.
Bibliografia
Celaschi F., Design mediatore di bisogni, in Germak, C. (a cura di), L’uomo al centro del
progetto, Allemandi, Torino 2008
Celaschi F., Formia E., Mata Garcia L., Creativity and industry: a difficult integration. The role
of design as a bond between emotional genius and organised rules in the innovative development
of products and services, in “REDIGE”, v. 1, n. 1 (2010), pp. 62-78
Celi. M. (a cura di), Advanced design, Mc Graw Hill, Milano 2010
Sottsass E., Scritto di notte, Adelphi, Milano 2010
Sottsass E., Vorrei sapere perché, Electa, Milano 2007
Vettese A., A cosa serve l’arte contemporanea, Allemandi, Torino 2001
www.pipilottirist.net
www.wimdelvoye.be
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